Tim Burton da Alice in Wonderland a..., tutte le notizie...

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Ary64
view post Posted on 4/3/2010, 13:35 by: Ary64
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Alice in Wonderland - la recensione

fonte: Comingsoon.it


“Alice nel paese delle meraviglie” (e “Attraverso lo specchio”) e Tim Burton: da questa accoppiata schiere di fan in tutto il mondo si aspettavano cose strabilianti. Da sempre infatti il talento visionario del regista di Burbank era ritenuto tra i più adatti per una nuova traduzione in immagini delle storie di Carroll, e la sua sensibilità dark e gotica, ma al tempo stesso ironica e vitale, come l’accordatura ideale per cogliere tutti i toni dei romanzi. Ma le aspettative vanno sempre misurate sulla base dei fatti e delle contingenze reali: non si poteva e non si può ignorare che questo sia un film che nasce targato Disney (quella stessa Disney che all’inizio degli anni Ottanta non sapeva bene che fare della irrequieta e non conforme creatività del giovane regista), con tutto quello che un imprimatur del genere comporta. Compresa una sceneggiatura a firma di qualcuno (Linda Woolverton) che ha all’attivo storie di certo non anticonvenzionali come quella, ad esempio, del Re Leone.

Se è innegabile che da Alice in Wonderland era legittimo aspettarsi qualcosa di più, o di diverso, va anche accettato che – giusto o sbagliato che sia – Burton non è forse più regista voglioso di liberarsi a tutti i costi da legacci produttivi o di trasgredire regolarmente alla norma. Il suo nuovo lavoro appare quindi come l’opera coscientemente compromissoria di un regista comunque in grado di affermare il suo essere autore nei dettagli e nelle pieghe di un racconto che fa suo nel rispetto (apparente) delle esigenze di una committenza forte e segnante.
Lo si nota ad esempio sul fronte puramente visivo di un film affascinante all’occhio e bello da vedere, nel quale il 3D si conferma accessorio superfluo e dove la meraviglia di scenari e creature è da un lato manieratamente burtoniana, dall’altro ammiccante all’estetica disneyana più tradizionale; ma anche capace di rivelare nei dettagli, nelle situazioni e nei personaggi minori la capacità di affermare un carattere sincero e non allineato. Non son pochi infatti, in Alice in Wonderland i tratti inquietanti a livello epidermico o subliminale, seppur mimetizzati o stemperati da un contesto generale di più rassicurante convenzionalità: sempre che tale aggettivo abbia senso in una storia come questa.

Ma è anche e soprattutto nelle scelte divergenti e diversificanti dal materiale letterario che Alice in Wonderland dimostra una personalità definita seppur sempre understated. In superficie fruibile come una tradizionalissima fiaba di formazione targata Disney - con tanto di scontro finale purtroppo assimilabile a quello di troppi titoli del cinema fantasy più recente - il film di Burton trova nello slittamento d’età della sua giovane protagonista una chiave di lettura inedita e interessante: non più bambina, ma post-adolescente costretta ad affrontare una vita adulta che non sente sua, l’Alice di Burton è un personaggio sottilmente ma innegabilmente sessualizzato, tornata in un mondo magico e fantastico dove i mutamenti del suo corpo sono chiaro rimando a una femminilizzazione ed erotizzazione forti. Tratti evidenti ed evidenziati in un contesto dove la Regina Rossa è una freak incapace di accettare con serenità la sua devianza fisica e reagisce con la dolorosa aggressività di un Willy Wonka o di uno SweeneyTodd, ma anche dove la bellezza e la purezza della Regina Bianca non sono affatto aliene da tratti inquietanti e persino vagamente crudeli, fisicamente ed emotivamente.
L’Alice di Burton torna nel paese dove era stata bambina per sancire il passaggio ad una maturità che è fisica oltre che psicologica e morale: e non a caso, al suo passaggio, scatena pulsioni più o meno evidenti (nel Cappellaio Matto come nel Fante di Cuori), accompagnata a distanza dallo sguardo di un Brucaliffo che muterà forma con lei. E, altrettanto non a caso, termina il suo viaggio in quei luoghi e nella vita vera con un ennesimo e definitivo cambio d’abito che è chiara affermazione di un superamento di convenzioni di genere e, quindi, di comportamento, sociali e relazionali.

Non sempre il discorso di Burton riesce ad essere efficace e coerente come dovrebbe, e l’esigenza di edulcorazione evidentemente imposta dalla produzione mette molti degli aspetti più personali e meno omologati del film in sordina. Ma Alice in Wonderland fila comunque liscio, divertente, accattivante; dimostrando come il regista stia tentando di abbracciare anche un lato più bonario della sua creatività: forse per pigrizia, forse per paura di finire vittima delle sue ossessioni, (auto)esiliato e inasprito come quella Regina Rossa che appare come il personaggio che forse gli sta più a cuore nel film.

Federico Gironi
 
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