Il primo giorno, 2 settembre 1971

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Camelia.
view post Posted on 5/8/2013, 12:02




Capitolo 16


Per qualche secondo la professoressa McGranitt non disse nient’altro e li fissò uno per uno muovendo impercettibilmente il capo per abbracciare tutta la stanza.
Non vi era nulla di spaventoso in lei, tuttavia dalla sua posa rigida e immobile emanava qualcosa di indefinito, un’invisibile aura che parve dilatare il silenzio calato nell’aula, quasi solidificandolo. Era come se nessuno fosse fisicamente in grado di aprire bocca.
I bambini fissavano la donna, alta e magra, stagliata nella luce della finestra che dal fondo proiettava un fascio di luce dorata.
Stava in piedi davanti alla cattedra, con le mani unite all’altezza dell’addome. Assieme al viso, le mani erano l’unica cosa chiara in lei, avvolta completamente da una veste di velluto molto scuro, di una sfumatura rosso bordeaux rivelata solo dalla luce che lo investiva; le maniche erano ampie, piccoli bottoni neri risalivano ordinati dalla vita al collo alto e stretto; le pieghe della gonna leggermente svasata e una cintura scozzese intonata ai colori della veste erano le uniche concessioni a un che di gentile in tutta quella rigidità che faceva sembrare la McGranitt una statua di legno scolpito sorta dal pavimento stesso.
I capelli scuri raccolti in uno chignon strettissimo sulla nuca completavano il ritratto di quella donna che, non c’era alcun dubbio, doveva essere severa quanto il suo aspetto.

La professoressa parlò di nuovo e gli allievi si riscossero dal loro intorpidimento, prendendo a guardarsi di sottecchi come a voler verificare se anche i compagni erano rimasti ammutoliti di fronte alla presenza algida della docente.

Subito comunque tutti gli occhi tornarono a fissarsi su di lei, che parlava con voce chiara e sicura:
“La Trasfigurazione è una materia difficile…” e Severus udì il ragazzino grasso davanti a lui emettere un flebile gemito. Quello che si chiamava Remus gli posò la mano sul braccio con un pallido sorriso, per fargli coraggio.
Ora Severus vide meglio i segni sulla mano, erano scuri, ravvicinati e formavano una specie di lunga e stretta “U”.

“…difficile e che richiede una fortissima capacità di concentrazione. Non potete pensare di raggiungere l’eccellenza in questa materia senza una costante applicazione, poiché per poter eseguire le trasfigurazioni più complesse è necessario conoscere a fondo la teoria ed avere una perfetta padronanza dell’esecuzione pratica.”
I bambini ora respiravano un po’ affannosamente.
La professa non stava dicendo nulla di diverso da ciò che avevano sentito circa due ore prima, ma nelle sue parole e nel suo aspetto severo mancava quel non so che di rassicurante che emanava invece da Vitious.
Severus spiò Lily e notò che aveva le dita contratte e gli occhi spalancati, fissi sulla professoressa.
Con la coda dell’occhio gettò uno sguardo rapido anche alla sua sinistra e non fu sorpreso di vedere Potter e Black fermi e tranquilli. Non facevano tanto i pagliacci ora, con la direttrice della loro Casa!

Come se avesse colto nell’aria quel pensiero vagante, la McGranitt disse: “Voglio essere ben chiara, prima di procedere: io non tollero chiasso, chiacchiere e qualunque forma di disturbo nella mia aula. Chiunque trasgredisca non potrà più seguire questo corso.”
Un lampo le attraversò le lenti rettangolari. Diceva sul serio, non c’era da scherzare con lei.
Ottenuto un silenzio ancora maggiore, riprese:

“L’esecuzione di qualunque incantesimo di Trasfigurazione richiede l’utilizzo di una bacchetta. E’ quindi fondamentale che voi impariate al più presto a padroneggiare la vostra e per questo confido che vi impegnerete al massimo nelle prime lezioni con il professor Vitious.
A proposito, dato che lo avete avuto già alla prima ora, immagino che vi abbia esaurientemente illustrato il funzionamento di Hogwarts...”
La professoressa si interruppe e spostò lo sguardo sui bambini.
Molti annuirono e qualche sporadico, timido “sì” si levò da qua e là dai banchi.
“Molto bene” riprese la McGranitt, spiccia, “ora farò l’appello”.
Si voltò e andò a sedersi dietro la cattedra.
Qualche bambino di sistemò meglio sulla sedia, ma tutti tornarono immobili appena lei aprì il registro e si aggiustò gli occhiali rettangolari sul naso.
“Avery” cominciò.
A uno a uno i chiamati alzarono la mano e dissero “Presente!”
Anche se nell’aula continuava a non volare una mosca, in qualche modo il sentire le proprie voci contribuì a far calare un po’ la tensione: i bambini si guardavano a vicenda, imparando i nomi di chi ancora non avevano conosciuto o di quelli che appartenevano ad un’altra Casa.
“Evans…”
“Presente!”
Lily alzò il braccio e si rilassò. Sorrise a Severus.

***



Evans.
L’incontro con quel cognome era avvenuto in modo strano, un pomeriggio, qualche mese dopo che Severus e Lily avevano fatto amicizia.
Lei parlava spesso della propria famiglia, era una gran chiacchierona al riguardo. Amava in maniera incondizionata i suoi genitori e perfino la sorella Petunia che Severus invece odiava con tutta l’anima. Lui restava molto colpito dai racconti di Lily, nelle sue parole scopriva per la prima volta che “famiglia” era qualcosa di più che condividere un cognome.
Era una sensazione sconosciuta e lui se ne sentiva spiazzato.
Ogni volta che Lily parlava, Severus percepiva lo scarto tra le loro vite e le poche volte che, solo, aveva concesso a una parte di sé di indugiare sul concetto di “famiglia felice”, subito si era ritratto con spavento da quei pensieri e aveva impedito a se stesso di soffermarcisi oltre.
Quando usciva da quei sogni, casa Piton si ridisegnava di colpo davanti ai suoi occhi, richiudendosi attorno a lui con i suoi muri scrostati e grigi.
Cercava allora di immaginare la casa di Lily.

Quel giorno lei aveva accennato al postino babbano che le aveva portato una lettera dei nonni e di come le era venuto da ridere immaginandolo come un gufo enorme che invece della mano usava il becco per infilare la posta nella cassetta. Mentre lei raccontava, Piton come al solito la guardava incantato e per la seconda volta in vita sua gli sembrò di vedere qualcosa negli occhi verde chiaro di fronte a lui.
Vide chiaramente un uomo vestito tutto di blu, con un berretto in testa e una borsa marrone a tracolla. Lo vide estrarre una lettera e infilarla in una linda cassetta di metallo chiaro con su scritto “EVANS” a nere lettere inclinate.
Sorpreso, aveva sobbalzato, il cuore che batteva fortissimo.
Cos’era? Cos’era stato?
Già una volta… Sì, già una volta aveva visto qualcosa, se stesso, negli occhi di Lily.

Nei ricordi di Lily…
Ecco, adesso lo capiva! Lui era in grado di vedere nei suoi ricordi! Ma come funzionava? Forse succedeva quando Lily si concentrava molto nel raccontargli qualcosa e allora lui era in grado di leggerglielo negli occhi. Sì, doveva essere così.
Evans.
Aveva un suono gentile il suo cognome.

***



Si riscosse da quel piacevole ricordo quando vide il bambino pallido seduto davanti a Lily alzare la mano e dire “Presente!” dopo che la McGranitt aveva chiamato “Lupin”
“McDonald…”
“Presente!” Mary e i suoi capelli ricciuti stavano seduti in seconda fila.
“Minus…”
“Presente…” esalò una vocetta.
“Signor Minus, parli a voce alta e chiara la prossima volta!” lo riprese la McGranitt con severità.
Il bambino farfugliò delle scuse impacciate.
“Mulciber…”
“Presente!” rispose Mulciber quasi urlando e Severus udì una risata alla sua sinistra. Inutile voltarsi, sapeva benissimo chi era stato.

Prese a stare più attento, ormai toccava quasi a lui. La professoressa scorreva i nomi con l’indice e sollevava poi gli occhi quel tanto che bastava a inquadrare di sopra le lenti degli occhiali l’allievo chiamato.
Severus era certo che, nonostante non concedesse più di una frazione di secondo all’operazione, la McGranitt registrava perfettamente i loro volti e il loro atteggiamento.
Raddrizzò le spalle.
“Piton…”
“Presente!”
Ecco fatto, nessuna esitazione nella voce e aveva guardato la professoressa dritto negli occhi. Si rilassò anche lui.
“Potter…”
“Presente!”

Il fatto che quel nome fosse di seguito al proprio indispettì parecchio Severus.
Non capiva perché quel ragazzino gli desse tanto sui nervi… Insomma, era cretino e antipatico, era di Grifondoro e fiero di esserlo (la razza peggiore), faceva comunella con un altro idiota totale… tutte ragioni valide e sufficienti perché non vi fosse un solo motivo per andarci d’accordo, ok, ma Severus poteva benissimo ignorarlo, no? Come quella Mary, per esempio. Era facile ignorarla.

Perché allora con Potter non ci riusciva? E nemmeno con Black?
Avrebbe voluto non curarsi di loro così come era sempre riuscito a fare con i compagni della scuola babbana.
Voltò di nuovo la testa a spiare i due e notò che Potter guardava dalla sua parte. Ma i loro occhi non si incrociarono, Potter stava guardando di sottecchi Lily.
Qualcosa scattò in Severus che, fingendo di sistemarsi sulla panca, si spostò di pochi centimetri in modo da coprire all’occhialuto Grifondoro la vista della bambina.

La McGranitt ultimò l’appello e improvvisamente fece un gesto brusco col braccio: la cattedra si trasformò da un momento all’altro in uno stormo di gru pronte a spiccare il volo. Furono però bloccate da un altro incantesimo che immobilizzò le loro ali già spiegate e ritramutò gli uccelli in cattedra.

Come con Vitious, un “Ohhhhh” generale uscì da tutte le bocche dei presenti.

Consapevole di aver ottenuto l’attenzione totale della classe, la McGranitt chiese con tono pratico a un bambino della prima fila, Carlyle, di distribuire ai compagni il contenuto di una scatola. Molti colli si allungarono, curiosi.

“La lezione di oggi non sarà solo teorica, anche se ancora non padroneggiate molto bene le vostre bacchette” esordì la professoressa. Tutti tornarono a fissarla.
“La Trasfigurazione, come vi dicevo prima, è una materia complessa, perché trasformare qualcosa in qualcos’altro non si ottiene semplicemente mormorando una formula. Voi imparerete a mutare l’apparenza delle cose, a cambiare un materiale in un altro, l’inanimato in animato e viceversa.”

Nella classe non volava una mosca e non si sentiva un respiro. La professoressa parlava a voce chiara e sicura.

“Ora, Carlyle vi sta distribuendo dei fiammiferi. Quello che faremo oggi è trasformarli in stuzzicadenti, una delle trasfigurazioni più semplici in assoluto visto che non dovrete operare nessun cambio totale di materia.”
Con un gesto appena accennato della bacchetta, la McGranitt fece apparire sulla lavagna posta di fianco alla cattedra una serie di disegni collegati tra loro da frecce. La professoressa si alzò e cominciò a spiegare.
“Questo diagramma illustra esaurientemente il tipo di sforzo che dovete chiedere a voi stessi. Non concentratevi sulle similitudini tra i due oggetti, ma visualizzate in che cosa differiscono nel loro aspetto esteriore. Signorina Jones?”
Tutti i bambini sussultarono. Non si aspettavano che venisse chiamato qualcuno e si levò un timidissimo: “Sì?”
La voce apparteneva a una bambina della seconda fila, dai lisci capelli biondi ordinatamente pettinati sulle spalle e con una sottile treccia al centro.
La McGranitt le chiese quali fossero le differenze tra un fiammifero e uno stuzzicadenti, ma il suo tono non era inquisitore e questo rassicurò la classe, signorina Jones compresa.
“Beh… lo stuzzicadenti ha due punte… e… e non ha capocchie di zolfo” rispose.
“Molto bene. Un punto per Grifondoro! Nient’altro?”
Severus alzò la mano prima di rendersene conto. Conosceva quell’esercizio e aveva già risposto a quella domanda anni prima, leggendo il libro di Trasfigurazione di sua madre.
“Sì, signor Piton?”
Per la miseria, la McGranitt aveva già imparato i nomi di ciascuno?
Severus si riscosse dalla sorpresa e rispose:
“Lo stuzzicadenti è più sottile, più lungo e non è squadrato.”
“Ottimo spirito di osservazione!” lo gratificò la McGranitt. “Un punto anche per Serpeverde!”

Severus provò un certo compiacimento per aver pareggiato i conti con Grifondoro e stava quasi per voltarsi verso Potter e Black quando Lily al suo fianco gli sussurrò “Bravo!”, con un gran sorriso.
Era felice davvero, per lui.

“I vostri due compagni hanno centrato perfettamente gli elementi sui quali dovrete applicarvi.”
La Mc Granitt aveva ripreso a spiegare e aveva raddoppiato al lunghezza della propria bacchetta per indicare alcuni dei disegni sulla lavagna.
“Il metodo più efficace per ottenere una buona trasfigurazione del vostro fiammifero è partire dagli elementi più semplici per poi potervi concentrare con calma su quelli più complicati. In questo caso è bene che voi partiate dalle dimensioni dell’oggetto…” e indicò il primo disegno “...poi dedicatevi alla sua forma, da squadrata a cilindrica…” ecco il secondo disegno “…infine cercate di creare due punte alle estremità, partendo da quella inferiore, più semplice, e lasciando per ultima la trasfigurazione della capocchia di zolfo.”
Molte fronti erano corrugate.
“La parte finale è la più complicata, procedete per gradi, come per il resto. Prima le dimensioni, poi la forma e solo alla fine la…”
…la trasformazione dello zolfo in legno, o se preferite, la sua sparizione.” concluse Severus mormorando a mezza bocca.

Conosceva a memoria quella procedura, per averla letta infinite volte sul libro di Eileen. Tuttavia non gli piaceva molto, sapeva che, pur se efficace, era un metodo lento; già nei libri del secondo anno si insegnava a concentrarsi prima di tutto sulla trasfigurazione della materia.
Un formicolìo lo pervase. Avrebbe osato applicare una procedura avanzata dopo che la McGranitt era stata così precisa nell’esporre quella per principianti totali?
Era una tentazione fortissima, già stringeva la bacchetta nella mano.

“Osservate bene il diagramma e imparatelo, copiatelo se lo ritenete opportuno, anche se lo troverete nel vostro libro “Guida pratica alla Trasfigurazione per principianti”, che vi invito a portare in classe dalla prossima lezione in poi."
Tutti i bambini fissarono la lavagna, poi i fiammiferi che stavano immobili sui banchi, poi, di sottecchi, i compagni. Nessuno sembrava aver la più pallida idea di come procedere.
La McGranitt continuò:
“La formula che dovrete pronunciare è “SCALPIUS” e vi prego di prestare attenzione al movimento della bacchetta.”
E mostrò alla classe come il fiammifero che teneva tra pollice e indice diventava uno stuzzicadenti con un passaggio lento e dall’alto in basso della bacchetta.
“Forza ora, riguardate il diagramma e provate!”

Tutti tornarono a fissare la lavagna e parecchie fronti adesso erano corrugate. Alcuni bambini mormoravano le istruzioni ma parevano restii a provare l’incantesimo. Si giravano le bacchette tra le mani, osservano il fiammifero davanti a loro come fosse un nemico imbattibile.
Infine qualche voce sporadica azzardò un timidissimo “SCALPIUS...”

“Non stringa troppo forte la bacchetta, signor Dwellington, ecco, così… E lei la muova più lentamente, signorina McDonald…”
La McGranitt aveva preso a fare il giro della classe, correggendo, consigliando, qualche volta mostrando il movimento della bacchetta. Alle volte rispiegava daccapo tutta la procedura illustrata alla lavagna.
Era un’insegnante molto attenta, riusciva a capire quali fossero le difficoltà di ciascun allievo e subito era pronta a porvi rimedio. Sembrava non le importasse ripetere continuamente le stesse cose.
“SCALPIUS!”
“SCALPIUS!”
“SCALPIUS!”
“SCALPIUS!”
Ora le voci erano più sicure anche se la quantità di tentativi denunciava lo scarso successo dell’incantesimo.

Dopo essersi scambiati un’occhiata d’incoraggiamento, Severus e Lily si dedicarono al proprio fiammifero.
Severus era certo di riuscire a trasfigurarlo senza difficoltà, ma decise di aspettare che l’amica tentasse per prima; ciò che più gli premeva, in verità, era decidere se fare a modo suo o seguire le istruzioni della McGranitt.
Lily era concentratissima, del tutto estranea a quanto le accadeva davanti, con Minus che, ripetendo uno “SCALPIUS!” dietro l’altro, agitava la bacchetta con tale frenesia da picchiare continuamente il banco.
“Piano, Peter!” gli sussurrò Lupin.
Lily intanto fissava la lavagna e teneva le braccia posate conserte sul banco, stringendo la bacchetta.
Infine si decise e sfiorando appena il fiammifero mormorò “S-C-A-L-P-I-U-S”.
Il fiammifero si allungò, si assottigliò e la sua estremità inferiore si appuntì.
Lily era così incredula che per qualche secondo rimase a fissare la sua prima magia a occhi spalancati, incapace perfino di esprimere gioia.
“Bravissima!” la incoraggiò Severus, che aveva notato un leggero tremito nel polso della bambina.
Era per quello che la trasfigurazione non le era riuscita bene.
“Prova tu, dai!” fece lei.

Severus, che per puro perfezionismo aveva avuto cura di riguardare il diagramma alla lavagna nonostante lo conoscesse già, si concentrò.
Non aveva fretta e si scoprì a pensare che sarebbe stato bello eseguire l’incantesimo al primo colpo e alla perfezione. Era una magia facile in fondo e lui si sentiva già così teso verso cose più complesse che qualunque tentativo andato a vuoto con quel fiammifero sarebbe stato quasi una sconfitta, per lui.
Si trattenne però, la fretta poteva essere una nemica e in Severus l’istinto era sempre fortemente bilanciato da una straordinaria capacità di riflessione e voglia di approfondire, del tutto inusuali in un bambino così piccolo.
Lo tratteneva inoltre il pensiero di Lily: di nuovo, non voleva sembrarle sbruffone o intimidirla con la sua bravura, ancora non le aveva raccontato dell’incantesimo della sera prima...

Severus cincischiava, accarezzando il fiammifero con la punta della bacchetta: usare il metodo da novellini o saltarlo a piè pari e seguire quello spiegato nel libro di Trasfigurazione del secondo anno?
Guardò distrattamente Lupin che era riuscito ad arrotondare e appuntire il suo fiammifero, mentre Minus gli lanciava occhiate ansiose e picchiava la sua bacchetta più che mai (“SCALPIUS! SCALPIUS! SCALPIUS!”)

“Molto bene signor Potter, ottima esecuzione!”
Severus sobbalzò sulla panca.
Si era così concentrato sui propri pensieri, su Lily e sui due che gli sedevano davanti che non aveva registrato i gridolini che da circa un minuto provenivano dalla sua sinistra, né si era accorto che la McGranitt stava avvicinandosi all’ultima fila.
Potter era riuscito a trasfigurare il suo fiammifero e Black dopo un paio di tentativi lo aveva seguito a ruota, guadagnandosi anche lui l’approvazione della professoressa.
Tutta la classe si era voltata e molti bambini avevano ripreso a lavorare con più lena. Il fatto che qualcuno fosse riuscito ad eseguire l’esercizio infondeva fiducia; Lily riprese a concentrarsi e a tentare di completare la sua trasfigurazione a metà.

La McGranitt si avvicinò a Severus. Il suo fiammifero era ancora un fiammifero e il cuore accelerò i suoi battiti.
Qualcosa di prepotente gli premeva dentro gridandogli chissà perché e da chissà quale luogo remoto della sua mente di battere Potter, di fare meglio di lui, battere Potter, battere Potter…
Non li vedeva, ma percepì con sicurezza che Potter e Black stavano guardando verso di lui.
Era fatta, aveva deciso: avrebbe prodotto un incantesimo perfetto e avanzato sotto gli occhi della McGranitt.
Concentrò tutto il suo essere in ciò che stava per fare, serrò la bacchetta nella mano e disse con sicurezza “SCALPIUS!”, muovendola deciso con un movimento fluido sopra il fiammifero.
La magia fu rapidissima, nel tempo di battito di ciglia uno stuzzicadenti perfetto giaceva sul banco, ma l’occhio allenato della professoressa non poté non notare che il procedimento era diverso da quello che aveva spiegato.

“Signor Piton… lei non ha seguito il diagramma alla lavagna”, disse con calma.
Severus deglutì.
Vide Lupin gettargli un’occhiata di sbieco da sopra la spalla per poi tornare a lavorare sul suo fiammifero, vide Minus girarsi con quei suoi occhietti vacui che dardeggiavano da lui alla professoressa, udì Lily accanto a sé trattenere piano il respiro.
Fissò la McGranitt, pronto a ricevere il castigo.
“Trasfigurazione perfetta, comunque.”
Severus aprì la bocca e sentì la tensione sciogliersi e fluire via da lui. Non era arrabbiata, la professoressa non era arrabbiata! Era sorpresa, anche se l’espressione del suo viso restava severa.

“Vorrei tuttavia essere certa che la procedura oggetto di questa lezione sia nelle sue corde, se non le spiace” e con appena un accenno di movimento di bacchetta, ritrasformò lo stuzzicadenti in fiammifero.
Severus si sistemò raddrizzando le spalle e ripeté la trasfigurazione come voleva la McGranitt.
“Molto bene, signor Piton.”

La professoressa passò oltre, senza aggiungere altro ma… possibile? Fu come se l’ombra di un sorriso le facesse fremere l’angolo della bocca.
Severus sentì dei borbottii alla sua destra, oltre Lily, e con la coda dell’occhio vide che anche Avery e Mulciber stavano commentando la scenetta. Dietro la cortina unticcia dei suoi capelli, Severus aveva l’aria molto soddisfatta e fu uno sforzo non guardare dritto negli occhi Potter, Black e i compagni di Serpeverde.

Ora era Lily sotto esame: era quasi riuscita a terminare la sua trasfigurazione, il suo stuzzicadenti aveva ancora una punta di zolfo.
Corrugò la fronte tanto da fare quasi il broncio e Severus notò una maggiore decisione nei suoi movimenti. La vicinanza della McGranitt la stimolava.
“SCALPIUS!”
E anche Lily ebbe il suo stuzzicadenti e l’approvazione della professoressa.

Si lasciò sfuggire uno sbuffo di sollievo e guardò l’amico interrogativa, ma non osò parlare perché la McGranitt stava osservando il lavoro di Lupin e Minus.
Il primo era sulla buona strada ma scarseggiava in determinazione (“Signor Lupin, non abbia paura di sbagliare”), il secondo invece era in completa balìa del panico e l’unico risultato che era riuscito ad ottenere con i suoi movimenti scomposti era di far vagabondare il suo povero fiammifero su e giù per il banco.
“Signor Minus… tenga il braccio lungo il corpo e muova solo il polso. Agitarsi sulla sedia non è affatto necessario nella Trasfigurazione.”

***



La prima volta che Severus aveva letto “Guida pratica alla Trasfigurazione per principianti” aveva desiderato poter prendere la bacchetta di sua madre: era così tanto tempo che Eileen non la usava più, ma lui spesso sognava di vederla ancora compiere magie. Quei sogni gli lasciavano una piacevole sensazione al risveglio, che però acuiva ancora di più il disgusto per la sua vita.
Da quando aveva saputo di essere un mago destinato ad Hogwarts, ogni giorno passato in trappola nel mondo babbano era per Severus motivo di grandissima (in)sofferenza.

Il ricordo degli ultimi incantesimi che aveva visto fare ad Eileen era indelebile nella sua mente, ma anche lontano, così lontano che era come se appartenesse ad un altro tempo e, forse, ad un’altra persona.
Casa Piton, triste, opprimente e grigia, sembrava non aver ospitato mai la magia.
Severus osservava i fiammiferi con cui sua madre accendeva il fuoco e ripensava al primo capitolo del libro; l’idea che una cosa potesse trasformarsi in un'altra gli piaceva da morire, forse perché apriva infinite possibilità a proposito della bruttezza di quella casa, tanto per dirne una.

Quella mattina, nell’aula della scuola elementare di Spinner’s End, Severus era stato apparentemente attento ma in realtà molto lontano dalla lezione con le cartine di tornasole che la maestra aveva distribuito ad ogni bambino. Quelle striscioline che cambiavano colore divertivano tanto i suoi compagni e lui li aveva disprezzati più del solito, provando il desiderio bruciante di poter aprire il libro di Eileen e dedicarsi a qualcosa di serio.
Portare i libri di Hogwarts nella scuola babbana era potenzialmente pericoloso, anche se nessuno si avvicinava a “quel Piton”.
Di solito lo evitava, ma che gusto era stato quel giorno tenere il volume dalle pagine ingiallite nella borsa sdrucita, mentre i suoi compagni seguivano la lezione, ignari della magia, di Hogwarts e di tutto ciò che li rendeva diversi e inesorabilmente inferiori a lui!

Di ritorno a casa, aveva camminato per le strade di Spinner’s End osservandone la miseria con le labbra incurvate di disprezzo, stringendo a sé la borsa come un tesoro, come se il libro gli infondesse calore.
Non vedeva l’ora di andarsene, ma come sarebbe stato bello nel frattempo avere una bacchetta e poter trasformare l’intero quartiere…
Si immaginò fermo all’incrocio di quei vicoli sporchi, muovere lentamente il braccio armato di bacchetta, mormorando un incantesimo dopo l’altro.
Era un Severus alto quello della sua fantasia, così alto da poter abbracciare con lo sguardo i confini di quel quartiere malsano.
La sua veste nera si allungava in tutte le direzioni, come un polipo dagli innumerevoli tentacoli scuri che penetravano ogni angolo sperduto dei vicoli, colandovi dentro come inchiostro.
Quel Severus così potente era il padrone totale di Spinner’s End e ne avrebbe trasformato anche i suoi inutili abitanti. Li avrebbe trasformati in vasi di coccio, così avrebbe potuto coltivarci dentro le erbe e le piante per le pozioni.
Suo padre invece, l’avrebbe trasformato in uno zerbino, così ci si sarebbe pulito le scarpe sopra e l’avrebbe potuto calpestare tutte le volte che voleva. Tutto allora sarebbe stato come voleva lui.
Gran cosa la Trasfigurazione.

***



La McGranitt stava ultimando il suo giro con Avery e Mulciber. Il primo era quasi riuscito ad eseguire l’esercizio, l’altro invece riusciva solo a far vibrare il suo fiammifero più che mai, senza che vi si producesse il minimo cambiamento. Aveva la faccia tutta rossa, più per la rabbia che per lo sforzo.
“Stupido fiammifero” borbottò quando la professoressa si voltò per tornare alla cattedra.
“Temo non sia la formula corretta, quella, signor Mulciber” disse gelida la McGranitt girando il capo.

Raggiunto il fondo dell’aula, riprese:
“Molto bene. Alcuni di voi sono riusciti già a trasfigurare il proprio fiammifero, molti hanno capito il meccanismo e necessitano solo di pratica. Per i pochi che ancora non si sono impadroniti dell’incantesimo, spiegherò di nuovo il diagramma prima che finisca la nostra ora. Siete tutti pregati di stare attenti, perché essere riusciti ad eseguire un incantesimo una volta non significa padroneggiarlo. Dovete continuare ad esercitarvi.”
E fece un gesto con la bacchetta.
Tutti i bambini si ritrovarono daccapo un fiammifero sotto gli occhi.

“Allora…” e la McGranitt spiegò di nuovo tutto.
Alla fine fece comparire su un’altra lavagna un secondo diagramma.
Peter Minus si lasciò sfuggire un altro gemito.
La professoresa alzò appena un sopracciglio, poi disse: “Vi sono diversi modi di riportare un oggetto trasfigurato alle sue sembianze originarie. Qualcuno di voi sa dirmeli?”
Severus sapeva rispondere ed alzò la mano.
Pure Lily l’alzò, anche se più timidamente e lui le sorrise. Una manciata di bambini osò fare lo stesso.
“Sì, signor Potter?”
Severus strinse le labbra e voltò il viso.
“Beh, c’è sicuramente l’incantesimo inverso” rispose James aggiustandosi gli occhiali sul naso.

“Capirai che risposta difficile”, pensò Severus. “Praticamente ogni incantesimo ha il suo contrario, sono proprio pochi quelli irreversibili e per lo più sono proibiti. E poi non ci vuole un genio per accorgersi che il nuovo diagramma alla lavagna spiega il procedimento inverso!”
“Altri metodi?” stava chiedendo la McGranitt.
A questa domanda Potter non sapeva rispondere e quasi tutte le mani alzate si abbassarono, compresa quella di Lily.
Rimase solo Severus.
“Signor Piton?”
“Si può far cessare un incantesimo con la formula “FINITUS”, oppure si può costringere qualcosa che si pensa sia stato trasfigurato a tornare al suo stato originario. Ci sono diversi incante…”
“Molto bene, signor Piton. Molto bene!”
La McGranitt era piacevolmente sorpresa.
“Sì, esistono vari incantesimi per “smascherare”, diciamo così, una trasfigurazione. Ovviamente non è questo il momento di parlarne…” il suo tono si fece più pratico “…certamente siete consapevoli del livello avanzato che tale magia richiedebbe.”
“Bravo” sussurrò di nuovo Lily.
Era ammirata e contenta della preparazione dell’amico, a differenza degli altri compagni di classe che oscillavano tra lo stupore e un senso di inadeguatezza. L’eccezione ovviamente erano Potter e Black che sbuffarono abbastanza forte da farsi sentire da Severus, che li gratificò di un’unica rapida occhiata sprezzante.

“Bene, al momento ci dedicheremo allo studio delle formule inverse, a un mago può tornare molto utile saper eseguire un incantesimo inverso. E’ chiaro che per la prossima lezione mi aspetto che abbiate imparato a trasfigurare un fiammifero in uno stuzzicadenti e mi auguro che sarete a buon punto anche con il procedimento contrario.”
Mormorii intimoriti accolsero queste parole.
“In via del tutto eccezionale vi sarà consentito di portare i fiammiferi nei vostri dormitori, fino alla prossima lezione. Ovviamente sono stati incantati perché non possano accendersi. Su, adesso, non scoraggiatevi e approfittate dei minuti che ci restano ancora per riprovare! SCALPIUS!” li esortò la McGranitt.

I bambini ripresero a lavorare, qualcuno si rimboccò le maniche.
Severus ripetè l’incanto senza problemi e dalle esclamazioni soddisfatte che presero a moltiplicarsi, fu presto chiaro che anche la gran parte degli altri allievi era riuscita a produrre una trasfigurazione.
Certo, per molti ci volevano almeno tre tentativi e quindi tre trasfigurazioni parziali, ma i risultati incoraggianti aumentavano la fiducia nei confronti di quella materia. Oltretutto era anche un buon esercizio per maneggiare con sicurezza la bacchetta.

“Ci sei riuscito, Remus!” fece la vocetta acuta di Minus e Severus alzò appena gli occhi per notare l’espressione incredula di Lupin. Era felice e per la prima volta sembrò meno stanco e sconfitto.
Lily intanto era riuscita a trasfigurare il suo fiammifero al primo colpo e Severus si complimentò con lei:
“Hai visto? Lo sapevo che ce la facevi!”
“Proviamo a fare l’inverso?” propose lei.
“Sì”
“C-E-R-I-N-U-S” mormorarono assieme.

Questo era più difficile. Far riapparire la capocchia di zolfo era la parte più ardua e sia Lily che Severus incontrarono delle difficoltà.
“Voilà! Ah, che roba facile!” fece la voce di Potter, piano ma udibilissima lì nelle ultime file.
Severus lo vide assumere un’espressione di tronfia soddisfazione.
Ci era riuscito, eh? Un caso fortunato, senz’altro.
James sollevava l’ex stuzzicadenti tornato fiammifero per ammirarlo, o meglio, per farsi ammirare. Black gli aveva dato una pacca sulla spalla e alcuni bambini nei posti vicini lo osservavano colpiti, Minus aveva il respiro affannato per il continuo voltarsi di qua e di là cercando sguardi altrettanto ammirati come il suo.

Severus, seccatissimo, raddoppiò la concentrazione e si ripromise di esercitarsi appena possibile, perché voleva imparare a fare senza problemi l’incantesimo, sia come voleva la McGranitt, sia come spiegato nel secondo volume di “Guida pratica alla Trasfigurazione”.
Già si vedeva trasformare fiammiferi e stuzzicadenti in serie, senza la minima esitazione, muovendo la bacchetta in modo impercettibile… Altro che Potter.

La fronte di Severus era così contratta che il suono della campanella gli giunse inaspettato e quasi lo spaventò.
Beh, intanto era riuscito a trasformare daccapo il fiammifero in stuzzicadenti e mentre se lo infilava in tasca decise che si sarebbe impadronito anche dell’incantesimo inverso entro quella sera.
Un brusio si diffuse nell’aula, subito represso dalla McGranitt che ripeteva i compiti e li invitava a studiare bene i diagrammi nonché il primo capitolo del libro di testo. Sembrava una montagna di lavoro e, mentre tutti si alzavano, a parecchi bambini sfuggirono delle lamentele.

Severus attese che Lily riponesse con cura il suo stuzzicadenti semitrasfigurato in tasca e si apprestò ad uscire con lei.

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Capitolo 17:


Ora che la lezione era finita, i ragazzini osarono scambiare qualche parola tra di loro, mentre si alzavano dai banchi. Lo fecero comunque con un certo ordine, in fondo la McGranitt era sempre seduta alla cattedra.
Essendo nelle ultime file, Severus, Lily, James, Sirius, Avery e Mulciber furono i primi ad avviarsi all’uscita, così, per evitare scontri, Severus finse di sistemare la bacchetta nella tasca interna della divisa e rallentò il passo. Con la coda dell’occhio, a capo chino, cercò di capire se i suoi compagni di Casa e quei due scemi di Grifondoro avrebbero creato problemi.

“Che bella lezione!” esclamò Lily raggiante, accordandosi al passo di Severus. “Non vedo l’ora di riprovare con il fiammero!”
Severus alzò la testa per sorriderle ma non potè dire nulla perché una voce a lui sgradita si intromise:
“Vuoi andare di nuovo in biblioteca con Mocciosus, Evans?”
Lily fulminò James e senza dire una parola si diresse decisa alla porta, agguantò la maniglia, tirò e uscì.
Severus la seguì immediatamente, non prima di aver notato che Sirius se la godeva un mondo e che anche Avery e Mulciber ostentavano dei sorrisetti fastidiosi.
Dai rumori soffocati che sentì alle sue spalle, intuì che i quattro si stavano litigando il diritto di uscire dall’aula per primi. Quant’erano infantili.

Non si voltò a giudicare la scena con il disprezzo negli occhi solo perché notò l’espressione divertita di Lily che, ferma in mezzo al corridoio, fissava qualcosa in alto.
Non poté trattenere una risatina pure lui: se n’era dimenticato, ma in aria galleggiava ancora Pix, bloccato a testa in giù dall’incantesimo della McGranitt. Sapere che si trovava in quella posizione da un’ora rendeva la scena decisamente comica.
Gli occhietti del poltergeist dardeggiavano a destra e a sinistra, indispettendosi ogni secondo di più per il divertimento dei bambini che uscivano dall’aula di Trasfigurazione e si ritrovavano davanti quello spettacolo.
Alcuni lo additavano platealmente e non c’era un ragazzino che non ridesse di lui.

“Comodo?” lo canzonò Sirius.
A Peter sfuggì una risata acuta e affannosa mentre gli occhi di Pix si strinsero carichi di odio.
James prese a saltare sotto di lui cercando di toccargli con la mano un lembo della veste che pendeva rovesciata o di far suonare i campanelli del suo berretto, ben calzato sulla zucca.

Severus si indispettì. Adesso la scena non gli sembrava più spassosa: vedere come Potter si divertiva e faceva divertire gli altri (perché diciamolo, quasi tutti ora lo incoraggivano e lo incitavano), gli provocava una voglia prepotente di essere diverso e di non avere nulla a che spartire con lui.
Prendere in giro uno appeso a testa in giù, sai che ridere. Roba da deficienti.

Guardò Lily che, come tutti gli altri, stava naso all’aria e per la prima volta in vita sua si dispiacque di vederle un sorriso sulla bocca. Non si curò del fatto che lei non stava minimamente dando corda a Potter, né di aver riso lui stesso di Pix appena un minuto prima; qualunque cosa facesse Potter, lui voleva solo fare il contrario e voleva che Lily lo affiancasse.

“Cos’è questo baccano?”
La voce della McGranitt zittì il corridoio.
La parentesi di Pix aveva fatto dimenticare a tutti che erano appena usciti da un’aula e Potter cercò di nascondere dietro la schiena il berretto a sonagli che era riuscito a strappare dalla testa del poltergeist.
La professoressa alzò lo sguardo e capì la fonte di tutta quell’ilarità e agitazione; mosse rapidamente la bacchetta con un gesto veloce del braccio.
Non aveva pronunciato una sola parola (Severus provò l’acutissimo desiderio di saperlo fare), ma Pix parve liberarsi da invisibili lacci e bavagli. Si raddrizzò subito, rimanendo però per aria.
“Così piccoli e così antipatici!” strillò con quanto fiato aveva in gola, rivolto ai ragazzini che, anche se all’erta ora che era di nuovo libero, non parevano però spaventati da lui, sapendo che la McGranitt era con loro.

“Basta così, Pix!” ordinò lei. “Che ti serva di lezione, non tollero confusione quando…”
Ma a questo punto Pix le rivolse una sonora linguaccia.
“PIX!!!” tuonò lei, con un pericoloso lampo degli occhiali, mentre parecchi bambini trattenevano il respiro, colpiti dall’audacia folle di quell’essere.
“Vuoi passare un’altra ora bloccato in aria?” lo minacciò la McGranitt.
Pix le voltò le spalle fischiettando.

Intanto dalle estremità del corridoio stavano arrivando dei ragazzi un po’ più grandi, potevano essere del quarto o del quinto anno.
“Su, voi del primo anno, tornate alle vostre sale comuni, forza!” disse la McGranitt muovendo le mani come per scacciarli via.
I bambini si ammucchiarono a gruppetti, allontandosi dall’ingresso dell’aula.
I ragazzi appena arrivati cominciarono a entrarvi alla spicciolata, al seguito della McGranitt, chi sorridendo e chi scuotendo la testa alla vista di Pix.

“Che cosa fai adesso?” chiese Lily sottovoce.
Severus sobbalzò, si era perso nei suoi pensieri alla vista di Nott e McNair che entravano in classe. Gli era parso che Nott l’avesse guardato appena di sfuggita, registrando il fatto di vederlo ancora accanto a quella bambina di Grifondoro. Ma era stato tutto così rapido che Severus ancora si chiedeva se se l’era immaginato.
“Oh… io… Io pensavo di esercitarmi con gli esercizi della McGranitt” rispose in fretta Severus, mordendosi la lingua per non aggiungere davanti a tutti “…con te”.
A capo leggermente chino, spiò attraverso le cortine lisce dei suoi capelli, per assicurarsi che non ci fossero orecchie indiscrete all’ascolto.
Vide Narcissa, altera e biondissima, entrare nell’aula.

Poi un gruppo di ragazzi con lo stemma di Corvonero arrivarono tutti assieme e Pix si avventò su uno di loro, tirandolo per il cappuccio della divisa.
“Q-Qui… Q-Q-Qui…” cominciò a dire, con voce nasale.
“P-P-Pix! L-Lasciami, hai ca-caaapito?” reagì il ragazzo, un tipo pallido e nervoso, dagli occhietti piccoli.
Alcuni compagni del giovane ridacchiarono e due o tre Serpeverde non si fecero alcun problema a ridere forte.
“Q-Q-Qui… Q-Qui… rinus” lo sbeffeggiò Pix, senza mollare la presa. “N-N-No che no-non t-ti l-la-lascio…” continuò, maligno.
Il ragazzo agitava le braccia, nel vano tentativo di allontanare Pix e di togliergli il cappuccio dalle mani. I suoi movimenti si fecero sempre più impacciati e un rossore violento gli colorò le guance.
“Ehi Ra-Ra-Raptor, c-cerca di p-parlare più ch-chiaaa-ra-ramente, o P-Pix no-non c-c-capirà!” shignazzò un ragazzo alto e grosso che Severus ricordò di aver visto nella sala comune, quella mattina.

“Insomma ora basta!”
La McGranitt era uscita di nuovo dall’aula a passo spedito.
“Goyle, vada in classe!”
I bambini del primo anno si allontanarono per non prendersi una sgridata, i ritardatari tra i più grandi filarono nell’aula.
La professoressa mosse appena la bacchetta e Pix lasciò andare il cappuccio del giovane Corvonero che ora era rosso fino alla radice dei capelli.
“Pix, un’altra e giuro che te la vedrai con Silente!” sbottò la professoressa, infuriata.
Poi si rivolse al ragazzo che ora si massaggiva il collo:
“Signor Raptor, si sistemi e vada in classe anche lei!”
“S-sì, pr-prof…eeessoressa…” farfugliò lui, rassettandosi la veste e rifugiandosi nell’aula.
Con un ultimo sguardo di fuoco a Pix e ai bambini del primo anno che passettin passettino si allontanavano cercando di non perdersi l’epilogo di quella scena, la McGranitt entrò nell’aula chiudendosi con decisione la porta alle spalle.

“Gneaaaaah!” le fece Pix allargandosi la bocca con le dita.

I bambini smisero subito di ridere quando si resero conto di essere soli alla mercé del poltergeist. A coppie o gruppetti si mossero verso la fine del corridoio, seguiti dallo sguardo cattivo di Pix.
Tuttavia non vi furono attacchi, né Pix si mise a schiamazzare o altro; evidentemente evocare la figura di Silente era bastato a calmarlo. Beh, almeno per il momento.
Continuando a fare boccacce e versi sottovoce, il poltergeist filò via dal corridoio, ormai quasi vuoto.

“Lily, ti va di ripassare la lezione con me, Jane e Charlotte? Pensavamo di provare gli esercizi in questa ora libera.”
A parlare era stata Mary.
Lily guardò Severus, combattuta: era chiaro che le sarebbe piaciuto andare via con le nuove amiche e al tempo stesso però le dispiaceva non poter provare gli incantesimi da sola con lui.
E non c’era neppure la possibilità di proporre un’ora di studio ed esercizio tutti assieme, dato che appartenevano a due dormitori diversi, senza contare il fatto che Severus e le bambine cercavano invano di dissimulare il disagio che provavano anche solo a guardarsi.
In quei pochi momenti di sospensione, Piton si accorse che nel corridoio c’era ancora qualche compagno Serpeverde e, per evitare l’imbarazzo di attirare l’attenzione, disse, più bruscamente di quanto volesse:
“Va bene, allora io torno alla mia Sala Comune.”

Non sapeva perché l’aveva detto, perché non si era dato come meta di nuovo la biblioteca.
Ora sarebbe stato costretto ad unirsi ad Avery e Mulciber che di sicuro l’avevano sentito anche se stavano… ma che stavano facendo?
Ridacchiavano e confabulavano alle spalle del pallido Lupin, avvicinandosi piano piano.
Il bambino stava guardando qualcosa fuori dalla finestra del corridoio, un’ombra di tristezza addosso, completamente assorbito nella contemplazione di qualcosa.
Un’espressione strana e tesa aleggiava sul suo viso. Era concentrato e… possibile?, spaventato.

“Occhioooo!”
Avery e Mulciber avevano raggiunto Lupin e con due colpi ben assestati gli avevano fatto cedere le ginocchia. Scapparono immediatamente, ridendo sottovoce per paura della McGranitt, e Remus dovette aggrapparsi con le mani al cornicione della finestra per non cadere.
Si rimise dritto.
Non disse nulla, non protestò, non seguì neppure con gli occhi la fuga dei due Serpeverde. Di nuovo apparve il bambino sconfitto, con quell’aria umile e dimessa che tanto infastidiva Severus; si limitò ad aggiustarsi un ciuffo di capelli castani che gli era caduto sulla fronte e fece per andarsene.

Severus si riscosse quando percepì una macchia rossa muoversi vicino a lui e con sua grande irritazione vide Lily abbandonare le nuove amichette e avvicinarsi a quel bambino.
Lupin non guardava nessuno, i suoi occhi vagavano sul pavimento per tornare poi al panorama fuori dalla finestra. Occhi tristi, quasi sull’orlo del pianto.
Severus provò qualcosa di molto simile alla vergogna e fu assalito dal ricordo imbarazzante dei propri occhi che piangevano. Scacciò da sé quella memoria sgradevole.

“Tutto bene?” Lily sfiorò un braccio al compagno di Grifondoro.
Remus alzò lo sguardo di scatto, incredulo. Lì per lì sembrò sul punto di allontanarsi da lei, ma qualcosa lo bloccò e un’espressione nuova apparve sul suo volto, la calma ne distese i tratti.
“Sì, tutto bene” rispose piano. E sorrise.

Severus provò un’indicibile fitta di invidia riconoscendo in Lupin gli effetti dello sguardo gentile di Lily.

***


“Sei triste oggi?”
“No!”
Mentiva.
“E allora perché non sorridi?”

Lo colse alla sprovvista, per qualche secondo non seppe cosa dire.
Se non era triste perché non sorrideva? La domanda era lecita. Ma la verità era che era triste e nessuna parola poteva contraddire i suoi occhi.
Proprio quella mattina aveva letto in un libro di sua madre un capitolo sugli incantesimi rallegranti. Peccato non avere una bacchetta e saperli fare, si sarebbe risparmiato quel momento di completo imbarazzo.

“Io non…”
Era difficile confessare una cosa del genere, si guardò i piedi.
“Io non sorrido… molto.”

Si sentì vuoto, percepì il suo essere defluire via. Ora che l’aveva detto non aveva più il coraggio di guardarla in faccia.
Ma cosa diavolo gli era saltato in mente?
Si sarebbe fatta beffe di lui e lui non l’avrebbe sopportato! Se fosse stato capace di scomparire nell’aria, l’avrebbe fatto immediatamente, per sempre.
Ciocche scure di capelli mossi dal vento gli carezzavano la mascella irrigidita.
Lily non parlava.

Infine Severus la guardò, alzando gli occhi e incontrando i suoi, ansioso.
Fu come se dei nodi che lo stringevano si sciogliessero e si sentì libero, leggero; un balsamo scendeva fresco sul suo capo, gli avvolgeva il corpo facendolo rinascere, leniva tutte le pene passate e future.
Si perse in quel mare verde chiaro fatto di calma e dolcezza e… sorrise.
Ma quali incantesimi rallegranti. Gli occhi di Lily erano magici senza bisogno di bacchette.

***


“Severus, allora… Ci vediamo dopo?”
Lily era ritornata sui suoi passi, nel corridioio non restavano che le sue amiche, Lupin e lui, unico Serpeverde.
Sì sentì fuori luogo e si odiò per questo.
“Sì… dopo. A dopo.”, rispose in fretta.

Gettò un ultimo sguardo a Lily e abbozzò un sorriso tirato, ma sentiva impellente la fretta di allontanarsi.
La stessa fretta che condividevano le altre bambine di Grifondoro che lo guardarono di sottecchi senza dire una parola e fecero poi quadrato attorno a Lily portandosela via.
Lupin le seguì tenendosi un po’ distante.
“Allora, sei riuscita a fare la trasfigurazione?”
“Sì, ma adesso voglio riprovare subito! E tu?”
“Uhm, no…”
“Io solo metà, non sono riuscita a togliere lo zolfo…”

Le voci delle bambine si persero su per una scala e il silenzio del corridoio parve addensarsi su Severus, rimasto solo.
Si massaggiò il collo e fece per incamminarsi, gettando distrattamente un’occhiata fuori dalla finestra.
Ricordò allora lo sguardo di Lupin e si avvicinò rapidamente al vetro.
Non vide nulla di strano, anzi da lì si poteva godere un’ampia e splendida vista sul parco della scuola, ben tenuto e punteggiato qua e là da gruppi di alberi ombrosi, l’ideale per studiare o rilassarsi nelle giornate calde.

Un solo albero si ergeva solitario e maestoso, distante e isolato da tutto, il tronco nodoso come contorto su se stesso.

Edited by Camelia. - 2/5/2015, 19:35
 
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Camelia.
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Capitolo 18:


Severus distolse gli occhi dalla finestra e si avviò lungo il corridoio vuoto, la voce della McGranitt giungeva attutita dalla porta spessa dell’aula. Verificato di essere solo, corse alla porta e vi si appoggiò con le mani e un orecchio, captando qualche parola su un incantesimo per trasformare gli uccelli in mammiferi e viceversa.
“Quarto anno” si disse, riconoscendo immediatamente l’argomento già ampiamente letto sui libri di Eileen.

Poi riprese a camminare lungo il corridoio, senza fretta.
Era pensieroso, procedeva lentamente, come se il suo corpo volesse assecondare un bisogno di calma e ordine del suo animo.
Era arrabbiato.
Dalla sera prima gli eventi avevano preso una piega non prevista e lui non era assolutamente pronto a gestirla. Cominciava però a stufarsi di incappare negli stessi pensieri in continuazione.
Lily era una Grifondoro, lui un Serpeverde, punto. Erano diversi, basta, doveva farsene una ragione.

“…animo nobile e puro ardimento
doti su cui far grande assegnamento…”


Così aveva detto il Cappello Parlante a proposito dei discutibili gusti di Godric Grifondoro, quando aveva dato inizio alla cerimonia dello Smistamento cantando una canzoncina. Aveva raccontato come da secoli spettasse a lui il compito di scandagliare virtù, talenti e capacità dei nuovi studenti di Hogwarts; ripensandoci, Severus ritenne che il cappello aveva dimostrato una notevole boria per essere un semplice oggetto di pezza, con più rattoppi dei calzoni di Tobias su cui Eileen con pazienza certosina perdeva la vista rammendando con ago e filo, la sera, alla luce fioca di una lampadina elettrica di bassa potenza.

“…arguzia, brama, acume e intelletto:
di Salazar Serpeverde sarai allievo diletto…”


A quelle parole un pizzicore lo aveva pervaso e aveva guardato Lily, lo ricordava bene, certo che avrebbero condiviso un destino verde-argento.
E invece…

Senza accorgesene, era giunto alla scalinata principale e si apprestava a scendere nell’atrio. Non fosse stato per la luce che entrava dalle finestre, si sarebbe detta notte: non un’anima viva si muoveva in quello spazio antico e imponente. Severus abbandonò i suoi pensieri e si affrettò verso la porta dei sotterranei; non voleva essere beccato in giro dal custode o peggio ancora incappare nuovamente in Pix.

Attraversò la sala d’ingresso e, nonostante il passo veloce ma lieve, i suoi movimenti vennero comunque amplificati in quel silenzio. Osservò per un attimo l’imponente portone che la sera prima aveva varcato con l’eccitazione che gli usciva da ogni poro e si domandò come sarebbe stato uscirne, di lì a sette anni, completamente formato come mago scolastico e pronto a tuffarsi nell’avventura della vita, dove avrebbe conosciuto maghi potenti e avrebbe potuto affinare ulteriormente le proprie conoscenze.

Suo malgrado ripensò daccapo alle “potenzialità di un certo tipo di magia” tanto ammirate dal padre di Avery. Cose che non si imparavano a scuola, non v’era dubbio.
Ma si doveva cominciare da Hogwarts, la strada verso l’uscita da quel portone era ancora lunga.

“Ciao!” disse una voce calma e gentile alle sue spalle.
Severus fece un salto, come se avesse visto un fantasma, ed in effetti… Nick-Quasi-Senza-Testa gli fluttuò accanto con un sorriso.
“C-ciao” farfugliò Severus senza pensare.
Poi si chiese imbarazzato se non sarebbe stato meglio dire “Buongiorno” e così fece.
Il fantasma parve divertito, si fermò e guardò il bambino mentre il sorriso gli si allargò ancora di più. Severus dovette ammettere a se stesso che non c’era nulla di canzonatorio in lui, pur essendo di Grifondoro il fantasma manteneva un’aria composta e gentile.
“Beh, io allora… io vado” annunciò Severus. “Nella mia sala comune” aggiunse, e si accomiatò dal fantasma con un lieve cenno della mano che voleva essere un saluto.
“Fai bene” approvò Nick-Quasi-Senza-Testa. “Anche io sto andando nella mia sala comune, mi piace la mattina del primo giorno di scuola, c’è un’aria allegra, ancora nessuno è tutto preso dallo studio, si chiacchiera, si scherza, si conoscono nuove persone… Anche lei, signor…?”
“Piton” si affrettò a rispondere Severus.
“Anche lei, signor Piton, sarà ansioso di godersi quest’atmosfera così frizzante!”
Severus non aveva pensato alla sala comune in questi termini ma fece una faccia affermativa, per non deludere il fantasma. Nick-Quasi-Senza-Testa sembrava così autenticamente convinto… pareva un bambino goloso di fronte al suo bon bon preferito e, con un ultimo “Arrivederci!” e uno svolazzo della mano guantata, il fantasma salì in aria e sparì nell’alto soffitto.
Comodo raggiungere la torre di Grifondoro a quel modo, pensò Severus, prendendo mentalmente nota di raccontarlo a Lily. Lo avrebbe sicuramente trovato divertente.
“Arrivederci” mormorò a sua volta, mentre i piedi perlacei di Nick svanivano nella pietra.

Raggiunse la porta dei sotterranei e l’aria più fredda che lo colpì gli fece tornare alla mente i pensieri su cui aveva indugiato prima di incontrare il fantasma. Pensieri di grandezza e potenza, di magia “altra”, di magia “oltre”; pensieri che gli gonfiavano qualcosa dentro, infiammandolo di desiderio e voglia di imparare di più, sempre di più. Il ricordo della biblioteca con gli scaffali che traboccavano di sapienza gli fece brillare gli occhi.
Quando si chiuse la porta alle spalle, Severus respirò a fondo l’odore fresco e umido delle pareti e suo malgrado sorrise di soddisfazione.

Certi giorni proprio non aveva retto il mondo babbano, casa sua, la scuola del quartiere e soprattutto le persone che popolavano quei luoghi.
Lo confortava e gli dava forza soltanto il pensiero che ogni giorno che passava era un giorno in meno per Hogwarts.
Aveva letto tutti i libri di sua madre. Aveva rivissuto nella mente tutti i suoi racconti sulla scuola di magia. Aveva spiegato a Lily tutto quello che sapeva, beandosi del fatto di poterlo condividere con qualcuno. L’unica cosa che doveva fare era solamente far passare il tempo cercando di ricevere meno danno possibile dal mondo babbano.

Seguì il percorso verso la sala comune quasi senza accorgesene, immerso nelle sue riflessioni. Si sentiva euforico all’idea di aver lasciato Spinner’s End: quella sera avrebbe cenato su piatti eleganti, stracolmi di cibo (non che gli interessasse troppo il cibo, era solo una soddisfazione sapere che ce n’era a volontà), la sala sarebbe stata illuminata a giorno da migliaia di candele sospese (altro che miseri 40 watt di lampadine opache di polvere) e soprattutto… non ci sarebbe stato Tobias. Anzi, se suo padre si fosse messo in testa di venirlo a cercare, per il puro gusto di sottrarlo a una felicità senza confini, non sarebbe riuscito ad avvicinarsi al castello, perché non avrebbe neppure potuto vederlo.
Hogwarts era per Severus una specie di immenso mantello dell’invisibilità, solido come la pietra, inattaccabile. Questo pensiero lo fece gioire selvaggiamente, l’idea di inibire le velleità paterne era grandiosa.

Fu sottratto ai suoi pensieri quando udì qualcuno parlare a voce alta. Non capì cosa diceva, ma il tono era allegro e giungeva attutito al suo orecchio. Svoltò in un corridoio attiguo e si accorse subito che la luce era più forte: su ogni sostegno di ferro c’erano due torce. Guardandosi intorno, notò che diverse porte di legno spesso portavano delle targhette ed erano tutte dotate di maniglie e serrature, segno che erano accessibili a qualunque Casa, anche se solo in determinati orari e occasioni.
Si avvicinò per leggere.
“Laboratorio”, “Dispensa Studenti”, “Magazzino”, “Sala Distillazione”… Per la barba di Merlino, stava attraversando il Dipartimento di Pozioni!
Una scossa elettrica lo attraversò. Allora la voce che sentiva apparteneva al professor Lumacorno, l’aula per le lezioni era a un passo! E difatti, sull’altro lato del corridoio, una porta più alta e larga portava la targhetta “Aula – Pozioni”.
Era la seconda volta nel giro di pochi minuti che si trovava ad ascoltare una lezione in corso; si avvicinò e posò l’orecchio con cautela, non gli sarebbe piaciuto essere beccato ad origliare.

Qualcuno aveva sbagliato a versare un ingrediente nel calderone e Lumacorno lo stava sgridando, anche se bonariamente.
“…e se si gettano nella pozione zanne di serpente triturate male e per di più senza aspettare il bollore… questi sono i risultati! Esigo più precisione da voi… perché vedete, ragazzi miei, errori del genere non possono assolutamente essere possibili. Vi ricordo che siete nell’anno del G.U.F.O. e mancare un G.U.F.O. in Pozioni potrebbe chiudervi parecchie porte in futuro. Quindi, signor Tiger, la prego di ricominciare da zero. Su, su!”
Nel silenzio che seguì (Severus immaginò gli studenti chini e concentrati sui propri paioli), gli unici rumori furono quelli dei mestoli che raspavano il fondo dei calderoni o che tintinnavano contro i bordi e il blop blop delle pozioni, che si fece via via più intenso: ormai tutti i filtri stavano bollendo e ben presto un fsssssssssss sibilante annunciò a Piton che gli alunni stavano via via aggiungendo le zanne di serpente.
Si chiese che pozione stessero preparando. Le zanne di serpente erano un ingrediente assai comune, lui stesso ne aveva un po’ nel suo baule, residui scolastici di sua madre.

***



Eileen lo aveva rassicurato che anche se decisamente vecchiotte, le zanne di serpente non andavano a male e che comunque per le pozioni del primo anno poteva rifornirsi dalla dispensa comune.
Severus ci era rimasto male, anche se non era stata una sorpresa sentirselo dire: quasi tutto il suo corredo scolastico era appartenuto alla madre, divisa compresa, e l’unico acquisto a Diagon Alley era stata la bacchetta. Costosa, molto costosa; nonostante galeoni e zellini e falci non fossero monete che avesse mai usato, la bocca di Eileen aveva tremato quando Olivander ne aveva detto il prezzo.

Ora capiva l’espressione di sua madre quando pochi minuti prima aveva cambiato del denaro babbano alla Gringott.
La banca dei maghi, un posto stupefacente, grandioso.
Eileen però sembrava non curarsi della magnificenza dei marmi e della hall: appena entrata si era recata il più velocemente possibile ad uno sportello libero; Severus era troppo preso a guardare a bocca aperta ogni angolo della banca, dai pavimenti lustri come specchi al soffitto carico di lampadari di cristallo e non si accorse del disagio di sua madre che continuava nervosa a rassettarsi la veste, linda e pulita, ma inequivocabilmente umile.

Quando però Eileen aveva tirato fuori parecchie sterline e diversi penny, Severus l’aveva guardata. Era una somma ragguardevole e lui non aveva mai visto tanto denaro assieme.
Si chiese come avesse fatto sua madre a portarlo via sotto il naso di Tobias. Quello che Tobias non si scolava in qualche bettola era a malapena sufficiente a mettere insieme il pranzo con la cena e spesso nemmeno quello.

Fu allora che Severus ricordò un fatto accaduto pochi mesi prima e ne comprese il reale significato.

Un pomeriggio era rincasato prima del solito, Lily non si era fermata molto al parco e per di più aveva anche iniziato a piovigginare. Normalmente Severus se ne sarebbe infischiato, ma quel giorno al parco era venuta anche Petunia e così lui si era innervosito e prima di rendersene conto stava tornando a casa, calciando sassi e con le mani sprofondate nelle tasche troppo grandi del suo cappotto fuori misura.

Abituato a fare meno rumore possibile in casa per timore delle sfuriate di Tobias, era rientrato silenziosamente e si era diretto in camera sua. Passando davanti alla stanza dei suoi genitori si sorprese di trovarci dentro sua madre; Eileen cercava di tenersi il più lontano possibile da quella stanza, uscendone presto al mattino dopo averla rassettata e tornandoci il più tardi possibile la sera, nella speranza di trovare il marito profondamente addormentato.

“Che cosa fai?” aveva chiesto all’improvviso una voce dura alle spalle di Severus. Tobias era salito anche lui e, come il figlio, fissava Eileen.
Lei aveva sobbalzato e aveva risposto rapida:
“Nulla, mi era caduta una forcina.”
E la mostrò, prima di riporla dentro una scatolina di legno sul comodino scheggiato.
“La forcina…” aveva bofonchiato Tobias. “Non hai ancora sistemato la spesa e tra un po' è ora di cena, non te ne sei accorta?” abbaiò, rude.
“Sì! Sì, hai ragione, scendo subito!”

Eileen era scesa in cucina, seguita dal marito accigliato, e Severus, preso dalla curiosità, si era intrufolato nella stanza. Non sapeva perché lo stava facendo, non era solito entrare nella camera dei genitori e provò la sensazione che si prova quando si mette piede in un luogo nuovo e sconosciuto.

Andò al comodino e aprì la scatolina di legno. Sebbene vecchiotta, era graziosa, con intarsi scuri che formavano il disegno geometrico di un serpentello. Forse era stata un regalo di chissà chi, dimenticato nella giovinezza perduta di Eileen. Severus l’aprì e rimase deluso: conteneva davvero delle forcine, banalissime forcine. L’unica particolarità era che erano allineate con molta cura.
Ben presto Severus aveva dimenticato la scatolina e il suo contenuto, fino al giorno del viaggio a Diagon Alley. Eccitatissimo, non era quasi riuscito a dormire la sera prima e al mattino era balzato in piedi dal letto, incapace di starci un secondo di più. Sua madre non aveva dato segni che quella giornata sarebbe stata diversa dal solito: i suoi gesti stanchi e l’espressione rassegnata erano gli stessi di ogni giorno della sua triste vita a Spinner’s End.

Severus non aveva praticamente fatto colazione tanta era l’ansia di partire, e fu pronto ben prima di sua madre. Forse Eileen avrebbe preferito che il marito uscisse di casa prima di loro, ma Tobias quel giorno pareva farlo apposta a ciondolare in giro. Andava avanti e indietro seguendo la moglie qualunque cosa facesse e scoccava occhiate torve al figlio. Ad un certo punto Severus provò una fitta allo stomaco al pensiero che suo padre forse voleva impedirgli di andare a comprare la bacchetta. Il nervosismo di Tobias montava ogni minuto di più e l’odio che emanavano i suoi sguardi sempre più cattivi faceva paura; era come un animale feroce chiuso in gabbia.
“Siete della stessa razza, voi due” aveva sentenziato infine, spingendo la moglie oltre la soglia della loro camera.

Il rancore ostile di quelle poche parole aveva fatto temere a Severus il peggio, oltre al pericolo di una scenata come quella della settimana prima, quando Eileen a cena aveva raccolto il coraggio e aveva annunciato al marito che di lì a pochi giorni avrebbe portato Severus a “comprare una cosa per la scuola”.
Non aveva detto “a comprare la bacchetta”, per non urtare la fragilissima soglia di sopportazione del marito nei confronti della magia, ma non era servito a molto e la gioia di Severus era stata immediatamente spenta dalle urla di Tobias sull’inutilità di certe spese, sullo sperpero di denaro prezioso e via dicendo, in un crescendo di improperi e insulti.

Severus guardò suo padre e, come sempre accadeva, Tobias si sentì a disagio nel suo profondo, anche se dissimulò il tutto sotto la solita espressione di disprezzo.
“Vedi di non farmi aspettare per la cena” sibilò l’uomo alla moglie, spingendole il viso con la mano aperta e facendola cadere seduta sul letto. Poi scese le scale facendo bene attenzione a non guardare il figlio. Fu un sollievo sentir chiudere il portone d’ingresso.
“Allora… sei pronto?” disse Eileen con voce inespressiva.
“Sì!” rispose Severus, non osando varcare la porta della stanza.
Eileen si alzò, si diresse al comodino e prese in fretta qualcosa. Mentre usciva, Severus notò che lo infilava in tasca.

Fu quando si trovarono davanti al folletto della Gringott che Severus finalmente capì.
Eileen aveva estratto dalla tasca la scatolina di legno col serpentello e la sorpresa di Severus si trasformò immediatamente in autentico stupore quando la madre la aprì e ne tirò fuori… denaro. Denaro babbano, poche banconote piegate con cura e molte monete, divise per valore.
Allora Severus comprese.
Un soldo dopo l’altro, erano anni che Eileen risparmiava, probabilmente dal giorno dopo in cui si era manifestata nel figlio la presenza di magia. Quel piccolo capitale era il frutto di sacrifici e sotterfugi… sua madre aveva messo da parte un penny dopo l’altro, con costanza, e aveva pensato bene di trasfigurare il denaro nell’oggetto più banale che le era venuto in mente, le sue forcine. Tobias non aveva mai sospettato niente.
Quella rivelazione colpì Severus come una secchiata di acqua gelida. L’aveva fatto per lui. Aveva messo da parte un soldo dopo l’altro solo per quel momento, solo per suo figlio, per comprargli una bacchetta tutta per lui.

Una mano dalle lunghissime e brutte dita si allungò su quel tesoro, toccandolo con la noncurante indifferenza di chi non poteva sapere quanto era costato. Il folletto contò meticolosamente il denaro e lo mise via, mettendo poi sul bancone di marmo alcune splendide monete d’oro, altre d’argento e una manciata di monetine di bronzo. Eileen aveva preso tutto senza tradire alcuna emozione e aveva ringraziato il folletto senza guardarlo. Severus avrebbe voluto dire qualcosa, ma non gli uscì una sola parola.

Quando sua madre aveva pagato Olivander, solo quattro monetine di bronzo erano rimaste nella sua mano. Severus osservava il tremito della labbra di Eileen e intanto si stringeva al petto la sua bacchetta nuova nuova, contro il cuore che batteva tanto forte che sembrava voler uscire dalle costole.

Tutto il denaro era stato speso per quella bacchetta.

Per strada si era quindi dovuto accontentare di gettare occhiate a destra e a sinistra nella speranza di acchiappare quanti più particolari possibili dei numerosi negozi le cui vetrine allettanti di meraviglie gli erano prescluse.
“Possiamo guardare un attimo?” Severus quasi implorava, ma Eileen non soltanto non si fermava, ma aveva pure il passo veloce: apparentemente immune al richiamo irresistibile di tutti quegli oggetti, quegli odori e quei suoni che Severus cercava avidamente di far suoi, procedeva spedita, tenendo il figlio per mano, come se avesse paura di perderlo tra la gente. Spesso doveva tirarlo perché Severus si incantava e rallentava senza rendersene conto.
A vederli offrivano uno spettacolo strano, entrambi magri, scuri e un po’ dimessi, lei che continuava a camminare fendendo la folla e guardando in avanti un punto fisso, lui che invece si faceva tirare come un bimbetto con la testa perennemente voltata all’indietro.
Ad un certo punto Severus si era visto riflesso nella vetrina spaziosa de “Il Ghirigoro”, una libreria che pareva fornitissima e che aveva solleticato la sua già sovraeccitata attenzione. La vista di se stesso e del braccio di Eileen che lo tirava l’aveva fatto vergognare; veloce, si era rimesso al passo con sua madre e da quel momento si era costretto a camminare con lo sguardo a terra.

Si era sentito a disagio e si era calmato solo sul trenino che li aveva riportati a poche fermate d’autobus di distanza da Spinner’s End. Non aveva più scambiato una sola parola con sua madre fino a sera inoltrata, quando Eileen aveva fatto una cosa che non faceva da anni: prima di strisciare in camera sua aveva socchiuso piano la porta della stanza di Severus. Lui non dormiva, troppo preso dai ricordi di quell’ora coloratissima passata a Diagon Alley; sorpreso, sentì che ora doveva davvero dire qualcosa.
“Grazie... mamma” aveva detto sottovoce nel buio.
“Prego, Severus” aveva risposto lei, in un sospiro appena udibile, richiudendo la porta.

***



Un fischio acuto lo riportò nel corridoio del sotterraneo.
Pensò che avrebbe dovuto dare un sacco di spiegazioni ad Avery e Mulciber se avesse ancora tardato il suo ritorno alla sala comune e, anche se a malincuore, si allontanò dall’aula di Pozioni dentro cui i fischi si moltiplicavano. Forse i ragazzi stavano preparando il filtro Anti-otturazione, utile per i casi di raffreddore particolarmente violento. Nel libro di Eileen c’era un’illustrazione particolarmente buffa degli effetti collaterali di quella pozione, che causava la fuoriuscita di vapore dalle orecchie.

Supremazia” mormorò Severus giunto alla parete liscia e il muro scivolò di lato.
La sala comune era quasi vuota ma, nonostante questo, affatto silenziosa. Non ci fu bisogno di cercare la fonte del rumore crepitante che riempiva l’ambiente, Severus ci avrebbe scommesso che Avery e Mulciber non stavano impiegando quell’ora libera per studiare.
Infatti giocavano a Spara Schiocco, sotto gli sguardi divertiti di altri bambini del primo anno e quelli più rigidi di un gruppetto del sesto, seduto a un tavolo in fondo. Era chiaro che questi tolleravano l’esuberanza delle matricole solo perché era il primo giorno.
“Ah, eccoti Piton!” lo accolse Mulciber, mentre evitava un attacco di Avery facendosi scudo dello schienale di una poltrona.
Tutti si voltarono o alzarono lo sguardo sul bambino appena entrato.
“Meno male che sei arrivato, adesso posso anche bruciare la poltrona, tanto ci pensi tu a spegnerla!”
E uno scoppio più violento degli altri illuminò di scintille rosso vivo il bagliore verdino della sala.

Un paio di ragazzi del sesto anno si sussurrarono qualcosa all’orecchio.

Severus era combattuto tra il fastidio e un sottile compiacimento, ma non diede al compagno la soddisfazione di rispondergli. Voleva studiare e si diresse al dormitorio, sentendosi molti sguardi addosso. Fu tentato dalla pace del corridoio e della sua camera, ma il pensiero che i compagni avrebbero potuto trascinarlo nella sala comune gli parve decisamente possibile e non gli piacque neanche un po’.
Quando ritornò con un libro sotto il braccio, Avery si stava rassettando la veste, mentre Mulciber ansimava a terra.

Si sedette in una poltrona isolata, vicino ad un camino. Nessuno dei suoi compagni aveva intenzione di ripassare la lezione di Trasfigurazione, ora stavano tutti intorno ad Avery che -casualmente- aveva lasciato scivolare fuori da una tasca una fotografia del suo castello. Una bambina dall’aspetto cattivo si fece tutta cinguettante e cominciò a subissare Avery di domande, nella trepida speranza di essere un giorno invitata in quella dimora.
Che avessero undici anni o più, le ragazze non pensavano ad altro?
A Severus ricordò sgradevolmente l’ammirazione di Petunia Evans per le ricchezze e le comodità della sua amica Betty. Senza farsi notare sbirciò la compagna con un occhio al di sopra delle pagine del libro e quei denti cavallini rafforzarono in lui la sensazione di trovarsi di fronte alla sorella di Lily. Contrasse le dita sul volume dalle pagine ingiallite e tornò a leggere.
In realtà non avrebbe avuto bisogno di farlo, conosceva quel capitolo ed era stato attento in classe, ma un innato senso di precisione e metodo si impossessava di lui quando si trattava di studiare, perfino in una stanza dominata dalle chiacchiere chiassose dei compagni.

Tirò fuori dalla tasca il fiammifero della McGranitt e lo posò su un basso tavolino quadrato di fronte a lui. Non staccò gli occhi dal fiammifero mentre estraeva la bacchetta dalla veste. Nella sua mente stava ripassando parola per parola il procedimento di trasfigurazione, i diagrammi della professoressa, la formula dell’incantesimo.
“Scalpius” mormorò, con un preciso movimento della bacchetta. Uno stuzzicadenti apparve nel tempo di un battito di ciglia.
Bene, ora il contrario.
Severus non sentiva un solo rumore intorno a sé, era come se avesse le orecchie imbottite di ovatta. Si concentrò.
“Ce-ri-nus” scandì.

“Ottimo lavoro” fece una voce di fianco a lui.
Severus sobbalzò e accanto alla sua poltrona vide un giovane alto, dall’aspetto curatissimo e con uno sguardo molto penetrante. Temette di aver dato spettacolo e si chiese se non sarebbe stato meglio esercitarsi tra le mura del suo dormitorio, ma il ragazzo non aveva avuto un tono canzonatorio quando gli aveva rivolto la parola.
Si era avvicinato così silenziosamente che Severus non ne aveva percepito la presenza fino a che non aveva parlato.
“Yaxley” si presentò il giovane, allungando una mano.
“Piton” rispose Severus, affrettandosi a stringergliela.
Il ragazzo avvicinò una poltrona con un pigro colpo di bacchetta e si sedette, le gambe magre calzate in lucidissimi stivali e gli indici uniti sulle labbra sottili.
Scrutava Severus con qualcosa di più che curiosità.

“Ho sentito che sai fare magie avanzate” esordì, senza preamboli.
“Beh, io…”
Qualcosa in quello sguardo non gli piaceva. Era molto calcolatore sotto l’apparente gentilezza.
“E’ che ieri sera ha preso fuoco il tappeto nella nostra stanza… la stanza dove dormiamo io, Avery e Mulciber…”
“Ah sì” fece Yaxley e lanciò un’occhiata al gruppetto del primo anno ancora tutto preso in chiacchiere sul castello di Avery che ora stava intrattenendo i compagni raccontando di come suo padre aveva punito un turista babbano che aveva osato bussare alla loro porta chiedendo di poter visitare la dimora.
“Li conosco. Famiglie di tutto rispetto.”
Una piega beffarda gli incurvò un labbro. Poi tornò a fissare Severus.
“Ecco io…”
Era difficile non sentirsi intimiditi sotto lo sguardo di ghiaccio di Yaxley, ma Severus reagì.
“…io ho semplicemente usato un incantesimo Spegnifiamma.”
“Chi te l’ha insegnato?”
“Nessuno! Voglio dire, sapevo come si fa e… e ho visto mia madre usarlo, una volta.”
Da uno sguardo che Yaxley lanciò all’indietro, Severus realizzò che altri ragazzi del sesto anno stavano seguendo la scena e che anzi Yaxley era stato mandato apposta per interrogarlo sui fatti della sera prima.
“Davvero notevole, per uno come te.”

Severus arrossì.
Aveva una mezza idea sui mille significati -tutti sgradevoli- che poteva avere quella frase apparentemente innocua. Yaxley lo fissava, totalmente a suo agio.
“Sai… Piton, giusto?”
Severus annuì, sulle spine. Non capiva dove il ragazzo volesse andare a parare.
“Sai, Piton, di maghi in gamba c’è gran bisogno.”
Yaxley arricciava le labbra mentre parlava, sempre tenendoci contro gli indici.
“La magia ci rende superiori, capisci? Sei nella Casa giusta per imparare quanto questo sia importante.”
Severus dovette fare un’involontaria espressione di curiosità, perché Yaxley soggiunse, avvicinandosi di più:
“A Serpeverde si tengono in gran conto le capacità e i talenti di un mago. Non si accettano scartine qui, né ci interessano i… cuor di leone.”
Ridacchiò e Severus udì fare altrettanto anche i suoi compagni dietro di loro. Non era difficile capire che il riferimento era alla Casa di Grifondoro. Dal momento che anche lui condivideva quel giudizio, d’istinto Severus disse:
“Sì!”
Ci fu un ardore particolare nel modo in cui parlò e Yaxley ne fu molto soddisfatto.
“A noi piacciono i maghi in gamba… quelli di grande potere.”

Severus alzò gli occhi sul volto del giovane.
Allora, non gli importava che fosse un mezzosangue? Che suo padre fosse un babbano? Quel ragazzo era di certo un purosangue e pure ricco, a giudicare da come era vestito e da quella eleganza noncurante che trasudava da ogni suo gesto. Guardava il fuoco nel camino col capo mollemente piegato.
“Mi hanno detto che hai già letto i libri di scuola…” sparò Yaxley all’improvviso dopo una lunga pausa.
“Sì” rispose Severus, tornando guardingo.
“E dicono che hai letto anche quelli degli anni successivi.”
“Sì…”
Yaxley lo fissava.
“Erano di mia madre. Mi piaceva guardarli e così quando poi ho imparato a leggere, io…”
“Li guardavi prima ancora di saper leggere?”
Severus guardò il ragazzo dritto negli occhi e deglutì.
“Sì.”
Questa volta Yaxley non potè nascondere un’espressione incredula e si voltò verso i compagni del sesto anno.
Severus era combattuto tra la voglia di sentisi così al centro dell’ammirazione, per quanto sconcertata, e il desiderio di tornarsene per i fatti suoi. Decise che ne aveva abbastanza.
“Se a te non dispiace, io vorrei… ripassare l’incantesimo, adesso. Dobbiamo impararlo per giovedì.”
“Non lo conosci già?” lo canzonò Yaxley, colpito tuttavia dall’abnegazione del bambino.
“Non mi va di non provare. Penso che bisogna sempre esercitarsi!” rispose veloce Severus e non c’era falsa modestia nelle sue parole, bensì un’autentica convinzione.
“Oh! Allora ti lascio alle tue prove!” proclamò Yaxley dandosi una manata sulle cosce e alzandosi dalla poltrona.
“Sei un ragazzino… interessante” soggiunse poi, senza guardarlo più e tornando dagli amici.

Severus li sentì confabulare, ma non si sforzò di sentire che dicevano. Anche se sperava che stessero parlando bene di lui, voleva davvero concentrarsi sull’incantesimo del fiammifero. Voleva essere interrogato dalla McGrannit alla prossima lezione e produrre due incantesimi assolutamente perfetti. Alla faccia di Potter e Black.
Ringalluzzito da quella conversazione tuttavia, non potè impedirsi di ripensarci e l’idea di essere un mago prescelto per la propria abilità lo fece sentire importante. Un sentimento del tutto nuovo per lui. Solo ad Hogwarts era stato possibile.

Una voce rossa come una morbida onda di capelli e che profumava di parco babbano gli disse da lontano che no, c’erano state altre volte in cui qualcuno… qualcunA, lo aveva fatto sentire importante. Ma durò il tempo di un lampo e fu presto tacitata e riassorbita nella luce verde della sala comune.
“Scalpius!” pensò tra sé, muovendo la bacchetta.
Non accadde nulla.
“Scalpius!” pensò ancora.
“Scalpius!”
“Scalpius!”
“Scalpius!”
La bacchetta si muoveva con precisione, ma l’incantesimo non sortiva alcun effetto.

“Ma daaaai, ma stai provando a fare un incantesimo non verbale?” esclamò la voce così poco discreta di Mulciber.
Severus gli avrebbe volentieri spaccato la faccia, ma si mantenne composto e scelse di buttarla sul ridere, sentendosi gli sguardi dei ragazzi del sesto anno addosso.
“Beh, ci ho provato. Tanto prima o poi dovremo farlo, no?”
“Sì, ma p-o-i!” ribatté Mulciber, gli occhi spalancati.
Lo guardò con una specie di comica rassegnazione.
“Bah, quanto sei secchione!”
“Dovresti provare a esercitarti anche tu” replicò Severus con calma.
“Ma vaaa, questa roba è per giovedì. E se la McGranitt mi fa storie, le faccio spuntare due corna da alce su quella testa rinsecchita, uhhhh!!!”
E mimando la presenza di un palco di corna sulla testa, si diresse al galoppo contro Avery, per il divertimento di quelli del primo anno.
“Dai Piton, facciamoci una partita a Spara Schiocco tutti insieme!” lo invitò poi con ampi gesti del braccio.
Certo che non lo avrebbero lasciato in pace se si fosse rifiutato, Severus alzò la voce per rispondere:
“Finisco qui e poi vengo.”
Mulciber scosse il capo, ma si tuffò subito nella partita, ricominciando a riempire la sala della sue urla eccitate.
“Promesso eh?” gridò.
“Sì… sì.”

Severus stette per qualche secondo a guardare i compagni. Scalmanati, giravano attorno ai tavoli e alle poltrone.
Gli tornarono alla mente i bambini babbani del parco: quelle urla, quei salti, quell’eccitazione irrefrenabile… davvero sì, era come ritrovarsi di nuovo al parco, anche se i bambini qui indossavano una divisa e non c’erano né scivoli, né altalene nel bagliore delle scintille…
Scintille? Un piacere perverso invase Severus. Nessun bambino babbano avrebbe mai potuto giocare a Spara Schiocco. Al massimo potevano tirarsi un pallone di plastica.
I bambini babbani non erano come loro. Non erano in gamba, né di grande potere. Non erano come lui.

“Scalpius” sussurrò. E il fiammifero tornò stuzzicadenti.

Edited by Camelia. - 4/5/2015, 00:26
 
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Camelia.
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Capitolo 19


Severus tese le orecchie per capire cosa stavano facendo i compagni senza dover alzare la testa e guardarli. Si finse profondamente concentrato sul suo stuzzicadenti e chinò la testa sul tavolino; voleva ritardare il più possibile il momento di unirsi ad Avery e Mulciber nella loro chiassosa partita a Spara-Schiocco.
Ripensò alla lezione con la McGranitt e si perse a ricordare quanto era stato bello venir elogiati e prendere perfino un punto per la propria Casa. Chissà quanti punti aveva Serpeverde dopo solo mezza giornata? Entro fine settimana voleva guadagnarne molti altri!
Guardò i compagni che giocavano e si sorprese del fatto che non desiderava unirsi a loro.

***


“Ma dai, davvero non hai mai giocato con la corda?!”
Lily era sinceramente stupita.
Severus si sentì a disagio e capì che non sarebbe stato così imbarazzante se non ci fosse stata anche Petunia presente; percepì il suo sguardo sprezzante ma non ebbe tempo di guardarla male a sua volta perché Lily gli aveva già infilato la sua corda tra le dita.
Sentì il calore delle mani di lei sulle maniglie di legno colorato.
“Ecco, mettila così… dietro… bravo. E adesso falla venire in avanti e quando arriva ai tuoi piedi… salta!” gli spiegò Lily tutta eccitata.
Petunia si era fermata, a quanto pareva per attendere di veder Piton fallire.
Severus si sforzò con tutto se stesso di ignorare quella fastidiosissima presenza babbana e si concentrò, le ginocchia leggermente piegate, tutto teso nell’ansia di poter sbagliare.
Sbagliò.
La corda si impigliò tra i suoi piedi, il salto non riuscì e lui si sbilanciò in avanti. Quel maledetto cappotto!
Sentì Petunia soffocare un verso maligno e sfilare accanto a loro con finta noncuranza, saltellando perfettamente la sua corda; pareva gioire nell’intimo nel constatare che un semplice gioco “babbano” metteva in difficoltà il bambino-mago.
Questo fece infuriare Severus, ma Lily era troppo intenta a riposizionare l’amico per rendersi conto della guerra silenziosa che era in corso tra lui e sua sorella.
“E’ sempre così le prime volte… devi solo provare ancora… ecco, tieni i piedi un po’ più separati… stai mollo… sei troppo rigido… così… dai riprova!”
La bambina non smetteva di chiacchierare, girando attorno a Severus, tutta presa in quel che stava facendo. Mimò davanti a lui il movimento del salto.
Severus desiderò potersi togliere il cappotto ma davanti a Petunia era una cosa troppo imbarazzante, fosse stato da solo con Lily avrebbe al massimo provato un po’ di vergogna per lo stato dei suoi vestiti, ma lei non badava a queste cose e non ci sarebbe stato nessun problema. Ma con Petunia… Ah, quanto le piaceva fargli sapere anche solo con una muta occhiata quanto disprezzava i suoi poveri vestiti! Era una cosa contro cui Severus non poteva nulla e Petunia quindi non perdeva mai l’occasione di esercitare quell’unico potere che aveva su quel ragazzino.
No… Severus non poteva togliersi il cappotto, anche se lo stava facendo sudare e soffocare, per non parlare di quanto lo impacciasse.
La corda ruotò sopra di lui. Un piede e subito l’altro, velocissimo …
“Bravissimo! Hai visto che ce l’hai fatta? Non è difficile, no?!” Lily batteva le mani.
Auff… ci era riuscito. Si costrinse a non voltarsi per guardare la reazione di Petunia.
“Prova con i piedi uniti adesso, dai!”
Piton stese le braccia appesantite dal cappotto e… oooplà! Ooooplà… olpà, olpà! Il tonfo di ogni atterraggio sull’erba era una risposta ai saltelli perfettamente coordinati di Petunia. La sentì allontanarsi e abbandonare la corda sul prato, indispettita.
“Posso usarla io?” le chiese Lily a voce alta.
“Fai quello che ti pare!!” strillò di rimando Petunia, senza guardarla, mentre correva giù dalla collinetta erbosa, verso lo spiazzo delle altalene.
“Dai, saltiamo insieme!” propose Lily, la corda della sorella già in mano.
Severus giudicò la distanza con Petunia sufficiente per osare togliersi il cappotto. Quel giorno la camicia di nylon che indossava era appena poco più abbondante della sua taglia, ma aveva un colore orrendo, una fantasia di ghirigori color senape e puntolini mattone su un fondo verde acido. Il colletto dalle lunghe punte esasperava la magrezza del mento affilato del bambino, incorniciato dalle solite bande lisce di capelli un po’ troppo lunghi e unti.
“Pronto?”
“Sì.”
E saltò e saltò assieme a Lily, senza però riuscire a divertirsi come avrebbe potuto se fossero stati soli. Petunia si era esclusa dalla loro compagnia, ma il suo atteggiamento ostile investiva Piton a ondate, escludendo anche lui dalla perfezione del momento con Lily.
La ragazzina li osservava con odio seduta sull’altalena i sandali che raspavano nervosi della ghiaia, la bocca incurvata da una piega di disprezzo, giudicando i progressi di Piton. Severus ebbe la certezza che se lui avesse preso in mano la corda di Petunia, lei non l’avrebbe più toccata neppure con la punta delle scarpe.

***


Provò quella stessa sensazione di partecipazione distante quando non poté più esimersi dal giocare con Avery e Mulciber.
Pur agile nei suoi movimenti, una certa rigidità traspariva nell’insieme, tradendo qualcosa che non era solamente poca voglia di abbassarsi al livello dei compagni, ma addirittura insofferenza. Lo infastidiva comportarsi come una chiassosa matricola di fronte agli sguardi severi e calcolatori dei ragazzi più grandi. Perché lo stavano osservando, lo sapeva bene.
Tuttavia Severus recitò la sua parte e lasciò pure che Mulciber vincesse; aveva capito che era meglio mantere un equilibrio in quella compagnia che non si era scelto e se lui avrebbe primeggiato a scuola era in qualche modo “giusto” che anche gli altri due godessero di un contentino.
“Uhhhhhh! Sono il migliore!!” saltellava Mulciber, i capelli appiccicati sulla fronte per il sudore.

Era quasi ora di pranzo e già qualcuno dei ragazzi si era mosso verso la porta d’uscita, mentre le ragazze erano quasi tutte svicolate nei dormitori, sicuramente per pettinarsi davanti a uno specchio. Uscirono di nuovo nella sala comune a gruppetti o a coppie, cianciando sottovoce e ridacchiando come oche.
Yaxley si preparò ad uscire con i suoi amici e si fermò a pochi passi da Mulciber, apparentemente per caso; si sistemò con intenzione i polsini della divisa, rassettò le pieghe e lisciò il colletto, con movimenti misurati. Severus capì al volo e con un moto involontario prese a controllare di essere in ordine. Perfino Mulciber capì e con stupore di Severus infilò la porta dei dormitori.
“Arrivo subito, aspettatemi voi due!” disse in fretta.

Yaxley non li guardava, ma Severus notò una piega di trionfo increspargli l’angolo della bocca. Silenziosamente Piton tornò al tavolino, si mise lo stuzzicadenti in tasca e prese in mano il libro con inconsapevole delicatezza. Provava da sempre un che di religioso nei confronti dei libri di Eileen, fin dalla prima volta che li aveva toccati.

***


“Sono un mago.”
Fu il primo pensiero dopo quella notte che aveva rivoluzionato il suo destino; per la prima volta nella sua brevissima vita riemerse dal sonno e tornò alla coscienza con un sentimento diverso dalla tristezza targata Spinner’s End.
Ripeté quella frase più volte, stringendo i pugni sotto il lenzuolo. Non aveva sognato… era successo per davvero? Vero?
Strinse le palpebre e si sforzò di ripercorrere mentalmente ogni dettaglio della sera precedente, urla di Tobias comprese. Rivide sua madre ansante, a terra sul pavimento squallido della cucina. La sedia poco lontano, la sedia rovesciata, la sedia che “si tirava su”. Sorrise.
Era successo.
Aprì gli occhi e la vista dei muri spogli e macchiati di umido della sua cameretta portò con sé una domanda: “Sarà già uscito?”
Braccia e gambe si irrigidirono, il sorriso si raffreddò, un brivido lo attraversò da capo a piedi. Tese le orecchie, concentrandosi.
Eileen stava spazzando la cucina, Tobias doveva essere già fuori.
Con uno scatto balzò fuori dal letto, si infilò sopra il pigiama un lunghissimo e vecchio cardigan qua e là rattoppato con fili di colori diversi; gli copriva quasi completamente le gambine magre, le maniche pendevano flosce e larghe lungo i fianchi. Anche le pantofole che infiò ai piedi erano troppo grandi e vecchie. Ma non importava, scese le scale aggrappato alla ringhiera scrostata, con tutta la velocità che poteva, impedito com’era.
Quando sbucò in cucina, Eileen si fermò.

Madre e figlio si guardarono, l’uno per chiedere conferme, l’altra un po’ spaventata. Bastò l’atteggiamento guardingo di Eileen per far avere a Severus la conferma definitiva che non aveva sognato.
Voleva mettersi a saltellare e perfino gettarsi al collo della donna, ma non fece nessuna delle due cose.
“Severus?...”
“Mamma…”
Si studiarono in silenzio.
Poi Severus non poté più trattanersi.
“Cosa facciamo?”
Eileen lo guardò.
Severus era così piccolo e magro e pallido… Ma un guizzo, una piccola fiammella si accese dentro di lei. Era orgogliosa. Suo figlio era un mago.
Spostò lo sguardo sui suoi capelli lisci così scuri, così simili ai suoi. Sul naso, pronunciato. Sulla forma del viso, piccolo, sfilato, con le guance scarne. Non c’era niente di Tobias in lui, né fuori né dentro.
Un lieve sorriso crepò la sua solita espressione vuota.
Appoggiò la scopa al muro, accese il fuoco sotto il pentolino del latte e posò una tazza sul tavolo. Agì con lentezza, come per prendersi il tempo necessario per pensare, per scegliere le parole migliori da dire. Slacciò il grembiule e lo posò sullo schienale di una sedia, poi girò attorno al tavolo e si avvicinò al bambino.
Fu sorprendente.
Una mano leggera si posò su quella testa nera e vi indugiò qualche secondo prima di scivolare lungo il viso di Severus. Era una mano rovinata e un po’ ruvida, ma fu così… bello.
Al bambino mancò il fiato.
Eileen si accucciò davanti al figlio e i loro occhi neri si incontrarono alla stessa altezza, comunicandosi cose che le loro bocche serrate non riuscivano a dire.

“Severus…” esordì.
Si morse le labbra, cercando di formulare al meglio i suoi pensieri e intanto le sue mani si erano appoggiate sulle spalle del figlio, ma non stringevano come la sera prima, erano delicate questa volta. Scesero lungo le braccia e presero infine le manine di Severus.
“Severus, ora che sai di essere un… mago, devi stare attento a non usare la magia. A lui… a lui non piace.”
I pollici di Eileen accarezzavano involontariamente i palmi del figlio.
“Sei ancora piccolo e non riesci a controllarla bene… Mi prometti di stare attento?”
Lo sguardo della donna penetrò negli occhi di Severus.
Era importante, era una supplica e anche un ordine.
“Va bene… mamma.”
E poi Eileen fece una cosa che da allora non fu mai più ripetuta. Abbracciò il suo bambino, sollevandolo da terra mentre si rimetteva in piedi e lo portò a una sedia, adagiandocelo sopra con molta delicatezza. Severus combatteva tra la sorpresa, l’imbarazzo e una lontanissima ignota sensazione di benessere.
La donna si voltò rapida e spense la fiamma del fornello. Tornò al tavolo con il pentolino fumante e versò il latte bollente nella tazza. Severus allungò automanticamente una mano a prendere una fetta di pane secco dal cestino, ma fu bloccato da Eileen.
“Aspetta” gli disse.
Andò al piccolo frigo e ne estrasse un minuscolo panetto di burro. Con un coltellino ne prese una parte e cominciò a spalmarla sul pane, per l’incredulità di Severus. Infine ci sparse sopra anche un cucchiaino di zucchero.
Quella era una colazione da re.
Severus seppe che forse nemmeno a Natale avrebbe mangiato una delizia del genere e quando la donna gli porse la fetta, fu solo in grado di dire “grazie” e di assaporarne lentamente ogni boccone.
Eileen rimase seduta a guardarlo, con le braccia poggiate sul tavolo e per cinque minuti in casa Piton aleggiò un’aria di serenità sconosciuta e perfino la lampadina a bassa potenza parve illuminare tutto di una luce calda.

Quando Severus ebbe finito di mangiare il pane imburrato e stava ingollando l’ultimo sorso di latte, Eileen parlò di nuovo.
Gli spiegò tante cose, come funzionava Hogwarts, come ci si arrivava, della lettera che sarebbe stata portata da un gufo (un gufo!!), delle materie che avrebbe studiato… Fu a questo punto che accennò ai libri e fu allora che Severus cominciò a fare domande. Aveva capito che i libri di sua madre erano in quella casa, che c’era qualcosa di magico vicinissimo e nascosto chissà dove e lui non l’aveva mai saputo!
Eileen parve inizialmente un po’ restia a rispondere, ma la luce negli occhi del figlio le fece capire che quei libri non sarebbero rimasti nascosti a lungo.
Cercò di cambiare discorso e iniziò a parlare del Ministero della Magia, delle regole che i maghi dovevano seguire, dei limiti imposti ai minorenni, della “traccia”. Fece di tutto per far comprendere a Severus che c’era da andarci cauti e non solo davanti a Tobias.
Poi si era alzata, aveva preso la tazza sporca e aveva cominciato a rassettare la cucina. Percepiva le decine di domande inespresse che suo figlio aveva sulla punta della lingua, ma non parlò più, si diede da fare come se quello fosse un giorno come un altro.

Dopo un po’ Severus ci aveva rinunciato ed era andato in camera sua a cambiarsi. I vestiti che aveva indossato erano anch’essi troppo grandi sotto quel maglione, ma non ci badò. Aveva altro a cui pensare, troppe idee che si rincorrevano in testa, nemmeno l’acqua fredda con cui si lavò la faccia riuscì a calmarlo.
Udì sua madre salire e le corse incontro, come sicuro che avrebbero parlato ancora, ma l’antica espressione stanca sembrava aver ripreso il suo posto sul volto della donna. Senza una parola lei entrò in camera e ne uscì infilandosi un cappotto dai gomiti un po’ lisi.
“Vado a comprare un po’ farina” comunicò laconica al figlio. “Stai buono.”

E Severus era rimasto sul pianerottolo, deluso; non si mosse neppure quando udì la porta di casa chiudersi.
Tutto qui? Da adesso in poi doveva solo “stare buono” e attendere che arrivassero i suoi undici anni, che arrivasse il gufo da Hogwarts? L’idea di dover aspettare così tanto tempo gli strinse il cuore in una morsa.
No, non poteva aspettare, doveva cercare, ora sapeva che quella brutta casa nascondeva un tesoro.
Fece per entrare nella camera dei suoi, ma si bloccò sulla soglia. No, lì non poteva essere.
Ragionò e gli venne in mente un’unica altra soluzione e si precipitò giù per le scale con le maniche del golf che ballonzolavano di qua e di là.
E scese ancora, nel piccolo e umido seminterrato, una stanza angusta, dal soffitto basso, invasa dalle ragnatele e ancora più malmessa del resto della casa, il che era tutto dire. In un angolo in alto una minuscola finestrella dal vetro opaco e sporco e chiusa da un rete lasciava filtrare il ricordo della luce grigia del quartiere; un odore pesante di chiuso opprimeva lo spazio occupato quasi interamente da una pletora di oggetti scassati.
Severus non era sceso praticamente mai in quel posto, privo della minima attrattiva.
Osservò quel luogo così desolato, la luce della lampadina che tremolava. Poi, conscio di non avere molto tempo, prese a spostare scatoloni, ferri arrugginiti, lo scheletro di un lampadario, sedie dalle gambe spezzate, una vecchia poltroncina tarmata; tirava e spingeva, alcune cose si spostavano con facilità, per altre doveva chiamare a raccolta tutte le sue forze di bimbo. Sudava copiosamente.
Molti scatoloni rovinarono a terra senza che lui riuscisse a impedirlo ma avrebbe sistemato dopo, non contenevano quello che cercava. Si fece male più e più volte, nuvole di polvere resero l’aria irrespirabile, rapidissimi movimenti in tutte le direzioni rivelarono la posizione dei ragni. Severus tossiva, un ginocchio si era sbucciato, aveva lividi su tutte le braccia, ma non si fermava. Si arrampicava sugli oggetti caduti, si puntellava sugli schienali delle sedie rotte, apriva gli scatoloni cercando di guardare cosa c’era dentro, tastandone il contenuto alla cieca quando non riusciva ad aprirli del tutto.

La stanza era un caos, non sarebbe mai riuscito a rimettere tutto come prima.
Nell’angolo più nascosto c’era un ultimo scatolone, anch’esso sformato e inumidito come gli altri. Era quello? Non restava altro…
Severus ansimava, si infilò nel disastro che aveva combinato e allungò una manina. Non appena sfiorò il cartone flaccido con la punta delle dita, lo scatolone divenne un baule. Vecchio e impolverato, ma solido, con una serratura che un tempo doveva essere stata lucida. Fu meraviglioso, gli mancò il fiato.
Aveva trovato! Severus sentì il sangue martellargli le tempie.
Si avvicinò di più, teso ed eccitato. Aprì, tremando tutto, e vide; rimase immobile a fissare il contenuto del baule, incapace di muoversi per lunghi istanti.

Un mucchio di oggetti, all’apparenza cianfrusaglie, roba vecchia abbandonata.
A sinistra, ripiegata con cura, c’era una specie di divisa di un nero un po’ scolorito e sotto un mantello di lana grossa. Boccette di vario genere, di tutte le forme e dimensioni, alcune vuote, altre piene di chissà quali liquidi e sostanze erano contenute dentro un calderone panciuto, decisamente usato ma forse per questo così affascinante. Severus lo toccò e il freddo contatto lo fece rabbrividrire.
Continuò a guardare e sfiorare: boccettine di inchiostro, un paio di vecchi guanti di uno strano materiale, numerosi rotoli di pergamena ingiallita arrotolati o a pezzi, alcuni scritti di una grafia piccola e puntuta, piume spelacchiate sparse un po’ ovunque… ogni oggetto lo attraeva e lo seduceva, provocandogli scoppi di calore all’altezza del petto. Infine, nella parte destra del baule, sotto una scatola che conteneva delle strane biglie, scassati ma messi via con ordine, c’erano i libri. Severus non capì cosa lo attirasse tanto, forse le eleganti scritte d’oro un po’ rovinate, forse la consapevolezza che la “magia” era tutta spiegata lì dentro.
Ne prese uno.
Sulla copertina campeggiava un animale dal corpo allungato, le narici fumanti e le ali spiegate. Un drago! E all’interno del libro vi erano parecchie altre illustrazioni di creature di cui Severus non poteva conoscere il nome. Un altro libro, con un gatto che diventava cuscino e decine di altre trasformazioni (“no, tra…sfigurazioni” si disse Piton, ricordando le parole di sua madre). Un altro, con una bacchetta che sprizzava scintille in copertina e poi… un altro ancora, con il disegno di un calderone fumante. La luce intermittente della lampadina sembrava rendere vive le volute del fumo; la curiosità si impossessò di Severus. Toccò la superficie ruvida, si riempì le narici dell’odore umido delle pagine ingiallite e impolverate. Aprì il libro a metà e vide tante scritte che non era in grado di decifrare su colonne ordinate e il disegno di alcune piante; toccò il foglio con il palmo aperto, come a volerne assorbire le informazioni. Andò alla prima pagina su cui vide ripetuta la facciata del volume e con il dito seguì la forma delle lettere stampate; poi prese a sfogliare le pagine con il desiderio di capire cosa dicevano che si faceva via via più pressante.
Non si accorse di essersi più o meno seduto nello spazio angusto tra il baule e gli altri oggetti della stanza che ora erano accumulati in disordine.
“Severus!”
La voce di Eileen spezzò l’aria come uno scoppio.

Severus balzò in piedi e il libro cadde tra le sue gambe. Vide il gran caos che aveva combinato, gli scatoloni rovesciati, le ferraglie sparse, una pala in bilico su una sedia sfondata. Come aveva potuto? Non aveva scusanti.
Ma…
“Rimettiamo a posto” si limitò a dire Eileen, che guardava fisso il baule.
Severus la guardò, incredulo. Il volto di sua madre non era ben distinguibile nella penombra.
Non l’aveva sgridato, forse allora…
“Mamma…?” disse pianissimo.
Eileen si avvicinò e raccolse il libro. Quando lo chiuse e fece per rimetterlo nel baule Severus quasi pianse:
“No!”
Non poteva, proprio non poteva pensare di richiudere il baule. E di lasciare lì i libri.
“Ascolta, Severus” disse Eileen con inusuale dolcezza.
Si era inginocchiata e lo guardava con immenso dolore.
“Non possiamo” esalò.
“Ma…”
“No.” Ora lo sguardo le si fece duro.
Ma guardando suo figlio capì che non avrebbe potuto tenerlo lontano da lì. Per qualche istante parve riflettere intensamente, lo sguardò indugiò sul baule aperto e parve soffermarsi pensoso sulla scatola con le biglie. Una linea si disegnò sulla fronte di Eileen che infine si decise.

“Dobbiamo fare un accordo, Severus.”
Lui la guardò con aria interrogativa.
Eileen parlò lentamente, senza distogliere gli occhi da quelli del piccolo.
“Ora rimettiamo tutto a posto, no, ascoltami… Ora rimettiamo tutto a posto, ma ti permetterò di guardare i libri quando vorrai se… se sarai solo.”
Esitò un momento, poi riprese, con tono più fermo.
“Lui non deve vederti.”

“Hai capito?”
“Sì.”
Non poteva non capire.
“Mi vai a prendere la scopa, in cucina?”
“Sì.”
Severus corse via e agguantò la scopa in cucina, trascinandola poi giù dalle scale con gran fracasso, le scarpe un po’ troppo grandi a rallentarlo.
“Eccol…”
Si bloccò sulla soglia. Tutto era tornato come prima.
Sentì il manico della scopa scivolargli tra le dita e cadere per terra.
Eileen aveva sistemato tutto con la magia e l’aveva fatto di nascosto. Severus non capiva se era più bruciante la delusione o la rabbia e rimase lì, a fissare intensamente la madre, senza riuscire a profferir parola.
“Scusami, Severus. Devi essere paziente. Ti prego, devi essere paziente” concluse con un filo di voce. Si accasciò sulla poltroncina tarmata, predendosi la testa tra le mani.
Severus le si avvicinò, ma non poté impedirsi di lanciare un’occhiata carica di desiderio in direzione del baule che era nuovamente sparito alla vista.
In quella sua madre gli afferrò una mano e lo condusse di fronte al cumulo di oggetti.
“Riesci a passare lì dietro?” gli chiese, indicando una stretta fessura tra la parete e due scatoloni impilati particolarmente grossi.
Severus si mise di fianco e infilando prima una gamba e un braccio e poi il resto del corpo vide che riusciva a passare piuttosto agevolmente. E vide anche nell’angolo lì dietro uno scatolone era libero da impedimenti.
“Puoi aprirlo?” lo raggiunse la voce di Eileen da dietro il muro di oggetti.
Severus scivolò con tutto il corpo lungo il muro fino a raggiungere lo scatolone, completamente protetto alla vista di chiunque fosse entrato nella stanza e senza nulla accanto o sopra che ne impedisse l’apertura. Di nuovo, quando lo toccò, si trasformò nel baule di sua madre.
“Sì!” le rispose.
Seguì uno strano silenzio che Severus ruppe per primo.
“Ne prendo uno solo…” annunciò e non si capiva se era una richiesta di permesso o una decisione.
“Va bene” rispose la voce piatta di Eileen.
Severus agguantò felice il libro con il calderone sulla copertina e richiuse il baule che riprese le sembianze del vecchio scatolone. Riemerse dalla stretta fessura con il tesoro in mano e si precipitò da sua madre che era tornata a sedersi sulla poltrona.

“Ti permetterò di andare al mio baule” disse.
“Sì.”
“Potrai guardare tutto quello che vorrai.”
“Sì.”
“Ma non potrai toccare tutto.”
Severus tacque.
“Ci sono cose pericolose. Le boccette con gli ingredienti per le pozioni…” disse.
Severus la guardò eccitato.
“…sono pericolose. Quelle non le devi aprire” lo ammonì Eileen.
“Ho sigillato le chiusure” aggiunse, tanto per essere chiara.
Severus abbassò lo sguardo sul libro che stringeva tra le mani. Era bellissimo. Non avrebbe chiesto di più.
“Sì!”
“E…? E cos’altro Severus?” lo interrogò lei.
Il bambino la guardò. Era pallidissima.
“Lui non deve vedere” rispose.
“Esatto” sospirò lei. “Me lo devi promettere.”
“Sì, promesso” disse il bambino.
Lei posò una mano sulla spalla del figlio, poi gli tirò su la manica del maglione e lo prese per mano, risalendo di sopra con lui. Severus non aveva occhi che per il libro e ne accarezzava la copertina con il pollice.

***


Stringeva al petto il volume di Trasfigurazione mentre percorreva il corridoio dei dormitori. Aveva la mente piena del ricordo delle innumerevoli volte che era sgattaiolato nel seminterrato ed aveva strisciato lungo il muro, nello stretto passaggio che sua madre con la magia aveva lasciato per permettergli di raggiungere il baule.
Eileen ne aveva trasfigurato l’aspetto nell’evetualità, per quanto remota, che suo marito potesse mai metterci le mani sopra. Severus comprese che quell’incantesimo era anche dotato di un sistema di sicurezza che consentiva al baule di riprendere la sua forma originaria solo se un mago l’avesse toccato. Poteva capire questa scelta e sapeva anche perché sua madre aveva lasciato la magia nascosta e chiusa nel baule.

Ma a lui non sarebbe successo, si disse, mentre entrava in camera sua, lui non avrebbe mai dovuto nascondere niente quando sarebbe stato grande.
E non sarebbe finito in uno sporco quartiere babbano come Spinner’s End, maledizione.
Aveva appena richiuso la porta alle sue spalle e stava andando alla scrivania su cui erano schierati in bell’ordine tutti i suoi libri, quando Mulciber riaprì la porta senza tante cerimonie annunciando:
“Sono pronto, andiamo?”
Si era dato una lavata e aveva cercato di pettinarsi i capelli.
“Sì, arrivo” rispose Severus.
“Daiiii, liberati di quel libro…” incalzò Mulciber, avvicinandosi in un balzo.
Glielo strappò di mano e lo lanciò sul tavolo.
Il libro atterrò con un tonfo, scivolando fino al muro e Severus dovette richiamare a sé tutto l’autocontrollo di cui era capace per non urlare contro al compagno o mettergli le mani addosso. Trattare a quel modo i libri, i suoi libri!!
Ma Mulciber già lo stava spingendo fuori dalla camera e poi si precipitò nella sala comune ormai vuota dichiarando di avere una fame tale da potersi mangiare due ippogrifi. Avery, che si era dato una sistemata alla veste pure lui, li accolse con un sorrisetto.
“Andiamo.”
E usciti dalla sala, imboccarono il corridoio del sotterraneo, Mulciber parlando a voce alta, Avery divertito e Piton silenzioso e assorto. Chissà se sarebbe riuscito a scambiare due parole con Lily.

Edited by Camelia. - 4/5/2015, 00:40
 
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