Prigionieri della Terra

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Astry
view post Posted on 25/11/2013, 21:02 by: Astry




Mmm! Nessuno legge, ma io posto lo stesso, tanto o lo metto qui o lo tengo nel mio computer.



Cap 3

Quella vecchia pendola aveva un aspetto terribile. Le labbra di Kore si piegarono in una smorfia, immaginando quanto lavoro avrebbe richiesto restaurarla. Si domandò chi mai avrebbe pagato per una simile anticaglia. Il negozio ne era pieno; ferraglia arrugginita e mobili di legno che il lavorio dei tarli aveva reso simili a delicati merletti, si innalzavano fino al soffitto. Una catasta polverosa che, agli occhi della ragazza, serviva solo a dar riparo ai ragni.
Kore Johnson se ne stava seduta sopra il bancone ciondolando svogliatamente le gambe, mentre il suo sguardo vagava pigro nella stanza.
Il ciuffo di capelli biondi, risultato dell’ultima performance del suo parrucchiere preferito, continuava a caderle davanti ai grandi occhi verdi, costringendola, di tanto in tanto, a scuotere il capo per scansarlo.
Si trovava a Napoli da pochi giorni e la maggior parte del tempo l’aveva trascorso tra la polvere del negozio di antiquariato dello zio Giuseppe.
Sua madre, Luisa, aveva sposato un archeologo inglese e aveva lasciato la città sedici anni prima per trasferirsi in Inghilterra dove era nata lei e, dopo quattro anni, suo fratello Fabian.
Quell’estate, il padre dei due ragazzi era dovuto tornare in Italia per sovrintendere a degli scavi e Kore, sua madre e Fabian ne avevano approfittato per trascorrere le vacanze dai nonni materni. Due simpatici vecchietti chiacchieroni che però si rifiutavano di vedere la differenza tra una mummia egizia e la paccottiglia ammuffita stipata nel negozio del loro figlio maggiore.
Kore sbuffò rumorosamente, quando un rumore di cocci rotti la raggiunse.
Fabian sembrava condividere le opinioni dei nonni e trovava affascinante quel mucchio di immondizia polveroso. Erano più di due ore che rovistava nel magazzino del negozio lanciando un urletto entusiasta ad ogni nuova scoperta: un vecchio trenino elettrico, una lampada dalla forma bizzarra, qualche libro dalle pagine ingiallite.
La giovane si limitava ad osservarlo da lontano, mentre, incoraggiato dallo zio, perdeva il suo tempo in quell’insolita caccia al tesoro.
D’un tratto l’uomo lasciò che Fabian continuasse da solo le sue ricerche e si avvicinò al bancone. Era stempiato, sui cinquant’anni, infagottato in una giacca troppo pesante per quel clima. Aveva un sorriso sempre stampato sul volto paffuto e lineamenti tanto marcati da farlo somigliare ad una delle caricature con cui gli artisti di strada tappezzavano il marciapiede davanti al negozio.
“Ehi, ma perché non esci a comprarti una pizza? Ci penso io a Fabian.” Disse notando l’espressione annoiata della ragazza.
“No, preferisco aspettarlo. Si è fatto tardi, la nonna ci starà aspettando per la cena.”
L’appartamento della nonna si trovava proprio sopra al negozio, ma, conoscendone le abitudini, Kore sapeva che non poteva permettersi di non presentarsi a cena in perfetto orario. Per la donna era sacra, e non erano ammessi ritardi. Oltretutto se non avesse mangiato tutto, lei lo avrebbe considerato un insulto alla sua cucina. Avrebbe gridato allo scandalo, criticando le abitudini dei giovani moderni. Insomma rovinarsi l’appetito con una pizza, prima del luculliano banchetto preparato dalla regina dei fornelli, non era proprio consigliabile.
Saltò agilmente dal ripiano del bancone e si sporse dalla porta del magazzino.
Fabian era in ginocchio a ficcanasare sotto una catasta di cassetti che lo nascondevano alla sua vista.
“Spero che non avrai intenzione di portarti dietro quella robaccia in casa.” borbottò.
“Andiamo Kore, lascia che si diverta, non sta facendo niente di male, e poi mi ha aiutato a trovare cose che nemmeno ricordavo di avere.” La voce del proprietario del negozio aveva un suono dolce e amabile.
“Non dovresti tenere qui tutta quella roba inutile, zio, la gente non la comprerà mai e crea solo disordine.” lo rimproverò Kore.
“Ma piace a mio nipote. Lui ha naso per queste cose, è figlio di un archeologo, dopotutto.” gongolò, poi trattenne il fiato per abbottonarsi la giacca troppo stretta per lui, mentre sul suo volto si allargava un sorriso orgoglioso.
“Anch’io lo sono, ma un inutile ferro vecchio lo considero solo come un inutile ferro vecchio.” rispose Kore infastidita.
“Ah, queste giovani di oggi!” sospirò. “Non sapete apprezzare le piccole cose.”
La prese per mano trascinandola verso il magazzino. “Vieni, vieni che ti mostro una cosa.”
“No, ma dove mi porti? Sono allergica alla polvere, lo sai.” protestò la ragazza. “Eh, la polvere… Non siamo forse fatti di polvere?” ghignò continuando a trascinarla.
Fabian nel vedere i due che si avvicinavano, posò il carillon che aveva appena trovato sotto un mucchio di vecchie bambole di pezza, e sollevò la testa fissandoli con curiosità.
L’uomo si fermò di fronte ad un armadio. “Ecco guardate qui.” disse afferrando il pesante mobile e trascinandolo verso di sé.
Fabian saltò in piedi e si precipitò a guardare dietro l’armadio, mentre Kore incrociava le braccia con l’aria di chi si sta chiedendo chi fosse più infantile fra zio e nipote.
“Andiamo, su, avvicinati, non ci sono ragni.” Continuò. Poi, notando qualcosa muoversi tra le fessure dei mattoni, “Beh, forse qualcuno c’è, ma non ti faranno niente”.
Il volto di Kore si deformò in una maschera disgustata, mentre istintivamente si sollevava sulla punta dei piedi, come se volesse limitare il più possibile il contatto con il pavimento, temendo di trovarsi qualche insetto sgradito sulle scarpe.
Tuttavia la curiosità ebbe la meglio e non poté fare a meno di tendere il collo abbastanza per dare una sbirciatina al muro dietro l’armadio.
C’era un grosso buco, sufficiente per il passaggio di una persona alla volta.
“C’è una galleria qui dietro.” disse l’uomo entusiasta. “Napoli ne è piena. Sotto la superficie la città è un colabrodo.” sogghignò. “Tuo padre dovrebbe saperlo. Gli antichi abitanti hanno scavato qui sotto per procurarsi il materiale da costruzione, il… come si chiama?” Schioccò le dita più volte cercando di ricordare il termine esatto. “Ma sì, quello, il tufo. Se volete, potete dare un’occhiata.”
Kore arricciò le labbra scettica e l’altro, incrociando le braccia, scosse il capo sconfortato. “Ehi, ma che razza di nipote ingrata sei? Vi faccio risparmiare persino i soldi del biglietto. Sapete quanto fanno pagare la visita guidata delle gallerie? L’ingresso per i turisti è in Piazza S. Gaetano.” Kore continuava a fissarlo con aria di commiserazione, mentre lui tentava in tutti i modi di attirare il suo interesse.
“Beh, insomma, questo passaggio s’interrompe dopo pochi metri, ma tanto vista una, le gallerie son tutte uguali, e noi ce l’abbiamo sotto casa, cosa volete di più?”
“Dai Kore andiamo a vedere.” Fabian prese per mano la sorella e cercò di trascinarla verso l’apertura.
“Ma è sicuro?” mugolò lei, trattenendolo. “Non è che ci cadrà qualcosa in testa?”
“Ma no, questa sta in piedi da centinaia di anni, perché dovrebbe cadere proprio sulla tua testa?” la rassicurò suo zio. “I nonni si sono riparati qui, in tempo di guerra. Ehm… Ed io… beh, io ci tenevo il vino.” Poi si chinò e portandosi la mano davanti alla bocca, sussurrò all’orecchio della ragazza. “Ci sono un sacco di leggende su questi tunnel, dicono che della gente è sparita qua sotto e non è stata più ritrovata.”
“Wow!” Fabian non si fece pregare e saltò all’interno dell’apertura. “Kore, dai, muoviti!” gridò, gustando poi l’eco della sua voce.
Lo zio rise di gusto.
“Sì certo, adesso vedrai che uscirà fuori anche un fantasma.” brontolò la ragazza.
“No, niente fantasmi, ma potresti trovarci ‘o Munaciello.” Continuò a ridere lo zio. “Sbuca fuori all’improvviso, UUUUH!” agitò le braccia imitando degli artigli. “L’hanno visto, sai? E’ tutto vestito di nero, sembra un monaco, e…”
“Sì, sì, conosco la leggenda, la nonna me l’ha raccontata.” disse Kore, mentre, seguendo gli altri due, si infilava nello stretto cunicolo. “Ma è buio pesto qui dentro.”
“Ah, giusto! Aspettate qui che prendo una torcia.” L’uomo uscì, e si sporse verso l’armadio. Aprì lo sportello con un pugno ben assestato e prese la torcia elettrica che era sul ripiano interno. “Vediamo. Le pile dovrebbero essere ancora buone.” disse rigirandosi l’oggetto fra le mani, per cercare l’interruttore. “Oh, sì, ecco.” L’accese e raggiunse gli altri all’interno della cavità.
Le pareti erano umide e coperte di incrostazioni.
Di fronte a loro, una scaletta ripida scavata nella roccia portava ad un locale più ampio molti metri più in basso. Un forte odore di muffa li investì.
Fabian non aveva neppure atteso che suo zio gli illuminasse il percorso, si era precipitato sui ripidi scalini, e ora attendeva gli altri nella stanza sotterranea.
Kore, invece, scendeva lentamente. Permise a suo zio di oltrepassarla con la torcia per poter controllare bene la superficie della pietra prima di poggiarci sopra le mani.
Quando fu certa che non brulicasse di insetti, si afferrò ad una sporgenza e infilò anche lei la ripida scala raggiungendo gli altri due.
“E adesso?” domandò, scuotendo l’orlo della gonna per ripulirlo da alcuni fili di ragnatele che, nonostante le sue precauzioni, si erano caparbiamente incollati alla stoffa.
Sollevò lo sguardo, ma non c’era nessuno.
“Zio!” lo chiamò poi guardò di fronte a sé, nel punto in cui un istante prima aveva visto anche suo fratello. Erano entrambi scomparsi.
Continuò a cercare con lo sguardo. C’era luce, i due con la torcia non dovevano essere lontani.
“Andiamo, Fabian! Zio! Non fate stupidi scherzi! Sapete che non mi piace.” Sentì l’ansia crescere in lei. “Zio, avanti, basta!” protestò.
Fece qualche passo verso la luce, ma le sue gambe avevano cominciato a tremare. Fu costretta a fermarsi. “Zio!” mugolò. “Zio, per favore!”
Non ottenne risposta, probabilmente, anche se ci fosse stata, non l’avrebbe sentita. Il suo cuore impazzito le rimbombava nella testa, impedendole di ascoltare qualsiasi altro suono.
Poi la luce tremò, come se qualcuno ci fosse passato davanti proiettando la propria ombra nel tunnel. Spinta dalla paura prese a correre in quella direzione, ma, improvvisamente si sentì afferrare e trascinare in un angolo.
Tentò di gridare, ma chi l’aveva presa le portò una mano sulle labbra impedendole di parlare.
“Zitta!” le intimò una voce maschile.
Non era quella di suo zio, era una voce giovane, la voce di un ragazzo. Kore si sentì perduta, chi c’era in quella galleria? Un ladro, un assassino? E cosa era successo a suo fratello?
Mentre lo sconosciuto la spingeva con forza contro la parete, immobilizzandola, si sentì morire. Come se, improvvisamente, non fosse più stata padrona del suo corpo, non aveva più forza. La nausea la soffocava, mentre le lacrime presero a rigarle il volto. Scivolavano incontrollate frenate solo dalla mano sconosciuta che le premeva le labbra.
L’uomo la lasciò e, afferrandola per le spalle, la costrinse a voltarsi e a guardarlo negli occhi.
Era completamente vestito di nero e portava un cappuccio simile a quello dei monaci che lasciava intravvedere il volto pallidissimo. Le tornarono in mente le parole di suo zio ‘Potresti incontrare o’ monaciello’.
Era lui? Ma poi che cos’era? Un fantasma?
“Non gridare, o prenderanno anche te.” sussurrò.
Kore scosse il capo. Cosa voleva dire ‘prenderanno anche te’? Qualcuno aveva preso suo fratello?
“Fabian?” pigolò.
Il giovane abbassò il capo, sembrava sconfortato.
“Non posso più fare niente per lui, mi dispiace.”
Le parole dello sconosciuto le restituirono la forza di reagire. L’idea che potesse essere successo qualcosa al fratello la scosse. L’uomo se ne accorse e, prima che potesse mettersi a gridare, la sua mano corse nuovamente ad impedirglielo. Kore tentò di divincolarsi. Si sentiva soffocare. L’odore di muffa e di umidità le riempiva le narici. L’uomo, i suoi vestiti, la mano fredda sulle sue labbra, parevano esserne intrisi. Come se quello strano personaggio fosse un tutt’uno con quell’ambiente umido e insalubre.
Riuscì faticosamente a staccarsi dalla parete, il tanto per riuscire a muovere una gamba. Ne approfittò per tentare di liberarsi.
“Ahi! Ma sei matta?” Il giovane si afferrò il ginocchio sforzandosi di non urlare di dolore. “Smettila di tirare calci, non voglio farti del male.” soffiò a denti stretti.
“Lasciami, lasciami.” La ragazza iniziò a gesticolare, a colpirlo coi pugni e a graffiarlo, tanto che lui fu costretto ad afferrarla per i polsi.
“Ora basta! Finiscila di agitarti e ti spiegherò tutto.”
Appena la sentì rilassarsi, allentò di nuovo la presa.
Kore ansimò massaggiandosi il braccio, nel punto in cui lui l’aveva stretta.
“Non voglio spiegazioni, voglio uscire di qui.” ringhiò.
“Non credo di poterti accontentare.” disse secco, poi sollevò di scatto lo sguardo attirato da un rumore di passi.
Anche Kore fissò in silenzio il fondo della galleria.
Qualcosa o qualcuno si stava avvicinando a loro.
“Fabian?” mugolò, ma immediatamente il ragazzo scosse il capo. Il suo volto si era fatto teso. Era paura quella che si leggeva nei suoi lineamenti?
Kore non capiva cosa stesse succedendo, ma d’istinto si tirò indietro, appoggiandosi alla parete e il ragazzo fece lo stesso.
A proteggerli solo una lieve sporgenza nella roccia. Troppo poco per nasconderli entrambi.
Kore appoggiò il capo alla pietra, ansimando.
Sentì il rumore dei passi farsi più forte e il suo sguardo corse a cercare quello dell’altro. Non sapeva ancora se fidarsi di lui o no, ma era certa di non voler incontrare ciò che si stava avvicinando e che pareva terrorizzare il giovane al suo fianco.
Da dove si trovavano non si riusciva a vedere, ma dalle voci gracchianti che si udivano, Kore capì che doveva trattarsi di donne, piuttosto anziane almeno a giudicare dal terribile rantolo che emettevano. Anche il rumore dei passi rivelava un’andatura incerta e zoppicante.
Ma come era possibile che delle vecchie potessero essere tanto pericolose? E poi cosa ci facevano in quel sotterraneo?
Fissò il ragazzo e vide che scuoteva il capo e tremava.
“E’ finita, stavolta ci trovano.” borbottava. “E adesso che faccio? Che faccio?” Continuò quasi piagnucolando.
D’improvviso, però, i passi si allontanarono come se qualcosa avesse attirato il gruppo altrove.
Il giovane si sporse dal suo nascondiglio e guardò stupito la fine del tunnel.
Poi si rivolse a Kore.
“Non so cosa sia successo, ma puoi ringraziare la buona sorte, siamo salvi.”
La afferrò per un braccio.
“Ora vieni con me e non fare storie. Qui non possiamo restare.”
Lei lo guardò per diversi secondi senza parlare, poi lo seguì rassegnata.
 
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