Prigionieri della Terra

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Astry
view post Posted on 1/12/2013, 21:21 by: Astry




Cap. 4

Imboccarono un’altra galleria, diversa dalle prime. Il passaggio era stretto, ma molto alto, tanto che non si riusciva a vederne il soffitto. Solo in quel momento, Kore si rese conto che non c’era alcuna fonte di luce, non una torcia, né candele, eppure il luogo era sufficientemente illuminato da una strana luminescenza verde che permetteva loro di avanzare con facilità.
“La luce…” mormorò. “Da dove viene?”
“Come ‘da dove viene’? E’ giorno, c’è il sole.”
“Ma…” Kore stava per ricordargli che si trovavano molti metri sotto terra, ma preferì non contraddirlo. Non le interessava la luce o chi fosse quell’uomo, non le interessava nulla di quello che aveva da dire. Voleva rivedere suo fratello. Tuttavia era sola in quel luogo, e lui era l’unico che poteva dirle qualcosa di Fabian.
Scesero altri gradini, incontrando molte gallerie. Sembrava una fitta rete di vicoli così stretti da poter essere percorse solo in fila indiana. Era come passare tra le mura di case altissime, tanto alte da raggiungere il cielo, nascondendolo alla vista.
Kore camminava in silenzio, guardandosi attorno intimorita, mentre lui la precedeva.
Il rumore dei loro passi echeggiava sinistro nei cunicoli, così Kore iniziò a camminare in punta di piedi, tendendo l’orecchio e cercando di captare altri suoni che non fossero quelli prodotti dalle sue scarpe.
Dopo aver marciato per circa mezzora, si aprì davanti a loro un’immensa gola. Le pareti del cunicolo che avevano percorso si allargavano formando un imbuto. Tutt’intorno era roccia, massicci imponenti che invece di stagliarsi contro il cielo, si allargavano chiudendosi sopra le loro teste. Era come guardare le montagne capovolte, Kore immaginò una mano gigantesca mentre le conficcava nel terreno a mo di cunei.
“Quelle sono le tre sorelle.” disse la sua guida indicando tre di quei massi che chiudevano la vallata, formando quattro archi.
Impiegarono diverse ore per raggiungerli e per tutta la strada il ragazzo continuò a guardarsi le spalle preoccupato.
Attraversato l’arco più grande il ragazzo si appoggiò alla parete tirando un sospiro di sollievo.
“Ora saremo al sicuro.” disse. “Da qui in poi le rocce ci proteggeranno, sarà difficile trovarci.”
Kore si guardò attorno. In effetti la sua guida aveva ragione: avevano superato una vallata, uno spazio aperto nel quale era impossibile nascondersi, ed ora, di fronte a loro si intrecciavano miriadi di passaggi seminascosti da spuntoni di roccia dalle forme bizzarre simili a merletti inamidati o, piuttosto, a gigantesche spugne di mare.
“Bene, ora che, a quanto pare abbiamo seminato i nostri inseguitori, chiunque fossero. Vuoi dirmi, per cortesia, dove mi stai portando?” domandò Kore con una smorfia, mentre incrociava le braccia in segno di sfida. Era intenzionata a non fare un altro passo senza avere prima una spiegazione.
Ma l’altro si limitò ad un’alzata di spalle.
“Avrai tutte le spiegazioni che ti servono quando arriveremo dove ti sto portando...” schioccò la lingua. “Anzi, se arriveremo dove ti sto portando.” si corresse.
“Tu… Tu sei pazzo! Io non mi muoverò di qui.” urlò lei. “Ci stiamo allontanando sempre più dal negozio di mio zio, non ho intenzione di andare oltre.”
“Il negozio di tuo zio?” il giovane scoppiò in una risata sguaiata. “D’accordo, se non vuoi venire, resta pure qui, o torna indietro, se ti fa piacere. Non ho certo intenzione di trascinarti, né di portarti sulle spalle.”
Si incamminò infilandosi in una stretta apertura della roccia che aveva di fronte.
Kore non si mosse, restò a guardarlo per alcuni minuti, finché non lo perse di vista.
Attese ancora, sperando che sarebbe tornato indietro, ma il ragazzo non lo fece.
Cominciò a muovere i piedi spostando il peso del corpo da uno all’altro, poi iniziò a giocherellare nervosamente con le mani, torcendosi le dita, e infine iniziò a mordersi il labbro.
L’aveva lasciata sola.
Si sentì gelare. Era come se fosse precipitata in un incubo. Ma nonostante continuasse a ripetere a se stessa che tutto quello non poteva essere reale, la paura ebbe il sopravvento. Il cuore martellava nel suo petto, come impazzito, e il respiro le si bloccò in gola. Avrebbe voluto urlare, si portò le mani tra i capelli e prese a tirarli, voleva svegliarsi, doveva svegliarsi. Forse qualcuno avrebbe udito le sue grida nel sonno, forse il dolore che si stava procurando l’avrebbe riportata alla realtà. Ma non accadde nulla di tutto ciò. Prese a guardarsi intorno: il ragazzo, doveva trovare il ragazzo,
Si precipitò verso il punto in cui l’aveva visto sparire dietro uno spuntone di roccia.
“Aspettami!” gridò, mentre le lacrime le riempivano gli occhi.
“Vedo che sai anche essere ragionevole.” Il volto allegro della sua guida spuntò proprio dietro di lei. “Con un po’ di incoraggiamento, naturalmente.” ghignò.
Non si era allontanato che di pochi passi, facendole credere di averla abbandonata.
Kore si voltò di scatto, avrebbe voluto sommergerlo di imprecazioni, ma decise che non era saggio insultare l’unica persona che poteva tirarla fuori da quella situazione. Se quello era un sogno, forse doveva assecondarlo, ma se non lo era?
Riprese a seguirlo in silenzio.
Camminarono ancora per diverse ore. Kore era sfinita. Si erano dovuti fermare più volte. Le scarpe all’ultima moda della ragazza non erano adatte a quel percorso accidentato e i suoi piedi si erano coperti di dolorose vesciche. Aveva provato a rimediare fasciandoli con delle striscioline di stoffa che l’altro aveva ricavato ritagliandole dal bordo della sua tunica, ma anche questa soluzione durò poco. Con la fasciatura, infatti, le scarpe erano diventate ancora più strette ed ogni passo sempre più doloroso. Alla fine preferì toglierle, le legò alla cintura dei pantaloni con un'altra striscia di stoffa e proseguì scalza.
Giunsero sull’orlo di una voragine.
“Ecco, siamo arrivati.” annunciò il giovane al suo fianco.
Kore si sporse dal precipizio.
Le pareti erano piene di aperture, come porte e finestre. Sembravano abitazioni scavate nella pietra.
Al centro di quel burrone simile alla bocca di un vulcano, si innalzava un massiccio che aveva la forma di un cono, con la parte più stretta rivolta verso il basso.
Anche quello era pieno di aperture.
Kore concentrò meglio lo sguardo e si rese conto che somigliava ad una gigantesca cattedrale gotica a testa in giù. La pietra era stata scolpita in modo da ricavarne loggette, scale, finestre. C’era un’intera città all’interno della montagna, ed era collegata al bordo del burrone da sottili ponti fatti della stessa roccia di cui era costituito l’intero paesaggio.
Kore si mosse verso uno di quei viadotti vertiginosi, ma il giovane la trattenne.
“Dobbiamo attendere la notte, sul ponte saremo troppo esposti.”
Kore si domandò come si potessero distinguere la notte e il giorno visto che si trovavano sottoterra, ma presto ebbe la risposta: dopo circa mezz’ora, la luminescenza verdognola che li aveva accompagnati fin lì, cominciò ad affievolirsi, finché le tenebre non li avvolsero completamente.
“Andiamo!” disse lui prendendola per mano.
Kore si lasciò guidare verso la città che ora era punteggiata di piccole luci.
Attraversato il ponte, si trovarono di fronte un grande arco dalla profonda strombatura, ricco di decorazioni e simboli incisi nella pietra. La sua guida non vi entrò, ma scortò la ragazza lungo uno stretto passaggio addossato al costone. Non c’era parapetto, e, nonostante l’oscurità impedisse a Kore di vedere lo strapiombo, il terrore la bloccò dopo pochi passi e lei si appoggiò terrorizzata con la schiena alla parete.
“Non posso, non ce la faccio.” pigolò.
“Un passo alla volta, dammi la mano, il percorso è breve.” la rassicurò l’altro, ma dovette faticare non poco per trascinarla fino all’ ingresso più piccolo e seminascosto che si trovava a pochi metri di distanza. Una volta all’interno, lasciò a Kore appena il tempo di riprendere fiato e calmare i battiti del suo cuore, poi iniziò a salire un’infinità di gradini finché si fermò di fronte ad una piccola porta di ferro. Si chinò, dato che l’apertura non era più alta di un metro, e bussò diverse volte ritmicamente, come se stesse facendo un segnale.
La porta si aprì appena e il volto di una donna molto anziana fece capolino, schiacciato fra lo stipite e lo sportello.
“Freda, facci entrare!”
La vecchia esibì i suoi pochi denti in un orribile sorriso, e si fece da parte lasciandoli passare.
Di fronte a loro, altri scalini.
Istintivamente Kore si nascose dietro la sua guida. Non sapeva se fidarsi più di lui o di una donna che sembrava appena uscita da un racconto sulle streghe.
Almeno il ragazzo non le aveva fatto del male. Non ancora per lo meno. Ma quella chi era? E che ci faceva laggiù?
“Guglielmo ti sta aspettando.” gracchiò la donna. “Ne hanno preso un altro.”
“Sì lo so, è suo fratello.” rispose accennando alla ragazza acquattata alle proprie spalle.
“Fratello?” la vecchia fece una smorfia. “Questo complicherà le cose.”
Poi si avvicinò a Kore, la osservò, studiando ogni particolare dei suoi vestiti, dei capelli, annusandola perfino come avrebbe fatto un animale. Kore si scansò infastidita. Ma la donna allungò un braccio fino a sfiorarle il ciuffo biondo con la punta delle dita ossute.
“Ma che vuoi?” Kore la allontanò con una spinta.
“Perdona Freda, non siamo ancora riusciti ad insegnarle le usanze del mondo di sopra.” disse il ragazzo, poi si rivolse all’anziana donna. “Andiamo, anche Marietta ti ha sempre detto che non è educato fissare”. Lei brontolò qualcosa che Kore non riuscì a comprendere e si allontanò.
Kore la seguì con lo sguardo, mentre si domandava chi fosse Marietta. Poi osservò il ragazzo e le sue labbra si piegarono in una smorfia. “E tu invece le conosci bene le nostre usanze, vero?” gli rinfacciò.
“Oh, certo, io so tutto su di voi: la televisione, la pubblicità: comprate il dentifricio al fluoro per denti bianchissimi!” gridò. “E poi lo smog, lo stress.” Rise. “Un posto interessante quello da cui vieni tu.”
Kore li fissò entrambi con gli occhi spalancati.
Il ragazzo parlava come se venisse da un altro pianeta. Eppure non era nemmeno straniero, si esprimeva in un buon italiano, forse migliore del suo. Tuttavia aveva uno strano accento che non riuscì a collegare a nessuna regione in particolare.
Kore mosse le labbra, ma per diversi secondi non articolò una sola parola. Quella situazione era talmente assurda che poteva essere solo un sogno, o uno scherzo architettato alla perfezione.
“Ma tu di dove sei? Sei italiano? Di dove?” sussurrò infine.
“Italiano? Sono di qui, vivo qui da quando sono nato. I miei genitori vivevano qui, e i miei nonni…” poi si colpì la fronte con la mano. “Ah! Per il mio accento? Abbiamo imparato il vostro dialetto dalle persone che sono arrivate qui da… sì, dall’Italia. E’ una buona cosa che abbiate iniziato a parlare tutti allo stesso modo. Secoli fa qui regnava una gran confusione. Per fortuna tua non sei finita nel regno di sale, quella gente parla la lingua più complicata che io abbia mai sentito, credo che fatichino a capirsi anche fra di loro.” rise. “Ma suppongo ci sia un collegamento fra il mondo della luce e questo regno notturno, qualcosa che ti trasporta nella città più vicina, infatti, prima di rifugiarsi tra queste gallerie, i miei antenati calpestavano la vostra stessa terra.” Spiegò esibendo due file di denti storti. “La grande Roma e Atene, e poi le piramidi.” disse accompagnando le sue parole con ampi gesti delle braccia.
“Beh, Roma e le piramidi non si trovano esattamente nello stesso posto.” brontolò Kore. “Fra poco mi dirai che sei una specie di faraone ammuffito?” continuò acida.
“Ammuffito? No, no, i miei progenitori credo fossero di una città che si chiamava Fiorenza. Ahimè, non ho radici tanto antiche, ma alcuni Discendenti sì, i loro avi erano davvero qui all’era delle piramidi.”
Kore continuò a fissarlo inebetita cercando di trovare una logica nelle sue parole. Aveva l’impressione di ascoltare il racconto di un film, una strana favola alla quale non voleva nemmeno prestare troppa attenzione. Continuò a guardarsi intorno, convincendo se stessa che un simile ambiente poteva trovarsi solo in un sogno. Presto quel luogo e il suo strano interlocutore sarebbero svaniti e lei si sarebbe ritrovata nella sua stanza da letto nella casa dei nonni a fissare l’orribile lampadario in vetro di Murano che pendeva dal soffitto.
Poi il giovane si voltò e le fece cenno con la mano, indicando una porta di fronte a loro.
“Andiamo, Guglielmo vorrà vederti.” La spinse verso l’altra stanza.
“Ah, io mi chiamo Ranuccio.” disse, mentre continuava a spingerla. “Così saprai chi dovrai ringraziare.”
“Ringraziare di avermi rapita?” sbottò lei, puntando i piedi. Di una cosa era certa, sia che fosse in un sogno o che nella realtà, odiava già quel ragazzo.
“No, di averti salvata.” la corresse lui aprendo la porta e facendosi da parte per farla passare. Lei sbuffò e si accinse ad attraversare la soglia.
Dall’interno provenivano le grida di un uomo.
“Dunque dobbiamo restarcene con le mani in mano? Silas potrebbe parlare, rivelare il nostro rifugio, tu…”
L’uomo si zittì immediatamente, appena si rese conto della presenza della ragazza.
Kore entrò nella stanza, se si poteva definire tale un locale scavato nella roccia come un pozzo circolare senza finestre e, apparentemente, senza soffitto, o comunque così alto da non essere visibile in quella poca luce. All’interno, scaffali, tavolo e persino le sedie erano ricavate nella pietra.
Alcuni erano finemente scolpiti con decorazioni che erano uno strano miscuglio di simboli medievali, egizi e di altre civiltà che non riuscì ad identificare, altri, invece, erano semplicemente modellati su sporgenze delle pareti. Il locale, piuttosto grande, era illuminato da alcuni bracieri. Il fumo di quei fuochi si innalzava risucchiato verso l’alto come se si trovassero all’interno di un enorme camino.
Nella stanza, c’erano diverse persone: un uomo piuttosto anziano, grassoccio, calvo e con una corta barbetta grigia. Camminava nervosamente avanti e indietro torcendosi le mani, mentre due ragazzi dai capelli biondissimi che dovevano avere all’incirca la sua età se ne stavano seduti in un angolo con lo sguardo perso nel vuoto. Accanto a loro, una donnina bassa, anche lei immobile, sembrava essere stata pietrificata. Era abbastanza giovane, con i capelli rossi arruffati, come Ranuccio indossava un pesante mantello nero. Ma ad attirare l’attenzione di Kore fu la persona in fondo alla stanza: un uomo alto e massiccio. Doveva essere quel Guglielmo di cui parlava la vecchia che li aveva accolti. Era vestito come se si trovasse ad una rievocazione storica medievale. Kore si aspettò che, da un momento all’altro afferrasse una torcia iniziando il suo numero da mangiafuoco. Ma lui se ne stava ritto, le braccia muscolose incrociate sul petto. Aveva gli occhi chiari, i capelli lunghi, castani striati di grigio e la barba. Ai fianchi portava diverse cinture, dalle quali pendevano dei pugnali di varie grandezze. Il volto era solcato da profonde cicatrici. Unica nota stonata era la sua carnagione bianchissima, insolita per quello che somigliava ad una sorta di rude guerriero.
Fissò per diversi minuti Kore, senza parlare, poi scosse la testa e, con uno scatto di rabbia, si avvicinò appoggiandosi al tavolo rotondo al centro della stanza che lo divideva dagli altri due. Sul ripiano erano posate delle mappe.
“Una femmina.” ruggì. “Un'altra dannata ragazzina.”
Kore sussultò, ma il ragazzo al suo fianco le posò la mano sulla spalla come per tranquillizzarla.
Dopo lo scatto iniziale, infatti, anche l’altro uomo sembrò calmarsi e tentò di metterla a suo agio in un modo piuttosto goffo.
Le fece cenno di accomodarsi.
Lei si sedette su uno sgabello di pietra. Il giovane che l’aveva accompagnata restò in piedi.
“Come ti chiami?” chiese secco.
Kore lo sfidò con lo sguardo, ma non rispose.
Allora lui, girando attorno al tavolo si avvicinò ulteriormente.
“Non ti ho trascinata io quaggiù, ragazzina.” soffiò chinandosi su di lei. “E’ stato un caso se tu e tuo fratello avete attraversato la soglia. Avrei preferito di gran lunga qualcun altro, ma la sorte evidentemente non è dalla mia parte.” Si sollevò e il suo sguardo ne percorse l’intera figura. “Nè dalla vostra, evidentemente.” Le labbra si piegarono in una smorfia di disgusto. “Purtroppo per te, qui si può entrare, ma è quasi impossibile uscire.”
“Dove mi trovo?” mormorò Kore.
Lui incrociò di nuovo le braccia, in silenzio, come se attendesse ancora la risposta alla sua precedente domanda prima di soddisfare la curiosità della ragazza.
“Kore, mi chiamo Kore Johnson.” sbottò infine lei.
“Bene Kore, sappi che ti trovi nella città di Lapidia, in un mondo sotterraneo chiuso e isolato da secoli.” disse lui ricambiandola per l’informazione.
“Ma io sono scesa solo di qualche metro, ero sotto al negozio di mio zio, lui dov’è?”
I tre uomini si scambiarono un’occhiata interrogativa.
Quello che aveva detto di chiamarsi Ranuccio sollevò le spalle.
“Io ho visto solo lei.” si giustificò.
“Suo zio non dev’essere passato.” concluse Guglielmo.
“Sì può sapere che succede? Passato? Che significa? Passato dove?” scattò lei.
“Puoi chiamarla magia se ti fa piacere.” La sua voce era carica di disprezzo. “Sei in un mondo magico, un mondo in cui si entra passando per delle soglie segrete. Ingressi che si aprono casualmente una volta ogni vent’anni e restano aperti per pochi istanti. Tu e tuo fratello, malauguratamente, ci siete finiti in mezzo.” Si allontanò voltandole le spalle. “Vostro zio non si è trovato sulla soglia mentre il passaggio era aperto, ed è rimasto dall’altra parte.”
“Ammesso che io creda a quest’assurdità, dov’è mio fratello? Perché, se anche lui ha attraversato questa… sì, insomma, la soglia, ora non è qui con me?”
“Tuo fratello è stato preso dai segugi.” disse senza guardarla.
“Cosa?” urlò la ragazza.
Allora l’altro marciò di nuovo verso di lei.
“Vedi, non tutti in questo mondo amano i visitatori.” il suo sguardo si posò sul gruppetto di sconosciuti.
“Visitatori? Io qui non ci volevo venire. Io voglio tornarmene a casa, io…” scattò Kore, ma prima che potesse alzarsi, lui si chinò perforandole pupille coi suoi occhi di ghiaccio. “E, soprattutto, non amano che si parli del mondo della luce.”
Lei lo fissò frastornata. “Cosa? Che significa ‘Mondo della luce’? Voi… allora davvero voi vivete qui?” la voce le si spezzò in gola, non riusciva a credere a ciò che la sua mente le stava suggerendo. Veramente quella gente poteva vivere senza mai vedere il sole?
Lui sembrò indovinare i suoi pensieri.
“Noi viviamo qui da secoli,” le disse con voce atona. “tentare di attraversare la soglia è proibito. Perciò tutti quelli come te che arrivano da questa parte vengono bloccati dai segugi. Tutti, tranne quelli che hanno il piacere di incontrare uno di noi.” Esplose in una fredda risata. “Ribelli, è così che ci definiscono.” Accennò al ragazzo che l’aveva condotta in quel luogo. Poi, tornò a fissarla come se attendesse una sua reazione, che, in effetti, non tardò ad arrivare.
“Oddio!” Gridò Kore portandosi le mani nei capelli. “Cosa… Cosa gli hanno fatto? Cosa è successo a Fabian?” Kore sentì una morsa improvvisa stringerle lo stomaco. L’idea che potesse essere accaduto qualcosa di grave a suo fratello era insopportabile. Per un attimo desiderò che lui non rispondesse, che tutto si fermasse.
“Ma non vedi che la stai spaventando? gridò il tipo grasso.
Guglielmo gli lanciò un’occhiata raggelante e poi tornò a rivolgersi alla ragazza. “A tuo fratello non è successo nulla, non gli faranno del male. Dimenticherà e starà meglio di te.”
‘Nulla’, quella parola risuonò nella mente di Kore come una liberazione, l’aria tornò a riempirle i polmoni e la speranza invase il suo cuore. Ma poi la mente registrò il resto della frase.
“Dimenticare? Ma cosa stai dicendo? Lui non dimenticherà mai.” Si alzò di scatto e si gettò sull’altro con rabbia. In lei si era scatenato un istinto di protezione e una forza che non credeva di avere. Si sentì all’improvviso disposta a tutto pur di salvare Fabian.
Ranuccio la bloccò.
“No, tu non capisci. Lo porteranno alla grotta del sonno e lì i suoi ricordi verranno cancellati. Succede a tutti.” disse.
“No, no, no!” Kore si gettò in ginocchio, scuotendo il capo in preda al panico.
“E’ l’unico modo.” continuò Guglielmo imperturbabile. “Da centinaia di anni la gente finisce qui sotto per caso. Solo diventando come noi, dimenticando il loro passato, possono sperare di sopravvivere.” Poi abbassò gli occhi. “Non ci si può rassegnare a vivere nell’oscurità, non per chi ha visto il sole. La vita qua sotto per loro sarebbe un inferno.” La sua voce tradiva un’infinita tristezza.
“Vivere nell’oscurità? Ma cosa…? Fabian non si rassegnerà mai, noi vogliamo andarcene da qui, io voglio tornare a casa mia.” urlò lei, fra le lacrime.
Di nuovo il più anziano intervenne cercando di consolarla. Si chinò al suo fianco posandole la mano grassoccia sulla spalla.
“Su, su, signorina, siamo tutti nella stessa situazione, vedrà che presto si risolverà tutto.”
La donnina nell’angolo emise un flebile gemito.
“Non dipende da lui, né da te.” disse Guglielmo gelido.
“Ed io? Io perché sono qui?” strillò e, scansando bruscamente la mano gentile dell’anziano sconosciuto, si rimise in piedi. “Cancellerete anche la mia memoria? E’ questo che volete farmi?”
Guglielmo la fissò intensamente. La luce della torcia si specchiò nei suoi occhi chiari che, per un attimo, sembrarono ardere di quella stessa fiamma.
“Solo se sarai tu a chiederlo.” Rispose, poi rivolse a Ranuccio uno sguardo d’ intesa.
Il giovane annuì e, poggiando le mani sulle spalle della ragazza, la spinse verso l’uscita.
Lei cercò di opporsi, voleva saperne di più, voleva capire.
“Ranuccio ti spiegherà tutto quello che devi sapere. Io ho già visto…” Guglielmo le rivolse un’occhiata carica di disprezzo. “…quello che non avrei voluto vedere.” La congedò.
“Andiamo,” le disse Ranuccio, prendendola per mano. “Ti mostrerò chi siamo.”
Lei si sottrasse stizzita al suo tocco, lui sorrise e la sorpassò per farle di nuovo da guida.
Ad un cenno di Guglielmo anche gli altri uscirono dalla stanza.
 
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33 replies since 16/11/2013, 00:07   270 views
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