Prigionieri della Terra

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Astry
view post Posted on 13/12/2013, 20:58 by: Astry




Cap. 6

Kore si ritrovò sola nella piccola stanza. Pianse e si sfogò.
Poi quando non ebbe più lacrime si alzò e, stropicciandosi gli occhi si avvicinò alla parete. Vide che vi erano state scavate delle piccole nicchie. Rabbrividì: quei buchi ricordavano i loculi di una catacomba, anche se in realtà erano semplici ripostigli stracolmi di roba vecchia.
L’insolita abitazione sembrava uscita da un museo. Oggetti di terracotta di svariate forme erano stipati nei ripiani. Tutto intorno era umido e annerito. Si chiese se gli abitanti di quella strana città avessero problemi alle ossa.
Poi il suo sguardo fu attirato da qualcosa che sembrava un foglietto. Era nascosto da una pila di piatti. Lo sfilò un po’ timorosa e scoprì che si trattava di una fotografia. Una tipica foto ricordo del circo; di quelle che tutti i genitori, prima o poi, fanno fare ai propri figli. Un tizio con la divisa da domatore, sosteneva una bambina a cavallo di un pony. Lei aveva i capelli lunghi e ricci di un bel castano dorato, e grandi occhi blu. La sua espressione preoccupata e concentrata la faceva sembrare più grande, anche se non doveva avere più di cinque anni.
“Potrei essere arrestata per quella, sai?”
Una voce alle spalle di Kore la fece sussultare.
Si voltò. Marietta era entrata di nuovo nella stanza e le sorrideva. Teneva in mano un vassoio con una ciotola e del pane. Dietro di lei, Ranuccio se ne stava appoggiato allo stipite con le braccia incrociate sul petto.
“L’avevo con me quando sono arrivata. Una fotografia in un mondo bloccato al medioevo,” sorrise. “Non ne troverai un’altra.” Continuò Marietta avvicinandosi.
Si lasciò cadere sul sedile di pietra e l’impatto con la superficie durissima le strappò una smorfia. “Come non troverai un sedile decente.” Sbuffò, appoggiando il portavivande sul tavolo o, piuttosto, sul ripiano scolpito tutto d’un pezzo nella roccia che fungeva da tavolo.
“Sì, ho notato: qui i mobili li fanno di pietra.”
“Beh, non hanno molta scelta. Da quando la porta è stata sigillata sono rimasti isolati. Non arriva più niente dal mondo esterno.”
“Trovare una sedia di legno qui è come avere un trono completamente ricoperto d’oro. Ce ne sono di molto antiche ma sono pochi a possederne.” Aggiunse Ranuccio. Il suo viso si era illuminato come se parlasse di una delle sette meraviglie del mondo.
“Ma non possono costruirne altre?” Domandò Kore, accomodandosi di fronte a Marietta.
Marietta la guardò come se avesse detto un’eresia e in effetti, era così.
“Per costruirne serve il legno.” Le fece notare con un sorriso, mentre la invitava a servirsi.
Kore si morse il labbro.
“Ma certo, il legno. Non esistono alberi sottoterra.” Mormorò, inzuppando il pane nella ciotola piena di quello che doveva essere latte; non osò chiedere di quale animale.
“Infatti qui non ci sono alberi.” continuò Ranuccio. “Non sai cosa darei per vederne uno. Ce ne sono nella Città del Sole, è da lì che ci arrivano cibo e vestiario, ma a noi non è permesso vederla. Pare che la sua bellezza riesca ad incantare gli uomini e a farli impazzire.”
Ranuccio aveva un’aria sognante.
Kore si voltò di scatto verso di lui.
“Voglio ritrovare mio fratello.” disse decisa ignorando le parole dell’altro. “Voi sapete dov’è?”
Ranuccio e Marietta si scambiarono uno sguardo incerto.
“L’avranno portato alla Grotta del Sonno.” Mormorò la donna.
Lui scosse il capo.
“Non c’è modo di arrivarci. Se scoprissero che ti abbiamo nascosta, finiremmo tutti nei guai.”
“Ci andrò da sola. Se non volete accompagnarmi.”
“No, tu non ti rendi conto. Questo non è un gioco. So come vanno le cose nel tuo mondo. Ma qui è molto diverso. La punizione per chi aiuta quelli come te è terribile.”
“Ha ragione.” Confermò Marietta. “Ranuccio, così come Guglielmo, qui sono considerati dei ribelli. E’ proibito cercare la soglia, è proibito persino parlarne, e, per evitare che la gente si faccia strane idee, tutti quelli che vengono dall’esterno vengono presi e i loro ricordi cancellati prima che possano contaminare con le loro storie di libertà gli abitanti di questo mondo.”
Si avvicinò all’ingresso della sua casa e guardò in basso, nel burrone dove le fiammelle delle torce dei minatori si muovevano in modo frenetico creando un insolito gioco luminoso..
“Molti di loro sono qui. Sono convinti di essere nati qui, non ricordano niente del loro passato, non sanno chi sono stati. Sanno solo chi sono ora.”
“E chi sono ora?” La voce di Kore era ridotta ad un soffio. Era chiaro che non aspettava nessuna risposta alla sua domanda.
Marietta non parlò, mentre gli occhi di Kore corsero a supplicare Ranuccio.
“Vedi, questo è un mondo ostile.” Iniziò a spiegare lui. “Non è stato creato per i Figli della Luce. Nessuno di noi, parlo di me, te, o Marietta potrebbe resistere per più di una settimana quaggiù. Quelli ai quali sono stati tramandati i segreti della magia sono temuti e rispettati, perché solo grazie a loro possiamo sopravvivere. Gli altri… i Figli del Sole, o chi non ha abbastanza potere per trovare il proprio posto in questa società è… Ecco puoi vederlo tu stessa.” Disse accennando agli uomini in fondo alla scarpata impegnati nel loro duro lavoro.
Era evidente che vivevano in condizioni di estrema povertà.
“E’ questo che succede a quelli come me? Lavorano come schiavi per un popolo di stregoni?”
“In realtà fanno l’unica cosa che sono in grado di fare per dare il loro contributo. Altrimenti sarebbero solo un peso in questo mondo. Qui non esisterebbe niente, non crescono piante, non sopravvivono animali e quelli che ci sono... beh, non sono del tutto addomesticati.” Fece una smorfia. “Non ci sarebbe né cibo, né vestiario, nulla. E’ solo la potenza della magia che permette a questa gente di sopravvivere. In cambio coloro che non ne conoscono i segreti svolgono le mansioni più umili. Cose che un Discendente non farebbe mai.”
“Discendenti?” domandò Kore piuttosto spazientita. “E’ da quando sono arrivata che sento parlare di questi Discendenti, ma discendenti di chi?”
Marietta si alzò, prese un'altra ciotola per sé e si versò un po’ di latte.
“I Discendenti sono quelli che vivono qui da molte generazioni,” Disse. “Sono, ecco...” Fissò per un attimo il liquido bianco che ondeggiava nella scodella, come se potesse trovarci le parole più adatte a spiegarsi. “Sono Maghi, discendono direttamente dai primi abitanti di questo mondo.” Poi un lampo le attraversò lo sguardo. “Ranuccio mi ha detto che hai conosciuto una di loro.”
Kore la fissò stupita. Poi rivolse un’occhiata interrogativa al ragazzo: se aveva visto un Discendente, di certo non doveva avere nulla di speciale.
Ripensò alle persone che aveva incontrato al suo arrivo: Bertone aveva detto di essere giunto lì dalla soglia, così come Lucia e Marietta. Forse Guglielmo?
No, lui non poteva essere un Discendente, Marietta l’aveva definito un ribelle, e inoltre non aveva affatto l’aspetto di un mago, anche se lei non aveva idea che aspetto potesse avere un mago.
Poi le sue labbra si piegarono in una smorfia disgustata, e un brivido le percorse la schiena, mentre il volto incartapecorito della donna che li aveva accolti compariva nella sua mente.
“Freda?” disse con un fremito nella voce, intanto che il suo cervello affiancava al viso della vecchia, centinaia di altri volti che l’avevano accompagnata fin da bambina. Volti disegnati nei libri di favole, figure nere e raggrinzite di streghe, fattucchiere, accanto ai loro calderoni fumanti.
Marietta annuì e sorrise.
“Freda è una maga molto potente, le ho visto fare cose eccezionali da quando sono arrivata in questo mondo.”
Kore appoggiò con i gomiti al tavolo e si afferrò i capelli.
“E’ assurdo, insomma, lo capite che è assurdo?” Gridò. “Sono finita in un libro, no, peggio, sono finita in qualche orrendo incubo, come quelli che avevo da piccola?”
Marietta le si avvicinò. “Cara, non devi…”
“Cosa non devo? Non devo preoccuparmi? Non devo prendermela?” Urlò l’altra. “Non so dove è finito mio fratello, non so dove mi trovo. Da quando sono arrivata ho sentito solo chiacchiere. Sono finita in un mondo di maghi. Hanno cancellato la memoria a mio fratello e lo hanno portato chissà dove. Non sapete come uscire di qui. Gli schiavi… I maghi… Quali maghi? Finora ho visto un matto che sembrava appena uscito da un circo, una vecchia rattrappita e un mucchio di gente che lavora per non so chi.” Tutta la tensione accumulata scivolò fuori dalle sue labbra con una violenza che la ragazza non credeva neppure di possedere. Si ritrovò ansimante a fissare Marietta che la guardava a sua volta con le labbra serrate e un’espressione di sconfortata indulgenza stampata sul viso.
Un sospiro sfuggì dalle labbra di Kore che si alzò e fece qualche passo nervoso attorno al tavolo, come avrebbe fatto un animale in gabbia. Poi si sedette di nuovo, posò entrambe le mani sulla lastra di pietra che fungeva da ripiano e fissò Ranuccio con ritrovata determinazione.
“D’accordo,” disse decisa. “Se è un sogno, domani mi sveglierò e non sarà successo niente, ma se non lo è, voglio sapere tutto di questo posto, ogni particolare.”
Marietta le posò una mano sulla spalla.
“Forse dovresti aspettare domani, ora sei stanca.”
“No!” Kore scansò bruscamente la mano di Marietta. “Ora mi direte cos’è questo posto orrendo e per quale assurda ragione un mago o chiunque altro sceglierebbe di vivere sepolto qua sotto?
“Sepolti?” Ranuccio sospirò. “Sepolti.” ripeté con un filo di voce, poi si accomodò sul sedile di pietra, e prese ancora un profondo respiro accingendosi a raccontare una lunga storia.
“Non era così che doveva andare.” scosse il capo. “Il mondo sotterraneo doveva essere per privilegiati. I nostri antenati in un certo senso erano stati ammessi ad un Paradiso.”
Kore stava per obiettare che il luogo in cui si trovavano non somigliava affatto al Paradiso, ma Ranuccio seguitò.
“Creature eccezionali plasmarono, millenni or sono, un mondo segreto, un regno capovolto, perfetto e bellissimo.
Non erano maghi e nemmeno uomini, non come noi. Erano esseri dotati di poteri straordinari, in grado di controllare la natura e persino il tempo.”
Lo sguardo della ragazza si spostò incerto da Ranuccio a Marietta, la sua ospite annuiva. I loro occhi si incrociarono e la donna, con un cenno del capo, la invitò a seguire con attenzione Ranuccio che intanto continuava il suo racconto:
“Prima di rifugiarsi sotto terra vivevano alla luce del sole ed erano adorati e temuti dagli uomini. Dei, Demoni, in qualunque modo i popoli di ogni razza e lingua avessero deciso di chiamarli, loro ne avevano guidato l’esistenza dall’inizio dei tempi. Poi abbandonarono la superficie e del loro immenso potere non rimase che un pallido ricordo fra i figli della luce; un ricordo tramandato da generazioni di maghi, sacerdoti iniziati agli antichi misteri, studiosi, alchimisti, chiromanti, veggenti e chiunque avesse delle doti fuori dal comune.”
Ranuccio parlava con calma e sicurezza, come se avesse ripetuto quella favola centinaia di volte, o l’avesse udita raccontare da qualcun altro. Una storia tramandata da secoli, forse trasformata, intessuta di bugie e mezze verità. Ed ora lui, stava rievocando abilmente quel lontano passato, come avrebbe fatto un bravo attore di strada, di quelli che raccontano le loro fiabe seduti su un marciapiede davanti ad un pubblico incantato di bambini.
Nell’udire le sue parole le labbra della ragazza assunsero via via le pieghe più insolite, e la sua espressione passò dallo stupore, all’incredulità e persino alla rabbia.
“A loro gli Dei avevano svelato il segreto per raggiungere il loro regno.” continuò il giovane. “Molti maghi varcarono la soglia e non tornarono più in superficie. I loro figli nacquero nelle città sotterranee, e così, per generazioni, i loro poteri crebbero ed essi divennero sempre più simili gli Dei che servivano. Altri, invece decisero di vivere a cavallo dei due mondi: erano in grado di attraversare la soglia a loro piacimento e usarono il sapere acquisito per guidare, curare e istruire i figli della luce.”
“Ma ora non ne sono più capaci? Perché, se ci sono ancora Maghi qui, non possono attraversare la Soglia?” lo interruppe Kore speranzosa.
“Perché il passaggio è stato sigillato; gli Dei hanno voluto così. In realtà l’hanno fatto per proteggere i Maghi, per salvarli.”
Kore fissò il ragazzo con gli occhi spalancati.
Lui afferrò un pezzo di pane e lo inzuppò nella ciotola di latte.
“Permetti, vero?” chiese, mentre già il cibo gli riempiva la bocca e poi, senza preoccuparsi di inghiottire, prosegui il suo racconto.
“Secoli fa,” si grattò la testa pensieroso. “Sì, più di mille anni, credo, quando i Figli del Sole cominciarono a temere la magia, coloro che la praticavano, stregoni, ma anche studiosi furono costretti a nascondersi. Molti vennero uccisi, e l’antico sapere fu cancellato e dimenticato nei roghi delle biblioteche.
Il sottosuolo divenne l’unico rifugio sicuro per coloro che erano dotati di capacità magiche.
Per proteggere loro e se stessi, gli Dei proibirono ogni contatto con il popolo della superficie.
“Ma… Non capisco.” Kore si portò l’indice sulle labbra, mordicchiandolo nervosamente. Un gesto che faceva spesso quando aveva bisogno di concentrarsi. “Più di mille anni?” Ripeté quasi a se stessa. “Come è possibile? La pratica della magia non è scomparsa, la caccia alle streghe non è avvenuta mille anni fa, ma è molto più recente, persino oggi è pieno di…” fece una smorfia. “…Maghi o roba simile.”
“Già, è quella ‘roba simile’ che ci ha portato a questo punto.” sbuffò Ranuccio.
“Vedi, quando parlo di Maghi non mi riferisco ai tizi che dicono di saper leggere il futuro giocando con un paio di carte o a quelli che, mettendo strani intrugli nelle bevande, pensano di poter far innamorare la gente, o farla diventare ricca e altre stupidaggini del genere. No, io parlo di vero Potere come quello di riuscire a mantenere in piedi un mondo come questo.” Fece un amplio gesto delle braccia per indicare quel luogo.
“Quando gli ingressi furono chiusi e i Maghi decisero di restare nel mondo sotterraneo…”
“Restare qui?” Kore lo interruppe di nuovo: non capiva come si potesse scegliere di vivere in un posto simile pur di non rinunciare alla magia.
“No, non qui.” Si affrettò a precisare l’altro. “Il regno di cui parlo si trovava in regioni molto più profonde di queste. Qui abbiamo molti racconti: si dice che quel posto fosse magnifico, era davvero un Paradiso… Ed ora fammi finire!” Si lasciò sfuggire un sospiro cercando di riprendere il filo del discorso.
“Ecco, dicevo: fra coloro che vennero a vivere nel sottosuolo non c’erano solo stregoni: altri si erano uniti al popolo dei prescelti, esattamente quel tipo di Maghi o ‘roba simile’ che non avrebbero mai dovuto venire qui. In qualche modo riuscirono ad entrare, grazie allo studio di antichi testi, e nonostante le loro mediocri capacità. Alcuni spinti dalla curiosità, altri in cerca di illuminazione, riuscirono a raggiungere il Regno degli Dei, ma in molti di loro il potere era, appunto, così debole che non potevano neppure definirsi Maghi.
Contaminarono col loro sangue il popolo dei prescelti, la conoscenza andò perduta e così quella gente non venne più ritenuta degna di restare nel Paradiso.
Furono scacciati quasi tutti, ma non poterono ritornare in superficie perché gli ingressi non furono riaperti. Così rimasero intrappolati per generazioni in questo limbo oscuro fatto di grotte, cunicoli, fiumi di lava. A metà tra il Paradiso e il mondo degli uomini.
Qui, in questo luogo inospitale sopravviviamo da secoli proprio grazie ai Discendenti, uomini nel cui sangue scorre ancora l’antico potere dei primi abitanti, e che hanno la capacità di ricreare, almeno in parte, l’energia vitale del sole, far crescere il grano nell’oscurità, far germogliare fiori e maturare la frutta.
“Quasi tutti?” Ripetè Kore “Hai detto che furono cacciati ‘quasi tutti’, vuol dire che qualcuno di loro vive ancora nel…” arricciò le labbra, incerta. “… Paradiso?”
“Ecco ci sono quelli che chiamano Sapienti. Le leggende dicono che siano ancora in grado di raggiungere il regno degli Dei o almeno possano comunicare con loro. Vivono isolati in luoghi inaccessibili. Pare che siano potentissimi e che conoscano il segreto dei passaggi per il mondo della luce, ma nessuno li ha mai visti, o dovrei dire ‘quasi nessuno’, sembra, infatti, che in alcune occasioni si siano mostrati a dei membri del consiglio, influenzando certe loro decisioni.”
“Insomma non si fanno vedere, ma dettano legge in questo mondo.” Mugugnò Kore.
Ranuccio aggrottò la fronte.
“In un certo senso sono sempre gli Dei che comandano qui, ed ora lo fanno attraverso i Sapienti.” Continuò. “E poi… Sì, poi ci sono ci sono i Discendenti, nemmeno loro furono cacciati, scelsero di vivere con i loro simili. Dovremmo essere loro grati: se non lo avessero fatto, nessuno degli esclusi sarebbe sopravvissuto in questo posto. Loro li hanno salvati condannando se stessi e i loro figli all’oscurità. Una scelta terribile dalla quale non sarebbero più potuti tornare indietro.”
“Si sono sacrificati per un popolo che ora riducono in schiavitù?”
Ranuccio scosse il capo.
“Kore, io sono un ribelle, sto lottando per liberare gli schiavi,” spiegò amabile. “… Ma non incolpo i Discendenti di questa situazione. Ogni uomo o donna che arriva dalla soglia costituisce una minaccia, una possibilità in più che il sangue dei maghi possa mischiarsi al nuovo sangue. Il giorno in cui questi uomini saranno considerati loro pari, la magia sparirà dal nostro mondo e con essa la vita.
“Ranuccio ha ragione.” S’intromise Marietta. “E’ una legge dura, ma è inevitabile. Il Consiglio a volte è costretto ad essere spietato. Stiamo parlando di sopravvivenza. I Discendenti si sono divisi in base alle loro capacità: i veggenti, gli alchimisti, i guaritori, i segugi. Alcuni sono più potenti di altri, ma collaborano per restare in vita nell’oscurità. Il giorno i cui il loro potere magico sparirà del tutto, sanno che la loro civiltà è destinata ad estinguersi. Per questo motivo hanno paura di noi: finché restiamo un popolo di schiavi non costituiamo un pericolo, ma se i figli del sole dovessero ricordare da dove vengono potrebbero ribellarsi, e sarebbe la fine.”
“Già, ma senza maghi morirebbero anche loro, per questo nessuno si ribellerà finché non riusciranno a trovare la soglia segreta.” considerò Kore.
“Esatto”. Ranuccio mimò un inchino. “infatti noi siamo qui per questo.”
Marietta sorrise.
“E tu? Tu sei un mago?” domandò la ragazza.
Una nube oscurò il volto di Ranuccio.
“Mio padre lo era. Mia madre è nata qui, ma i suoi antenati erano figli della luce. Mio padre ha pagato a caro prezzo l’aver contaminato il sangue dei Discendenti.
Io non ho mai potuto conoscere i suoi segreti. Ero troppo piccolo quando è morto.”
Si alzò e si allontanò dando le spalle alle due donne.
Ci fu un lungo silenziò poi Ranuccio seguitò in un tono di voce più allegro. “Ma ho sempre sognato di vedere il sole.” rise. “Dev’essere il sangue di mia madre. Per quello mi sono unito a Guglielmo. Un giorno varcheremo insieme la soglia ed io diventerò il re del mondo della luce.” gongolò orgoglioso.
“Certo, ti faranno re della pizza.” sbuffò lei. Poi, pensierosa, si passò di nuovo un dito sulle labbra.
“Tuo padre è stato punito per essersi innamorato di tua madre?”
Lui annuì. Ci fu ancora silenzio.
“Andiamo, sarà meglio che ti riposi un po’.” Marietta si intromise e, posando una mano sulla spalla della ragazza, la guidò verso alcuni scalini.
Immettevano in un altro vano dove c’era qualcosa che somigliava ad un letto. Un ripiano coperto di una sostanza soffice che Kore non provò nemmeno ad identificare.
“Non voglio dormire, voglio sapere tutto, voglio sapere come andare a riprendermi mio fratello.”
“Dovrai riposarti, potrebbe passare molto tempo prima che tu riesca a rivedere tuo fratello.”
Kore si sedette sul letto, era comodo. Guardò Marietta.
“Credi che lo rivedrò?”
“Certo che lo rivedrai. Presto anche lui sarà portato qui nella cava.”
“A lavorare come tutti gli altri?”
Marietta si morse il labbro.
“Non si ricorderà più chi sono.” Mormorò Kore con voce incrinata.
L’altra allora si avvicinò sedendosi sul giaciglio accanto alla sua ospite.
“Una leggenda dice che coloro che vengono dal mondo della luce, ricorderanno appena il sole illuminerà di nuovo il loro viso.” L’abbracciò. “Ora dormi.”



Cap. 7



Aprì faticosamente gli occhi. Sentiva le palpebre pesanti, era come avere la febbre, ma non ricordava di essere stato male. In effetti, non rimembrava nulla di quello che era successo negli ultimi giorni. L’unica cosa che ricordava erano occhi che lo fissavano in modo strano, occhi scuri. Uno sguardo privo di luce, eppure tanto penetrante da essere quasi doloroso. Un uomo, il suo volto pallido. Una voce che pronunciava parole senza senso, come una serie di sillabe che parevano intrecciarsi in una spirale infinita che emergeva dal nulla assoluto. Il nulla della sua mente.
Ricordava una terribile sensazione di vuoto e ricordava che all’udire quelle parole si era attenuata.
Quella voce era come acqua per un assetato. Aveva bevuto avido ogni sillaba e poi una serie di immagini erano giunte a colmare il vuoto: il viso di una donna, una casa, la sua casa, miniere, infinite gallerie immerse in un insolito chiarore.
Sì stropicciò gli occhi con i pugni e cercò di mettere a fuoco la stanza in cui si trovava. Doveva aver sognato.
Si sollevò dal giaciglio in cui era disteso, era poco più di un pagliericcio, un sacco di stoffa grezza imbottito alla meglio. Era il suo letto.
Si guardò attorno, osservò la camera, un locale scavato direttamente nella pietra. Le pareti non avevano una forma ben definita.
Ebbe la strana impressione di non appartenere a quel luogo, eppure lo conosceva, doveva conoscerlo, era la sua casa. Lì era nato, e fuori da quella stanza c’era sua madre, probabilmente intenta a preparare il pranzo.
Chinò lo sguardo e osservò con curiosità il camicione grigio che indossava. Aveva dei lacci nella parte superiore e delle grossolane cuciture in evidenza sulle maniche e sui lati. Era troppo largo per lui e, abbinato alla sua carnagione chiarissima, lo faceva sembrare magro e malaticcio, e molto più piccolo della sua età.
Si alzò e, nel momento in cui toccò il pavimento gelido, rabbrividì.
Si guardò attorno, era certo di dover mettere qualcosa ai piedi, ma non ricordava esattamente cosa. Lì, vicino al letto c’erano delle calzature fatte di stringhe intrecciate. Le infilò e le sue labbra si piegarono in una smorfia, mentre tentava senza successo di adattarne la forma al suo piede.
Rassegnato fece qualche passo poco convinto.
La pietra era decisamente fredda e umida, per nulla piacevole, e quelle strane suole erano meglio di niente.
Provò a saltellare come un bimbo ai suoi primi passi che sperimenta la sensazione del terreno sotto i piedi, ma un capogiro lo costrinse ad appoggiarsi al muro. Ormai era sempre più convinto di essere stato malato, anche se non se ne ricordava.
Si trascinò fino all’ingresso e sbirciò attraverso la tenda lacera che lo separava dal locale attiguo e, in effetti, vide una donna affaccendata attorno ad una specie di forno.
“Mamma!” quella parola gli scivolò dalle labbra come un soffio.
La donna si voltò. Aveva un aspetto duro e i lineamenti irrigiditi in una smorfia che era un misto di severità e disgusto.
“Era ora.” Grugnì. “Tuo padre ti sta aspettando, devi aiutarlo a sistemare il carretto.”
Lui la fissò inebetito, c’era qualcosa di tremendamente stonato in quella situazione che gli era familiare, ma in modo insolito, come se la donna che gli stava di fronte fosse la materializzazione del sogno che aveva appena fatto.
“Mamma!” pigolò di nuovo.
“Ma sei sordo o stupido?” gridò l’altra, “Ti ho detto di muoverti, o preferisci che venga tuo padre a prenderti per i capelli?”
Il ragazzino rabbrividì. Si precipitò verso il letto e si sporse al di sopra di quello per afferrare il mantello che pendeva da un chiodo nella parete. Lo guardò per un attimo chiedendosi se lo avesse mai indossato prima, poi scosse il capo e, gettandoselo sulle spalle, puntò dritto verso l’uscita.
Scese rapidamente una ventina di scalini.
Non era sicuro di dove l’avrebbero portato, ma sapeva che quella era la strada giusta.
La sua casa era stata costruita con grossi sassi squadrati su uno spuntone roccioso in mezzo ad una pianura. In lontananza si vedeva un grande cratere, al centro del quale la città di pietra si innalzava come un pilastro, una gigantesca colonna traforata, più stretta alla base. Pareva sostenere a stento la volta, come un cielo nero che incombeva su ogni cosa, minaccioso e soffocante.
Si fermò ad osservarla: la città era circondata da una fitta nebbia che, riflettendo il chiarore verdastro del sole, le donava un aspetto sinistro e irreale.
Alle sue spalle, dietro la piccola casa, si snodava la grande via delle carovane, costeggiata, a sinistra, dalla catena delle Dodici Dita e, a destra, dal mare dei cristalli. All’orizzonte sulla fitta distesa di stalagmiti della foresta pietrificata si levavano maestose le mura della Città del Sole. Era da lì che la luce si irradiava in tutto il mondo sotterraneo. Era costruita su un altura perciò era visibile anche da grande distanza.
Quella città era un luogo proibito per quelli della sua casta. Solo ai Discendenti era permesso abitare all’interno della fortificazione. Ma lui l’aveva visitata assieme a suo padre, almeno, doveva essere così, visto che ricordava di aver visto l’interno, ricordava di aver visto il sole.
Suo padre era un fabbro e gli artigiani in città erano molto richiesti e apprezzati, e, nonostante il suo fosse un lavoro duro, gli permetteva di offrire alla propria famiglia una vita dignitosa, lontano dalle miniere.
Giunto in fondo alla scala il ragazzo si guardò attorno, poi, lasciandosi guidare dal forte rumore metallico, raggiunse un uomo tozzo e muscoloso che si affannava per raddrizzare la ruota di un piccolo carretto di ferro a colpi di martello. Il frastuono provocato dalle martellate era davvero fastidioso, i colpi amplificati dalle pareti in quello che assomigliava ad un laboratorio artigiano gli arrivavano fin nelle ossa rimbombandogli nella testa e nel petto.
Strinse i denti e non disse nulla, mentre lo sguardo passava in rassegna gli oggetti di metallo di varie forme appesi alle pareti. Oggetti di uso quotidiano, come pentole e attrezzi, ma anche armi e armature.
Poi suo padre sollevò lo sguardo. Lo studiò come se stesse tentando di pesarlo con gli occhi, o forse di misurare la sua forza.
Le labbra dell’uomo si arricciarono in maniera inquietante e un brontolio di disapprovazione sfuggì dalla sua gola.
Era evidente che quel ragazzino smilzo non era la persona che avrebbe voluto come aiutante. Ma era suo figlio, almeno lui era certo di questo. La mente gli diceva che era così, eppure non riuscì a non provare uno strano senso di repulsione quando il massiccio individuo gli si avvicinò porgendogli un pesante martello.
“Qui, vedi come convergono le ruote?” Disse indicando i due grossi cerchi di ferro arrugginito. “Le voglio sistemate prima di pranzo.” ordinò.
Un’espressione pericolosamente in bilico fra incredulità e rabbia si disegnò sul volto del ragazzo, ma il buonsenso gli suggerì che non era il caso di discutere con quell’uomo. Afferrò l’attrezzo che l’altro gli porgeva. Era pesante, tanto che il braccio cedette sotto quel carico e lui fu costretto ad usare entrambe le mani per evitare di colpirsi il ginocchio col martello. Tuttavia senza lamentarsi si accinse ad eseguire il suo compito.

***

Amauròs richiuse con poco garbo la porta dietro di sé e si avviò con sicurezza verso l’antico sedile. Vi si lasciò cadere distrattamente, abbandonò il capo all’indietro e chiuse gli occhi.
Diego, che si trovava nella stanza della fonte in fondo alla casa, nel sentir rientrare il suo padrone, si precipitò ad accoglierlo, ma, quando lo vide rilassato sulla sedia, si bloccò e lo fissò in silenzio, incerto se fargli notare la sua presenza o lasciarlo riposare indisturbato.
Fu l’altro a scioglierlo dallo scomodo dilemma.
“L’hai vista?” domandò cupo, senza sollevare il capo o aprire gli occhi del resto completamente inutili.
“Ho visto una ragazza, e poi ho usato l’amuleto per trascinarmi dietro i Segugi, come mi hai insegnato.” rispose il vecchio servitore, mentre la mano correva a stringere il medaglione con incastonata una pietra verde che gli pendeva dal collo rugoso.
“Non era sola.” Continuò l’altro.
Diego si morse il labbro con fare colpevole.
“Mi dispiace, non sono arrivato in tempo per l’altro: gli è praticamente piombato fra le braccia. Lo hanno portato alla Grotta?”
Amauròs annuì.
“La ragazza che hai protetto è sua sorella, lui gridava il suo nome prima di…” la voce si spense in un sospiro.
Ci fu un lungo silenzio, poi il mago si alzò e fece qualche passo avvicinandosi a Diego.
“Sai, il consiglio era convinto che sarebbe stato meglio per tutti se il bambino fosse morto. Un peso inutile l’hanno definito, ed io, per una volta, concordavo con loro.”
“Ma, padrone…” Diego lo fissò con le labbra spalancate.
Amauròs scrollò il capo.
“E’ merito di Freda se ora il fabbro avrà una bocca in più da sfamare, e un ragazzino inconsapevole vivrà una vita che io ho costruito nella sua mente.” Porse il braccio al servitore che lo guidò alla propria spalla.
Non si mossero. Amauròs sembrava voler riordinare le idee. Chinò il capo e socchiuse gli occhi.
D’improvviso un soffio gli uscì dalle labbra:
“Fabian…” il nome del bambino sembrò materializzarsi nell’aria, come se un pensiero fosse sfuggito alla sua mente diventando suono. Il mago parve assaporarlo. Era un nome insolito per quel mondo. Un nome che non avrebbe mai più sentito pronunciare. Ora il ragazzino ne aveva uno più adatto. Un nome che non destasse sospetti.
Si morse il labbro e, con un gesto stizzito, si passò la mano nei capelli.
Era stato lui a suggerire il nuovo nome alla sua mente, e, assieme a quello, gli aveva dato dei nuovi ricordi.
Il consiglio gli aveva chiesto di farlo e lui aveva obbedito. Era ciò che faceva da molti, troppi anni: obbedire.
Diego preoccupato si voltò e lo fissò dal basso in alto, torcendo il capo come uno strano uccello notturno; l’età aveva curvato le sue spalle tanto da costringerlo ad assumere l’insolita posizione ogni volta che guadava in viso il suo padrone. Amauròs parve percepire la sua vicinanza e un sorriso storto gli piegò le labbra.
“Da oggi quel bambino ricorderà un passato inesistente. Chiamerà padre uno sconosciuto e madre una donna sterile. E tutto questo perché a quella vecchia donna si è rammollito il cuore.” Si passò di nuovo la mano sul volto, un gesto nervoso. “Le sue simpatie per i figli del sole ci porteranno alla rovina.” Sbuffò e accennò col capo verso la stanza accanto perché Diego lo accompagnasse. Era in grado di raggiungerla da solo, ma preferiva spesso affidarsi all’altro: la presenza del vecchio lo faceva sentire bene.
“Le tue simpatie per i figli del sole mi hanno salvato la vita, padrone.” ribatté amabile Diego, mentre s’incamminava lentamente.
Amauròs sollevò lo sguardo vuoto verso l’altro e poi scosse il capo.
“Le mie simpatie ti hanno strappato alla tua famiglia, Diego. Non dimenticarlo.” rispose freddo.
Diego non ribatté e Amauròs gliene fu grato. Non voleva parlare del suo passato, aveva cercato in tutti i modi di cancellarlo, aveva persino cambiato nome. Sì, anche lui aveva dovuto cancellare una parte di sé, eppure di alcuni di quei ricordi non avrebbe mai potuto fare a meno. Il volto dell’unica donna che avesse mai amato era sempre là, vivido nella sua memoria come nell’ultimo giorno in cui l’aveva vista. Era un’immagine luminosa che si stagliava rassicurante tra lui e il buio assoluto. Non avrebbe permesso a nessuno di portargliela via.
“Non capisco perché il Consiglio abbia chiesto a me di condizionare la sua mente. Qualunque altro Discendente avrebbe potuto farlo, Freda per prima,” continuò stizzito.
Lo avevano convocato giorni prima. Geber, un suo vecchio amico d’infanzia, ora membro stimato del consiglio, aveva bussato alla sua porta, chiedendogli di seguirlo. Non era stato difficile immaginarne la ragione, anche se l’uomo non gli aveva dato spiegazioni. “Il consiglio si è riunito.” era stato tutto quello che gli aveva detto.
Giunto alla sala della riunione, infatti, aveva trovato sedici dei diciotto membri che discutevano animatamente: il nuovo arrivato non era quello che si aspettavano.
Un ragazzino era una questione delicata. Nonostante secoli di prigionia in quel mondo oscuro, il loro cinismo non arrivava al punto di cancellare la memoria di un bambino e gettarlo fra gli schiavi senza preoccuparsi di fornirgli i mezzi per sopravvivere.
Per anni la grotta del sonno si era rivelata molto utile ai loro scopi, l’unico modo per preservare il segreto sul mondo della luce. Nessuno doveva sapere della sua esistenza, o perlomeno dovevano crederlo un luogo inaccessibile. Gli schiavi dovevano essere convinti di essere nati li, e il mito della terra luminosa doveva restare tale: una leggenda, una bugia raccontata dai ribelli, pazzi sognatori nonché uomini pericolosi che, per inseguire la loro follia, avevano causato la morte di centinaia di persone.
I Discendenti oltre ai ribelli erano gli unici a sapere la verità sulla grotta e sulle vere origini del popolo degli schiavi, ma erano convinti che il giorno in cui qualcuno fosse riuscito ad attraversare la soglia per tornare nel mondo della luce, una grande catastrofe li avrebbe travolti distruggendo il loro popolo.
La discussione aveva proseguito per diverse ore dopo che Amauros e Geber si erano uniti al consiglio.
Gourias, uno dei più anziani e potenti maghi della città, aveva quasi convinto i presenti che abbandonare il bambino nella Grotta del Sonno sarebbe stata la soluzione migliore per tutti, come se quel luogo di oblio potesse poi cancellare il ricordo del loro terribile crimine. Ma Freda non si era arresa, con l’autorità donatale dall’età, si era imposta su tutti, proponendo la sua soluzione: Fabian avrebbe avuto una famiglia, il fabbro aveva bisogno di aiuto nel suo laboratorio, inoltre, lui e sua moglie vivevano abbastanza lontano dalla cava e avrebbero potuto crescere il bambino in tutta segretezza. Nessuno avrebbe fatto domande, o si sarebbe fermato a chiacchierare con lui, notando così il suo spiccato accento straniero. Nessuno insomma avrebbe scoperto che quel ragazzino biondo non era davvero il figlio del fabbro.
La soluzione era semplice, non restava che un problema da risolvere: una volta che la Grotta del Sonno gli avesse cancellato i ricordi, bisognava dargliene di nuovi.
Amauròs, che fino a quel momento si era tenuto in disparte evitando di schierarsi, era stato chiamato in causa dalla stessa Freda. La vecchia maga non aveva esitato ad indicare lui come quello che avrebbe dovuto manipolargli la mente. Lo aveva incastrato intrappolandolo in una rete intessuta di lodi. Aveva vantato le sue capacità e la sua approfondita conoscenza delle usanze dei figli del sole e del loro mondo, il che lo rendeva, ai suoi occhi, ed, evidentemente, a quelli del consiglio, la persona più adatta all’ingrato compito.
Amauròs aveva tentato in tutti modi di trovare una scusa per rifiutare, ma alla fine non aveva potuto tirarsi indietro. La seduta del consiglio era stata sciolta e lui era stato accompagnato alla Grotta assieme ad un gruppo di guardie e al bambino.
Fabian, che non doveva avere più di dodici anni, continuava a piangere e a chiedere di sua sorella, anche quando, giunto all’ingresso della grotta, l’avevano costretto a scendere all’interno.
Amauròs non aveva mai visitato quella caverna, ma sapeva che nella parte più profonda esistevano una serie di pozzi stretti.
Non erano formazioni naturali, erano stati scavati da una pericolosa e gigantesca creatura che vi nascondeva le sue uova, fino alla schiusa.
Una volta abbandonati, all’interno dei nidi restava qualcosa, un’ energia capace di far cadere quelli che vi si trovavano in una specie di torpore.
Lui e le guardie avevano dovuto attendere tutta la notte, sufficientemente lontani dai pozzi da non subirne l’influsso, ma non abbastanza per non essere tormentati dalle urla disperate di Fabian. C’erano volute parecchie ore perché le grida del ragazzino si quietassero e il sonno avesse la meglio sulla sua paura. Un sonno che gli avrebbe strappato ogni ricordo, lasciandolo vuoto e disorientato.
“L’ho visto, sai?” disse d’improvviso Amauròs, accomodandosi sulla sua sedia preferita, di fronte alla fonte magica. Sui braccioli erano scolpite delle teste di leoni, creature che nel suo mondo consideravano leggendarie. Vi appoggiò le mani seguendone la forma con le dita sottili.
“Visto cosa?” lo interrogò Diego.
“Il sole, l’ho visto nella sua mente. La Grotta non è riuscita a cancellare del tutto quel ricordo. Era bellissimo,” le sue labbra si piegarono in un lieve sorriso che però fu subito oscurato. “Ma lui ora crederà che sia solo un frutto della sua immaginazione.”
“Padrone, non tormentarti, è stato necessario, dovevate affidarlo a qualcuno: un ragazzino così piccolo non avrebbe potuto sopravvivere da solo, e qualcuno doveva pur farlo.”
“Non è questo il punto.” sbottò. “Ho riempito di bugie la testa di quel bambino. Era indispensabile dargli dei ricordi per permettergli di adattarsi alla sua nuova vita senza traumi, ma non è piacevole entrare in una mente svuotata, non lo è affatto. A volte mi chiedo se valga la pena vivere privati dei propri ricordi.”
“Ne avrà di nuovi, si adatterà.”
“Diego, noi siamo il frutto del nostro passato. Cosa resta di un uomo quando gli strappi le sue origini?”
“Gli resta la vita.” Insisté l’altro.
Amauròs scosse il capo come se fosse stato punto da un insetto.
“I miei ricordi sono la mia vita, per quanto dolorosi, io non vorrei mai che qualcuno me li portasse via per sostituirli con una menzogna.” Era così: sarebbe morto piuttosto che rinunciare al volto di lei, all’unica luce della sua esistenza.
Poi un’improvvisa consapevolezza si fece strada nella sua mente e una ruga gli si disegnò sulla fronte. “Credo che il consiglio ancora non si fidi di me. Immagino che abbiano voluto ricordarmi che la Grotta del Sonno avrebbe dovuto essere la mia condanna se solo non avessero avuto bisogno delle mie conoscenze per i loro scopi.”
“Dopo tutto questo tempo e dopo tutto quello che hai fatto per loro?”
“I membri del consiglio conoscono la leggenda, sanno che una ragazza venuta dalla luce riuscirà a tornare indietro. Tutto lascia pensare che ciò debba avvenire quest’anno.”
“Ma loro non sanno che ad attraversare la porta sono stati in due, loro hanno visto solo il bambino.” Azzardò Diego.
Amauròs s’incupì.
“Il bambino stesso ha rivelato la presenza della sorella. Gridando il suo nome non ha fatto altro che confermare i loro sospetti. Sanno che gli uomini di Guglielmo hanno la ragazza. La cercheranno. Ma soprattutto ora temono che qualche Discendente si unisca ai ribelli come è già accaduto.”
“Sospettano di te, padrone?”
“Dubitano di chiunque abbia avuto a che fare coi ribelli in passato. Il fatto di essere un membro del consiglio non mi mette al riparo dai sospetti.”
“E Freda? Le sue simpatie sono evidenti, perché diffidare di te e non di lei?”
“Freda è una vecchia, e non ha un passato come il mio.”
“La ritengo comunque una leggerezza da parte loro.” borbottò Diego.
Amauròs non trovò argomenti per contraddirlo. In effetti Freda sembrava non preoccuparsi affatto di rendere pubbliche certe sue amicizie. Si recava spesso alla cava, portava cibo e vestiario agli schiavi e si intratteneva a lungo con alcuni di loro.
L’aveva incontrata molte volte recandosi alle miniere per controllare la qualità delle pietre magiche. Era quello il compito che gli era stato affidato dal consiglio. Grazie ai suoi poteri di Geomante poteva percepire l’energia delle pietre, indicare ai minatori dove scavare e saggiare la purezza del materiale estratto semplicemente sfiorandolo con una mano.
Le pietre erano indispensabili per la sopravvivenza di tutti, erano la materia prima che permetteva ai Maghi di creare con la loro energia l’astro artificiale che li manteneva in vita, e non solo.
Ma Freda andava lì per altre ragioni che lui non riusciva a comprendere.
“Domani andrò alla cava.” disse con decisione.
Diego gli rivolse uno sguardo triste.
“Vuoi incontrare la ragazza?” azzardò. “Per quale ragione?”
“Forse curiosità. Nient’altro che semplice curiosità, Diego.”

Edited by Astry - 13/12/2013, 22:21
 
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