Prigionieri della Terra

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Astry
view post Posted on 11/1/2014, 21:49 by: Astry




Cap. 9



Era passato un mese, Kore non aveva avuto notizie di suo fratello e cominciava ad essere impaziente; ogni giorno, con Marietta, si recava alla cava a lavorare come tutti gli altri. Ed ogni giorno sperava di scoprire qualcosa su Fabian e sul modo di tornare a casa.
Speranza che, fino a quel momento, si era rivelata vana: le giornate alla cava trascorrevano fin troppo tranquillamente e Kore non poté fare a meno di chiedersi se i ribelli esistessero davvero.
Dopo l’incidente che l’aveva coinvolto, Guglielmo non si era più fatto vedere. Forse se ne stava rintanato nel proprio rifugio in città nel timore che Amauròs avesse riferito al consiglio circa la sua presenza tra gli schiavi. Neppure il mago si era più visto mentre il vecchio servitore, tutti i giorni, faceva visita ai minatori per controllare il carico di pietre e riferire eventuali indicazioni del suo padrone.
Kore, seguendo il consiglio di Marietta, non rivolgeva la parola a nessuno, ma ascoltava con molto interesse le chiacchiere e i pettegolezzi dei minatori. Specialmente durante i pasti, quando si radunavano intorno a Bertone e al suo pentolone fumante.
La pausa per il pranzo, infatti, sembrava essere l’unico momento di convivialità che spezzava la monotonia della vita dei minatori.
Durante il pasto tutti si abbandonavano a lunghe conversazioni e le donne, di solito espansive come api operaie indaffarate, si scioglievano in piacevoli ciarle.
Altre volte nascevano dei diverbi, anche piuttosto violenti, che potevano sfociare in una rustica scazzottata. Kore ascoltava i loro discorsi in silenzio. Si avvicinava ad un gruppetto di lavoratori, e rimaneva con l’orecchio teso sperando ogni volta di sentirli parlare di qualcosa che non fosse il menù del giorno.
Ormai conosceva tutti i piatti migliori di Bertone, anche senza averli assaggiati: il pranzo era, infatti, l’argomento più dibattuto. Fortunatamente, però, oltre ad aver scoperto che il brodo di 'carillo', uno strano animale che Kore faticava ad immaginare, era considerato da tutti una prelibatezza, tra una battuta goliardica e un litigio era riuscita ad ascoltare anche qualche discorso interessante.
Era venuta a sapere che il servo di Amauròs si chiamava Diego e che sul suo padrone e sulla sua menomazione, negli anni, erano nate molte storie.
Il mago non era nato cieco ma si raccontava che lo fosse diventato guardando il sole. Tuttavia, quando e in quale circostanza ciò fosse avvenuto restava un mistero. Alcuni narravano di come lui fosse l’unico ad essere riuscito ad attraversare una soglia, un passaggio verso un altro mondo, e che il calore insopportabile della gigantesca sfera di fuoco, sospesa nel cielo di quella strana terra luminosa, lo avesse costretto a tornare indietro. Secondo altri l’uomo era divenuto cieco nel tentativo di impedire ad alcuni schiavi di fuggire attraverso quello stesso passaggio. Altri ancora sostenevano che non esistesse nessuna alcuna soglia e che la cecità dell’uomo fosse dovuta ad un semplice incidente avvenuto nella città del sole. Qualcuno azzardava addirittura che fosse una punizione degli Dei.
Era indubbio che quella gente fosse all’oscuro di molte cose, ma la soglia esisteva, Kore lo sapeva, e Amauròs evidentemente, ne conosceva i segreti.
Il desiderio di incontrarlo si fece sempre più insistente nella sua mente.
I discorsi dei minatori l’avevano convinta che il mago potesse essere l’unico in grado di farla uscire di lì; l’unico capace di trovare la porta che l’avrebbe ricondotta a casa.
Sapeva che Marietta non le avrebbe mai permesso di parlare con lui: secondo lei avrebbe dovuto fuggire da quell’uomo piuttosto che cercare di conoscerlo, ma l’unica alternativa che le aveva offerto era un’inutile e snervante attesa.
Kore si era fidata della giovane donna che l’aveva accolta. Aveva seguito tutte le indicazioni della sua ospite: aveva accettato di restare in silenzio e di lavorare senza chiedere niente, nell’illusione di avere una notizia, di vedere agire quegli uomini che Marietta definiva ribelli, e che, invece, avevano solo imparato a nascondersi. Per giorni, aveva atteso invano un segno qualunque che potesse alimentare la sua speranza di rivedere Fabian, mentre la vita scorreva pigra e monotona nelle miniere, e nulla faceva presagire un minimo cambiamento.
Non poteva più aspettare, doveva rischiare, e lo avrebbe fatto a modo suo.
Lo sguardo della ragazza seguì Marietta mentre tentava di farsi largo tra la folla per avere la propria razione di minestra.
La donna sembrava ormai del tutto a suo agio in quel mondo e, nella mente di Kore, si era ormai insinuato il dubbio di non poter avere alcun aiuto da lei; Marietta aveva riposto le sue speranze in Guglielmo, speranze che si erano rivelate vane. Aveva trascorso lì metà della sua vita, senza essere riuscita a salvare sé stessa, e, ormai era chiaro, non sperava più di tornare a casa. Kore immaginò che non le importasse più, forse aveva persino dimenticato cosa volesse dire vivere alla luce del sole.
‘Un giorno rivedrai tuo fratello’, così aveva detto.
“Un giorno…” mormorò Kore tra sé, e le dita si strinsero con rabbia.
Marietta era ormai lì da vent’anni, e non aveva fatto altro che raccomandarle prudenza. Le aveva detto di non parlare della soglia e di non chiedere notizie del fratello.
‘Sta bene’, era tutto quello che le aveva detto; ma a Kore non bastava più.
“Un giorno…” disse ancora trattenendosi a stento dal gridare quelle parole. Forse quel giorno non sarebbe mai arrivato e lei, come Marietta, avrebbe dovuto rassegnarsi alla sua nuova vita.
Al solo pensiero rabbrividì.
No, lei non si sarebbe mai arresa senza lottare; piuttosto si sarebbe affidata al proprio istinto, rischiando fino in fondo per rivedere Fabian e accertarsi personalmente che fosse salvo.
Le avevano anche detto che il bambino non l’avrebbe riconosciuta; forse era vero, o forse si sarebbe ricordato di lei se l’avesse incontrata, ma non le importava. Doveva essere certa che fosse vivo e poi avrebbe fatto di tutto per riportarlo a casa, da sua mamma. Lei era la sorella maggiore, lei doveva salvarlo, o perdersi definitivamente con lui.
‘Amauròs’, quel nome continuava a rimbombarle nella testa. Qualcosa le diceva che ricorrere al mago poteva essere l’unica soluzione; era rimasta affascinata dalla potenza della sua magia, dalle sue parole, persino l’atteggiamento che aveva avuto nei confronti di Freda.
Forse avrebbe solo peggiorato la sua situazione: se Amauròs l’avesse consegnata al consiglio, o se l’avessero trovata i segugi, anche lei avrebbe dimenticato il suo mondo, avrebbe dimenticato di avere un fratello e avrebbe trascorso il resto della vita sotto terra, raccogliendo pietre verdi.
Era un rischio enorme, lo sapeva, e sapeva anche che, probabilmente, la sua decisione di chiedere aiuto ad Amauròs era dettata solo dalla disperazione: aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa, altrimenti sarebbe impazzita, e il mago rappresentava l’unica fiammella di speranza in quel mondo notturno.
Sarebbe andata da lui e gli avrebbe chiesto aiuto, l’avrebbe supplicato, forse avrebbe persino potuto dagli qualcosa in cambio. Dopotutto lei conosceva il nascondiglio di Guglielmo in città.
Il pensiero di tradire chi l’aveva accolta la nauseò, ma era certa che, se fosse stato necessario, sarebbe stata pronta a tutto pur di salvare Fabian e sé stessa.
Certa ormai della sua decisione, ora doveva trovare il modo di incontrare il mago. Non era semplice avvicinarlo: erano giorni che non si faceva vedere alla cava e lei non poteva certo avventurarsi in città da sola senza neppure sapere dove trovarlo.
Aveva bisogno di aiuto, qualcuno che potesse accompagnarla da lui, che conoscesse il segreto che nascondeva e, soprattutto, qualcuno che non avrebbe riferito il suo piano a Marietta.
Quell’uomo si trovò a passare proprio davanti a lei.
I minatori erano riuniti attorno al pentolone, colmo di una sostanza gelatinosa e giallognola che Bertone continuava a voler definire zuppa, quando Diego la superò; ricevuta la sua razione, e incurante delle proteste e dei borbottii dei minatori che attendevano in coda da almeno mezz’ora, si allontanò per andare, come sempre, a consumare il pranzo in disparte.
Kore lo seguì.
Marietta e Ranuccio erano intrappolati nella fila ad attendere il loro turno per mangiare, e non fecero caso alla ragazza che, intanto, aveva raggiunto il vecchio seduto su una sporgenza rocciosa, proprio all’ingresso di una delle gallerie.
“Mi hanno detto che il tuo nome è Diego.” esordì la ragazza, tentando di apparire sicura e determinata rivolgendosi al vecchio servitore come aveva sentito fare da altri.
L’altro sollevò lo sguardo e la scrutò stupito per un po’; finché non decise di rispondere.
“Quello è il mio nome,” disse, mentre tornava a rivolgere la sua attenzione alla ciotola che teneva tra le mani. “E tu, invece, sei quella che un nome non ce l’ha.” mugugnò con la bocca piena di minestra.
“Io mi chiamo…”
“No!” Il vecchio alzò la mano interrompendola, “Non mi riguarda. Io sono solo un servo e tu non dovresti essere qui. I tuoi amici non sarebbero d’accordo.”
“Ma il tuo padrone forse sì.” insisté Kore.
Ci fu un lungo silenzio. Una nuova ruga si formò sulla fronte del vecchio, mentre sembrava intento a studiare un avversario molto pericoloso.
“Perché il mio padrone dovrebbe essere interessato ad una ragazzina?”
“Forse glielo chiederò quando mi avrai portata da lui.”
Il vecchio posò la ciotola e si alzò.
“La Città di Pietra non è adatta a quelli come te. E il mio padrone non mi perdonerebbe se…” si interruppe e si voltò di spalle scuotendo il capo, “No, lui non approverebbe.” concluse.
Kore si fece più audace e, afferrando l’altro per un braccio, lo costrinse a voltarsi di nuovo. “Io voglio parlarci, ti prego, ho bisogno di lui.”
“E se lui sapesse chi sei e ti consegnasse ai soldati? Non hai paura?” chiese calmo, Diego.
Kore strinse con forza le dita e prese un bel respiro, tremava, ma tentò di non darlo a vedere. Doveva rischiare il tutto per tutto pur di tornare nel suo mondo, e in quel momento il “tutto” per lei era un uomo cieco che, sì, con molta probabilità, l’avrebbe consegnata alle guardie ancor prima di permetterle di varcare la soglia della propria casa. Ma che altra scelta aveva?
Avrebbe desiderato solo mettersi a piangere, ma rispose ostentando una sicurezza non aveva affatto. “Allora, almeno saprò di aver tentato.”
“Tentato?”
Il vecchio la fissò ancora in silenzio, poi un lungo sospiro sfuggì alle sue labbra. “D’accordo, vieni stanotte ai piedi della scala che porta alla città, mi troverai ad aspettarti. E tieniti lontana dall’ingresso delle gallerie, i minatori potrebbero...” L’uomo si irrigidì fissando qualcosa alle spalle della ragazza.
Kore si voltò per vedere cosa lo avesse preoccupato e notò Freda che si era avvicinata lanciando al vecchio un’occhiata infuocata, poi guardò lei con altrettanto disprezzo.
“Non ti hanno insegnato a non dare confidenza agli sconosciuti?” la rimproverò.
“Ma io…” Mentre Kore cercava inutilmente di inventare una scusa credibile, Diego fece un profondo inchino e con voce amabile si rivolse alla donna.
“Mia signora, questa giovane stava solo aiutando un povero vecchio. Le avevo chiesto di portarmi un po’ d’acqua. Non sapevo che fosse la tua serva.”
“Se alla tua età sei ancora in grado di occuparti di un uomo cieco, puoi anche prendere da solo la tua acqua,” gracchiò la maga.
“Certo, mia signora. Perdonami!” L’uomo curvò maggiormente la schiena, ma i suoi occhi vispi non persero di vista il volto raggrinzito di Freda.
La vecchia donna gli voltò le spalle, afferrò Kore per un braccio, e la trascinò incontro a Marietta che, nel frattempo accortasi di quello che stava accadendo, aveva abbandonato il proprio posto nella fila e camminava spedita verso le due donne.
Non appena le raggiunse, Freda spinse in modo brusco Kore verso di lei, tanto che la ragazza per poco non cadde.
“Ti consiglio di non perdere d’occhio la tua protetta, altrimenti ci porterà solo problemi con la sua sconsideratezza,” soffiò.
Marietta guardò Kore e poi di nuovo Freda; non capiva cosa poteva aver combinato di tanto grave nei pochi istanti in cui l’aveva persa di vista, ma se la maga si era così infuriata doveva avere delle buone ragioni; non disse nulla a Freda, mentre rivolse alla ragazza uno sguardo minaccioso.
Kore rabbrividì, ma nello stesso tempo riconobbe qualcosa di familiare nell’espressione di Marietta. D’improvviso vide negli occhi della giovane donna le stessa luce che aveva visto tante volte nelle iridi celesti di sua madre. Si rese conto di sentire la mancanza persino dei suoi rimproveri. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di riavere indietro le sue assillanti raccomandazioni, le ramanzine ogni volta che il piccolo Fabian combinava qualche marachella. Ora era un’estranea ad occuparsi di lei, a sgridarla quando disubbidiva e a preoccuparsi perché non le accadesse nulla di male, ma la sensazione di sicurezza, che provava ogni volta che sua mamma si avvicinava in silenzio e le accarezzava i capelli con dolcezza, ogni volta che il solo fatto di averla accanto la rendeva spavalda di fronte alle sue piccole sfide da adolescente, quella no, Marietta non avrebbe mai potuto dargliela.
Kore realizzò in quell’istante di essere davvero sola. Se c’erano decisioni da prendere nessuno in quel mondo ostile avrebbe potuto aiutarla, nessuno avrebbe pensato al bene di Fabian. Lei era la sorella maggiore, lei avrebbe dovuto scegliere per lui, e lei aveva scelto. Convinta più che mai di aver preso da decisione giusta, abbassò il capo cercando di mostrarsi pentita.
“Scusa...” mormorò, e, mentre, per il resto della giornata eseguì obbediente tutte le indicazioni della sua ospite, in cuor suo progettava la sua fuga notturna per incontrare il vecchio Diego.

Il sole artificiale si era spento già da diverse ore, quando Kore si alzò dal proprio giaciglio; fece qualche passo in punta di piedi e si fermò sulla soglia ad osservare Marietta che dormiva nell’ingresso. Aveva lasciato il letto, o almeno quello che si ostinava a definire tale, a lei.
Le stanze erano divise da semplici tende, e una tenda le separava dall’esterno. In quel mondo non c’era bisogno d’altro, non c’era vento, se non quello che si formava nei cunicoli, né pioggia e non c’era nulla da rubare. Del resto la porta non sarebbe servita neppure a difenderli dal freddo dato che la temperatura all’interno delle case non era diversa da quella esterna. In un mondo in cui la legna valeva quanto l’oro, non era possibile sprecarla per accendere fuochi; le uniche fiamme che Kore aveva visto da quando era arrivata erano quelle delle lampade o dei fornelli di Bertone, e lei non aveva mai osato chiedere cosa usassero per alimentarle.
Non fu difficile per la ragazza intrufolarsi nell’altro ambiente senza fare alcun rumore, passare davanti alla sua ospite addormentata e raggiungere l’esterno, sgattaiolando silenziosamente attraverso la stretta apertura.
Si afferrò alla corda che fungeva da parapetto e prese a scendere i ripidi scalini. Passò davanti ad un grosso foro nella parete rocciosa: la finestra dell’abitazione di Ranuccio. Gettò un’occhiata all’interno, era buio, ma il russare del giovane rimbombava simile al verso di un grosso animale. Sorrise.
Raggiunta la pianura, puntò dritta verso la grande scalinata che portava alla Città di Pietra, tenendosi a distanza dall’ingresso delle miniere, come le aveva suggerito Diego.
Da lontano poté vedere il movimento delle lucerne dei minatori: un andirivieni continuo, persino più frenetico di quanto non fosse durante le ore diurne. Le pietre verdi che le donne erano chiamate e selezionare venivano raccolte proprio in quelle ore e portate con rapidità all’esterno delle miniere. Il lavoro doveva essere concluso entro l’alba, prima che la luce richiamasse i Vermi delle grotte dalle loro tane.
Kore accelerò il passo, guardandosi indietro di tanto in tanto per controllare che Marietta fosse ancora in casa, profondamente addormentata. Giunta ai piedi della scalinata, si fermò e, strizzando gli occhi, si sforzò di penetrare l’oscurità alla ricerca della sua guida, ma di Diego non c’era traccia.
Kore sentì montare la rabbia. Il vecchio le aveva forse mentito? E se, invece di andarla a prendere, le avesse mandato incontro i soldati? Si appiattì contro la parete, sperando di mimetizzarsi nel buio. Se qualcun altro fosse stato lì ad aspettarla forse così non sarebbe riuscito a vederla.
Era stata una stupida. Ranuccio le aveva detto che i Discendenti non avrebbero osato farle del male davanti agli schiavi, ma di notte, senza testimoni, avrebbero potuto trascinarla via e nessuno si sarebbe accorto di nulla. Nessuno si sarebbe preoccupato di lei oltre ai ribelli.
Il suo respiro si era fatto affannoso; Kore imprecò mentalmente: non potevano vederla, ma l’avrebbero comunque sentita se non fosse riuscita a calmare i propri polmoni impazziti. Doveva fare qualcosa. Si infilò la manica del vestito in bocca, mentre gli occhi si riempivano di lacrime. Si era messa nei guai, avrebbe dovuto ascoltare Marietta. Come le era saltato in mente di avventurarsi da sola fino all’ingresso della città?
“Tieni, indossa questa.”
La voce familiare sembrò uscire dal nulla, e così la mano che stringeva un medaglione, Kore sussultò spaventata ma, non appena riconobbe il vecchio servitore, fu quasi sul punto di saltargli al collo per il sollievo. L’uomo si avvicinò porgendole la collana e anche una tunica bianca che teneva arrotolata sotto il braccio. Kore afferrò la tunica e se la infilò dalla testa. Poi prese anche la collana rivolgendo al vecchio uno sguardo interrogativo.
“Tiene lontani i curiosi,” disse lui secco.
Kore la indossò, rigirando fra le dita la grossa pietra verde che vi era incastonata: era simile alle rocce magiche che selezionava ogni giorno alla cava, ma sulla superficie vi erano incisi degli strani disegni.
Senza aggiungere altro, Diego iniziò a salire i ripidi scalini sparendo all’interno del grande arco e Kore, abbandonata la sua analisi del medaglione, si affrettò a seguirlo.
Sapeva che li aspettava una faticosa salita: i gradini sembravano arrampicarsi all’infinito. Uniformò il suo passo a quello del vecchio, mentre lo sguardo si muoveva in ogni direzione, scrutando ogni singola fessura e ogni lucerna appesa alle pareti del tunnel.
Di tanto in tanto, delle profonde nicchie si aprivano ai lati della scala; Kore si sporse all’interno di una di queste e vide che in fondo vi erano stati scavati dei fori di forma quadrata, era troppo buio per vederne l’estremità, ma immaginò che dovessero prolungarsi fino a sbucare sulle pareti esterne della grande montagna capovolta. Forse servivano per il passaggio dell’aria.
La galleria era piuttosto claustrofobica, e, per un attimo, Kore fu tentata di infilare la testa in uno di quei canali, immaginando un vento fresco che le avrebbe sfiorato piacevolmente il viso. Ma il vento in quel mondo non esisteva e i canali riuscivano solo a creare una strana corrente d’aria che sapeva di muffa e di umidità.
Quando ebbero percorso almeno un centinaio di scalini, la galleria cominciò a ramificarsi; sulle pareti dei cunicoli si aprivano delle porticine di metallo simili a quella dell’abitazione in cui si nascondeva Guglielmo. Gli stretti vicoli penetravano in profondità nella montagna, come se fossero vene all’interno di un corpo gigantesco, e ad ogni nuova rampa di scale diventavano sempre più numerosi e più ampi.
Salirono per diverse ore, fermandosi ogni tanto per riposare, Kore si stupì del fatto che il vecchio che la precedeva potesse avere ancora tanta forza. Lei era esausta.
Dovevano essere già molto in alto, era certa di aver oltrepassato da almeno un’ora l’abitazione di Guglielmo, e la scala continuava a salire come un’infinita spirale. D’improvviso Diego si fermò, si guardò intorno, poi fece cenno alla ragazza di seguirlo in uno dei vicoli. Kore in un primo momento pensò che Amauròs dovesse abitare in quella strada, ma capì immediatamente che la sua guida stava solo fingendo di entrare in una di quelle case quando, alle sue spalle, comparve il gruppo di vecchie malandate che aveva imparato a conoscere come i “segugi”.
Kore le fissò pietrificata, erano a pochi metri da lei e la stavano guardando; rabbrividì: l’avevano trovata, era troppo tardi per nascondersi; forse avrebbe dovuto mettersi a correre, ma la tranquillità con cui il vecchio Diego le osservava la spinse a restare immobile. Limitandosi a stringere con forza la striscia di stoffa che Marietta le aveva dato per camuffare la sua bizzarra pettinatura, come se temesse che le donne che aveva di fronte potessero strappargliela via con la sola forza del pensiero.
Tuttavia, dopo averle rivolto uno sguardo compiaciuto, le vecchie si allontanarono e Kore si voltò stupita verso Diego.
“Ti hanno scambiata per una di loro,” spiegò, ma non aggiunse altro e, tornando sui suoi passi, riprese a salire.

Edited by Astry - 16/9/2014, 18:27
 
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