Cap. 16Diego era seduto in un angolo della stanza, su una delle sporgenze rocciose che fungevano da sedili. Marietta era andata alla cisterna, carica di brocche da riempire, così Kore decise di avvicinarsi al vecchio servitore. Diego era in quella casa ormai da diversi giorni, ma fino a quel momento la ragazza aveva evitato di parlargli perché si sentiva in colpa; il suo desiderio di tornare a casa la faceva sentire colpevole.
Quando gli fu di fronte, Diego sollevò il capo e la scrutò con attenzione; poi le fece cenno di sedersi accanto a lui e lei si accomodò, in silenzio, e tenendo gli occhi bassi.
Dato che lei continuava a fissare le proprie mani, mentre stringevano la stoffa della gonna, Diego parlò per primo, con una voce dolce che la stupì.
“Cosa stai pensando?” domandò.
La ragazza sollevò gli occhi timidamente e provò ad incontrare quelli di lui.
“Mi dispiace per quello che è successo.” disse con sincerità. “Non volevo che si arrivasse a tanto, io…”
“Non volevi?” la interruppe l’altro e il suo sguardo corse verso l’ingresso, per poi perdersi nel vuoto. Anche Kore guardò fuori dalla porta aperta, verso il precipizio.
“Il fatto che Freda mi stia usando per convincere il mio padrone ad aiutarvi non è nulla in confronto ai rischi che questo viaggio comporterà… per tutti voi.”
Irrigidì il volto in una smorfia, come se stesse ingoiando un boccone amaro.
“Amauròs farà ciò che gli avete chiesto, vi guiderà.” chinò il capo sospirando.
Le labbra di Kore si piegarono in un sorriso incerto. “Lui ti vuole bene?” Il suo era più un pensiero formulato ad alta voce che una vera domanda , ma l’altro rispose ugualmente: “Sì, è così! Lui mi ama come se fossi suo padre…” fece una lunga pausa mentre i suoi occhi diventavano lucidi. “… e anche come se fossi suo figlio.” Concluse con voce strozzata.
Kore gli rivolse uno sguardo carico di stupore, ma subito le tornarono in mente le parole di Ranuccio: era difficile stabilire dall’aspetto la vera età di un Discendente.
“Lui… lui ti ha cresciuto?” domandò. “Sei con lui da … quando? Quanti anni avevi?”
“Quattro anni. Sì, lui mi ha cresciuto.”
Kore si rimise in piedi e prese a misurare a grandi passi la stanza. La sua testa si riempì di domande: perché Amauròs avrebbe dovuto prendersi cura di un Figlio del Sole per poi farne il suo servitore? E Freda, cos’altro sapeva di quell’uomo?
Si voltò versò Diego e lo interrogò di nuovo: “Come farà Amauròs a trovare la soglia?”
Il vecchio sorrise. “Il mio padrone è un Geomante.” rispose con un moto di orgoglio. “Può sentire l’energia magica presente nelle pietre, nelle persone e in tutto ciò che lo circonda.”
Poi si accomodò meglio sul duro sedile e incrociò le mani. “Hai mai visto una ragnatela?” domandò alla ragazza.
Kore arricciò le labbra disgustata. “Sì, certo che l’ho vista.” rispose stupita.
“Io ne ho vista una nella Città del Sole. Creazione meravigliosa, non trovi?”
Kore continuava a non capire, ma i ragni non le piacevano così come non le piacevano quelle cose appiccicose che lasciavano in giro.
“Qui non ci sono ragni, ne insetti di nessun genere.” continuò il vecchio schiavo, e si portò un dito sul mento riflettendo per un attimo sulle sue stesse parole. “Ma, sì, direi che un ragno è la cosa che più si avvicina ad un Geomante.”
Kore era sempre più disgustata, ma l’altro non ci fece caso, era rapito e pieno di ammirazione per il suo padrone; anche se, per Kore, paragonare qualcuno ad un ragno non era esattamente un complimento.
“Immagina l’energia magica come una ragnatela di fili sottilissimi: ogni volta che qualcosa o qualcuno interferisce, tutta la rete vibra.” gli occhi vispi di Diego dardeggiarono su di lei. “E il ragno sa che una preda è caduta in trappola.” Sollevò il braccio stringendo il pugno come se stesse davvero imprigionando un insetto tra le dita.
“Quando si prepara l’apertura di una Soglia, il filo si tende.” continuò sempre mimando ogni parola con movimenti delle mani. “E quando la Soglia si spalanca la ragnatela viene spazzata via violentemente.” a quel punto scattò in piedi e il suo braccio colpì l’aria davanti a lui.
Restò per un attimo immobile poi, quando si accorse che Kore lo fissava inebetita, sorrise, abbassò il braccio e tornò a sedersi.
“Beh, ecco, è così che il mio padrone può trovare la Soglia.”
Nei giorni successivi Kore trascorse molto tempo a chiacchierare con Diego. Non vedeva l’ora di tornare a casa dalla cava per incontrarlo; voleva sapere tutto su di lui e, soprattutto, sul suo padrone. E da parte sua, il vecchio servitore, sembrava trovare quelle conversazioni un piacevole diversivo alla noia della prigionia. Era diventato come un nonno per Kore; tuttavia, nonostante fosse un uomo piuttosto loquace, trovava sempre il modo di cambiare discorso, ogni volta che la ragazza insisteva nel voler conoscere particolari del passato di Amauròs.
Una mattina Marietta rientrò in casa recando con sé due anfore piene d’acqua fino all’orlo. Kore la osservò malinconica, mentre varcava l’ingresso che Freda aveva incantato per impedire a Diego di uscire. L’orribile stregoneria funzionava solo su di lui, ma la giovane tratteneva il fiato ogni volta che qualcuno entrava o usciva da quella porta.
“Sembra che il tuo soggiorno forzato in casa mia stia per finire.” esordì Marietta, poi si rivolse a Kore. “partiremo presto e, a quanto pare, Freda ha trovato il modo di trascinare con noi anche tuo fratello”.
Kore si precipitò verso di lei.
“Cosa gli ha detto? Come l’ha convinto?” la voce era rotta dall’eccitazione.
“Non ne ho idea, ma non credo che gli abbia raccontato la verità, né a lui, né alle persone che al momento se ne prendono cura. Freda è una strega potente, sa come convincere la gente, e di solito nessuno si fa domande.”
Diego si alzò.
“Dunque Amauròs ci è riuscito?” domandò.
“So solo che Freda ha detto di trovarci tutti fra due giorni all’ingresso della Grotta Grande.”
“Passeremo dalle gallerie?” chiese stupito.
Marietta si limitò a sollevare le spalle, poi indicò a Kore la nicchia che fungeva da dispensa.
“Dobbiamo procurarci cibo e tutto quello che servirà per il viaggio, non abbiamo molto tempo.”
***
La porticina di ferro si aprì con un rumore stridente e Freda, che la teneva ancora per la maniglia, balzò indietro come se avesse visto un fantasma. Ranuccio fece capolino con un aria colpevole: accanto a lui c’era Amauròs, paludato in un pesante mantello grigio, se ne stava con le braccia incrociate ad attendere che qualcuno lo guidasse all’interno.
“Cosa ci fa lui qui?” domandò la vecchia maga con la voce carica di disprezzo.
“Mi ha costretto ad accompagnarlo” si giustificò Ranuccio, ma, prima che l’altra potesse rispondere, Amauròs scansò il ragazzo e si infilò all’interno della casa di Freda orientandosi in base alla voce di lei.
“Ho bisogno di parlare con Guglielmo.” disse deciso.
“Cosa ti fa pensare che lui sia qui?”
“Andiamo Freda, non offendere la mia intelligenza! Sono stanco di comunicare con lui attraverso questo ragazzino.” sbottò indicando Ranuccio che parve rimpicciolire.
“Cosa vuoi, mago?”
Nell’udire la voce profonda di Guglielmo tutti si voltarono verso di lui. Anche Amauròs sollevò il mento con soddisfazione, e i suoi occhi si spostarono lentamente fino a raggiungere l’uomo che, con le braccia allargate, si era appoggiato agli stipiti di una porta. “So già che hai trovato la soglia, Ranuccio mi tiene informato su ogni cosa.”
“Non proprio ogni cosa.” lo corresse Amauròs.
Ci fu un lungo silenzio.
“Allora, parla, cosa devi dirmi?”
“Preferirei che lei non fosse presente.” Accennò alla donna al suo fianco.
“Lasciaci!” Guglielmo allontanò Freda che brontolò infastidita. Poi si avvicinò ad Amauròs così tanto da alitargli in faccia.
Le sue labbra si tesero esibendo un ghigno cattivo.
“Siamo soli.” lo informò. “A meno che tu non voglia mandar via anche Ranuccio.”
L’altro non rispose, ma sollevando i lembi del mantello, tirò fuori un involucro di stoffa da una borsa che teneva legata alla cintura, e cominciò ad aprirlo lentamente davanti allo sguardo curioso di Guglielmo.
Sotto i diversi strati di tessuto c’era un’ampolla di vetro.
“E questo cosa sarebbe?” domandò Guglielmo scrutando l’oggetto.
“Questo è il vostro lasciapassare.”
“E’ una delle tue diavolerie?” lo schernì.
“Credi davvero di riuscire a trascinare centinaia di persone con te fino alle Zanne del Drago e oltre senza che nessuno se ne accorga?”
“Passeremo dalle grotte, non ci vedranno.”
“Oh, dovrebbero essere tutti ciechi, compresi i minatori che lascerete alla cava, per non accorgersi della sparizione di così tanta gente.”
“E tu cosa suggerisci?”
Amauròs nascose di nuovo l’ampolla sotto la stoffa.
“Ucciderli.” rispose secco.
“Cosa? Aaah!” Ranuccio si morse la lingua e per poco non soffocò, ma Amauròs non si scompose.
Guglielmo invece si accomodò sulla sedia più vicina incrociando le braccia.
“Spiegati!” disse.
“Dovrai far crollare l’ingresso della galleria.”
Guglielmo sollevò un sopracciglio assumendo un aria interessata.
“Per un po’ penseranno ad un incidente, e questo vi darà… ci darà un po’ di vantaggio.”
“Mi stai dicendo che quella che hai in mano è Acqua di Nun?” domandò mentre un tremito di preoccupazione gli incrinava la voce.
L’altro annuì.
“Credevo fosse una leggenda. Se è vero quello che si racconta, lì dentro ci sarà tanta potenza da far saltare mezza cava.”
“Ne utilizzeremo quanto basta. La sostanza che vedi in questa fiala e tutta quella che sono riuscito a nascondere al Consiglio, non ne ho altra. Come puoi immaginare non sono in grado di crearne di nuova da molto tempo.”
“Già, immagino che non sia una sostanza da maneggiare al buio.” ghignò malevolo, Guglielmo. Un muscolo sul volto del cieco si contrasse impercettibilmente, ma la sua voce restò ferma e pacata.
“… E preferirei che Freda non sapesse che conservo questa roba in casa mia, almeno finché non dovremo usarla.”
“E’ rischioso far crollare la miniera dall’interno,” l’uomo si passò il dito sulle labbra pensieroso. “Uno di noi dovrà restare fuori.”
“Resterò io.” annunciò Ranuccio con veemenza.
“Resteremo tutti e tre.” decretò il capo dei ribelli e si alzò avvicinandosi di nuovo al mago. “Avremo più possibilità di successo. Non sarà difficile poi infiltrarci tra i mercanti delle carovane e raggiungere gli altri al Bosco di Pietra.
Anche Freda potrà raggiungerci in un secondo momento senza attirare sospetti su di lei. Sei pronto per il lungo viaggio?”
“Non mi avete dato scelta.”
“Infatti, è così. Ci vediamo fra due giorni sul ponte nord, l’ingresso della Grotta Grande si trova proprio lì sotto, non sarà difficile farla saltare da quel punto”.
***
Quella che chiamavano Grotta Grande non era altro che l’ennesimo ingresso di miniera che, per qualche strana ragione, era sprofondato formando un’enorme voragine. Vi era un ponticello sottile, di ferro, sospeso a centinaia di catene che pendevano dall’alto soffitto. Kore lo fissò terrorizzata: ondeggiava, in maniera paurosa, ogni volta che qualcuno lo attraversava. Quando fu il suo turno di passare, Marietta la spinse in avanti, ma le gambe della giovane si rifiutavano di muoversi.
“Io, io non ce la faccio.” pigolò.
“Il ponte è sicuro, reggiti e andrà tutto bene.” la incoraggiò l’altra, sfilandole il grosso sacco pieno di viveri che portava sulle spalle. “Questo lo porterò io.” disse con un sorriso.
Gli occhi di Kore corsero dall’altra parte: centinaia di persone l’avevano già attraversato. Erano arrivati alla spicciolata, per non dare nell’occhio, e ora si affannavano a caricare cibo e coperte su dei carretti che, evidentemente, erano stati nascosti mesi prima, in previsione di quel viaggio.
Si afferrò al corrimano e, trascinando i piedi, iniziò ad attraversare il ponte; le gambe tremavano, parevano aver perso la loro forza, e ad ogni passo le ginocchia cedevano, ma doveva farcela: il viaggio sarebbe stato lungo e pieno di pericoli. Non poteva arrendersi al primo ostacolo.
Cercò di fissare un punto davanti a lei, ma quando fu a metà del percorso non poté fare a meno di guardare in basso: un baratro scuro si apriva sotto i suoi piedi.
Sperò con tutto il cuore che fosse meno profondo di quello che sembrava; era di certo la mancanza di luce a renderlo così spaventoso. Nonostante fosse giorno, e l’ingresso fosse solo a pochi passi da lei, la luce del sole artificiale non riusciva a penetrare all’interno. La conformazione delle rocce lì doveva essere diversa dal resto della cava. Le pietre, infatti, non riflettevano la luce solare, non come le rocce verdi. In quel luogo non c’era nemmeno un granello della polvere luminescente che solitamente copriva ogni cosa; per qualche ragione non era penetrata in quella caverna, rendendola un luogo oscuro e pauroso, anche se era proprio questa caratteristica che faceva della Grotta Grande il passaggio più sicuro per gli schiavi: con il buio non c’era pericolo di incontrare i vermi delle grotte, almeno così le avevano spiegato.
Si aggrappò con tutta la forza al corrimano, costringendosi ad andare avanti un passo dopo l’altro; quando finalmente fu dall’altra parte, una donna le andò incontro [e,] sorridendo, l’aiutò a scendere dalla passerella. Kore la riconobbe, era Lucia, l’aveva incontrata al suo arrivo in quel mondo di tenebra. Accanto a lei c’era un uomo, aveva i capelli lunghi e scuri così come gli occhi, ma la carnagione bianchissima. Era un Discendente, ormai Kore aveva imparato a riconoscerli anche quando non indossavano la loro solita tunica bianca. Forse era suo marito, quel Silas di cui aveva sentito parlare. Spostando lo sguardo notò anche i due ragazzi; sì, l’uomo doveva essere proprio il loro padre. Fu felice di trovarlo sano e salvo, e, nel gioire per la famiglia riunita, pensò al momento in cui avrebbe rivisto Fabian e questo le diede coraggio. Si voltò indietro, Marietta l’aveva raggiunta e lei la aiutò a scendere dal ponte e a posare a terra il pesante sacco. La donna le dedicò uno sguardo carico di commozione.
“Si torna a casa” disse con voce tremante e, accarezzandole il capo, le sfilò il fazzoletto che in quei mesi aveva nascosto la sua pettinatura alla moda o, almeno, ciò che ne rimaneva. Kore si passò le mani nei capelli e sorrise: erano cresciuti; solo qualche mese prima avrebbe pensato di somigliare ad un barboncino mal tosato, ma in quel momento si sentì bellissima e libera.
***
Da quella scomoda posizione Ranuccio poteva vedere l’ingresso della Grotta Grande, era proprio sotto di lui, almeno 800 piedi sotto di lui. Il giovane era rannicchiato su una sporgenza rocciosa, sotto ad uno dei ponti di pietra che congiungevano Lapidia al bordo del cratere; sul fondo i minatori sembravano tante formiche intente a trasportare i loro voluminosi carichi. In un tale caotico andirivieni nessuno poteva notare gli uomini e le donne che, staccandosi dal gruppo, si sparpagliavano tra i vicoli formati da baracche e cumuli di detriti; una volta giunti all’ingresso della grotta, scomparivano come inghiottiti dalla roccia.
Per tutto il giorno la Grotta Grande aveva accolto gli schiavi fuggiaschi e, ormai, mancavano solo poche persone all’appello. Quando l’ultimo dei ribelli sarebbe stato al sicuro nel fondo della caverna, qualcuno avrebbe fatto un segnale agli uomini che attendevano all’esterno per far saltare l’ingresso.
Ranuccio si lasciò sfuggire un lamento, gli dolevano tutti i muscoli, e provò a cambiare posizione; ma, quando alcune pietre ruzzolarono sotto i suoi sandali per poi finire nel vuoto, decise che, tutto sommato, avrebbe potuto resistere ancora un po’ senza muoversi.
Sopra di lui Guglielmo, seminascosto dalla balaustra finemente scolpita, controllava la porta della città. Era paludato in un vecchio mantello scuro; le spalle curve e i ciuffi di capelli grigi che spuntavano dal cappuccio, lo avevano fatto apparire agli occhi di tutti come un comune vecchio schiavo.
Nessuno gli aveva prestato attenzione nel vederlo accompagnare il mago cieco sul ponte. Accanto a lui Amauròs, che non aveva motivi per camuffare il suo aspetto, se ne stava in piedi proprio nel mezzo del camminamento, con gli occhi chiusi e le mani incrociate dietro la schiena.
Presto, dal fondo della cava, sarebbe arrivato l’atteso segnale ad avvertirli che tutti erano nella grotta, in un punto al sicuro dal crollo; in quel momento Ranuccio avrebbe dovuto lasciar cadere la boccetta con all’interno poche gocce del potentissimo liquido.
Altre piccole ampolle erano state sistemate vicino all’ingresso della galleria. L’acqua di Nun era rara e non produceva alcuna fiamma, il crollo sarebbe apparso come naturale almeno all’inizio.
Tutto era pronto ma qualcosa attirò lo sguardo di Ranuccio: un gruppo di uomini si stava avvicinando alla Grotta dove erano nascosti gli schiavi. Marciavano velocemente e un luccichio improvviso fu sufficiente per far capire al giovane che non erano normali minatori: quegli uomini indossavano delle armature.
“Ci hanno scoperti!” urlò, forse con troppa forza. Guglielmo imprecò poi il suo sguardo corse istintivamente alla porta della città: si stava spalancando mostrando altri uomini in armatura.
“I soldati, stanno venendo verso di noi. Ci hai tradito, maledetto mago!” ringhiò e scagliandosi su Amauròs lo afferrò alla gola, il suo sguardo, così carico d’odio, fu riflesso nello specchio nero negli occhi dell’altro.
“No!” Un lampo illuminò le iridi spente del mago, che si divincolò, ma fu solo un istante, il tempo di allontanare Guglielmo con una spinta e la sua espressione tornò fredda, quasi assente. Guglielmo lo fissò basito mentre quello, ignorandolo, si avvicinava alla balaustra per poi sporgersi verso Ranuccio che era ancora aggrappato allo spuntone roccioso sotto di loro,
“Getta quella dannata ampolla prima che sia tardi.” gli ordinò.
“Non posso, ci sono decine di persone ancora vicine all’ingresso, potrei ucciderli.”
“Se non lo fai, ne moriranno cento.” sibilò, “Gettala, maledizione, o vuoi che lo faccia io?” minacciò stendendo una mano verso il ragazzo che rabbrividì. Era chiaro che il mago avrebbe fatto precipitare anche lui nel cratere assieme alla fiala. Ranuccio guardò in alto, poco più in là anche Guglielmo si era sporto dal parapetto facendogli cenno di obbedire.
Le dita del giovane tremavano, e dovette fare forza su se stesso per costringersi ad aprirle per lasciar scivolare l’ampolla. Ci volle un tempo interminabile prima che il piccolo contenitore di vetro giungesse a toccare il suolo e, mentre la fiala cadeva, il ragazzo si chiese quale dei suoi amici avesse appena condannato. Sentì la forza abbandonare le sue gambe e mancò poco che anche lui scivolasse assieme al liquido mortale che aveva appena gettato. Poi ci fu un rumore sordo, come un tuono, e l’intera parete del cratere fu scossa e parve sul punto di frantumarsi.
I tre uomini sul ponte trattennero il fiato. Per un attimo l’aria intorno a loro divenne pesante, sembrava stesse per schiacciarli.
Ranuccio si portò istintivamente le mani alle orecchie. Il ponte vibrò; massi iniziarono a staccarsi dal costone roccioso e, con un frastuono assordante, andarono a chiudere l’ingresso della grotta.
Una nuvola di polvere li investì nascondendoli agli occhi degli inseguitori. Guglielmo ne approfittò e prese a correre più veloce che poté, mentre Ranuccio si accucciò nel suo nascondiglio sotto il ponte coprendosi il volto per non soffocare nel pulviscolo.
Amauròs chiuse gli occhi e rimase in attesa, come in trance.
Man mano che la nuvola di detriti si diradava gli uomini in armatura apparivano sempre più nitidi e il loro passo accelerava. Si riparavano gli occhi con le mani, finché la visuale fu di nuovo libera e una voce diede l’ordine di catturare i ribelli, immediatamente come mossi da un'unica volontà si lanciarono all’inseguimento.
Il mago allora si voltò e andò loro incontro. Ranuccio, riemergendo dalla stoffa della sua tunica, nel vederlo camminare speditamente verso i soldati, sentì montare la rabbia. Lo seguì con lo sguardo e quando quello sparì nascosto dal parapetto, lui si puntellò sui piedi sollevandosi abbastanza per poterlo vedere mentre si fermava a pochi passi da loro. Tuttavia quello che accadde dopo lo lasciò senza fiato: gli uomini che continuavano ad avanzare verso di lui cominciarono a barcollare, qualcuno si appoggiò alla balaustra, come colto da vertigini, altri caddero in ginocchio davanti al mago o, addirittura, si stesero in terra privi di forze. Nonostante non ci fossero figli del sole tra le guardie della città di Lapidia, la magia nel loro sangue era così debole che non avevano nessuna possibilità di contrastare un mago come Amauròs. Per molti di loro l’esercito era l’unica alternativa all’unirsi agli schiavi nelle miniere.
Le labbra di Ranuccio si allargarono in un sorriso soddisfatto quanto liberatorio. Amauròs era dalla loro parte e questo era sufficiente a tranquillizzarlo, se non addirittura a renderlo spavaldo. Per un istante fu sul punto di uscire dal suo riparo e godersi quella scena da più vicino, ma il riso gli morì in gola quando, con un rumore simile allo schiocco di una frusta, il mago fu scaraventato all’indietro e ricadde malamente sulla pietra.
Ranuccio, d’istinto, si accucciò di nuovo per poi allungare il collo, fin quasi a strangolarsi, nel tentativo di capire cosa fosse accaduto.
Un uomo anziano con i capelli completamente bianchi, ricci e folti, avanzava tra due ali di soldati. Ranuccio lo riconobbe pur non avendolo mai incontrato personalmente: era Gourias, il capo del consiglio dei Discendenti, un mago potente, forse il più potente dell’intera città di Lapidia.
Si avvicinò all’uomo a terra.
“Non volevo credere che ti fossi lasciato trascinare di nuovo in questa follia.” disse con una smorfia di disgusto.”
Amauròs si mosse appena brontolando qualcosa, che Ranuccio non riuscì a sentire, poi perse i sensi.
L’altro gli rivolse un sorriso sbilenco.
“Portatelo via.” ordinò ai soldati. “E trovatemi il suo complice.” continuò indicando la fine del ponte nel punto in cui Guglielmo era sparito alla loro vista.