Prigionieri della Terra

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Astry
view post Posted on 15/1/2014, 20:49




Ecco un nuovo capitolo per farmi perdonare di averti lasciata sulle spine. :)

Cap 10


Salirono ancora per diversi metri, poi i cunicoli si fecero più ampi e le abitazioni più ricche: sottili colonnine ne ornavano gli ingressi e nelle pareti si aprivano piccole bifore finemente decorate.
Diego puntò dritto verso un grande arco di pietra, che incorniciava una porta di ferro rinforzata da grossi chiodi, e iniziò ad armeggiare con un mazzo di chiavi.
Kore si avvicinò e i suoi occhi percorsero la cornice curva: vi erano scolpiti degli strani disegni, simili ad un alfabeto, forse una formula di benvenuto, o qualche incantesimo per tener lontani gli ospiti indesiderati. Era comunque molto antica, i simboli erano in parte consumati.
Le labbra della ragazza si arricciarono in maniera impercettibile: magari quei segni indicavano semplicemente il nome del proprietario della casa. Si avvicinò ancora e ne sfiorò con l’indice i contorni.
Poi la porta si aprì. Diego entrò per primo e Kore si sporse per guardare all’interno; strizzò gli occhi tentando di abituarsi all’oscurità: nella casa non era stato acceso nemmeno un lume e la ragazza immaginò che il mago non ne avesse bisogno. Restò sulla soglia, mentre Diego la superava inoltrandosi nel buio; sentì un rumore metallico e subito dopo vide la sua guida riapparire illuminata da una piccola lampada ad olio.
Lo sguardo della giovane fu attirato da una sagoma chiara in fondo al locale: Amauròs era in piedi, di spalle, e sembrava non essersi accorto della loro presenza, eppure il loro ingresso non era stato affatto silenzioso.
Poi la sua voce profonda riempì la stanza.
“Diego, perché hai portato questa estranea in casa mia?” domandò il mago senza voltarsi.
“Padrone, perdonami, è stata lei a chiedere di vederti, io ho pensato che…”
Amauròs lo interruppe con un gesto della mano, si voltò e si avvicinò ai due.
Restò immobile per qualche momento, in silenzio, quasi stesse ascoltando qualcosa; d’istinto anche Kore tese l’orecchio, ma non udì nulla a parte il battito frenetico del proprio cuore.
Poi il mago le fece cenno di accomodarsi, indicando alcune sedie riccamente decorate alla sua destra: erano fatte di legno e molto antiche. La ragazza si avvicinò e si sedette, con cautela, facendo attenzione a non appoggiarsi sullo schienale, quasi temesse che potesse sbriciolarsi sotto il suo peso.
“Ora che sei mia ospite, vorrai essere così rispettosa da dirmi il tuo nome?” la provocò Amauròs.
“Mi chiamo Kore.” mormorò la ragazza, e il suo cuore mancò un battito nel vedere l’altro irrigidirsi di fronte a quella semplice rivelazione.
“Perché sei venuta qui?” chiese il mago.
“Ho bisogno di aiuto, io sto cercando mio fratello…” iniziò pacata, ma subito dopo prese a maltrattarsi le mani e il suo respiro si fece affannoso per l’agitazione.
“Signore, lei sa benissimo, perché mi trovo qui. Lei… lei sa dove si trova mio fratello, se è vivo. Io… Io devo vederlo, la prego!”
“Tuo fratello sta bene. Freda non te lo ha detto?” le rispose calmo.
“Io…” pigolò. “Io devo riportarlo a casa.”
“A casa?” Lo sguardo vacuo del mago la sfiorò facendola rabbrividire. “Lui si trova già a casa, e presto anche tu lo sarai.”
“Mi denuncerà? Vuole consegnarmi a quelli che mi faranno il lavaggio del cervello?”
L’insolito linguaggio di Kore strappò all’altro una smorfia di disgusto. Si chinò su di lei puntandole addosso le sue iridi spente.
“Cosa vuoi da me?” soffiò.
“Voglio andare a casa, lei sa come fare, lei ha visto il passaggio.”
“Non so chi ti ha messo in testa quest’idea, ragazzina. Ma se vuoi vivere, ti consiglio di non raccontare in giro simili fandonie.”
“Se lei sa come mandarmi a casa, se voi tutti lo sapete, perché ci trattenete qui?”
“Nessuno sa come rimandarti a casa.” disse gelido il mago. “Nessuno.”
Poi sollevò il capo e di nuovo si fermò ad ascoltare. Le sue labbra si piegarono in un sorriso cattivo. Tese il braccio e chiuse il pugno con forza come se stesse afferrando qualcosa.
Solo qualche istante dopo si udirono dei colpi di tosse provenienti dalla strada e dei versi inarticolati, come se qualcuno stesse soffocando.
“Abbiamo un altro ospite, mio caro Diego. Forse dovremmo invitarlo ad entrare.”
Il vecchio servitore si precipitò verso la porta e la spalancò di scatto; un uomo cadde all’interno dalla casa, portandosi le mani alla gola come se cercasse di liberarsi da qualcosa che gli impediva di respirare.
Sollevò il viso, era Guglielmo, aveva i lineamenti contorti in un’espressione di dolore, gli occhi e la bocca erano spalancati in modo innaturale.
“Ba…sta, ba…sta!” riuscì ad articolare a fatica l’uomo, mentre annaspava in terra.
Amauròs aprì di colpo il pugno e Guglielmo si rilassò mentre l’aria tornava a riempirgli i polmoni. Rotolò sulla schiena e le braccia caddero senza forza allargandosi sul pavimento. Restò in quella posizione per diversi secondi; il respiro rauco, spezzato, simile ad un singhiozzo.
Amauròs gli si avvicinò sovrastandolo.
“Puoi anche riuscire a sviare i Segugi, Guglielmo, ma non puoi ingannare me”.
L’altro si appoggiò sui gomiti e si mise in ginocchio.
“Non era mia intenzione farti visita. Stavo seguendo la ragazza.” disse sforzandosi di apparire acido.
“L’hai trovata!” soffiò Amauròs. “Ora ti consiglio di riportarla alla cava. Non vi voglio in casa mia.”
Si chinò su Guglielmo. “Non voglio te, e non voglio quello sciocco ragazzo che hai mandato qui un mese fa.” sibilò cattivo.
Guglielmo fece una smorfia e, aiutato da Diego, si rimise in piedi.
“Se continui a rimandarmi indietro i miei uomini con notizie tanto interessanti, come puoi pretendere che io non ne approfitti?” ribatté sarcastico.
“Potrei anche non rimandartelo la prossima volta.” sbuffò il mago.
Guglielmo serrò forzatamente le labbra. A Kore parve persino di poter udire lo scricchiolare dei suoi denti.
“Ora vattene!” disse infine Amauròs, indicando l’uscita con un lieve cenno del capo.
Guglielmo incrociò le braccia muscolose ma non si mosse.
“E’ pieno di segugi la fuori, vuoi che usciamo di qui per finire dritti tra le loro braccia?” L’uomo sembrava voler prendere tempo.
“Oh, tu non corri alcun pericolo, non è vero?” disse Amauròs, mentre un sorriso beffardo gli piegava appena le labbra.
Kore li guardava sbalordita. I due uomini sembravano belve pronte a sbranarsi a vicenda.
Guglielmo fissò l’amuleto che pendeva dal collo della ragazza.
“Forse ho anch’io il mio ciondolo portafortuna.” ghignò il capo dei ribelli.
“O forse il tuo sangue è più nobile di quanto tu voglia far credere.” lo provocò Amauròs.
L’altro non rispose.
Kore allora fece qualche passo avanti, avvicinandosi al mago. Era intenzionata a perorare la sua causa, nonostante l’umore tempestoso dei due uomini sarebbe stato sufficiente a scoraggiare chiunque.
Tuttavia qualcosa sembrò di nuovo attirare l’attenzione di Amauròs.
“Sono qui. Presto di la! Andate nell’altra stanza!” disse sottovoce, ma con urgenza, indicando la porticina che immetteva nella sala della Fonte.
Kore e Guglielmo non se lo fecero ripetere e si precipitarono attraverso il piccolo uscio sparendo nel buio, appena in tempo. L’ingresso principale si spalancò con un schianto, sulla soglia c’erano tre donne con i capelli bianchi e lunghi fino alle ginocchia. Il volto scavato da rughe così profonde da renderne quasi indefiniti i lineamenti, mentre gli occhi, arrossati e gonfi, sembravano voler saltar fuori dalle orbite.
Kore si nascose dietro un’antica teca e osservò, attraverso i ripiani, una delle donne mentre si avvicinava al mago. Amauròs se ne stava immobile, la schiena diritta e il mento sollevato come se volesse sfidarla.
“I vostri poteri non sono più come un tempo, Orbiana. E’ la terza volta in un mese che piombate in casa mia e ancora non avete capito che a trascinarvi qui è semplicemente il mio servitore?”
Diego fece un passo avanti e la donna lo scrutò, muovendosi attorno a lui come un cane da caccia intento a ritrovare la traccia della sua preda.
Infine, apparentemente soddisfatta, la vecchia strega si rivolse al padrone di casa.
“Come puoi sopportare la sua presenza?” domandò con una voce rauca e soffocata. “Il suo canto è insopportabile.”
“Forse il mio udito è meno raffinato del tuo.” rispose sarcastico Amauròs, accennando un inchino.
La strega piegò le labbra in qualcosa che somigliava vagamente ad un sorriso, e si mosse con l’intenzione di andare nella stanza accanto.
Diego s’irrigidì, mentre il suo padrone, con freddezza, si rivolse alla donna.
“Ti consiglio di non fare un altro passo.” la minacciò. “Tu e le tue sorelle non siete ospiti gradite, e non vorrei dovervi dimostrare quanto.”
“Non oseresti metterti contro il consiglio.” gracchiò la strega. “Non sarebbero altrettanto magnanimi se li sfidassi per la seconda volta...” si avvicinò al mago e fissò le sue iridi buie dal basso della sua statura. “E non hai altri occhi da barattare per la tua vita.” lo schernì esibendo il suo sorriso marcio.
Amauròs parve non accusare il colpo, rimanendo immobile, con le braccia lungo i fianchi. Ma nonostante le voltasse le spalle, Kore poté vedere le dita della sua mano sinistra stringersi in uno spasmo.
“E tu, quanto sei disposta a rischiare, per toglierti la soddisfazione di curiosare nella casa di un povero cieco?” disse con voce glaciale.
Un basso ringhio sfuggì dalla gola della donna che, dopo aver dedicato a Diego un’occhiata disgustata, uscì dalla casa, seguita dalle altre due streghe.
Kore e Guglielmo vennero fuori dal loro nascondiglio.
“Come hanno fatto a non accorgersi di me?” chiese stupita la ragazza.
“Il medaglione ti ha protetta.” s’intromise Diego.
Kore allora guardò Guglielmo e i suoi occhi si abbassarono sul petto dell’uomo a cercare un monile simile al suo. Ma lui non aveva al collo alcun medaglione, niente che potesse assomigliare ad un amuleto.
“E lui? Perché non hanno sentito la sua presenza, ma solo quella di Diego?” domandò.
Amauròs allora li superò entrando nella stanza in cui si erano nascosti, fino a pochi istanti prima, lei e Guglielmo.
Si avvicinò ad una sottile colonna finemente scolpita che fungeva da piedistallo, accanto alla fonte magica; sulla sommità era fissata una grossa pietra verde, simile a quella che Kore aveva appesa al collo, ma molto più grande.
Il mago la sfiorò appena e subito quella iniziò a vibrare emettendo un suono delicato.
Stese il braccio verso Diego invitandolo ad avvicinarsi. Lui lo fece e subito il suono mutò diventando stridulo e fastidioso; appena si allontanò di qualche metro, il suono tornò ad essere melodioso.
Amauròs allora si rivolse a Kore.
“Vieni, avvicinati pure.” disse. “Non aver paura.”
La giovane fece un passo avanti, ma non accadde nulla: il suono non cambiò.
“L’amuleto, toglilo!” le ordinò il mago.
Kore afferrò incerta la catena che aveva intorno al collo e sfilò il medaglione. Subito la pietra sulla colonna rispose con un brutto suono gracchiante accompagnato da un fischio acutissimo che la fece trasalire.
Fece un balzo indietro, e per poco non travolse Diego che l’afferrò per le spalle impedendole di cadere. Appena riacquistato l’equilibrio si rimise al collo l’amuleto, e fissò la roccia magica trattenendo il respiro: per un attimo aveva temuto che potesse esploderle in faccia. Tuttavia quella era tornata al suono originale quasi immediatamente.
“E’ questo che intendeva la vecchia quando ha detto che il suo canto era insopportabile?” domandò indicando Diego; la voce le tremava ancora per lo spavento.
Amauròs annuì, “La pietra può amplificare o nascondere il canto. Ogni cosa ha il suo canto: gli uomini, le rocce, gli animali... perfino i segugi stessi, ma, come hai potuto sentire, i figli della luce hanno perso la capacità di controllarlo. Non siete più parte dell’armonia del mondo, per questo non potete agire su di esso e quindi non sapete usare la magia.” spiegò macchinalmente, mentre la sua attenzione era già rivolta altrove.
Stese la mano verso il sasso con il palmo rivolto in alto, e quello, come se fosse legato a dei fili invisibili, si sollevò dal piedistallo rimanendo sospeso a qualche centimetro dalla sua base.
Il mago allora ruotò appena il polso e anche quello si mosse, levitando con lentezza in direzione di Guglielmo, che era rimasto in disparte appoggiato alla parete, intenzionato a mettere più distanza possibile fra sé e l’oggetto.
Vedendo la pietra che gli volava incontro si ritrasse istintivamente, ma urtò il muro alle sue spalle e non poté evitare di ritrovarsela ad un palmo dal viso.
Amauròs gli dava le spalle: non aveva bisogno della vista per sapere che il suo sasso si trovava proprio dove lui lo voleva. Tese l’orecchio assumendo un’espressione soddisfatta quando il canto della roccia verde divenne appena più acuto, ma non stridente e fastidioso come quando ad avvicinarla erano stati Kore e Diego.
“Dunque avevo ragione.” disse. “L’inafferrabile capo dei ribelli non è quello che voleva farci credere.”
Si voltò verso Guglielmo. “Astuto da parte tua nasconderti in città, proprio sotto il naso dei segugi.” Sorrise, mentre gli si avvicinava. “Ma certo, loro hanno sempre cercato un figlio del sole. Quanta magia c’è nel tuo sangue Guglielmo? Tua madre era una Discendente? O forse tuo padre lo era?” Lo raggiunse e tendendo il braccio lo spinse contro la parete. Guglielmo non tentò di sottrarsi, anche se, fisicamente, era molto più forte dell’altro. Kore immaginò che i muscoli dovessero essere inutili contro la magia o, forse, Guglielmo aveva altre ragioni per evitare uno scontro.
“La magia nel mio sangue mi ha regalato un bel suono.” disse beffardo afferrando la pietra con entrambe le mani. “Ma non mi ha dato la libertà. Se l’essere un Discendente significa strisciare come hai fatto tu, preferisco essere un Figlio del Sole.” continuò sollevando il mento orgoglioso.
Amauròs si ritrasse come se fosse stato punto da un insetto e Guglielmo sorrise: aveva colto nel segno. Le parole della strega gli avevano fatto capire molte cose e soprattutto avevano dato conferma alle voci sulla cecità del mago.
“Dunque è così, sono stati loro.” constatò soddisfatto.
Amauròs non rispose. Si voltò, distese il braccio finché non trovò la colonnina; seguì con le dita il rilievo del capitello, quasi cercasse dei punti di riferimento per orientarsi e, dopo averne individuato uno spigolo, si voltò, raggiunse con sicurezza l'antico scranno e vi si accomodò.
Guglielmo scosse il capo.
“Come puoi essere dalla loro parte dopo quello che ti hanno fatto?” fece qualche passo riposizionando la roccia sulla sua base.
“Io non sono dalla parte di nessuno.” ruggì il mago. “Quello che decide il consiglio non mi riguarda. Quello che farai tu, non mi riguarda. Vuoi trovare la soglia? Fallo. Vuoi uscire di qui? Far sprofondare questo mondo in un inferno di lava? Perché è questo che dicono le leggende: quando gli schiavi rivedranno il sole, il mondo dell’ombra sarà divorato dal fuoco.” Si alzò e si appoggiò con entrambe le mani alla spalliera. “Posso solo consigliarti di non lasciare indietro nessuno dei tuoi amici: nessuno di loro si salverebbe.”
Chinò il capo.
“Il giorno in cui troverai quella porta dovrai decidere della vita e della morte di molti. Se avrai successo, chi sarà con te si salverà, ma per tutti gli altri sarà la fine.” si morse il labbro. “Solo un folle potrebbe prendere una simile decisione.” La sua voce tremò. “O un uomo innamorato.” mormorò, quasi a se stesso. “Ora andatevene!”
Kore li fissò entrambi sgomenta, non poteva finire così, tutti quei discorsi sul sangue magico di Guglielmo, su leggende catastrofiche, su antichi rancori, tutto ciò a lei non interessava. L’unica cosa che voleva era tornarsene a casa.
“Io… No, non può dire sul serio, io non me ne vado, io voglio rivedere mio fratello, dovete portarmi da Fabian.” gridò. “Non mi interessano le vostre dannate pietre, non mi interessa lui,” indicò Guglielmo. “Se c’è un maledetto modo per aprire quella porta, io tornerò a casa, io…”
“Diego, accompagna fuori questa ragazzina!” La voce del mago era fredda, distaccata.
“Ma, mio signore, i segugi sono vicini, la strada non è ancora sicura.” Diego posò una mano sulla spalla della giovane nel tentativo di tranquillizzarla, ma Kore sembrava sul punto di avventarsi sul padrone di casa. “Sta calma!” le suggerì all’orecchio.
Lei scansò la mano del vecchio servitore e marciò infuriata verso Amauròs.
Guglielmo fissava la scena con le braccia incrociate, quasi stesse assistendo ad uno spettacolo teatrale. Forse era curioso di vedere la reazione del mago, magari aspettava solo di vedere se avrebbe risposto alle provocazioni riducendo in polvere una sciocca ragazzina.
Ma Kore non aveva paura. In quel momento si sentiva un leone, aveva solo voglia di picchiare l’uomo che aveva di fronte, di sfogare la propria rabbia senza pensare alle conseguenza, forse era solo disperazione la sua.
Quando fu ad un passo da Amauròs, sollevò le braccia, i pugni chiusi erano pronti a colpirlo, ma qualcosa le impedì di muoversi.
Udì la profonda voce del mago pronunciare strane parole in una lingua incomprensibile e, improvvisamente, si ritrovò schiacciata contro il soffitto. Iniziò a gridare e a piangere, ormai preda di un vero e proprio attacco isterico.
“Fammi scendere!” urlò agitandosi come un pesce nella rete.
“Se vuoi attirare qui i segugi con le tue grida, ti assicuro che sarò ben felice di consegnarti a loro questa volta.” minacciò il mago.
“Io voglio andare a casa.” scoppiò in un pianto dirotto.
Amauròs sollevò la mano e Kore, come aveva fatto la pietra magica poco prima, levitò fino a trovarsi ad un palmo dal suolo, lì il mago la liberò e lei finì distesa, le braccia allargate e la guancia schiacciata sul duro pavimento.
Si rimise in piedi ansimante. Si asciugò le lacrime con la manica dell’abito e fissò il mago con gli occhi erano lucidi e arrossati. “Lei deve aiutarmi, lei è la mia sola speranza, io… io credevo…” singhiozzò. Si era illusa, era certa che il mago l’avrebbe aiutata, voleva crederci e non l’aveva nemmeno sfiorata l’idea di un suo eventuale rifiuto.
Amauròs le voltò le spalle.
“Esci dalla mia casa.” ordinò secco.
“Non può finire così, non ci credo, non può essere vero.”
Invece era vero, era stato bello sognare per un po’ di poter risolvere la situazione con le sue forze, quando, disubbidendo a Marietta, era fuggita di notte, convinta di tornare alla cava con la soluzione in pugno; ma solo nelle favole il potente mago arriva a salvare la situazione. Quella purtroppo non era una favola, e la realtà non aveva mai un lieto fine.
Rassegnata, fece per togliersi la collana, ma, come se l’avesse intuito, Amauròs la bloccò con un cenno della mano.
“Puoi tenere l’amuleto, non ne esistono altri in questo mondo in grado di imitare altrettanto bene il canto di un Discendente.” Si voltò e Kore vide le sue labbra piegarsi in un ghigno beffardo. “Se vorrai permettere che questo pazzo ti trascini con lui nella sua impresa, ne avrai bisogno.”

Edited by Astry - 25/9/2014, 20:35
 
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Camelia.
view post Posted on 17/1/2014, 00:46




Bene, bello! Questa ragazza-Kore farà grandi cose! :)
 
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Astry
view post Posted on 17/1/2014, 11:15




CITAZIONE (Camelia. @ 17/1/2014, 00:46) 
Bene, bello! Questa ragazza-Kore farà grandi cose! :)

O magari combinerà un sacco di guai :P :rolleyes: :D
 
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Camelia.
view post Posted on 18/1/2014, 00:20




Hehe, un po' ci spero in effetti!
 
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Astry
view post Posted on 20/1/2014, 18:20




Cap. 11



Tornare alla cava fu più faticoso del previsto, ma, in un certo senso, più sicuro. Guglielmo conosceva ogni cunicolo, ogni singolo passaggio segreto di quella città e sapeva come evitare i Segugi. Lapidia era davvero molto simile ad un formicaio e, oltre ad essere percorsa in tutta la sua altezza dalla grande scalinata a spirale, era traforata da una ragnatela di vicoli più piccoli che si intrecciavano all’interno delle sue pareti rocciose.
Kore aveva già percorso i primi gradini, quando Guglielmo si infilò in una botola. La ragazza, dopo un primo momento di esitazione, lo seguì, trovandosi ad affrontare delle ripide scale praticamente al buio. Erano così strette e distanti tra loro che a tratti doveva sedersi e lasciarsi cadere sul gradino successivo. Quando finalmente riuscì a prendere il ritmo della discesa ecco che il cunicolo deviò all’improvviso trasformandosi in uno scivolo ripido. La ragazza si lasciò sfuggire un grido strozzato ritrovandosi col volto premuto contro la parete, dopo essere ruzzolata per diversi metri.
Guglielmo si limitò a brontolare sommessamente e proseguì senza aiutarla. Il percorso diventava sempre più accidentato e l’ oscurità che li avvolgeva rendeva tutto più complicato. L’unico riferimento per la giovane era il respiro affaticato della sua guida, si trascinò in avanti seguendo quel suono, con gli occhi chiusi, finché, dopo alcune ore sbucarono da uno stretto budello che immetteva nell’ultima rampa della grande scala principale. Guglielmo uscì per primo e, dopo aver controllato che non ci fosse nessuno, fece cenno alla ragazza di seguirlo. Kore si spinse fuori con le braccia, rotolando in modo goffo sul pavimento levigato dai secoli, e si rimise in piedi; colpita dall'improvvisa luminosità strizzò istintivamente gli occhi: era già mattina e i primi raggi del sole verde tagliavano obliquamente l’oscurità, come fossero lame affilate.
Si trovavano in un cunicolo laterale, appena sopra la prima parte di scala. Kore abbassò lo sguardo e fissò la tunica con una smorfia: ormai era divenuta di un colore grigiastro e aveva una macchia più scura e umida sul davanti nel punto in cui aveva strisciato infilandosi in uno dei passaggi più bassi.

Si sfilò la veste che non le serviva più, se non a dare maggiormente nell’occhio, la arrotolò, la mise sotto un braccio, e si affrettò a raggiungere la sua guida.
A quell’ora la grande scala era invasa da uomini e donne indaffarati, ma nessuno notò lei e Guglielmo che parvero comparire dal nulla. Fu facile passare inosservati: non dovettero fare altro che unirsi alla folla che andava e veniva trasportando merce di vario genere, soprattutto sacchi di farina e altri alimenti, che dalla Città del Sole giungevano a Lapidia per finire, poi, nei pentoloni di Bertone alla cava. Kore e Guglielmo seguirono la corrente di quel fiume di uomini fino al grande arco.
Appena fuori si trovarono di fronte Marietta e Freda.
La più giovane aveva un’espressione severa e preoccupata, mentre l’altra fissava Guglielmo come se attendesse da lui qualche notizia. L’uomo, appena la vide, annuì e si appartò con lei. Cosa che a Kore non piacque affatto e non tardò a mostrare il suo disappunto prendendosela con Marietta. La donna le aveva fatto cenno di seguirla: il lavoro alla miniera era già iniziato e loro avrebbero dovuto raggiungere gli altri schiavi, ma appena furono abbastanza lontani da Guglielmo e Freda, Marietta si fermò di colpo e bloccò anche Kore, afferrandola per le spalle e costringendola a guardarla in volto. Dalla sua espressione era chiaro che stava per esibirsi in un energico rimprovero, tuttavia non ebbe nemmeno il tempo di aprir bocca, che Kore la anticipò sfogando su di lei tutta la tensione accumulata: “Non dirmi che non sarei dovuta andare in città.” sputò con ira liberandosi dalla stretta della donna.
“Non è necessario che te lo dica, lo sai benissimo!” rispose Marietta soffocando l’istinto di sferrarle un sonoro ceffone: la rabbia, che si leggeva nello sguardo della sua protetta, la fece desistere.
Kore era furiosa, ma non capiva il perché. Era chiaro che il mago cieco non voleva aiutarla, si sentiva frustrata e delusa per questo, ma nello stesso tempo si sentiva usata, sfruttata da Freda. La vecchia maga doveva aver intuito le sue intenzioni. Chissà da quanto tempo era rimasta dietro di lei ad ascoltarla conversare con Diego, prima che lui se ne accorgesse; eppure si era limitata ad insultare il povero vecchio e a rimproverare la sua ospite.
Avrebbe potuto avvertire Marietta, metterla al corrente dei propri piani, invece non aveva fatto nulla di tutto ciò ma, piuttosto, l’aveva fatta seguire da Guglielmo. Perché? Perché non l’aveva semplicemente aiutata ad avvicinare Amauròs, se pensava che potesse aver ragione su di lui? Anche Guglielmo sembrava convinto che lui dovesse aiutarli. Per qualcosa che era accaduta nel passato del mago, qualcosa che le parole del Segugio sembravano avergli confermato.
“Lei… Lei sapeva, eppure non mi ha fermata.” protestò Kore, ansiosa di giustificare le sue azioni, mentre il suo dito indice correva ad indicare la vecchia maga intenta a parlottare con Guglielmo.
I due erano sufficientemente lontani da non accorgersene, eppure Marietta sussultò e sollevò le mani come se volesse impedire alla ragazza di attirare la loro attenzione, l’altra tuttavia continuò.
“Vorrei proprio sapere perché.”
Fissò la sua interlocutrice con aria di sfida e aggiunse: “Perché ha finto di non sapere? Lei era l’unica ad avermi sentita parlare con Diego. Perché, invece di avvertire te, mi ha fatta seguire da Guglielmo?”
“Freda avrà avuto le sue ragioni, ma tu non dovevi allontanarti.” sbottò Marietta sforzandosi di tenere basso il volume della voce. Poi afferrò nuovamente la più giovane per un braccio, obbligandola a riprendere il cammino verso la miniera.
“Le sue ragioni? Ma non ti rendi conto che ti ha presa in giro?” Kore si liberò ancora e, puntando i piedi, riprese a provocarla.
“Ti ha messa a fare il cane da guardia. Se la prende con te se mi allontano per parlare con qualcuno, e poi mi lascia libera di svignarmela da sotto il tuo naso. Chiediglielo! Chiedile perché lo ha fatto.”
“Tu non capisci: Freda è vecchia e saggia, ed io mi fido completamente di lei.”
“Vecchia lo è di sicuro.” commentò Kore, sarcastica. “Forse con una dentiera potrebbe migliorare il suo aspetto.” Fece una smorfia e poi tentò di imitare l’orrendo sorriso della maga, e, sollevando le braccia, piegò le dita come se fossero provviste di artigli.
In quel momento giunse ad unirsi alla conversazione anche Ranuccio.
Come sempre, appena aveva avvistato da lontano le due donne, il ragazzo le aveva raggiunte di corsa, col solito sorriso stampato sul volto pallido.
“Di chi state parlando?” chiese accennando al buffo atteggiamento di Kore. “Non di me, spero”. Ghignò.
“Si parlava di vecchie mummie.” sbuffò la più giovane.
“Si parlava di saggezza.” la corresse l’altra. “Qualcosa che a voi due sembra mancare, completamente.” lanciò un’occhiataccia a Ranuccio che continuava a sorridere e a saltellare sul posto, come una specie di mimo.
“Avremo tempo per diventare saggi e… vecchi, Marietta.” ridacchiò lui, accennando alla maga poco distante.
“Tu, è probabile, ma non a tutti è concesso di vivere per duecento anni.” ribatté Marietta. Il suo tono di voce era raggelante.
Ranuccio divenne cupo.
“Che significa?” domandò Kore, fissando l’altro con curiosità.
Ci fu un lungo silenzio, poi Ranuccio abbozzò un sorriso triste.
“I Discendenti vivono molto a lungo.” rispose, mentre gli occhi scuri corsero ad immergersi in quelli di Marietta. Lei ricambiò quello sguardo con una smorfia di disgusto e poi si voltò di scatto allontanandosi.
Ranuccio emise un sospiro e tornò a rivolgersi a Kore che continuava a guardarlo inebetita.
“Vedi…” si morse il labbro, “Freda ha quasi duecento anni. Molti Discendenti sono più vecchi di quanto sembri, e non solo i Discendenti… anche, sì, insomma, quelli come me, che sono per metà Figli del sole. Noi invecchiamo più lentamente.
“Vuoi dire che hai…” Kore fissò il suo interlocutore, studiandone l’aspetto nei minimi particolari, “Quanto? Cento anni anche tu?” domandò.
“No, io ho esattamente l’età che dimostro, ma il sangue di mio padre potrebbe assicurarmi una vita molto lunga.” rispose avvilito.
Kore non sapeva se essere più stupita per la rivelazione del giovane o per il fatto che l’aspettativa di una lunga vita lo rendesse tanto infelice. Tuttavia non osò approfondire, dato che Marietta sembrava molto infastidita dall’argomento.
Rivolse un ultimo sguardo a Freda e Guglielmo. I due continuavano a parlare e, dai loro gesti, Kore immaginò che la discussione dovesse essere abbastanza animata. Chissà cosa stavano tramando?
Persa nei propri pensieri, non si era accorta che Ranuccio aveva raggiunto Marietta. Affrettò il passo e li affiancò diretta verso le miniere.




***


“E’ stata una sciocchezza.” Guglielmo bisbigliava, ma la voce era colma di rancore. “Non capisco perché continui a voler coinvolgere il cieco nei nostri affari. Non ci aiuterà mai, ed è già molto se continua a tenere la bocca chiusa.”
Intanto che parlava si udì un uomo urlare rivolto ad un gruppo di minatori: “Il carico, spostate il carico!”
Guglielmo sollevò lo sguardo e vide che alcuni schiavi stavano spingendo un carro di metallo verso di lui, mentre altri si affrettavano a sgombrare l’accesso alla città da alcune casse di materiale accatastate sulla soglia dell’arco. Afferrò Freda per un braccio e la trascinò da una parte, mentre il carro, passando a pochi metri da loro, sollevò una nuvola di polvere che li investì.
“Hai deciso di farci arrestare tutti?” continuò. Era così furioso che ignorò persino la polvere che gli riempiva la bocca.
Freda sollevò un braccio proteggendosi il volto con la manica della tunica.
“A volte mi meraviglio del fatto che scorra il mio sangue nelle tue vene!” soffiò tra le fessure dei suoi denti marci, mentre la stoffa le attutiva la voce facendola apparire ancora più rauca e inquietante. “Sei davvero così sciocco, che persino una giovane donna piombata qui da un altro mondo ha capito prima di te che Amauros è l’unico in grado di trovare la Porta. Non usciremo mai da questo posto senza di lui, e prima riuscirai a ficcartelo in quella testa vuota e meglio sarà per tutti.”
“Tu non hai fiducia in me, non ne hai mai avuta!” protestò Guglielmo, ma la voce tremò come quella di un di un bambino intimorito. Immediatamente abbassò il capo in segno di rispetto. “Perdonami, madre!” mormorò.
Freda gli rivolse un’occhiata disgustata e fece per allontanarsi ma l’altro scattò in avanti e fu di nuovo di fronte a lei. “Io devo sapere,” disse con ritrovata veemenza. “C’è dell’altro, non è vero? Perché Kore ti interessa tanto?”
“Probabilmente per la stessa ragione per la quale interessa al cieco.” gracchiò la vecchia maga. Poi il tono delle sue parole si fece meno aspro. “Amauròs non parlerà: ha ragioni sufficienti per non tradire i ribelli.”
Le labbra rinsecchite di Freda si allargarono in un sorriso sghembo. “Ma dovrà essere persuaso ad aiutarci. Dovremo essere più convincenti.”
“Io… so che i suoi poteri potrebbero esserci utili, ma è troppo vicino al consiglio…” obbiettò l’altro.
“Lo sono anch’io.” evidenziò lei con fierezza, obbligandosi a drizzare la vecchia schiena dolorante.
“Tu non ci tradirai, ma di lui non possiamo fidarci. Potrebbe esserci un'altra soluzione, Amauròs non è l’unico Geomante, è possibile che qualcun altro…” azzardò di nuovo Guglielmo, intenzionato a far valere le sue ragioni, più per orgoglio che per vera convinzione ma raramente Freda prendeva in considerazioni le opinioni di qualcun altro e, infatti, lo interruppe con un cenno della mano. Fu sufficiente ad imporre la sua autorità; l’uomo chinò di nuovo il capo e annuì con un sospiro.
“Dimmi quello che hai in mente.” disse. “Vuoi che porti con me degli uomini e lo conduca qui con la forza?”
La donna sorrise.
“Non ci riusciresti. E’ cieco, ma non dimenticare che è un Discendente, uno dei più potenti.”
Guglielmo strinse i pugni con rabbia. “E come pensi di convincerlo a collaborare?”
Freda si voltò allontanandosi di qualche passo. “Stasera raggiungimi con i tuoi uomini più fidati.” disse senza guardarlo. “E trovami il bambino storpio. Come si chiama?” si portò l’indice scheletrico alle labbra, richiamando alla memoria i nomi dei ribelli. “Giona, sì lui.” disse infine soddisfatta. Nonostante l’età ricordava tutti i volti e i nomi degli schiavi ribelli, conosceva le loro famiglie e le loro origini.
Giona era un bambino di nove anni, era zoppo, ma ciò nonostante amava seguire i minatori fin nelle gallerie più pericolose, persino di giorno quando il rischio di incontrare i Vermi delle Grotte era maggiore. Ivetta, sua madre, aveva tentato in tutti i modi di dissuaderlo e perciò si era spesso rivolta a Freda, sperando che la maga, lo persuadesse a restar fuori dai guai. Dopo aver perso il padre in un incidente alle miniere, Giona, non riusciva proprio a restare lontano da quei luoghi: ogni minatore era per lui un secondo padre e nessuno di questi era mai riuscito a convincerlo a rinunciare alle sue avventure; così quegli uomini lasciavano semplicemente che il piccolo li seguisse, vegliando su di lui come tanti angeli custodi.
“Ma perché? A quale scopo?”
“Dovremo pure trovare una buona scusa per scomodare Amauròs, e portarlo dove vogliamo, non credi?” rispose lei con un sorriso cattivo.
“Credi di commuoverlo con una storiella pietosa?” scosse il capo. “Mi deludi, madre.”
La vecchia esibì i suoi denti marci in un sorriso di scherno.
“Sono poche le cose a cui tiene quell’uomo. Giona è una di queste. Quel mocciosetto impertinente gli sta sempre tra i piedi, ogni volta che viene alla cava. Credo che, dopotutto, il grande mago si sia affezionato.”
“Non vorrai fare del male al bambino?”
“Non sarà necessario, ma sarà meglio che sua madre non venga messa al corrente dei nostri piani. Ivetta dovrà essere convincente, quando parlerà con il cieco.”

Edited by Astry - 30/9/2014, 11:52
 
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Camelia.
view post Posted on 28/1/2014, 00:18




Che dire se non... continua!! :)
 
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Astry
view post Posted on 29/1/2014, 18:48




Cap. 12

Trascorsero altri giorni da quel momento. Alla cava tutto sembrava tranquillo come al solito. Kore non aveva più parlato con Marietta della sua fuga notturna e lei pareva voler dimenticare l’episodio.
Mentre erano in fila per il pranzo lo sguardo di Kore individuò un gruppo di uomini robusti vicino al punto dove era solito appartarsi il vecchio servitore di Amauròs. Tentò invano di sbirciare attraverso il muro di muscoli, ma non ci riuscì. Forse Diego era dietro di loro, seduto sulla roccia a mangiare la sua razione giornaliera. Si chiese cosa volessero da lui quegli strani individui, ma immediatamente un'altra scena attirò la sua attenzione: un ragazzino smilzo vestito con una corta tunichetta che una volta doveva essere stata di un colore verde acido, il volto semicoperto da un cappuccio, stava spingendo faticosamente un carrettino carico di attrezzi da lavoro e altra ferraglia. Subito fu attorniato da alcuni schiavi che presero ad esaminare il carico. Soppesavano gli attrezzi, verificando l’affilatura degli scalpelli e la maneggevolezza di mazze e martelli.
D’istinto Kore abbandonò la fila. Non sapeva perché, ma qualcosa la attirava verso il bambino, qualcosa di familiare.
Quando gli fu di fronte, il ragazzino sollevò il viso e a Kore sentì il cuore balzarle fuori dal petto.
“Fabian!” il nome del fratello le sfuggì dalle labbra ancora prima che il suo cervello potesse realizzare quello che stava facendo.
Il bambino la fissò stupito, come se la vedesse per la prima volta.
Kore si morse il labbro ricordando le parole di Marietta. Fabian non poteva riconoscerla, e lei stava rischiando di metterlo nei guai con la sua avventatezza.
Cercò di pensare in fretta, ma aveva solo una gran voglia di abbracciarlo e dare libero sfogo alle lacrime. Strinse i pugni e si obbligò a restare immobile.
Il bambino continuava a guardarla, mentre i minatori che frugavano nel suo carretto non fecero caso a lei.
Un uomo le passò vicino spintonandola. Anche lui era interessato a ciò che Fabian teneva nel carro. Forse suo fratello era lì per vendere quegli attrezzi, o magari barattarli. Gli occhi di Kore passarono in rassegna il contenuto del carretto, individuando in un angolo un bauletto. Si chiese cosa potesse contenere. Forse qualche genere di moneta che si usava per commerciare in quel mondo, ammesso che gli schiavi potessero disporne. Forse, molto più semplicemente, la moneta di scambio dei minatori erano proprio le pietre magiche.
Magari Fabian le avrebbe a sua volta scambiate con viveri e vestiti, per sé, e per chiunque stesse vendendo quella merce. Era certa, infatti, che suo fratello non fosse in grado di fabbricare qualcosa con le proprie mani, tantomeno era in grado di lavorare il metallo.
Fabian sorrise all’uomo porgendogli delle cesoie e, mentre quello le esaminava con molta attenzione, tornò a rivolgere lo sguardo verso Kore.
Gli occhi di lei divennero lucidi, non sapeva che fare, non poteva restarsene li a fissarlo senza dire niente, né poteva voltargli le spalle e rischiare così di perderlo per la seconda volta.
L’aveva chiamato per nome, ma per Fabian quell’appellativo evidentemente non aveva più alcun significato. Non aveva detto niente, non aveva neppure chiesto chi fosse lei e perché lo avesse chiamato in quel modo. Kore realizzò che non rivolgeva la parola nemmeno agli uomini che lo avevano attorniato. Alle loro richieste rispondeva con semplici cenni del capo. Per un attimo temette il peggio, immaginando qualche terribile incantesimo, forse una strana magia gli impediva di parlare. Ormai non si stupiva più di nulla. Poi però si convinse che, più semplicemente, gli era stato in qualche modo imposto di non parlare onde evitare che il suo accento lo tradisse. Sì, doveva essere di certo questa la ragione. Del resto a lei avevano fatto la stessa raccomandazione.
Fabian sembrava conoscere bene il suo lavoro. Era a suo agio in quell’ambiente sotterraneo, come se non avesse conosciuto altro nella vita. Tuttavia parve stupito e anche spaventato quando uno degli schiavi che lo avevano avvicinato sbottò in una risata sguaiata.
Era un uomo calvo sui cinquant’anni. Il volto e il petto nudo e muscoloso avevano assunto un inquietante colorito verdognolo a causa della polvere di pietra magica mista a sudore che gli copriva completamente la pelle, come una patina.
“Ehi! I Vermi delle Grotte ti hanno forse mangiato la lingua, ragazzino?” sbraitò strattonando Fabian.
Il bambino scosse violentemente il capo, ma non rispose.
Davanti a quella scena, Kore non poté fare a meno di lanciare all’uomo un’occhiata rabbiosa. Se avesse continuato a schernire il suo fratellino si sarebbe guadagnato un calcio negli stinchi. Ma i propositi violenti della ragazza furono bloccati sul nascere: Freda si era avvicinata e posò gentilmente le mani sulle spalle del piccolo Fabian.
“Il ragazzo non parla.” disse rivolgendosi all’uomo, che sembrò rimpicciolire di fronte alla vecchia maga. “Ma il fabbro non sarebbe contento di sapere che qualcuno si prende gioco di suo figlio, faresti meglio a tenere per te i tuoi commenti, Rufo.” lo avvertì, e il suo volto rugoso assunse un espressione che fece rabbrividire Kore e, di sicuro, ebbe lo stesso effetto sul minatore che chinò il capo e si allontanò in gran fretta.
Tuttavia era chiaro che, nonostante Fabian si comportasse come se fosse a casa propria, la sua presenza alla cava era una novità per tutti gli altri, infatti, subito dopo, un altro minatore si rivolse a Freda.
“E il figlio del fabbro ce l’ha un nome?” domandò. “O dovremo rivolgerci a lui chiamandolo ‘Ehi tu’?
“Guccio è il suo nome.” lo informò seccamente la strega.
Kore sentì una stretta dolorosa allo stomaco.
Senza accorgersene si morse il labbro fino a farlo sanguinare, quando gli occhi, che faticavano a trattenere le lacrime, carpirono l’impercettibile sorriso di suo fratello nel sentire pronunciare quel nome.
“Ora prendi quello di cui hai bisogno e torna al tuo lavoro.” continuò Freda indicando all’uomo la ferraglia che luccicava nel carretto e poi, afferrando Kore per un braccio, la trascinò lontano.
La giovane non osò ribellarsi, ma continuò ad osservare amareggiata dietro di sé il piccolo schiavo che distribuiva i nuovi attrezzi ai lavoratori. Immaginò che non sarebbe stato saggio tentare di parlare con lui in quel momento. Tuttavia doveva escogitare un piano, un scusa per avvicinarlo da sola. Doveva tentare di guadagnarsi la sua amicizia prima di ricordargli chi fosse in realtà. Ma come? Bisognava agire con prudenza. Ora Fabian, o Guccio come si faceva chiamare, era uno di loro o, almeno, credeva di esserlo. Avrebbe potuto tradirla e lei non poteva rischiare di scoprirsi, mettendo in pericolo anche lui.
Sospirò: finalmente aveva avuto la conferma che era sano e salvo e che, a quanto sembrava, non correva immediato pericolo, quindi aveva tutto il tempo per pensare alla cosa migliore da fare per conquistare la sua fiducia. Forse parlandogli nella sua lingua madre sarebbe riuscita persino a risvegliare in lui i ricordi, ma non doveva essere precipitosa, ci sarebbero state altre occasioni per avvicinare Fabian, almeno era quello che si augurava.
Un debole sorriso si disegnò sul suo volto, mentre fantasticava sul loro ritorno a casa.
Freda continuava a trascinarla, ma lei sembrava non accorgersene. I suoi piedi si muovevano meccanicamente, un passo dietro l’altro, e, intanto, miriadi di pensieri le vorticavano caotici nel cervello. Poi, all’improvviso, un suono basso e prolungato riempì l’aria rimbalzando da una parete all’altra come un funesto presagio di sventure.
Tutti gli uomini gettarono a terra i loro attrezzi e corsero verso la fonte del lugubre ululato che, in un primo momento, aveva ricordato a Kore il verso straziante di un animale, e solo dopo la giovane riuscì a collegarlo ad uno strumento dell’uomo, un corno o qualcosa di simile. Probabilmente una specie di allarme a giudicare dalla reazione degli schiavi.
Anche Freda ebbe un sussulto nell’udire quel richiamo, ma non affrettò il suo passo. Lei e Kore furono sorpassate da decine di donne e uomini che correvano a perdifiato.
In quella confusione la giovane perse di vista il fratello. Lo cercò inutilmente con lo sguardo per alcuni minuti, poi si voltò e i suoi occhi corsero verso il luogo in cui, poco prima di incontrare Fabian, aveva visto l’assembramento di uomini. Ora, nel punto in cui Diego era solito consumare il suo pasto, non c’era più nessuno: anche quei minatori dovevano aver raggiunto gli altri seguendo il richiamo del corno, e la roccia dove avrebbe dovuto trovarsi seduto il vecchio servitore era vuota. Si chiese se anche lui avesse seguito gli altri, o se, quel giorno, non si trovasse affatto alla cava.


***

Amauròs si voltò di scatto. Era appena riuscito a prendere sonno quando i colpi lo svegliarono. Qualcuno stava bussando alla sua porta con una tale violenza che si precipitò giù dal letto e si preparò a difendersi da un eventuale assalitore. Protese le mani in avanti in direzione dell’ingresso e trattenne il respiro. Poi le grida disperate di una donna gli bloccarono le parole del maleficio in gola.
“Mio signore, apri, ti prego!”
Riconobbe subito la voce di Ivetta. Si portò il palmo della mano verso il petto, e poi, con un gesto ampio e rapido simile ad uno schiaffo, colpì l’aria.
Come se fosse stata afferrata dalle sue dita, la porta si spalancò sbattendo con tanta forza sulla parete da rimbalzare per ben due volte.
Sulla soglia la donna in lacrime era accompagnata da Orbiana che la tratteneva per un braccio.
Amauròs s’irrigidì non appena percepì la presenza del Segugio. I suoi occhi spenti si spostarono su di lei, come se potesse vederla. Non parlò, ma una smorfia disgustata gli si disegnò sul viso.
“L’ho trovata all’ingresso della città che gridava il tuo nome.” esordì Orbiana. La sua voce era simile ad un rantolo gorgogliante.
Amauròs mosse il capo lentamente finché gli occhi neri giunsero a sfiorare la schiava.
“Perché sei qui?” le domandò calmo.
“Giona. Non riescono a trovarlo. Temono che si sia perso in una delle gallerie. Mio Signore, tu puoi aiutarli, ti prego…” singhiozzò la donna. “E’ giorno… i Vermi…” un grido soffocato spezzò le sue parole, mentre, artigliandosi alla tunica dell’uomo, si gettava in ginocchio ai suoi piedi.
Orbiana scoppiò in una risata stridente. Poi si rivolse al mago.
“Oh, ora ti precipiterai a salvare il moccioso, immagino.” lo derise.
“Perché no?” le rispose gelido Amauròs, piegando le labbra in un riso maligno. Poi si chinò e, afferrando Ivetta per le braccia, la costrinse, con poco garbo, a rimettersi in piedi.
“Perché Diego non è con te?”
“Io… Io non lo so, sono tutti impegnati nelle ricerche, forse anche lui. Non sono riuscita a trovarlo. Io… Io, non ho pensato… Mi sono precipitata qui.” scosse il capo. “Non sapevo cosa fare, ti prego, mio Signore, tu devi trovare il mio bambino. Ti prego!”
Amauròs poggiò la mano sulla spalla della donna e la spinse di lato, frapponendosi tra lei e Orbiana.
Sollevò il mento con aria di sfida.
“La tua presenza non è più necessaria, accompagnerò io Ivetta alla cava.”
L’altra allungò il collo, finché il suo naso non si trovò a pochi centimetri dal petto dell’altro che la superava in altezza.
“Stai attento a non inciampare, cieco!” gracchiò.
“Non accadrà, a meno di non trovare sulla mia strada le tue ossa rinsecchite.” rispose e, afferrando la porta, la sbatté sulla faccia della strega che si ritrasse appena in tempo per non essere colpita.
Amauròs si diresse con sicurezza verso una cassapanca alla sua destra. Si mise in ginocchio e sollevò il coperchio. Frugò all’interno finché coi polpastrelli riconobbe la trama grossolana e ruvida di un sacchetto.
Lo afferrò, soppesandolo. Il tintinnare delle pietre all’interno gli confermò l’esattezza della sua scelta. Se lo legò alla cintura poi, senza voltarsi, disse alla donna:
“C’è un cofanetto sul tavolo dietro di te, prendilo!”
Ivetta fece quello che l’altro le aveva chiesto e poi gli si avvicinò.
Amauròs la udì singhiozzare.
Sospirò, maledicendo mentalmente quell’infausta giornata, le grotte, quel mondo, e persino se stesso, sentendo tutto il peso della speranza che quella donna riponeva in lui. Una speranza inutile, purtroppo ne era certo.
Pur non avendo la sensibilità dei Segugi, le sue preziose pietre e i suoi poteri di Geomante l’avrebbero aiutato a ritrovare il bambino, ma solo se fosse stato ancora vivo, cosa di cui dubitava fortemente. Giona conosceva molto bene le miniere e il fatto che non fosse tornato poteva significare solo una cosa: era stato attaccato.
Sentì la rabbia e l’odio crescere. Quelle bestie maledette erano ormai diventate l’incubo degli abitanti del mondo sotterraneo, non passava mese senza che non giungesse la notizia di una nuova vittima. Ivetta era arrivata lì inutilmente, l’assenza di Diego, non faceva che confermare i suoi timori, purtroppo. Non riusciva a capacitarsi del fatto che il vecchio fosse rimasto alla cava, lasciando che la madre di Giona si avventurasse da sola in città, finendo nelle mani dei Segugi, e correndo il rischio di essere rimandata indietro senza poterlo raggiungere. L’unica spiegazione che riusciva a darsi, l’unica ragione possibile era che l’avessero allontanata volutamente dalle miniere, perché non vedesse l’epilogo della tragedia.
Al posto di quegli uomini avrebbe agito allo stesso modo.
Molti anni prima, aveva visto un Verme uccidere un uomo, scosse il capo, no, una madre non avrebbe mai dovuto trovarsi di fronte una scena simile.
Chiuse il baule e si rimise in piedi.
Era certo che, una volta giunti alle grotte, avrebbero trovato Diego e gli altri ad aspettarli, il corpo del bambino già pietosamente ricomposto, se non addirittura nascosto, perché Ivetta non potesse vederne lo scempio.
Si trovò a benedire gli Dei per la sua cecità e un sorriso amaro gli si disegnò sulle labbra: mentre l’assurdo pensiero si formava nella sua mente.
“Andiamo!” disse avviandosi verso l’uscita. Ivetta lo seguì in silenzio. Poi appena fuori, Amauròs si mise da una parte lasciando che la donna lo sorpassasse. Appoggiò la mano sulla spalla di lei e si lasciò condurre verso le scale, le dita si strinsero nervose mentre il senso di impotenza si impadroniva sempre più di lui. Impotenza, ma allo stesso tempo rabbia e voglia di vendicare quell’ennesima morte. Se, come era certo, fosse accaduto il peggio, le sue capacità sarebbero servite almeno a trovare l’assassino del piccolo Giona: i Vermi delle Grotte non erano difficili da scovare, degli animali così grossi scuotevano l’equilibrio magico di quel mondo come un terremoto. Quella orrenda bestia non aveva scampo. Un gusto acre gli riempì la bocca, mentre contava i gradini sperando che l’ultimo non giungesse mai.
 
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Astry
view post Posted on 3/2/2014, 23:03




Cap. 13



Appena giunti alla cava, Ivetta scansò la mano del mago dalla sua spalla e si allontanò di corsa.
Amauròs rimase immobile con l’orecchio teso e, dopo pochi istanti, sentì la donna che chiedeva notizie del figlio ma non ci fu alcuna risposta da parte del suo interlocutore o, almeno, nulla che il mago potesse udire. Immaginò che chiunque fosse lì ad attenderli avesse rivolto all’altra un cenno, uno sguardo, qualcosa che l’aveva convinta a non interrogarlo ulteriormente. Incrociò le braccia sul petto, sbuffando infastidito; era chiaro che non dovevano esserci novità particolarmente gravi, e nemmeno buone notizie visto il silenzio di lei, ma non poter sapere quello che stava succedendo lo metteva a disagio.
Poi il rumore secco delle suole di cuoio che calpestavano il pietrisco acuminato lo avvertì che Ivetta - e quello che, a giudicare dai passi, doveva essere un uomo - si stavano avvicinando.
Amauròs sollevò il mento, attento. La voce di un giovane che riconobbe immediatamente, lo invitò a seguirlo nel luogo in cui le squadre di minatori, impegnati nelle ricerche, si erano riuniti in loro attesa.
Le labbra del mago si piegarono in una smorfia. “Tu sei il ladro che è piombato in casa mia un mese fa.” lo accusò.
“Mi chiamo Ranuccio! Sono qui per farvi da guida.” si presentò l’altro. Il tono, fiero e squillante all’inizio, assunse poi un tono canzonatorio: “Mio signore, temo dovrai accontentarti, un ladro è il meglio che si possa trovare da queste parti.”
“Immagino che sia così.” sbuffò il mago.
“Abbiamo molta strada da fare.” lo informò Ranuccio e, rivolgendosi a Ivetta, “Seguimi!” disse poi, deciso.
Amauròs posò la mano sulla spalla della donna che gli si era avvicinata e i tre s’incamminarono.
Era mattino presto, alla cava c’era molta confusione: i minatori, che avevano terminato il loro lavoro notturno all’interno delle gallerie, si apprestavano a far ritorno alle loro abitazioni rupestri; nel frattempo altri uomini avevano appena iniziato la scalata al costone roccioso dal quale avrebbero estratto un materiale meno nobile, ma al sicuro dai pericolosi abitanti delle miniere. Amauròs poteva sentirli mentre si incitavano a vicenda.
Alle loro voci lontane si sommavano anche quelle delle donne nel recinto delle pietre magiche. Il rumore degli scalpelli riempiva la grande pianura sul fondo del cratere, cadenzando, come un macabro tamburo, una lugubre nenia funebre appena udibile in lontananza, forse era una preghiera per il piccolo Giona.
Nessuno degli uomini intenti al loro lavoro si avvicinò ai tre che raggiunsero, in fretta, l’ingresso di una delle gallerie. All’interno Ranuccio procedette spedito davanti a loro, sembrava conoscere molto bene il percorso.
L’eco dei loro passi, e il respiro affannoso, erano gli unici suoni udibili oltre alle poche parole sussurrate da Ivetta che, di tanto in tanto, segnalava al mago gli ostacoli lungo il cammino; il percorso era, infatti, cosparso di buche, dislivelli e spuntoni rocciosi. Spesso deviava all’improvviso tanto che, Amauròs, aveva l’impressione di girare in tondo. Un labirinto di cunicoli strettissimi: il tragitto ideale per evitare i Vermi delle Grotte, pensò. Quelle orrende creature non avrebbero potuto penetrarvi a causa delle loro dimensioni, ma i Vermi non erano l’unica minaccia in un posto come quello.
Ranuccio non aveva detto altro da quando si era infilato in quello stretto budello; camminava in silenzio, ma speditamente e Amauròs poteva udire i suoi passi regolari e sicuri.
Di tanto in tanto fermava, forse per aspettarli; sembrava impaziente: per il giovane doveva essere seccante adattare la sua andatura a quella di un povero cieco e un sorriso amaro si dipinse sulle labbra del mago. Teneva una mano sempre poggiata sulla spalla di Ivetta che camminava davanti a lui poiché la galleria era così stretta da permettere il passaggio di una sola persona alla volta, così erano obbligati a procedere in fila.
Protese l’altra mano fino a sfiorare con la punta delle dita le pareti del cunicolo: la superficie era friabile, il passaggio sembrava scavato in fretta, senza alcuna cura, forse era addirittura di origine naturale, e, probabilmente, piuttosto pericoloso. La sua esistenza non lo stupì: persino i Discendenti sapevano che, oltre alle gallerie mappate, all’interno delle miniere si snodavano miriadi di cunicoli che, partendo dalla cava, congiungevano una città all’altra fino ai confini più remoti di quel mondo. Alcuni erano stati scavati dai ribelli che, per secoli, avevano tentato di raggiungere le leggendarie Porte, o perlomeno di sottrarsi al loro destino di schiavitù per unirsi ai pirati al di la del mare dei cristalli. Altri, la maggior parte, erano il risultato del lento lavorio delle acque sotterranee che ancora si potevano udire mentre scrosciavano nelle profondità.
Il mago sollevò il braccio fino a toccare il soffitto e, istintivamente, si chinò in avanti appena si rese conto di quanto fosse bassa la volta. Una strana inquietudine lo pervase: si stavano allontanando sempre di più dalla zona frequentata dai minatori, lì non c’erano di certo rocce verdi da estrarre. Imprecò mentalmente, mentre la sua mano continuava a tastare la parete, questa volta nel tentativo di riconoscerne la conformazione. Non percepiva nulla di magico in quelle pietre, eppure doveva esserci sufficiente polvere verde nel cunicolo da illuminare il percorso. Ranuccio infatti non aveva acceso nessun lume e così avevano fatto quelli che erano passati prima di lui: non c’era fumo nella galleria, né odore di olio bruciato.
Amauròs continuò a camminare, la mente persa in angosciosi ragionamenti: la loro guida si ostinava a restare in silenzio, ma, visto il tono con il quale il giovane gli si era rivolto poco prima, Amauròs all’inizio ne fu quasi sollevato ricordando il loro burrascoso incontro a casa sua. L’atteggiamento di Ranuccio poteva essere dovuto alla preoccupazione per il piccolo Giona ma, più verosimilmente, doveva trattarsi di diffidenza e persino rabbia nei suoi confronti; in fondo lui era un Discendente, per gli schiavi ribelli lui era il nemico.
Un brivido gli percorse la schiena. “Un nemico.” mormorò a se stesso, realizzando ad un tratto la pericolosità della situazione.
Le sue dita strinsero la spalla di Ivetta come colte da un crampo. Le labbra si dischiusero per poi tornare a formare una linea sottile e tesa. Il mago puntò i piedi trattenendo la donna.
“Perché Diego non era là ad accoglierci?” Disse d’un fiato rompendo il silenzio.
“Il tuo servo ci aspetta in fondo a questa galleria, assieme a tutti gli altri.” rispose Ranuccio con freddezza. Le labbra di Amauròs si piegarono in un sorriso forzato.
“Immagino che debba fingere di crederti.” disse, infine, con voce atona.
“Cosa…” Ivetta s’intromise, ma di nuovo fu messa a tacere da un qualche cenno del giovane, che Amauròs poté solo intuire.
Il mago scosse il capo mordendosi il labbro, un gesto istintivo, nervoso: evidentemente Ivetta non era complice in quella farsa, ma era solo una madre preoccupata che non sospettava affatto di essere stata usata come esca per attirarlo in trappola; perché di quello si trattava, ne era sempre più convinto.
Amauròs conosceva bene il vecchio servitore, non era da lui lasciare che qualcun altro si occupasse del suo padrone. Ranuccio mentiva e il fatto che lui lo sapesse non sembrava preoccuparlo. Forse pensava di non aver nulla temere da un cieco?
Chiuse gli occhi, inutili guide, e si lasciò sfuggire un sospiro: probabilmente il ragazzo aveva ragione, pensò.
Continuò a camminare con lentezza, costringendo Ivetta a fare lo stesso, quasi volesse contare ogni passo, misurare il percorso, e si obbligò a non fare altre domande delle quali temeva di conoscere le risposte. Un senso di impotenza si era impadronito di lui; sarebbe dovuto tornare indietro immediatamente, piuttosto che lasciarsi trascinare in quel maledetto cunicolo, ma inizialmente non aveva trovato strano che il punto scelto per l'incontro fosse il meno esposto: era giorno pieno e i vermi erano sempre in agguato.
Si chiese cosa avrebbe trovato in fondo a quel cunicolo e non gli fu difficile darsi una risposta: Guglielmo e i suoi maledetti ribelli; di certo c’erano loro dietro quella recita.
Come aveva potuto essere così stupido? Un’intera vita trascorsa nell’apatia, strisciando ai piedi del consiglio, pronto ad assecondare ogni loro richiesta, l’aveva trasformato in un fantoccio privo di volontà. Era stato davvero facile ingannarlo, troppo facile.
Il buio che lo circondava ormai da troppi anni gli sembrò ancora più opprimente: la magia non poteva sostituire i suoi occhi, solo il vecchio servitore poteva farlo. Senza di lui era davvero solo. Amauròs sapeva di incutere una sorta di timore reverenziale fra i minatori; lui era un grande mago, membro del consiglio dei Discendenti. Nessuno osava contraddirlo e nessuno si sarebbe mai rivoltato contro di lui di fronte a tutti, ma in quella galleria sconosciuta, con uno degli uomini fidati di Guglielmo come unica guida, si sentiva più indifeso di un bambino.
Certo, avrebbe potuto liberarsi facilmente dei ragazzo, ucciderlo persino, ma poi? Nemmeno i suoi poteri di geomante avrebbero potuto aiutarlo a trovare la strada in quel labirinto.
Tastando la parete si era accorto che il cunicolo si apriva in una miriade di altri passaggi. Il giovane doveva aver seguito dei segnali, forse disegnati sulla roccia, che indicavano quale fosse la via giusta da percorrere.
Nulla che potesse essere riconoscibile al tatto. No, anche se fosse riuscito a sopraffare Ranuccio, non avrebbe mai potuto avventurarsi da solo in quelle gallerie per tornare a casa. Avrebbe finito per cadere in un pozzo, o magari rompersi una gamba scivolando in un crepaccio. La mano che era appoggiata alla pietra si strinse in un pugno, dopo tanti anni si trovò a maledire la sua cecità. Qualcosa che per orgoglio tendeva a dimenticare, ma ora, l’orgoglio non lo avrebbe tirato fuori da quella situazione, e lui poteva solo assecondare la sua guida e seguitare a camminare.
Era passata circa un’ora. Ranuccio aveva continuato a precederli di pochi passi, in silenzio, e il volto di Amauròs aveva assunto un’espressione sempre più tesa, mentre tentava di escogitare un piano, nel caso i suoi timori si fossero rivelati fondati. Tuttavia ogni suo progetto di fuga sembrava destinato a risolversi in un fallimento; poi i suoi dubbi divennero certezze quando, in fondo ad una ripida discesa, trovarono Guglielmo che li attendeva.
Ad Amauròs fu sufficiente udire il tintinnare dei coltelli e di tutti gli attrezzi che l’uomo portava appesi alla cintura, per riconoscerlo
La presenza del capo dei ribelli in quel luogo poteva significare solo una cosa: era davvero caduto in una trappola. Una vena prese a pulsare sulla sua fronte e un sapore acre gli riempì la bocca. Provò rabbia e disgusto e non tentò di nasconderlo. I suoi occhi già immersi nel buio parvero scomparire dietro una nuvola nera, che si fece ancora più cupa nel momento in cui Guglielmo gli si avvicinò e gli prese la mano guidandola sulla propria spalla.
“Ci rincontriamo, mago.” lo salutò e poi, con fare tronfio, si rivolse alla donna. “Lo accompagnerò io all’interno, dobbiamo scendere nella botola, non vorrei che il nostro ospite avesse un incidente.”
Le dita sottili del mago si strinsero nervose trattenendo con forza la sua nuova guida:
“Che significa questa recita?” domandò rivolgendosi a Guglielmo.
Non ottenne risposta, ma non fu necessario ripetere la domanda. Sentì la spalla dell’altro sobbalzare sotto i polpastrelli, segno che l’uomo stava ridendo sommessamente. Il piano dei ribelli ormai gli era divenuto ben chiaro: la scomparsa di Giona non aveva nulla a che fare con la presenza di Guglielmo in quella grotta. E soprattutto con il motivo per cui lui era stato trascinato in quei cunicoli. Per un attimo l’idea che Giona non si fosse mai allontanato gli fece tirare un respiro di sollievo, ma poi la frustrazione ebbe il sopravvento. Erano riusciti a prenderlo in giro, e lui si era lasciato cogliere alla sprovvista, Avrebbe voluto sputare in faccia all’altro tutta la sua rabbia ma non lo fece.
Aveva udito Ivetta singhiozzare, mentre si faceva da parte per cedere il suo posto a Guglielmo. Come pensava, avevano ingannato anche lei, ma non sapeva se esserne felice o indignato. La tentazione di afferrarla per le braccia, strattonarla perché smettesse di piangere e rivelarle poi brutalmente l’inganno di Guglielmo era davvero forte, tuttavia preferì salvare quel poco di dignità che gli restava nascondendo la sua frustrazione dietro un atteggiamento fiero e sicuro. Anche senza poterla vedere, infatti, immaginava l’espressione compiaciuta del capo dei ribelli per essere riuscito ad ingannarlo. Sfogare la sua rabbia non avrebbe fatto altro che dare al suo rivale un ulteriore soddisfazione. Decise di seguirlo in silenzio. Dopotutto Ivetta avrebbe scoperto molto presto la verità.
 
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Astry
view post Posted on 15/2/2014, 18:45





Cap. 14


Un gruppo di uomini e donne era riunito nell’ambiente circolare, una specie di cisterna, ma con più di un apertura. Vari ingressi, più simili a crepacci che a vere e proprie porte, ne ferivano le pareti altrimenti levigate e lucide quasi la pietra fosse stata rifinita da uno scultore.
Kore continuava a guardarsi attorno, Marietta le aveva spiegato che quello era un luogo nascosto e sicuro usato spesso dai ribelli per riunirsi; era raggiungibile solo percorrendo chilometri di gallerie, e la maggior parte degli uomini che lavoravano alle cave non ne conoscevano l’esistenza. Era lontano dalle zone frequentate dai minatori e l’ingresso era ben nascosto nella parte più profonda delle miniere. Nessuno ci si avventurava, tranne, appunto, i ribelli. Kore aveva trattenuto il fiato per tutto il tempo: aveva sempre temuto i luoghi chiusi, inoltre l’aver saputo da Marietta che gli schiavi evitavano quei cunicoli proprio per la loro pericolosità, non aveva certo aiutato a farla sentire meglio.
Aveva continuato a guardarsi intorno, camminando in punta di piedi e stando ben attenta a non appoggiarsi alle pareti, come se il solo sfiorarle potesse causarne il crollo.
Per tutto il tragitto era rimasta praticamente incollata alla schiena di Marietta che, al contrario di lei, sembrava trovarsi pienamente a suo agio in quel luogo.
In certi punti le pareti delle gallerie si allargavano formando delle voragini ai lati del percorso che, al contrario, si faceva più sottile snodandosi nel centro come una lingua sospesa nel vuoto, oppure, appoggiandosi ad una delle pareti come una cornice.
Forse un terremoto, o le correnti di un antico fiume sotterraneo, avevano portato via il resto della strada, lasciando solo dei piccoli nastri rocciosi a fungere da percorso. A Kore ricordavano una sorta di monorotaia, come quelle dei Lunapark. Ripensò a quando, con suo padre, era salita su uno di quei trenini che si gettavano a tutta velocità nelle gallerie, e si sentì terribilmente sola.
Nessuno aveva portato con sé lampade o torce, non era stato necessario; la luce, che rischiarava il mondo sotterraneo, penetrava fin nei cunicoli e lì la polvere delle pietre magiche la rifletteva illuminando le gallerie. Pareva di trovarsi immersi in un liquido luminescente.
Una volta giunti nel luogo scelto per l’appuntamento, attesero per più di tre ore, in silenzio, con i volti tesi e gli occhi rivolti verso l’alto a fissare una stretta botola chiusa da un portello metallico. La luce verde li rendeva simili a spettri; i fantasmi di un incubo che Kore si augurò finisse al più presto.
Un sussulto, come un onda, li scosse quando il portello venne sollevato e il volto sorridente di Ranuccio fece capolino dall’apertura. Due degli uomini più robusti afferrarono una scala, che era appoggiata in un angolo, e l’accostarono alla botola. Ranuccio scese seguito da Guglielmo, ma l’attenzione di tutti si concentrò sull’uomo dietro di lui; decine di occhi seguirono Amauròs mentre veniva aiutato a scendere.
Il mago fu subito attorniato dagli schiavi; erano tutti in attesa di una sua parola.
Lui sollevò il mento e mosse il capo come se volesse abbracciare con lo sguardo tutti i presenti; uno sguardo vuoto e immobile che, però, costrinse molti ad abbassare gli occhi.
Iniziò a parlare e la sua voce era simile ad un basso ringhio che fece rabbrividire gli uomini che lo avevano avvicinato.
“Immagino che Giona non si sia affatto perso.” disse e poi attese, come a voler assaporare gli istanti di totale silenzio che fecero seguito alle sue parole. Lo stesso tempo che servì ad Ivetta per rendersi conto di cosa volesse dire quella frase. In quei pochi secondi tutto parve fermarsi, Kore si chiese se il cuore di Ivetta si fosse arrestato assieme ai suoi singhiozzi. Poi la giovane madre si sporse dalla botola e, finalmente, un grido d’esultanza squarciò il silenzio: quello del suo bambino che le stava andando incontro a braccia aperte. Ivetta saltò giù dalla scala con tale foga che per poco non travolse il mago e, abbracciando suo figlio, iniziò a mugolare e a piangere, mentre gli scompigliava i capelli, lo baciava e gli accarezzava il volto; sembrava volersi assicurare di non avere di fronte un fantasma.
Poi la voce di Guglielmo squillò forte e sicura. “No! Giona è sempre stato qui.” e, guardando Ivetta, “Mi dispiace, ma dovevamo far credere a tutti che fosse successo qualcosa di grave, altrimenti la sua improvvisa visita alle gallerie avrebbe destato troppe domande.” concluse accennando al mago cieco.
Amauròs era livido in volto, ma sollevò il mento sfidando l’altro con le sue iridi spente.
Guglielmo gli si avvicinò, tanto che il mago poté sentire sul viso il calore del suo alito maleodorante.
“Dovresti essere contento.” lo schernì. “Ora tutti ti crederanno il salvatore del piccolo Giona… Tutti, tranne i presenti, naturalmente.” scoppiò a ridere, “Applaudite l’eroe!” disse con enfasi, alzando le braccia.
“Sarai soddisfatto di essere riuscito a trascinarmi in questo buco, Guglielmo. Sono stato davvero uno sciocco, lo ammetto, anzi, dovrei dire che sono stato totalmente cieco a non riconoscere la tua trappola.” Sul volto pallido del mago si disegnò un sorriso cattivo.
“Già, forse il tuo affetto per Giona ti ha fatto dimenticare la prudenza ma non ti abbiamo voluto qui per farti del male. Siamo brava gente… noi!” disse enfatizzando il ‘noi’ .“Dovresti saperlo.” seguitò a provocarlo il capo dei ribelli, poi si rivolse direttamente agli uomini e le donne che aveva di fronte.
“I Discendenti vogliono impedirci di vedere il sole. Ci hanno tenuti per anni in schiavitù, hanno costretto voi,” indicò Marietta, Kore e altri che stavano vicino a loro. “Venuti dal mondo esterno, a lavorare nelle cave, e chiunque abbia tentato di aiutarvi è stato ucciso o condotto qui a lavorare. Abbiamo sognato in segreto la liberazione, per anni, per secoli; abbiamo strappato ai Segugi i figli del sole impedendogli di dimenticare le loro origini. Ma non abbiamo mai costituito un vero pericolo per i nostri padroni. Siamo stati tollerati perché continuavamo a fornir loro la pietra che gli ha permesso di sopravvivere. Il consiglio sapeva dei nostri incontri segreti, e sapeva della presenza di Figli del Sole liberi fra noi! Ma ora qualcosa è cambiato, ora ci temono, e temono soprattutto quest’uomo,” la sua mano corse ad indicare il mago, che intanto si era appoggiato alla parete, “E lo temono perché sanno che lui conosce la strada per il mondo della luce.”
Un grido d’esultanza rimbombò nella stanza.
“Ora sanno che per noi è giunto il momento della liberazione…”
Un rumore improvviso lo interruppe.
Amauròs aveva fatto rotolare alcune pietre che erano ammucchiate, su una sporgenza della parete, proprio accanto alla sua mano. L’espressione del suo viso era così eloquente che nessuno, nemmeno per un attimo, poté dubitare che non le avesse spinte volontariamente e lui, fatto qualche passo in avanti, prese la parola.
“Il vostro capo ha ragione, il consiglio teme che io possa condurvi alla porta…” di nuovo i suoi occhi individuarono uno ad uno i presenti, come se potessero vederli realmente. “Ma non è così!”
La sua ultima affermazione giunse come uno schiaffo.
Guglielmo si voltò di scatto.
“Non puoi stare dalla loro parte dopo quello che ti hanno fatto.” abbaiò.
“Io sto dalla parte di me stesso. Non ho mai detto che vi avrei aiutato. E se non fosse stato per la vostra follia, ora non sarei qui.”
“Come puoi condannarci a vivere sepolti, proprio tu che hai visto il sole.” Marietta lo fissava con gli occhi colmi di lacrime.
Amauròs scosse il capo.
“Io non ho mai visto il sole. Avete creduto a delle menzogne. E’ vero, ho tentato, ma ho fallito.” fece un passo indietro appoggiandosi alla parete. “E non ci riproverò.” scandì.
“Oh, sì, ci riproverai eccome.” Freda, che era rimasta in silenzio ed in disparte fino ad allora. Quando parlò gli uomini che erano davanti a lei si fecero da parte formando un corridoio. La vecchia maga avanzò appoggiandosi ad un bastone, fino ad arrivare ad un palmo da Amauròs; lo scrutò dal basso, muovendo il capo come uno strano uccello.
Poi si rivolse anch’essa agli astanti.
“Lui sarà la nostra guida, perché la profezia dice che lo sarà: il buio è la guida,
alla porta conduce la figlia perduta
.”
Fissò di nuovo l’altro.
“Riconosci queste parole, mago?” Le sue labbra assunsero una piega cattiva, mentre Ranuccio, che era proprio dietro di lei, soffocò un gemito e fece alcuni passi indietro. Kore lo seguì con lo sguardo incuriosita da quella reazione, poi tornò a rivolgere la sua attenzione alla vecchia maga.
“Entrambi sappiamo che la leggenda parla di un uomo cieco.” continuò Freda, poi in una risata gracchiante, “Ed io non vedo altri ciechi qui.”
“Il mondo è grande, vecchia!” rispose lui, senza scomporsi.
“Oh sì, il mondo è molto grande, ma quante possibilità ci sono che un cieco e la figlia perduta si trovino nello stesso luogo nel medesimo momento?”
Amauròs s’irrigidì, mentre gli altri fissarono la strega con curiosità, e la mano avvizzita di Freda corse ad indicare la ragazza accanto a Marietta.
“Kore” gridò, “E' lei la donna di cui parla la profezia. Colei che porta il nome di una fanciulla mitologica, la figlia di Demetra, rapita alla luce. La figlia perduta è arrivata fra noi, il tempo è giunto.”
“Non potete costringermi.” affermò deciso Amauròs, ma il braccio muscoloso di Guglielmo l’afferrò alla gola.
“Davvero?” ringhiò il capo dei ribelli.
Gli occhi neri e vuoti del mago allora si rivoltarono all’indietro, mentre le palpebre si spalancarono evidenziandone il bianco. L’uomo che lo stringeva ebbe appena il tempo di notare il cambiamento che si ritrovò catapultato contro la parete opposta.
Un crepitio sinistro risuonò nella grotta, le rocce intorno a loro sembrarono sul punto di sbriciolarsi. Kore fu costretta a portarsi le mani alle orecchie perché aveva l’impressione che un ago le avesse perforato i timpani[,] come se, per un istante, qualcosa avesse risucchiato completamente l’aria all’interno del locale per poi riempirlo di nuovo.
Guglielmo scattò in piedi furioso, ma la voce aspra di Freda frenò il suo istinto di gettarsi nuovamente contro il suo rivale.
“Ora basta!” strepitò la vecchia donna. “Il mago sarà la nostra guida o non rivedrà il suo servo.”
Marietta e Kore si scambiarono uno sguardo preoccupato.
Il volto del mago divenne, se possibile, ancora più pallido.
“Te la prendi con i vecchi, ora, Guglielmo?” soffiò Amauròs.
“Ma Freda, Guglielmo, non vorrete tenere un uomo in ostaggio?” mormorò Marietta.
“Se servirà a farci uscire da questo posto, lo farò eccome.” dichiarò Guglielmo.
“Sei solo uno sciocco. Anche se volessi, non potrei trovare la vostra preziosa porta senza il mio servitore, i suoi occhi sono i miei occhi. Io…” esitò, chinando il capo “Io non posso… Gli antichi scritti, non posso leggerli.” ammise.
“Io so leggere.” si fece avanti Ranuccio.
Decine di sguardi si rivolsero speranzosi al giovane.
“Sai leggere? Saresti in grado di leggere le parole divine, la lingua dei faraoni, il greco, persino la lingua dell’antica Babilonia?” lo provocò, Amauròs.
“Io… Sì, Freda mi ha insegnato.” rispose l’altro con una voce che mostrava più sicurezza di quanto ne apparisse dipinta sul suo volto.
Kore, che era vicino a lui, lo guardò con la bocca spalancata; Ranuccio alzò le spalle:
“Beh, mi sta insegnando, insomma…” le sussurrò all’orecchio.
“Il ragazzo è sveglio e il talento non va sprecato, non trovi, cieco?” aggiunse Freda.
Amauròs si morse il labbro: quella donna era davvero determinata ad umiliarlo.
“E’ deciso: Ranuccio sarà il tuo nuovo servitore.” sentenziò la vecchia. “Non desterà sospetti e non attirerà i segugi essendo un mezzosangue,” si avvicinò all’altro e piegò la testa di lato scrutandolo da sotto il suo naso. “E, anche se qualcuno dovesse interessarsi alla sua presenza nella tua casa, non ti sarà difficile convincerli di aver avuto bisogno di un servitore giovane e forte.” ghignò.
Amauros restò immobile, rigido, pareva aver smesso persino di respirare. Kore immaginò, per un attimo, che fosse sul punto di lanciare una magia che avrebbe incenerito Freda e tutti loro, ma non accadde nulla.
Il capo dei ribelli fece qualche passo avanti, posizionandosi tra Amauròs e la sua gente. “Dite alle vostre mogli e ai vostri figli di prepararsi,” ordinò, rivolgendosi agli schiavi. “Presto lasceremo per sempre questa cava. Il mago ci guiderà.” Le sue parole suonarono definitive e, lentamente, tutti si allontanarono infilando uno stretto passaggio che portava verso l’uscita.
Kore rivolse uno sguardo incerto all’uomo cieco che continuava a restarsene immobile come una colonna di marmo; non poté fare a meno di chiedersi cosa provasse in quel momento. Diego era uno schiavo, eppure Freda doveva aver capito che tra Amauròs e il vecchio esisteva un legame molto forte. La determinazione della maga le aveva ridato speranza: voleva tornare a casa, non importava a quale prezzo, eppure si sentiva in colpa. Forse quello era davvero un prezzo troppo alto.
Persa nei suoi pensieri non si era accorta che tutti gli altri se n’erano già andati. Tutti tranne Ranuccio che, invece, si era avvicinato ad Amauròs sussurrandogli qualcosa che Kore non riuscì a sentire. Ma, qualunque cosa gli avesse detto, non doveva essere una gentilezza: Amauròs reagì spintonandolo fin quasi a farlo cadere all’indietro. “Sta lontano da me!” ruggì. Ma Ranuccio rise e, dopo averlo fissato per un po’ senza parlare, abbozzò un goffo inchino. “Bene, tornaci da solo a Lapidia, ti raggiungerò là, Padrone!” sputò con voce aspra e si diresse verso la scala.
Lo sguardo preoccupato di Kore si spostò alternativamente da uno all’altro. Ranuccio aveva forse intenzione di lasciarlo in quella grotta finché non avesse accettato di guidarli ? O Forse Amauròs non aveva bisogno di aiuto per uscire da lì. In fondo era un mago e avrebbe dovuto diventare la loro guida, una cosa quanto mai assurda trattandosi di un cieco, ma quella gente sembrava convinta del contrario.
Ranuccio, intanto, si era arrampicato sulla scala ed era già fuori dalla botola assieme a Guglielmo, Marietta e una decina di altre persone. Alcuni invece erano usciti dalle varie aperture sulle pareti. Marietta le aveva spiegato che, oltre a quella che avevano usato loro, c’erano decine di altre gallerie per giungere in quel luogo; era molto pratico poterci arrivare percorrendo vie diverse in modo da non destare sospetti.
Kore si avvicinò ad Amauròs, e protese il braccio verso di lui.
“Si appoggi a me.” disse.
Lui sollevò appena una mano, ma poi si ritrasse nuovamente, quasi con rabbia.
“La figlia di Demetra, la donna che ci salverà tutti.” soffiò, “Porterai solo distruzione e morte nel nostro mondo.”
Kore abbassò il braccio.
“Io voglio solo tornare a casa mia.” pigolò.
“Lo so!” la voce profonda del mago pareva un vento gelido. Poi, senza aggiungere altro, portò il palmo della mano alla parete; la sfiorò appena e continuò finché la pietra non lo condusse alla scala. Vi si arrampicò trovandosi di nuovo nella galleria. Kore salì immediatamente dopo di lui e riprese a seguirlo con lo sguardo. Di fronte ad Amauròs c’era uno stretto passaggio, che si allargava all’improvviso, aprendosi in profondi crepacci. Bisognava passare molto vicini alla parete per non precipitare nel vuoto. Ma lui lo sapeva?
Poco più avanti c’era Ranuccio, anche lui in attesa di vedere cosa avrebbe fatto il mago, ma non c’era preoccupazione nei suoi occhi, quanto piuttosto l’eccitazione di chi sta per assistere ad uno spettacolo. La ragazza rabbrividì. Amauròs camminò con lentezza, sfiorando il basso soffitto con le dita, ma non era sufficientemente vicino alla parete; i suoi piedi scalpicciavano a pochi centimetri dal baratro, finché il pietrisco sotto i suoi calzari scivolò precipitando nel crepaccio. Dal rumore il mago si rese conto di trovarsi sul ciglio di un burrone e si gettò con le spalle alla parete. La risata di Ranuccio rimbombò nella galleria, mentre Kore sentì montare la rabbia. Non sapeva perché ma il mago le piaceva. Ne era rimasta affascinata dalla prima volta che l’aveva incontrato alla cava. Si avvicinò e, senza dire niente, gli prese la mano accompagnandola alla sua spalla; l’altro, questa volta, la lasciò fare rassegnato.
Insieme raggiunsero l’esterno delle gallerie. Lì furono accolti da un gran frastuono: Guglielmo, uscito per primo, doveva aver annunciato a tutti il ritrovamento di Giona.
Kore si voltò a guardare l’uomo che accompagnava; Amauròs era livido in volto. Quando alcune donne gli si avvicinarono, gettandosi ai suoi piedi e piagnucolando parole di ringraziamento, lui le scansò bruscamente; poi si rivolse alla sua guida strattonandola: “Portami all’ingresso della città, muoviti!” ordinò.
Kore lo fece. Una volta arrivati ai piedi della scalinata, lo lasciò e lì Amauròs poté proseguire da solo. Ranuccio intanto li aveva seguiti e trotterellò allegro dietro il suo involontario padrone, senza però tentare di aiutarlo in nessun modo.
Kore rimase a guardarli finché entrambi sparirono oltre la prima rampa di scale.

Edited by Astry - 4/11/2014, 18:02
 
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Astry
view post Posted on 25/2/2014, 23:21




Cap. 15




Erano giunti alla casa in città da alcune ore. Ranuccio aveva passato in rassegna più volte tutti gli oggetti sparsi sopra gli scaffali, li aveva presi in mano rigirandoseli tra le dita, persino annusandoli. C’erano alambicchi coperti di polvere, statuine dalle forme bizzarre, libri dalle rilegature appesantite da borchie e fermagli di metallo; alcuni erano così voluminosi che il giovane si augurò di non doverli mai tirar giù dai ripiani. Un odore di muffa e di legno marcio riempiva l’aria: la casa del mago era piena di cose antichissime che, data la poca cura con cui erano tenute, non avrebbero dovuto sopravvivere per tanti secoli; eppure erano ancora lì, come ossa in una tomba appena scoperchiata, pronte a sgretolarsi al primo alito di vento, persino di quel leggero soffio che ogni tanto sollevava la polvere all’ingresso delle gallerie. Le labbra di Ranuccio si piegarono in un sorrisetto malevolo, per poi arricciarsi come se il giovane stesse per baciare qualcuno. Soffiò e il suo alito caldo avvolse quegli oggetti, ma non accadde nulla. Di nuovo sorrise, forse per mandarli in frantumi sarebbe stato necessario qualcosa di più potente. Il vento, quello vero, era qualcosa di cui Ranuccio aveva solo sentito raccontare: lo chiamavano il respiro degli Dei e spirava oltre il mare dei cristalli, incuneandosi tra le montagne dette le Zanne del Drago. Per un attimo immaginò di vederlo spazzar via libri e soprammobili, poi si voltò e guardò il suo ospite: forse persino il mago si sarebbe sgretolato come quegli oggetti vecchi di secoli. Fece una smorfia constatando quanto Amauròs e la sua casa sembrassero un tutt’uno. Nonostante il mago non mostrasse alcun segno della la sua vera età nei lineamenti del volto, gli anni avevano prosciugato il suo corpo dall’interno rendendolo fragile come vetro soffiato. Osservò con curiosità la carnagione chiarissima, i capelli sottili e impalpabili. Non aveva mai notato quanto sembrasse debole durante le sue visite alla cava. L’aura di mistero che circondava Amauròs lo rendeva, agli occhi di tutti, un uomo potente e il suo aspetto incuteva timore. Al contrario, ora, persino la tunica grezza, che ricadeva pesantemente sulle sue spalle magre, dava l’impressione di potergli spezzare le ossa da un momento all’altro.
Sempre più sfrontato il giovane sgattaiolò nella camera dell’uomo e, aprendo la cassapanca vicino al letto, iniziò a curiosare dappertutto, nella convinzione che il padrone di casa non se ne accorgesse. Finché, all’improvviso, la voce fredda del mago lo raggiunse, sorprendendolo ancora chino sul pesante baule di ferro.
“Dato che ti piace mettere il naso tra le mie cose, potresti dare una pulita alla casa!” ringhiò e gli lanciò contro uno straccio bagnato che lo colpì in piena faccia.
Ranuccio si alzò di scatto stringendo i pugni con rabbia. “Non sono il tuo schiavo.” urlò.
“Ah no?” rispose calmo il mago. “Mi pareva che Freda ti avesse chiesto di sostituire il mio servitore.”
“Sono qui per leggere, non per fare le pulizie.” rispose indignato.
Le labbra del mago divennero una linea sottile; si avvicinò alla parete a lato del letto, dove erano scavati dei ripiani rettangolari colmi di libri, e tastò con l’indice le rilegature, fermandosi allorché ne individuò una d’argento. Prese il pesante volume e, sotto lo sguardo stupito di Ranuccio, lo posò sul tavolo vicino; poi ne prese un altro e fece lo stesso. Quando ebbe vuotato lo scaffale iniziò ad armeggiare con un bassorilievo che sporgeva dalla parete, una stella con una mano aperta nel centro. Amauròs vi posò la sua facendo combaciare le dita e, immediatamente, la parete cedette sotto la sua spinta. Si formò un’apertura, che immetteva in una stanza segreta, al cui interno erano accatastate centinaia di piccoli contenitori cilindrici di terracotta simili ad anfore sottili. Dalle loro bocche sporgevano altrettante pergamene, ingiallite arrotolate e accartocciate, e delicatissimi fogli di papiro. Amauròs accarezzò con la mano le anfore, soffermandosi sul piccolo segno inciso sul bordo di ognuna: un segno, che lo aiutò a riconoscere quella che stava cercando.
Ne afferrò il contenuto, sfilandolo con delicatezza, e lo srotolò mostrandolo all’altro.
“Sai leggerlo?”
Ranuccio si sporse per vedere meglio i disegni che riempivano completamente la superficie del foglio. Sagome di uomini, di uccelli e altri segni che per il giovane non avevano alcun significato.
Non disse nulla, ma non fu necessario. Le labbra di Amauròs si piegarono in un sorriso malinconico.
“Tu non hai idea di cosa ci sia scritto in questo papiro, non è vero?” sospirò. “Ho centinaia di libri, e altre migliaia sono conservati nella biblioteca della Città del Sole, ma tutte le leggende, le ballate, ogni racconto tramandato nei secoli sulle origini del nostro mondo hanno un'unica fonte, ed è questa. Questo rotolo è la cosa più preziosa che posseggo.” Spiegò, poi, sporgendosi minaccioso verso di lui, “…e non pensare di rubarlo. Per chiunque altro avrebbe lo stesso significato che ha per te: ovvero nessuno.” aggiunse asciutto.
Ranuccio continuò a non parlare. Amauròs allora ripose l’antico rotolo e si diresse verso la stanza della fonte, li si accomodò sulla sedia di legno.
“Quella che ti ho mostrato è la lingua degli Dei, la lingua dei sapienti. Le lettere sacre possono rivelare molti segreti a chi è capace di decifrare il loro vero significato. Ma è chiaro che tu non sei fra quelli.” disse con disprezzo.
“Se la mia presenza ti da tanto fastidio perché, grande mago, non ti dai da fare a trovare quella dannata Porta?” sputò con forza il giovane, provando a nascondere la sua paura dietro quella voce carica di rabbia.
Amauròs sorrise.
“Forse il luogo dove trovare la Porta è rivelato in quel rotolo, o magari in uno degli altri cento.” lo schernì. “Perché non me lo dici?”
Ranuccio tremò, ma a dispetto del nodo che gli stava chiudendo la gola, continuò ad inveire contro l’altro, come un piccolo di naeria che si dibatte nella trappola sputando acido dai numerosi orifizi del suo corpo viscido.
“Usa le tue pietre maledetto mago, non hai bisogno di una biblioteca per tirare i tuoi sassi.” mugugnò Ranuccio a denti stretti.
“Non eri così ardito l’ultima volta che sei entrato in questa casa.” osservò il mago trafiggendo il giovane con le sue iridi spente. “I miei sassi potranno riconoscere una Porta. Ma se sarà quella la più prossima all’apertura possono dircelo solo le profezie. A meno che tu non voglia aspettare vent’anni per saperlo.” sbuffò.
“Beh, comincia a cercare!” borbottò il giovane, voltandogli le spalle e fingendo di allontanarsi.
“Troverò la Porta quando la Porta vorrà essere trovata.” ringhiò l’altro poi, sporgendosi dalla sua sedia, “Potrebbe passare molto tempo prima che tu possa tornare dai tuoi amici.” disse in un soffio gelido.
Ranuccio si voltò di nuovo sostenendo lo sguardo minaccioso di Amauròs. “Io posso aspettare, ma forse il vecchio Diego potrebbe non durare tanto alle cave.” rispose continuando a fingere sicurezza.
L’altro si irrigidì. Poi si alzò dallo scranno e fece qualche passo verso Ranuccio che si ritrasse. Una reazione impercettibile che però non sfuggì al mago.
“In quel caso…” scandì Amauròs con estrema lentezza, quasi volesse assaporare la paura che sapeva di essere riuscito ad incutere nel giovane. “Tu lo seguirai.”
Ranuccio abbassò lo sguardo, capendo di essersi spinto troppo oltre.
Si chiese cosa ci facesse lì, davanti ad un uomo che avrebbe potuto ucciderlo senza nemmeno toccarlo. Forse era stato imprudente da parte sua vantarsi di saper leggere ma, giù alla cava, gli era sembrato l’unico modo per risolvere la questione in fretta e Freda, evidentemente, doveva pensarla come lui. Ora però non era più certo di quello che stava facendo: se davvero quell’uomo avesse avuto bisogno del suo servo per trovare la Porta, lui come poteva pretendere di sostituirlo? Diego era stato istruito fin da bambino a riconoscere i segni magici, le Parole Divine, oltre che saper assistere un uomo cieco in tutte le sue necessità. Il ragazzo si sentì d’improvviso inadeguato al compito: i ribelli si aspettavano molto da lui, forse troppo; lui non era un mago, non era nemmeno coraggioso come il capo dei ribelli. Oh sì, era facile giocare a fare il ribelle spalleggiato da una strega potente, ma ora che si trovava da solo in quella casa, si sentiva perso.
Per il resto del pomeriggio non parlarono più e così nei giorni che seguirono.
Ranuccio si limitò a preparare una zuppa per sé e a lasciarne una ciotola per il mago sul tavolo, poi, con lo straccio che l’altro gli aveva dato, continuò a strofinare ogni angolo della casa, ripassando più e più volte sulle stesse superfici, fin quasi a consumarle. Non voleva fare altro, non voleva trovarsi di nuovo a discutere con il suo ospite rischiando di irritarlo ancora di più con la sua stupida boccaccia.

***

Nel frattempo Kore e Marietta erano anch’esse tornate a casa.
La giovane appena rientrata aveva iniziato a scrollare dai suoi vestiti la fastidiosa polvere verde che li aveva completamente ricoperti. Tentò anche di pulirsi il viso alla meglio con la poca acqua che era rimasta nel catino, non aveva alcuna voglia di andare a riempire la brocca alla cisterna. Poi la voce di Marietta la fece trasalire.
“Perché proprio in casa mia? Io non ero d’accordo fin dall’inizio.”
Kore si avvicinò alla tenda lacera che separava la stanza da letto dall’ingresso e si mise ad ascoltare.
Riconobbe la voce gracchiante di Freda e poi anche quella di alcuni uomini.
“Preferisci lasciarlo alle loro cure?” domandò la strega, con un chiaro tono provocatorio.
“Non lo voglio qui! Te l’ho già detto, non farò la guardia ai tuoi ostaggi! Per me quest’uomo può anche tornarsene dal suo padrone, io non glielo impedirò.”
“Oh, questo non è un problema, glielo impedirò io.” rispose la vecchia.
Kore si sporse dal suo nascondiglio, scansando appena la tenda per poter vedere ciò che stava succedendo. Diego era in piedi tra due uomini robusti vicino all’ingresso, sembrava tranquillo o, forse, rassegnato. Marietta invece era furiosa, le braccia lungo i fianchi e i pugni chiusi con forza. Freda le voltò le spalle e si diresse curva verso l’ingresso. Iniziò a carezzare gli stipiti della porta come se li stesse ungendo con qualcosa, ma non aveva nulla in mano. Una voce sibilante uscì dalla sua bocca, parole senza senso, che più che una lingua ricordavano il verso di un animale.
“Che diavolo stai facendo alla mia casa?” urlò Marietta allarmata.
Incurante la strega non le rispose e continuò a cantilenare il suo sortilegio; quando si voltò un sorriso cattivo le deformava le labbra sottili.
“Impedisco a quest’uomo di andarsene a spasso.” disse e, rivolgendosi agli uomini che tenevano Diego per le braccia, fece loro segno di avvicinarsi alla porta.
Quelli obbedirono, spingendo il vecchio servitore, finché giunsero difronte all’ingresso e lì si bloccarono, guardando la strega, incerti sul da farsi. Lei non disse nulla, artigliò Diego per i capelli e, con uno strattone che lo colse alla sprovvista, lo tirò verso la porta. L’uomo fu costretto a fare un passo avanti, nel tentativo di non perdere l’equilibrio, ma nel momento in cui il suo volto oltrepassò la soglia, l’aria intorno a lui parve incendiarsi. Diego gridò di dolore e fece un balzo all’indietro andando a cozzare contro i due energumeni che ancora lo tenevano per le braccia. La risata gracchiante di Freda riempì la stanza e Kore sentì un brivido gelido percorrerle la schiena. Richiuse la tenda e si allontanò dalla porta il più silenziosamente possibile.

***
In città Ranuccio continuava ad evitare il suo padrone, e Amauròs sembrava apprezzare questo suo nuovo atteggiamento. Per circa un mese i due si limitarono ad incrociarsi durante l’ora di pranzo, quando Amauròs si dirigeva sicuro verso il tavolo, afferrava la sua ciotola e se ne tornava nella stanza della Fonte, dove passava ormai gran parte delle sue giornate. Una volta terminato di mangiare lasciava il piatto in terra fuori dalla porticina di ferro e Ranuccio lo raccoglieva.
Col tempo però, il giovane notò che Amauròs mangiava sempre meno; finché, un giorno, trovò la ciotola intatta sul tavolo. Rimase a fissare i piccoli fili di vapore che emanavano dalla minestra per quasi un’ora sperando che il mago uscisse per consumare il suo pranzo, ma quei vortici profumati si fecero sempre più deboli e, quando cessarono del tutto, la superficie del liquido si era ormai trasformata in una crosta fredda e grinzosa.
A quel punto Ranuccio decise di entrare nella stanza della Fonte.
Scostò la porta, tentando di fare meno rumore possibile e imprecò, quando il ferro del battente cigolò fastidiosamente. Ormai certo che Amauròs si fosse accorto di lui, infilò la testa nel piccolo spazio fra la porta e lo stipite di pietra e i suoi occhi lo trovarono. Era seduto in terra, gli occhi chiusi e le mani posate sulle ginocchia. Ranuccio si domandò se stesse dormendo: non aveva mosso un muscolo nonostante il suo ingresso tutt’altro che silenzioso. Gli si avvicinò e vide che le labbra gli tremavano in modo impercettibile. Stava sussurrando un incantesimo.
Fece ancora qualche passo fino a trovarsi proprio di fronte al mago, si appoggiò alla parete e, incrociando le braccia, si mise in attesa.
Per diversi minuti l’altro restò immobile continuando a recitare la strana litania. Sul pavimento di fronte a lui aveva disposto le pietre magiche a formare una sorta di disegno, usando le pietre più piccole per tracciare cerchi e linee, mentre i nodi del glifo li aveva evidenziati con pietre di dimensioni maggiori. Altre pietre le aveva semplicemente ammucchiate accanto al disegno.
Con uno scatto improvviso, che fece trasalire il giovane, le raccolse e le gettò verso l’alto. Le labbra di Ranuccio si spalancarono dallo stupore quando i sassi, dopo essere rimasti sospesi in aria per alcuni secondi, ricaddero lentamente e si posizionarono all’interno dello strano reticolo, senza toccare nessuna delle pietre che lo formavano.
Le mani del mago allora iniziarono a sfiorare il pavimento. Il giovane capì che Amauròs stava tentando di ricostruire nella sua mente la posizione dei sassi. Più volte percorse coi polpastrelli lo spazio fra una pietra e l’altra, misurandone la distanza ben attento a non spostarle.
Ranuccio allora gli si avvicinò e si chinò accanto a lui.
Il mago, che si era evidentemente accorto della sua presenza, sollevò appena il capo puntando sull’altro i suoi occhi spenti.
“L’hai trovata?” gli domandò Ranuccio eccitato.
Amauròs sospirò.
“Questa è una mappa!” rispose con voce strozzata. “Qui ci sono le Zanne del Drago” continuò indicando due delle pietre più grandi. “Questo spazio vuoto è il mare.” le sue dita spazzarono la polvere sul pavimento sottolineando come nessun sasso era caduto in quel punto. Scosse il capo. “E’ troppo lontana!” mormorò.
Ranuccio notò che molte delle pietre, che l’altro aveva lanciato in aria, ricadendo si erano allineate a formare una sorta di percorso.
“La porta si trova lì?” domandò inginocchiandosi e fissando, col cuore in gola, un punto oltre quello che il mago aveva indicato come il Mare dei Cristalli. Gli sembrava già di poter vedere l’agognata Soglia e, per un istante, gli parve persino di scorgerne il riflesso luminoso proiettato sul pavimento, come un raggio di sole.
“Non posso guardare così lontano.” mormorò Amauròs. “La porta è oltre il mare, l’energia magica si sta concentrando in qualche punto sulle Montagne Rosse . Si accumulerà per i prossimi vent’anni, e solo allora la porta sarà visibile anche a questa distanza. Se solo avessi qualche indicazione, un indizio, il nome di una città.” sospirò.
“Ma noi possiamo avvicinarci, possiamo superare le Zanne del Drago e arrivare abbastanza vicini da poterla vedere. Quando saremo là, potrai riconoscerla, non è vero?”
“Vuoi attraversare il mare, trascinare con te un intero popolo senza sapere esattamente dove stai andando e cosa troverai dall’altra parte?”
“Non abbiamo scelta. Le profezie, i tuoi libri, pensi che lì ci sia scritto qualcosa?”
Amauròs si alzò e, voltando le spalle al suo interlocutore, si avvicinò alla Fonte.
“Poche persone sono andate oltre il Mare dei Cristalli, pochissime sono tornate.” spiegò appoggiando le mani sul bordo del pozzo. “I libri narrano di massicci maestosi fatti di lastre traslucide che si affacciano su acque scure e popolate da mostri simili a grossi rettili. Si attorcigliano e serpeggiano tra le punte acuminate dei cristalli che si innalzano come gigantesche schegge di vetro. Nessuna imbarcazione può affrontare quelle acque infide. Nessuna che sia abbastanza grande da trasportare centinaia di schiavi. Le navi mercantilì si mantengono sempre vicine alla costa e, anche così, il viaggio è rischioso. L’unico passaggio che si può percorrere a piedi è la lingua rocciosa oltre le Zanne del Drago. Troppo esposto: sarete dei bersagli facili.”
Scosse il capo. “Vi uccideranno tutti, sempre che non finiate prima in mano ai pirati.” Si voltò e sollevò il mento torreggiando sull’altro ancora inginocchiato. “Non avete alcuna speranza di raggiungere la porta e se anche foste così fortunati da arrivarci abbastanza vicino, non è detto che io sia in grado di riconoscerla.”
“Noi partiremo!” fu la risposta di Ranuccio che, nel frattempo, si era rimesso in piedi.
“Sei uno sciocco ignorante. Pensi davvero che sia sufficiente raggiungere la Soglia per vederla o addirittura aprirla con uno schiocco di dita?” ruggì il mago.
“Il momento per attraversarla deve essere calcolato senza possibilità di errori, così come l’energia magica utile ad aprirla. Le Soglie non sono tutte uguali; la loro collocazione, il tempo trascorso dall’ultima apertura, persino la posizione di astri che tu non hai mai visto, persino di quello bisognerà tener conto.” Il volto di Amauròs aveva assunto un’espressione carica di disgusto. “Ma cosa ne sai tu?” sbottò.
“Credo che dovremo affidarci alla fortuna questa volta, in fondo la profezia è a nostro favore: se dice che troveremo l’uscita, noi la troveremo.” insisté il ragazzo.
Amauròs chinò il capo e si portò la mano alla fronte sospirando.
Poi le sue labbra si piegarono in un debole sorriso.
“La fortuna, certo! Forse era a questo che si riferiva la profezia. Chi è più cieco del caso?” disse beffardo e si abbandonò ad una risata priva di gioia. “Sai, forse Freda si è sbagliata: non sono io la vostra guida.”
“Freda non sbaglia mai!” disse con enfasi il giovane. “Riferirò quanto hai scoperto, ti consiglio di tenerti pronto in caso decidessero che le tue indicazioni sono sufficienti per mettersi in viaggio.”
 
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Astry
view post Posted on 2/3/2014, 22:52




Cap. 16


Diego era seduto in un angolo della stanza, su una delle sporgenze rocciose che fungevano da sedili. Marietta era andata alla cisterna, carica di brocche da riempire, così Kore decise di avvicinarsi al vecchio servitore. Diego era in quella casa ormai da diversi giorni, ma fino a quel momento la ragazza aveva evitato di parlargli perché si sentiva in colpa; il suo desiderio di tornare a casa la faceva sentire colpevole.
Quando gli fu di fronte, Diego sollevò il capo e la scrutò con attenzione; poi le fece cenno di sedersi accanto a lui e lei si accomodò, in silenzio, e tenendo gli occhi bassi.
Dato che lei continuava a fissare le proprie mani, mentre stringevano la stoffa della gonna, Diego parlò per primo, con una voce dolce che la stupì.
“Cosa stai pensando?” domandò.
La ragazza sollevò gli occhi timidamente e provò ad incontrare quelli di lui.
“Mi dispiace per quello che è successo.” disse con sincerità. “Non volevo che si arrivasse a tanto, io…”
“Non volevi?” la interruppe l’altro e il suo sguardo corse verso l’ingresso, per poi perdersi nel vuoto. Anche Kore guardò fuori dalla porta aperta, verso il precipizio.
“Il fatto che Freda mi stia usando per convincere il mio padrone ad aiutarvi non è nulla in confronto ai rischi che questo viaggio comporterà… per tutti voi.”
Irrigidì il volto in una smorfia, come se stesse ingoiando un boccone amaro.
“Amauròs farà ciò che gli avete chiesto, vi guiderà.” chinò il capo sospirando.
Le labbra di Kore si piegarono in un sorriso incerto. “Lui ti vuole bene?” Il suo era più un pensiero formulato ad alta voce che una vera domanda , ma l’altro rispose ugualmente: “Sì, è così! Lui mi ama come se fossi suo padre…” fece una lunga pausa mentre i suoi occhi diventavano lucidi. “… e anche come se fossi suo figlio.” Concluse con voce strozzata.
Kore gli rivolse uno sguardo carico di stupore, ma subito le tornarono in mente le parole di Ranuccio: era difficile stabilire dall’aspetto la vera età di un Discendente.
“Lui… lui ti ha cresciuto?” domandò. “Sei con lui da … quando? Quanti anni avevi?”
“Quattro anni. Sì, lui mi ha cresciuto.”
Kore si rimise in piedi e prese a misurare a grandi passi la stanza. La sua testa si riempì di domande: perché Amauròs avrebbe dovuto prendersi cura di un Figlio del Sole per poi farne il suo servitore? E Freda, cos’altro sapeva di quell’uomo?
Si voltò versò Diego e lo interrogò di nuovo: “Come farà Amauròs a trovare la soglia?”
Il vecchio sorrise. “Il mio padrone è un Geomante.” rispose con un moto di orgoglio. “Può sentire l’energia magica presente nelle pietre, nelle persone e in tutto ciò che lo circonda.”
Poi si accomodò meglio sul duro sedile e incrociò le mani. “Hai mai visto una ragnatela?” domandò alla ragazza.
Kore arricciò le labbra disgustata. “Sì, certo che l’ho vista.” rispose stupita.
“Io ne ho vista una nella Città del Sole. Creazione meravigliosa, non trovi?”
Kore continuava a non capire, ma i ragni non le piacevano così come non le piacevano quelle cose appiccicose che lasciavano in giro.
“Qui non ci sono ragni, ne insetti di nessun genere.” continuò il vecchio schiavo, e si portò un dito sul mento riflettendo per un attimo sulle sue stesse parole. “Ma, sì, direi che un ragno è la cosa che più si avvicina ad un Geomante.”
Kore era sempre più disgustata, ma l’altro non ci fece caso, era rapito e pieno di ammirazione per il suo padrone; anche se, per Kore, paragonare qualcuno ad un ragno non era esattamente un complimento.
“Immagina l’energia magica come una ragnatela di fili sottilissimi: ogni volta che qualcosa o qualcuno interferisce, tutta la rete vibra.” gli occhi vispi di Diego dardeggiarono su di lei. “E il ragno sa che una preda è caduta in trappola.” Sollevò il braccio stringendo il pugno come se stesse davvero imprigionando un insetto tra le dita.
“Quando si prepara l’apertura di una Soglia, il filo si tende.” continuò sempre mimando ogni parola con movimenti delle mani. “E quando la Soglia si spalanca la ragnatela viene spazzata via violentemente.” a quel punto scattò in piedi e il suo braccio colpì l’aria davanti a lui.
Restò per un attimo immobile poi, quando si accorse che Kore lo fissava inebetita, sorrise, abbassò il braccio e tornò a sedersi.
“Beh, ecco, è così che il mio padrone può trovare la Soglia.”

Nei giorni successivi Kore trascorse molto tempo a chiacchierare con Diego. Non vedeva l’ora di tornare a casa dalla cava per incontrarlo; voleva sapere tutto su di lui e, soprattutto, sul suo padrone. E da parte sua, il vecchio servitore, sembrava trovare quelle conversazioni un piacevole diversivo alla noia della prigionia. Era diventato come un nonno per Kore; tuttavia, nonostante fosse un uomo piuttosto loquace, trovava sempre il modo di cambiare discorso, ogni volta che la ragazza insisteva nel voler conoscere particolari del passato di Amauròs.
Una mattina Marietta rientrò in casa recando con sé due anfore piene d’acqua fino all’orlo. Kore la osservò malinconica, mentre varcava l’ingresso che Freda aveva incantato per impedire a Diego di uscire. L’orribile stregoneria funzionava solo su di lui, ma la giovane tratteneva il fiato ogni volta che qualcuno entrava o usciva da quella porta.
“Sembra che il tuo soggiorno forzato in casa mia stia per finire.” esordì Marietta, poi si rivolse a Kore. “partiremo presto e, a quanto pare, Freda ha trovato il modo di trascinare con noi anche tuo fratello”.
Kore si precipitò verso di lei.
“Cosa gli ha detto? Come l’ha convinto?” la voce era rotta dall’eccitazione.
“Non ne ho idea, ma non credo che gli abbia raccontato la verità, né a lui, né alle persone che al momento se ne prendono cura. Freda è una strega potente, sa come convincere la gente, e di solito nessuno si fa domande.”
Diego si alzò.
“Dunque Amauròs ci è riuscito?” domandò.
“So solo che Freda ha detto di trovarci tutti fra due giorni all’ingresso della Grotta Grande.”
“Passeremo dalle gallerie?” chiese stupito.
Marietta si limitò a sollevare le spalle, poi indicò a Kore la nicchia che fungeva da dispensa.
“Dobbiamo procurarci cibo e tutto quello che servirà per il viaggio, non abbiamo molto tempo.”


***




La porticina di ferro si aprì con un rumore stridente e Freda, che la teneva ancora per la maniglia, balzò indietro come se avesse visto un fantasma. Ranuccio fece capolino con un aria colpevole: accanto a lui c’era Amauròs, paludato in un pesante mantello grigio, se ne stava con le braccia incrociate ad attendere che qualcuno lo guidasse all’interno.
“Cosa ci fa lui qui?” domandò la vecchia maga con la voce carica di disprezzo.
“Mi ha costretto ad accompagnarlo” si giustificò Ranuccio, ma, prima che l’altra potesse rispondere, Amauròs scansò il ragazzo e si infilò all’interno della casa di Freda orientandosi in base alla voce di lei.
“Ho bisogno di parlare con Guglielmo.” disse deciso.
“Cosa ti fa pensare che lui sia qui?”
“Andiamo Freda, non offendere la mia intelligenza! Sono stanco di comunicare con lui attraverso questo ragazzino.” sbottò indicando Ranuccio che parve rimpicciolire.
“Cosa vuoi, mago?”
Nell’udire la voce profonda di Guglielmo tutti si voltarono verso di lui. Anche Amauròs sollevò il mento con soddisfazione, e i suoi occhi si spostarono lentamente fino a raggiungere l’uomo che, con le braccia allargate, si era appoggiato agli stipiti di una porta. “So già che hai trovato la soglia, Ranuccio mi tiene informato su ogni cosa.”
“Non proprio ogni cosa.” lo corresse Amauròs.
Ci fu un lungo silenzio.
“Allora, parla, cosa devi dirmi?”
“Preferirei che lei non fosse presente.” Accennò alla donna al suo fianco.
“Lasciaci!” Guglielmo allontanò Freda che brontolò infastidita. Poi si avvicinò ad Amauròs così tanto da alitargli in faccia.
Le sue labbra si tesero esibendo un ghigno cattivo.
“Siamo soli.” lo informò. “A meno che tu non voglia mandar via anche Ranuccio.”
L’altro non rispose, ma sollevando i lembi del mantello, tirò fuori un involucro di stoffa da una borsa che teneva legata alla cintura, e cominciò ad aprirlo lentamente davanti allo sguardo curioso di Guglielmo.
Sotto i diversi strati di tessuto c’era un’ampolla di vetro.
“E questo cosa sarebbe?” domandò Guglielmo scrutando l’oggetto.
“Questo è il vostro lasciapassare.”
“E’ una delle tue diavolerie?” lo schernì.
“Credi davvero di riuscire a trascinare centinaia di persone con te fino alle Zanne del Drago e oltre senza che nessuno se ne accorga?”
“Passeremo dalle grotte, non ci vedranno.”
“Oh, dovrebbero essere tutti ciechi, compresi i minatori che lascerete alla cava, per non accorgersi della sparizione di così tanta gente.”
“E tu cosa suggerisci?”
Amauròs nascose di nuovo l’ampolla sotto la stoffa.
“Ucciderli.” rispose secco.
“Cosa? Aaah!” Ranuccio si morse la lingua e per poco non soffocò, ma Amauròs non si scompose.
Guglielmo invece si accomodò sulla sedia più vicina incrociando le braccia.
“Spiegati!” disse.
“Dovrai far crollare l’ingresso della galleria.”
Guglielmo sollevò un sopracciglio assumendo un aria interessata.
“Per un po’ penseranno ad un incidente, e questo vi darà… ci darà un po’ di vantaggio.”
“Mi stai dicendo che quella che hai in mano è Acqua di Nun?” domandò mentre un tremito di preoccupazione gli incrinava la voce.
L’altro annuì.
“Credevo fosse una leggenda. Se è vero quello che si racconta, lì dentro ci sarà tanta potenza da far saltare mezza cava.”
“Ne utilizzeremo quanto basta. La sostanza che vedi in questa fiala e tutta quella che sono riuscito a nascondere al Consiglio, non ne ho altra. Come puoi immaginare non sono in grado di crearne di nuova da molto tempo.”
“Già, immagino che non sia una sostanza da maneggiare al buio.” ghignò malevolo, Guglielmo. Un muscolo sul volto del cieco si contrasse impercettibilmente, ma la sua voce restò ferma e pacata.
“… E preferirei che Freda non sapesse che conservo questa roba in casa mia, almeno finché non dovremo usarla.”
“E’ rischioso far crollare la miniera dall’interno,” l’uomo si passò il dito sulle labbra pensieroso. “Uno di noi dovrà restare fuori.”
“Resterò io.” annunciò Ranuccio con veemenza.
“Resteremo tutti e tre.” decretò il capo dei ribelli e si alzò avvicinandosi di nuovo al mago. “Avremo più possibilità di successo. Non sarà difficile poi infiltrarci tra i mercanti delle carovane e raggiungere gli altri al Bosco di Pietra.
Anche Freda potrà raggiungerci in un secondo momento senza attirare sospetti su di lei. Sei pronto per il lungo viaggio?”
“Non mi avete dato scelta.”
“Infatti, è così. Ci vediamo fra due giorni sul ponte nord, l’ingresso della Grotta Grande si trova proprio lì sotto, non sarà difficile farla saltare da quel punto”.

***



Quella che chiamavano Grotta Grande non era altro che l’ennesimo ingresso di miniera che, per qualche strana ragione, era sprofondato formando un’enorme voragine. Vi era un ponticello sottile, di ferro, sospeso a centinaia di catene che pendevano dall’alto soffitto. Kore lo fissò terrorizzata: ondeggiava, in maniera paurosa, ogni volta che qualcuno lo attraversava. Quando fu il suo turno di passare, Marietta la spinse in avanti, ma le gambe della giovane si rifiutavano di muoversi.
“Io, io non ce la faccio.” pigolò.
“Il ponte è sicuro, reggiti e andrà tutto bene.” la incoraggiò l’altra, sfilandole il grosso sacco pieno di viveri che portava sulle spalle. “Questo lo porterò io.” disse con un sorriso.
Gli occhi di Kore corsero dall’altra parte: centinaia di persone l’avevano già attraversato. Erano arrivati alla spicciolata, per non dare nell’occhio, e ora si affannavano a caricare cibo e coperte su dei carretti che, evidentemente, erano stati nascosti mesi prima, in previsione di quel viaggio.
Si afferrò al corrimano e, trascinando i piedi, iniziò ad attraversare il ponte; le gambe tremavano, parevano aver perso la loro forza, e ad ogni passo le ginocchia cedevano, ma doveva farcela: il viaggio sarebbe stato lungo e pieno di pericoli. Non poteva arrendersi al primo ostacolo.
Cercò di fissare un punto davanti a lei, ma quando fu a metà del percorso non poté fare a meno di guardare in basso: un baratro scuro si apriva sotto i suoi piedi.
Sperò con tutto il cuore che fosse meno profondo di quello che sembrava; era di certo la mancanza di luce a renderlo così spaventoso. Nonostante fosse giorno, e l’ingresso fosse solo a pochi passi da lei, la luce del sole artificiale non riusciva a penetrare all’interno. La conformazione delle rocce lì doveva essere diversa dal resto della cava. Le pietre, infatti, non riflettevano la luce solare, non come le rocce verdi. In quel luogo non c’era nemmeno un granello della polvere luminescente che solitamente copriva ogni cosa; per qualche ragione non era penetrata in quella caverna, rendendola un luogo oscuro e pauroso, anche se era proprio questa caratteristica che faceva della Grotta Grande il passaggio più sicuro per gli schiavi: con il buio non c’era pericolo di incontrare i vermi delle grotte, almeno così le avevano spiegato.
Si aggrappò con tutta la forza al corrimano, costringendosi ad andare avanti un passo dopo l’altro; quando finalmente fu dall’altra parte, una donna le andò incontro [e,] sorridendo, l’aiutò a scendere dalla passerella. Kore la riconobbe, era Lucia, l’aveva incontrata al suo arrivo in quel mondo di tenebra. Accanto a lei c’era un uomo, aveva i capelli lunghi e scuri così come gli occhi, ma la carnagione bianchissima. Era un Discendente, ormai Kore aveva imparato a riconoscerli anche quando non indossavano la loro solita tunica bianca. Forse era suo marito, quel Silas di cui aveva sentito parlare. Spostando lo sguardo notò anche i due ragazzi; sì, l’uomo doveva essere proprio il loro padre. Fu felice di trovarlo sano e salvo, e, nel gioire per la famiglia riunita, pensò al momento in cui avrebbe rivisto Fabian e questo le diede coraggio. Si voltò indietro, Marietta l’aveva raggiunta e lei la aiutò a scendere dal ponte e a posare a terra il pesante sacco. La donna le dedicò uno sguardo carico di commozione.
“Si torna a casa” disse con voce tremante e, accarezzandole il capo, le sfilò il fazzoletto che in quei mesi aveva nascosto la sua pettinatura alla moda o, almeno, ciò che ne rimaneva. Kore si passò le mani nei capelli e sorrise: erano cresciuti; solo qualche mese prima avrebbe pensato di somigliare ad un barboncino mal tosato, ma in quel momento si sentì bellissima e libera.

***


Da quella scomoda posizione Ranuccio poteva vedere l’ingresso della Grotta Grande, era proprio sotto di lui, almeno 800 piedi sotto di lui. Il giovane era rannicchiato su una sporgenza rocciosa, sotto ad uno dei ponti di pietra che congiungevano Lapidia al bordo del cratere; sul fondo i minatori sembravano tante formiche intente a trasportare i loro voluminosi carichi. In un tale caotico andirivieni nessuno poteva notare gli uomini e le donne che, staccandosi dal gruppo, si sparpagliavano tra i vicoli formati da baracche e cumuli di detriti; una volta giunti all’ingresso della grotta, scomparivano come inghiottiti dalla roccia.

Per tutto il giorno la Grotta Grande aveva accolto gli schiavi fuggiaschi e, ormai, mancavano solo poche persone all’appello. Quando l’ultimo dei ribelli sarebbe stato al sicuro nel fondo della caverna, qualcuno avrebbe fatto un segnale agli uomini che attendevano all’esterno per far saltare l’ingresso.
Ranuccio si lasciò sfuggire un lamento, gli dolevano tutti i muscoli, e provò a cambiare posizione; ma, quando alcune pietre ruzzolarono sotto i suoi sandali per poi finire nel vuoto, decise che, tutto sommato, avrebbe potuto resistere ancora un po’ senza muoversi.
Sopra di lui Guglielmo, seminascosto dalla balaustra finemente scolpita, controllava la porta della città. Era paludato in un vecchio mantello scuro; le spalle curve e i ciuffi di capelli grigi che spuntavano dal cappuccio, lo avevano fatto apparire agli occhi di tutti come un comune vecchio schiavo.
Nessuno gli aveva prestato attenzione nel vederlo accompagnare il mago cieco sul ponte. Accanto a lui Amauròs, che non aveva motivi per camuffare il suo aspetto, se ne stava in piedi proprio nel mezzo del camminamento, con gli occhi chiusi e le mani incrociate dietro la schiena.
Presto, dal fondo della cava, sarebbe arrivato l’atteso segnale ad avvertirli che tutti erano nella grotta, in un punto al sicuro dal crollo; in quel momento Ranuccio avrebbe dovuto lasciar cadere la boccetta con all’interno poche gocce del potentissimo liquido.
Altre piccole ampolle erano state sistemate vicino all’ingresso della galleria. L’acqua di Nun era rara e non produceva alcuna fiamma, il crollo sarebbe apparso come naturale almeno all’inizio.
Tutto era pronto ma qualcosa attirò lo sguardo di Ranuccio: un gruppo di uomini si stava avvicinando alla Grotta dove erano nascosti gli schiavi. Marciavano velocemente e un luccichio improvviso fu sufficiente per far capire al giovane che non erano normali minatori: quegli uomini indossavano delle armature.
“Ci hanno scoperti!” urlò, forse con troppa forza. Guglielmo imprecò poi il suo sguardo corse istintivamente alla porta della città: si stava spalancando mostrando altri uomini in armatura.
“I soldati, stanno venendo verso di noi. Ci hai tradito, maledetto mago!” ringhiò e scagliandosi su Amauròs lo afferrò alla gola, il suo sguardo, così carico d’odio, fu riflesso nello specchio nero negli occhi dell’altro.
“No!” Un lampo illuminò le iridi spente del mago, che si divincolò, ma fu solo un istante, il tempo di allontanare Guglielmo con una spinta e la sua espressione tornò fredda, quasi assente. Guglielmo lo fissò basito mentre quello, ignorandolo, si avvicinava alla balaustra per poi sporgersi verso Ranuccio che era ancora aggrappato allo spuntone roccioso sotto di loro,
“Getta quella dannata ampolla prima che sia tardi.” gli ordinò.
“Non posso, ci sono decine di persone ancora vicine all’ingresso, potrei ucciderli.”
“Se non lo fai, ne moriranno cento.” sibilò, “Gettala, maledizione, o vuoi che lo faccia io?” minacciò stendendo una mano verso il ragazzo che rabbrividì. Era chiaro che il mago avrebbe fatto precipitare anche lui nel cratere assieme alla fiala. Ranuccio guardò in alto, poco più in là anche Guglielmo si era sporto dal parapetto facendogli cenno di obbedire.
Le dita del giovane tremavano, e dovette fare forza su se stesso per costringersi ad aprirle per lasciar scivolare l’ampolla. Ci volle un tempo interminabile prima che il piccolo contenitore di vetro giungesse a toccare il suolo e, mentre la fiala cadeva, il ragazzo si chiese quale dei suoi amici avesse appena condannato. Sentì la forza abbandonare le sue gambe e mancò poco che anche lui scivolasse assieme al liquido mortale che aveva appena gettato. Poi ci fu un rumore sordo, come un tuono, e l’intera parete del cratere fu scossa e parve sul punto di frantumarsi.
I tre uomini sul ponte trattennero il fiato. Per un attimo l’aria intorno a loro divenne pesante, sembrava stesse per schiacciarli.
Ranuccio si portò istintivamente le mani alle orecchie. Il ponte vibrò; massi iniziarono a staccarsi dal costone roccioso e, con un frastuono assordante, andarono a chiudere l’ingresso della grotta.
Una nuvola di polvere li investì nascondendoli agli occhi degli inseguitori. Guglielmo ne approfittò e prese a correre più veloce che poté, mentre Ranuccio si accucciò nel suo nascondiglio sotto il ponte coprendosi il volto per non soffocare nel pulviscolo.
Amauròs chiuse gli occhi e rimase in attesa, come in trance.
Man mano che la nuvola di detriti si diradava gli uomini in armatura apparivano sempre più nitidi e il loro passo accelerava. Si riparavano gli occhi con le mani, finché la visuale fu di nuovo libera e una voce diede l’ordine di catturare i ribelli, immediatamente come mossi da un'unica volontà si lanciarono all’inseguimento.
Il mago allora si voltò e andò loro incontro. Ranuccio, riemergendo dalla stoffa della sua tunica, nel vederlo camminare speditamente verso i soldati, sentì montare la rabbia. Lo seguì con lo sguardo e quando quello sparì nascosto dal parapetto, lui si puntellò sui piedi sollevandosi abbastanza per poterlo vedere mentre si fermava a pochi passi da loro. Tuttavia quello che accadde dopo lo lasciò senza fiato: gli uomini che continuavano ad avanzare verso di lui cominciarono a barcollare, qualcuno si appoggiò alla balaustra, come colto da vertigini, altri caddero in ginocchio davanti al mago o, addirittura, si stesero in terra privi di forze. Nonostante non ci fossero figli del sole tra le guardie della città di Lapidia, la magia nel loro sangue era così debole che non avevano nessuna possibilità di contrastare un mago come Amauròs. Per molti di loro l’esercito era l’unica alternativa all’unirsi agli schiavi nelle miniere.
Le labbra di Ranuccio si allargarono in un sorriso soddisfatto quanto liberatorio. Amauròs era dalla loro parte e questo era sufficiente a tranquillizzarlo, se non addirittura a renderlo spavaldo. Per un istante fu sul punto di uscire dal suo riparo e godersi quella scena da più vicino, ma il riso gli morì in gola quando, con un rumore simile allo schiocco di una frusta, il mago fu scaraventato all’indietro e ricadde malamente sulla pietra.
Ranuccio, d’istinto, si accucciò di nuovo per poi allungare il collo, fin quasi a strangolarsi, nel tentativo di capire cosa fosse accaduto.
Un uomo anziano con i capelli completamente bianchi, ricci e folti, avanzava tra due ali di soldati. Ranuccio lo riconobbe pur non avendolo mai incontrato personalmente: era Gourias, il capo del consiglio dei Discendenti, un mago potente, forse il più potente dell’intera città di Lapidia.
Si avvicinò all’uomo a terra.
“Non volevo credere che ti fossi lasciato trascinare di nuovo in questa follia.” disse con una smorfia di disgusto.”
Amauròs si mosse appena brontolando qualcosa, che Ranuccio non riuscì a sentire, poi perse i sensi.
L’altro gli rivolse un sorriso sbilenco.
“Portatelo via.” ordinò ai soldati. “E trovatemi il suo complice.” continuò indicando la fine del ponte nel punto in cui Guglielmo era sparito alla loro vista.
 
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Camelia.
view post Posted on 3/3/2014, 01:44




Questi ultimi capitoli sono avvincentissimi, mi spiace averci meso tanto prima di leggerli.
Brava, Astry, mi piace!
 
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Astry
view post Posted on 3/3/2014, 21:21




Grazie, spero che continuerai a seguire.... sto andando avanti e nel frattempo correggo questi primi capitoli man mano che li pubblico, non è ancora la versione definitiva, quindi si accettano consigli, osservazioni, pacche sulla spalla :D
 
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Astry
view post Posted on 5/3/2014, 16:24




Cap.17

“Ehi, mago… ehi, svegliati!”
La voce di un uomo risuonava nella sua mente. “Svegliati!”
Amauròs si portò le mani alle tempie, aveva l’impressione che il suo cranio stesse per spaccarsi in due. Si accorse di essere sdraiato su un pavimento, appoggiò i gomiti, e riuscì goffamente a mettersi in ginocchio.
Gli ci vollero alcuni istanti per rendersi conto che la voce che sentiva non era un sogno, ma qualcuno lo stava realmente chiamando.
“Per un attimo ho creduto che fossi morto.” continuò la voce.
“Morto? Io non… ma cosa?” biascicò a fatica cercando di identificare il suo interlocutore e, soprattutto, di ricordare come fosse finito su quel pavimento.
Poi lo riconobbe.
“Guglielmo!” la consapevolezza improvvisa gli fece pronunciare il nome del capo dei ribelli con eccessiva meraviglia, tanto che l’altro scoppiò a ridere.
“Chi ti aspettavi di trovare dentro questa cella?” domandò beffardo.
“Mi aspettavo di risvegliarmi nel mio letto.” sbuffò lo stregone che, ormai, aveva ritrovato la lucidità. “A quanto pare non ci hanno messo molto a trovarti, non sei così bravo a nasconderti senza l’aiuto di Freda.”
L’altro rispose con un grugnito. “Ranuccio non è qui, e questo è un buon segno.” Prese a camminare avanti e indietro facendo risuonare le catene che evidentemente aveva alle caviglie. Gli occhi di Amauros si mossero seguendo il rumore.
“Il tuo degno compare è rimasto nascosto sotto il ponte mentre ti davi alla fuga.” lo provocò il mago tastandosi la gamba: un anello di ferro cingeva anche le sue caviglie. “Sono comunque tutti condannati, ormai non possono più tornare indietro, e non troveranno mai la Soglia da soli.” continuò meditabondo.
“Freda li raggiungerà nel luogo dell'appuntamento. Troverà il modo di aiutarli, ne sono certo.” disse Guglielmo, con così poca convinzione che Amauròs preferì non infierire, fissò il vuoto in silenzio per diversi secondi finché l’altro prese a strattonare nuovamente la catena. “Maledizione!” sbottò il capo dei ribelli. “Non c’è qualcosa che tu possa fare per tirarci fuori di qui?”
Amauròs sorrise. “Qualcosa come buttar giù la porta e rendere inoffensive le guardie?”
“Sì, è esattamente quello che intendevo.”
“Potrei farlo se questa non fosse una prigione costruita per quelli come me. Fuori dalla porta ci saranno decine di amuleti che inibiscono la magia. I miei poteri qui sono deboli, sono inutili almeno quanto i tuoi muscoli per farci uscire.”
“Sai, mi dispiace.” Guglielmo decise di cambiare argomento. “Tu non dovresti esser qui.”
“Su questo ti do ragione!” Confermò sarcastico il mago, mentre cercava una posizione comoda sul duro pavimento di pietra. “E’ la consapevolezza di stare per morire che risveglia i tuoi sensi di colpa?”
“Volevo solo scusarmi per averti coinvolto, io…”
“Tu non mi avresti coinvolto se io non te lo avessi permesso.” Il suo volto divenne duro come la roccia sulla quale era seduto. “Ho un conto in sospeso con quella maledetta soglia, da molti anni. Non sono stati certo i vostri sciocchi ricatti a convincermi.”
“Pensavo ci tenessi al tuo servo.”
“Sapevo esattamente dove si trovava Diego in questi giorni. Credi che, se avessi voluto liberarlo, mi sarei lasciato fermare da un paio di minatori?”
“Minatori? Hai dimenticato Freda?”
Il mago arricciò le labbra. “Ho un conto in sospeso anche con lei.” rispose con un tono raggelante che però non scoraggiò l’altro.
Era chiaro che Guglielmo aveva una gran voglia di fare conversazione infatti, dopo pochi minuti di silenzio, tornò a rivolgersi al suo compagno di cella.
“Cos’è successo fra te e Freda?” domandò con semplicità.
Amauròs chinò il capo e non rispose, ma Guglielmo continuò: “Dev’essere qualcosa accaduto prima che io nascessi, non mi sembra che Freda ti abbia mai ostacolato in alcun modo da che io riesca a ricordare. Lei ha sempre voluto solo il bene degli schiavi.
“Cosa ne sai tu di quella strega?” sputò il mago con disgusto.
Guglielmo si lasciò cadere seduto.
“Già, cosa ne so io?” sospirò.
Restò in silenzio per una buona mezzora, poi si alzò con uno scatto nervoso, camminò finché i ferri che gli imprigionavano le caviglie lo bloccarono e li strattonò con rabbia; tornò indietro ripercorrendo più volte il tratto di pavimento che la catena gli consentiva.
Amauròs tese l’orecchio: Guglielmo ringhiava e sbuffava come un carillo in gabbia, e lui non aveva bisogno di vederlo per sapere quanti passi avrebbe fatto prima di sbottare in una nuova imprecazione.
Arricciò le labbra e si accinse a regalargli uno dei suoi commenti più velenosi, ma si bloccò: dato che Guglielmo non sarebbe uscito vivo da quella prigione, probabilmente la rabbia era preferibile alla disperazione. Cosa avrebbe dovuto fare? Prendere a calci una porta e strattonare una catena era tutto ciò che restava a quell’uomo. La sua gente era dispersa in oscure gallerie senza possibilità di tornare indietro e lui, che aveva dedicato la vita a pianificare quel viaggio, ora sarebbe morto senza neppure aver avuto la possibilità di cominciarlo.
“Cosa pensi sia successo?” chiese, infine, con un tono più amabile, interrompendo l’andirivieni furioso dell’altro.
“Che razza di domanda è questa?” sbottò quello, stizzito. “C’eri anche tu, i soldati sono arrivati e i nostri piani sono andati in malora.”
Lo stregone gli dedicò un sorriso di commiserazione.
“Questo lo so, ma non ti sei chiesto come hanno fatto i soldati a sapere esattamente dove trovarci e quando?”
Per tutta risposta Guglielmo scaricò un pugno contro il muro. Il rumore secco delle nocche sulla pietra fece sussultare il mago; le sue labbra si tesero e gli occhi si strinsero con forza, quasi provasse dolore egli stesso.
“Romperti una mano non ti servirà a scoprire la verità.” continuo sarcastico.
Ma l’ira di Guglielmo non sembrava placarsi, si stava preparando a scaricare di nuovo la sua frustrazione contro la dura roccia della parete, quando Amauròs protese una mano verso di lui e, con uno sforzo che gli strappò un flebile lamento, riuscì a bloccarlo con la magia, prima che potesse ferirsi di nuovo.
“Smettila di prendertela con il muro, e cerca piuttosto di capire cosa è andato storto.” gli urlò con rabbia.
“Cosa c’è da capire? Ci hanno scoperti, ed ora ci ammazzeranno.” L’uomo era furente, tanto che le parole uscirono dalla sua gola gorgoglianti di saliva. Se Amauròs avesse potuto, lo avrebbe visto schiumare di bile.
Appoggiò una mano alla parete e si mise in piedi. “E’ probabile, sì. Ci ammazzeranno, ma, se fossi in te, mi chiederei chi dovremmo ringraziare per questo.”
Ci fu un lungo silenzio, poi Amauròs continuò: “Sei stato tradito, Guglielmo, fra i tuoi uomini c’è una spia.”
“Nessuno mi ha tradito. Conosco i miei uomini, mi fido di loro come di me stesso.” ribatté con veemenza il capo dei ribelli.
“Allora, forse non dovresti fidarti neppure di te stesso.” lo provocò Amauròs.
Ma Guglielmo si lanciò con ira verso di lui, tendendo la catena fin quasi a slogarsi la caviglia. Il fracasso dei ferri fece sussultare l’altro.
“Forse sei stato tu a richiamare le guardie, forse ti hanno messo qui per un motivo.” sputò la sua accusa con ferocia afferrando il mago per la stoffa della tunica.
“Non sai quello che dici.” la voce di Amauròs, al contrario, restò calma e misurata. Tenne le braccia lungo i fianchi e non tentò di sottrarsi, ma fu Guglielmo che, sbuffando, allentò di colpo la presa. “Nessuno dei miei uomini mi ha tradito.” insisté e poi, di nuovo, sfogò la sua ira contro il muro, stavolta con un calcio.
Amauròs scosse il capo. “D’accordo! Prenditela con il muro, se questo ti fa sentire meglio. Forse riuscirai a sfondarlo con la tua testa dura.”
La testardaggine di Guglielmo era pari al suo coraggio: non avrebbe mai ammesso di aver mal giudicato qualcuno dei suoi. Ma Amauròs immaginò che fosse inutile insistere, a che sarebbe servito se non ad avere qualcun altro da odiare?
Il mago indietreggiò verso la parete e, appoggiandovi la schiena, si lasciò scivolare a terra. Incrociò le braccia e chiuse gli occhi deciso a non proseguire la loro conversazione; Guglielmo invece, riacquistata la calma, gli si avvicinò di nuovo trascinando i ferri che sbatacchiarono sulla pietra.
Si chinò su di lui e riprese ad interrogarlo.
“Sei proprio certo di non poter far niente con i tuoi poteri, oltre che impedirmi di sfondare la parete a forza di pugni?” sibilò.
Amauròs sollevò la testa gettando sull’altro l’ombra dei suoi occhi spenti.
“E’ quello che ho detto.” rispose asciutto.
“Provaci!” insisté.
Amauròs si morse il labbro e prese un profondo respiro. Sì, poteva provare: non aveva nulla da perdere a parte, forse, la vita.
D’improvviso le sue iridi, simili a cristalli neri, si dilatarono nascondendo quasi del tutto il bianco. Nello stesso istante s’udì un rumore cupo, che pareva provenire dal sottosuolo, e la cella tremò; alcune delle pietre squadrate del pavimento si sollevarono, schizzando fuori dalla loro sede. Guglielmo fece un balzo indietro e barcollò fino ad addossarsi alla parete opposta, quasi temesse che il soffitto potesse crollargli addosso, ma l’incantesimo s’interruppe e Amauròs si ritrovò steso sul pavimento, boccheggiante e in un bagno di sudore.
Dopo pochi istanti, o forse di più, non seppe dirlo, sentì la voce di Guglielmo che si era chinato su di lui. Udì le sue parole, ma aveva la mente troppo annebbiata per riuscire a comprenderne il significato. Respirare era, in quel momento, l’unico pensiero che riempiva il suo cervello: perché non c’era più aria in quella cella? Spalancò la bocca, ma i muscoli che sollevavano il suo petto parevano bloccati come il resto del corpo.
“Non re…spiro.” riuscì a mormorare. Sentì il proprio compagno di cella afferrarlo per le braccia e scuoterlo, e udì ancora la sua voce: stava gridando, forse gli stava dicendo qualcosa.
Senza nemmeno rendersene conto, il mago protese il braccio e si aggrappò alla camicia di Guglielmo; le dita si chiusero sulla stoffa, simili ad artigli, torcendola come se volessero estrarne l’ossigeno di cui il mago aveva bisogno. Poi, finalmente, la sua gabbia toracica si allargò e i polmoni succhiarono aria con tanta avidità che l’uomo singhiozzò e tossì. Guglielmo gli passò il braccio dietro la schiena, aiutandolo a mettersi seduto. Tremava e il corpo fradicio sussultava ancora in modo incontrollato, ma il respiro si faceva sempre più regolare.
“Immagino che questa sia una risposta.” mormorò Guglielmo rassegnato.
Amauròs fece una smorfia: purtroppo era così, non sarebbe mai riuscito a contrastare il potere degli amuleti abbastanza a lungo da tentare una fuga.
“Spero che sia stata esauriente, perché non ci riproverò.” sbottò acido.
Eppure per un istante aveva sperato, si era illuso di potercela fare. Aveva provato solo per convincere Guglielmo, ma quando il potere era scaturito da lui come un fiume in piena si era sentito di nuovo forte. Gli amuleti che inibivano la magia davano una sensazione di debolezza ai prigionieri, ma il loro influsso si faceva sentire veramente solo nel momento in cui i maghi tentavano di lanciare un incantesimo; allora la loro reazione era tanto potente quanto lo era la magia evocata. Pur essendone consapevole, aveva voluto tentare. Era riuscito a contrastare gli effetti dei talismani all’inizio, nonostante la spossatezza, il suo potere era ancora grande; poi era arrivato il dolore, improvviso, come se centinaia di spilli gli fossero stati conficcati nella carne. Aveva sentito i muscoli contrarsi e, più si sforzava di mantenere attivo l’incantesimo, più sentiva la sua stessa magia rivoltarsi contro di lui.
Sospirò e si trascinò di nuovo vicino alla parete e vi si appoggiò, quando uno stridio fastidioso l’avvertì che la porticina della loro cella si stava aprendo.
Qualcuno entrò, a giudicare dai passi erano almeno quattro persone, Guglielmo saltò in piedi. Amauròs non si mosse, ma restò in ascolto.
“Avete finito di fare tanto baccano?” domandò una voce rauca.
Le dita del mago si strinsero nervose, ma continuò a restare immobile, mentre il tonfo che seguì gli fece capire che il suo compagno di cella era stato appena sbattuto contro la parete.
“Sta fermo, lurido schiavo!” grugnì ancora la guardia.
Sulle labbra di Amauròs si disegnò un pietoso sorriso, mentre si figurava la scena che i rumori gli suggerivano: Guglielmo continuava a scalciare e a divincolarsi, ritardando solo l’inevitabile. Colpì uno degli uomini che stavano cercando di liberarlo dalla catena, e quello biascicò un paio di imprecazioni incomprensibili. Aveva la voce di un ragazzo ma, dai suoi versi inarticolati, il mago capì che gli avevano tagliato la lingua; un’usanza fin troppo praticata a Lapidia. Questo non gli impedì di ripagare abbondantemente lo schiavo per il colpo appena ricevuto. Guglielmo, ormai fiaccato, si lasciò sfuggire un flebile lamento. Tossì e masticò una maledizione che l’altro gli fece ingoiare con un ennesimo pugno in pieno volto.
Amauròs che, nel frattempo, si era alzato da terra, serrò con forza le palpebre, sforzandosi di rimanere impassibile, mentre il suo compagno di cella, ora libero dalla catena, veniva trascinato via. Il mago aveva sentito l’odio crescere e ribollire come lava dentro di sè, e sapeva che se gli avesse dato libero sfogo, sarebbe sgorgato dai suoi occhi, assieme a una magia tanto potente da opporsi agli amuleti e spazzare via ogni uomo in quella cella compreso lui stesso.
“Lasciatemi! Dove mi state portando?” ringhiò Guglielmo, continuando a puntare i piedi. “No! Lasciatemi!” ma la sua voce si fece sempre più lontana così come lo scalpiccio dei sandali sul lastricato.
Una delle quattro guardie, rimasta ancora nella cella scoppiò in una risata sguaiata,
“Questa non ti servirà.” disse.
Stavolta era rivolto a lui, e dal rumore stridente che seguì quelle parole, Amauròs capì che stava sfilando qualcosa, di certo una torcia, dal sostegno di ferro fissato alla parete.
Poi la porta cigolò di nuovo per chiudersi con un frastuono stridente, lasciandolo solo nell’oscurità.
 
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Astry
view post Posted on 20/3/2014, 23:03




Cap. 18

Ci volle un po’ perché la polvere del crollo cominciasse a diradarsi; l’aria dentro la grotta ne era satura. Kore era sdraiata su un fianco con il naso affogato nel sacco dei viveri per riuscire a respirare. Nel momento in cui la boccetta di vetro, lasciata cadere da Ranuccio, aveva toccato il suolo, tutta la cava era stata scossa come da uno strano terremoto. Non c’era stata un’esplosione, bensì, per un attimo, le pareti di pietra erano sembrate vive: le rocce si erano dilatate, formando un’onda che aveva percorso l’intera volta penetrando fin nei più profondi cunicoli; poi giganteschi massi si erano staccati dalla parete esterna accumulandosi davanti all’ingresso. Kore, e come lei tutte le persone all’interno della caverna, per un istante erano rimaste immobili, pietrificate dal terrore, con gli occhi sgranati a fissare l’incredibile prodigio.
Qualcuno aveva gridato: “No, no, troppo presto!” e poi ancora, “Via, scappate!”
Una nuvola di polvere si era levata dal punto in cui i massi si stavano accumulando, gonfiandosi e vorticando, li aveva raggiunti gettandoli a terra violentemente e avvolgendoli nella sua ombra.
Quando il rombo assordante dei massi che continuavano a piovere dal soffitto cessò, Kore sollevò il capo e provò ad aprire gli occhi; li sentiva pesanti a causa della sabbia sul viso. Intorno a lei ora c’era solo silenzio e oscurità. Gli schiavi, nel momento in cui lo spostamento d’aria li aveva travolti, avevano lasciato cadere le proprie lucerne; non tutte si erano spente, ma il debole chiarore delle poche rimaste intatte non riusciva a penetrare il velo opaco e soffocante del pulviscolo. Tutto ciò che quella fioca luce permetteva di vedere erano delle sagome più scure sul suolo roccioso. La ragazza si sentì gelare: erano forse tutti morti? Per un istante, che durò un’eternità, l’idea di trovarsi sepolta in compagnia di centinaia di cadaveri le fece maledire il fatto di non essere morta con loro, ma poi un debole brusio risvegliò nel suo cuore la speranza.
Le ombre nere presero a sollevarsi, l’oscurità e la polvere le rendevano simili a spettri, e Kore strizzò le palpebre sforzandosi di distinguerle.
Si voltò. Alla sua destra riconobbe Marietta. Anche lei si era riparata alla meglio dai sassi, che erano schizzati in ogni direzione come schegge impazzite, usando i sacchi di viveri come scudi. Si mise in ginocchio e posò una mano sulla spalla di Kore.
“Stai bene?” le domandò.
Kore riuscì solo ad annuire: le parole erano bloccate in gola dallo spavento.
Poi Marietta si alzò come avevano fatto anche gli altri. Barcollanti e incerti tutti si guardarono attorno cercando parenti e amici.
Kore fece lo stesso, guardò attraverso il pulviscolo che si stava diradando, e sul quale il riflesso delle lucerne che gli uomini avevano cominciato a raccogliere formavano bizzarri disegni: sottili raggi luminosi e altrettanti fasci d’ombra, come lance di un esercito di spiriti, si intrecciavano in una danza frenetica.

La giovane tentò di individuare almeno quelli che conosceva. Riconobbe Lucia a poca distanza da lei e poi anche Silas e i ragazzi: erano illesi e si scambiavano carezze e abbracci. Le labbra di Kore si piegarono in un sorriso malinconico, che sparì, nel momento in cui notò Marietta avvicinarsi ad un gruppetto di persone piuttosto agitate.
Continuavano a voltarsi cercando qualcuno; Kore percepì un’ansia crescente nei gesti e nelle voci, anche se non riusciva a capire cosa stessero dicendo; poi il braccio di uno di loro si levò ad indicare quello che, fino a pochi istanti prima, era l’ingresso della caverna. Lo sguardo di Kore lo seguì e un brivido le percorse la schiena: il ponte che avevano appena superato non esisteva più. Un dubbio si insinuò nella sua mente e lo stomaco fu stretto da una morsa dolorosa: c’era ancora qualcuno lì sopra nel momento in cui si era scatenato l’inferno? Era così felice di aver superato quell’orrendo passaggio che non si era guardata alla spalle; ricordava solo che dietro Marietta c’erano altri ad attendere il loro turno di attraversare, ma se avessero avuto il tempo di passare, non seppe dirlo. Di certo non aveva superato il ponte il ragazzo che avrebbe dovuto fare il segnale a Ranuccio; lui sarebbe dovuto entrare per ultimo e, probabilmente, era rimasto addirittura all’esterno della caverna. Chi altri sarebbe mancato all'appello?
Guardò il gruppetto che ora si era affacciato sul burrone e decise di fare altrettanto; si sporse, ma era troppo buio per riuscire a vedere qualcosa. Un uomo si fece passare una delle lucerne e la gettò nello strapiombo. La sua scia luminosa riverberò tra le pareti solo per pochi istanti, prima che la lampada andasse a spegnersi contro la roccia del fondo con un rumore di vetri infranti, ma furono sufficienti per individuare una persona impigliata alle catene che sostenevano il ponte sospeso. Era proprio al centro della voragine ad almeno una decina di metri sotto di loro. Quando vide la luce scendere nella grotta, prese a dimenarsi come un pesce nella rete, e il tintinnare delle catene attirò anche gli altri che fino a quel momento non si erano accorti di ciò che era successo. Si accalcarono tutti sul ciglio del baratro, qualcuno urlò, altri piangevano, poi si sentì invocare un nome: Silas.

Il giovane mago si fece largo tra la folla e, rendendosi conto dell’accaduto, iniziò a dare istruzioni a coloro che lo attorniavano “Presto, procuratevi una corda…” Poi il suo sguardo individuò altri uomini che stavano tentando di avvicinarsi scansando, in maniera un po’ brusca, tutti quelli che intralciavano loro il passaggio.
Silas fece loro cenno di affrettarsi. “Voi, datemi una mano, dobbiamo spezzare quella catena.”
Anche Kore fu costretta ad arretrare di qualche passo: un ragazzo robusto, con un’intera collezione di amuleti appesi al collo, la spinse con una manata sul petto. Aveva i capelli biondi e, come Silas, aveva la carnagione del colore del latte.
Erano tutti Discendenti, una decina. Probabilmente giovani idealisti che, sfidando le leggi del loro mondo, avevano deciso di unirsi ai ribelli in quel viaggio. Tra loro c’era anche una ragazza, piccola di statura, i capelli lunghissimi e neri, che a differenza degli altri non aveva rinunciato ad indossare la tunica bianca simbolo della sua casta.
Si posizionarono tutti sul ciglio del burrone con le braccia tese in avanti. Il mormorio che aveva accompagnato quei momenti di concitazione cessò di colpo. Un uomo calvo si avvicinò al ciglio del burrone e, con gesti rapidi, calò una lampada nell'oscurità per aiutare i Discendenti. Kore riconobbe quell'uomo come Rufo, il minatore che aveva importunato Fabian sono qualche giorno prima. Seguì la lampada scendere ed illuminare il malcapitato appeso a testa in giù; Kore sgranò gli occhi e si portò istintivamente le mani alla bocca: era Bertone.
Un altro uomo, alto e con i capelli lunghi raccolti in una coda si avvicinò con una fune in mano.
“Afferra questa e legati!” gridò a Bertone mentre dondolava il braccio per prendere lo slancio.
Tentò più volte, alla fine, l’altro riuscì ad afferrare un capo della corda e difficoltosamente riuscì a legarsela intorno alla vita.
Fu allora che uno strano sibilo si levò dal gruppo di maghi schierati sul bordo del precipizio, mentre, tutti insieme, sussurravano il loro sortilegio. Kore li fissò con curiosità, e poi guardò Bertone, ma sembrava che non stesse accadendo niente. Il corpulento uomo continuava a dimenarsi e a lamentarsi. Era ferito, le catene lo avvolgevano impedendogli di cadere, ma ad ogni movimento si legavano con più forza su di lui. Gli stringevano le gambe fino a fermargli la circolazione e si attorcigliavano sul ventre grasso che pareva ancora più gonfio nelle parti che fuoriuscivano dall’intreccio di metallo che lo imprigionava.
Poi d’improvviso uno degli anelli della catena cedette e, con un urlo, Bertone precipitò ancora più in basso.
“No, no, che diavolo state facendo?” continuò a gridare con tutto i fiato che aveva.
Ma un altro anello cedette e lui cadde ancora, dando un doloroso strattone alle catene che lo sostenevano.
Urlò e urlò, tanto che Kore si portò le mani alle orecchie per non sentire, ma le fu chiaro che quello era l’unico modo per liberarlo. I maghi stavano facendo qualcosa al metallo che diventava sempre più fragile. Le catene si stavano spezzando sotto il peso di Bertone e, presto, l’unico suo sostegno sarebbe stata la corda che aveva legato alla vita.
Quando rimase una sola catena da rompere, gli uomini che reggevano l’altro capo della corda tirarono con forza e Bertone si ritrovò ad un palmo dalla parete a strapiombo ma molto sotto di loro. L’ultimo anello della catena, che ancora lo trascinava verso il centro opponendosi agli sforzi dei minatori, cedette accompagnato da grida di terrore; Bertone colpì violentemente la roccia e lo strattone fece fare un balzo in avanti agli uomini che trattenevano la fune. Anche Kore sussultò, il cuore le saltò in gola, e lei riprese a respirare solo quando quelli cominciarono ad issare Bertone incitandosi a vicenda.
Appena l’uomo fu abbastanza vicino al ciglio del burrone, altri si precipitarono ad afferrarlo per le braccia traendolo finalmente in salvo.
Il mastodontico cuoco tremava come un bambino e continuava a lamentarsi. Kore si sollevo sulla punta dei piedi per riuscire a vederlo da dietro il muro umano che lo circondava. Era steso in terra, la catena gli aveva lacerato la carne dei polpacci che sanguinavano copiosamente, ma le ferite non sembravano gravi.
Marietta gli si avvicinò e lui prese a borbottare parole senza senso intercalate da singhiozzi.
“Chi altro c’era sul ponte? Chi c’era dietro di te?” gli domandò. La sua voce tremava, forse temeva una risposta. Bertone aggiunse ai singhiozzi anche dei movimenti rapidi del capo, come se volesse scuotere via un brutto pensiero, o magari un ricordo.
Alla fine un nome uscì dalle sue labbra, un nome appena sussurrato, che però percorse l’intera grotta come una ventata gelida: Ivetta.
Un brusio si levò dal gruppo di minatori che si fissarono l’un l’altro sbigottiti, poi un unico pensiero si impadronì delle loro menti e gli sguardi di tutti furono richiamati verso il bambino che fino a quel momento nessuno aveva notato: Giona era in piedi, con le labbra serrate, le braccia lungo i fianchi e i pugni chiusi. Era stato li per tutto il tempo in silenzio, mentre i minatori si affaccendavano a salvare Bertone, forse chiedendosi perché tra loro non ci fosse anche la sua mamma sempre in prima fila quando c’era bisogno di aiuto, ma ora quel nome pronunciato con un filo di voce aveva risposto nel modo peggiore alla sua domanda.
Ora che gli occhi di tutti erano puntati su di lui, il piccolo Giona appariva come un gigante al centro della grotta. L’espressione assente, il respiro affannoso, i capelli scuri appiccicati al visino sudato e sporco. Sembrava impossibile che, solo pochi istanti prima, nessuno l’avesse visto.
Per un tempo interminabile rimasero a fissarlo, e i loro sguardi erano colmi di pietà, di incertezza, di dolore. I grandi occhi verdi del bambino erano resi lucidi e brillanti dalle lacrime che li facevano risaltare ancora di più sulla pelle coperta di polvere. In quegli occhi gli schiavi fuggiaschi riconobbero il loro stesso sgomento. La loro gioia si era spenta nel baratro che aveva risucchiato Ivetta, ed ora restava solo l’amara consapevolezza dei nuovi e terribili pericoli che avrebbero dovuto affrontare in quel viaggio cominciato nel peggiore dei modi.
 
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33 replies since 16/11/2013, 00:07   269 views
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