Dal Mito al Racconto..., origini della letteratura fantastica

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view post Posted on 2/3/2010, 18:16
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Da uno dei siti di critica e approfondimento del mondo fantasy, forse uno dei migliori al momento esistenti sul web, FantasyMagazine, www.fantasymagazine.it , vi sottopongo la nascita di una rubrica, che se prenderà piede sarà aggiornata mensilmente, di storia della letteratura fantasy che analizza, partendo dai miti antichi, lo stretto collegamento di quest'ultimi con i moderni racconti del fantastico.

Hanno deciso d'iniziare con l'antichissimo mito sumero di Gilgamesh!

Questa è la prefazione dell'articolo:

Vi presentiamo la nuova rubrica Fantasticando, curata da Giuseppe De Micheli, scrittore fantastico, che ci propone un percorso di lettura che comincia dalle origini della letteratura fantastica.

Vi lascio alle parole che lo stesso Giuseppe ci ha inviato a corredo dell'articolo sull'Epopea di Gilgamesh, poema sumero risalente a 3000 anni prima di Cristo.



Probabilmente l’uomo inventò la narrativa appena riuscì a parlare. In fondo si trattava solo di trasformare la mera comunicazione di fatti sensibili in esagerazioni immaginarie. Proprio come fanno cacciatori e pescatori che raccontano le proprie imprese. E anche nonni che intrattengono nipoti. Cacciatori, pescatori e nonni sono sempre esistiti. La scrittura fu inventata per i bassi scopi: tenere la contabilità commerciale, registrare per conto del sovrano gli avvenimenti dell’anno, trasmettere ordini ed editti, tramandare inni religiosi, preghiere, profezie, formule magiche e diffondere i dogmi sacri. Il Libro dei morti egiziano, il Decreto di Telipinu ittita e il Rigveda indiano sono i più antichi testi sapienziali e morali tramandati per iscritto. Noi conosciamo le trascrizioni del XIV secolo a.C., ma gli originali potrebbero essere stati redatti addirittura nel III millennio a.C.

La narrativa, all’origine, non era distinguibile dalla rappresentazione: la costituivano infatti, oltre alla voce, anche i gesti, gli atteggiamenti corporei e le azioni dinamiche. Non sappiamo quando la narrativa ridusse il gesto ed esaltò la parola, quando, cioè, si separò dal teatro. Sappiamo solo che gli Egiziani, fra il 2000 e il1800 A. C. già scrivevano storie realistiche, simili agli attuali romanzi: le Avventure di Sinuhe, e una nutrita novellistica.

Gli Ebrei invece preferivano le storie edificanti contenenti una morale esplicita, come le storie di Giona, Tobia, Giuditta, Ester, Giobbe ecc.

Gli Indiani furono gli inventori di fiaba e favola: il Pancatranta, l’Histopadesa, L’Oceano dei fiumi e delle fiabe e il Sakuntala sono le opere rappresentativa della loro letteratura nazionale.

I Sumeri e i Fenici amavano invece i racconti fantastici e mitologici, come L’epopea di Gilgamesh e le imprese dei re Canel e Keret. Questi furono i capostipiti della letteratura fantastica di tutto il mondo. Ad essi gli Indo-europei fecero seguire le grandi saghe di Ercole, Odisseo, dell’Asino d’oro, re Artù ecc.



III millennio a.C : L'epopea di Gilgamesh
di Giuseppe De Micheli - Alla scoperta di un poema capostipite della letteratura fantastica

Questo il link dell'articolo:
www.fantasymagazine.it/rubriche/116...a-di-gilgamesh/

Buona lettura!!




Edited by Nykyo - 8/3/2010, 21:39
 
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Nykyo
view post Posted on 3/3/2010, 00:09




Bellissima idea questa di esplorare il mito. Sarà che io adoro la mitologia.
Mi è piaciuto molto questo articolo.
Grazie mille, tesoro, per avercelo postato :)
 
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view post Posted on 7/3/2010, 16:32
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Sapevo ti sarebbe piaciuto, perchè piacendo tanto anche a me (è risaputo che siamo sicuramente sorelle siamesi separate alla nascita!), ho avuto il sospetto che avresti gradito anche tu, e spero, visto l'interessantissimo argomento, anche tutte le belle streghe di casa! :DDDDD

Ogni volta che aggiorneranno lo farò anch'io!
 
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Nykyo
view post Posted on 8/3/2010, 21:40




Niente novità al riguardo, tesoro? Ero curiosa di leggere altri articoli.
 
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view post Posted on 9/3/2010, 07:37
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CITAZIONE (Nykyo @ 8/3/2010, 21:40)
Niente novità al riguardo, tesoro? Ero curiosa di leggere altri articoli.

No, ancora nulla, anche io sono curiosa di scoprire il prossimo mito! ^_^
 
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Nykyo
view post Posted on 10/3/2010, 22:09




Allora aspettiamo che ci aggiorni :)
 
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view post Posted on 3/5/2010, 18:08
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Ed ecco un altro viaggio nel mito... l'articolo ve lo metto in chiaro

FantasyMagazine ci parla del mito di Ercole..


Melqart, Eracle, Hercules: Eroi Liquidi. 1/2

Prosegue la galoppata nella narrativa fantastica attraverso secoli e popoli con il mito senza tempo di Ercole.

I PARTE — ERACLE: EROE SOVRANAZIONALE


Eracle

Dopo Gilgamesh, eroe pensoso e problematico, l’area mediterraneo-medioorientale idealizzò l’eroe forzuto e violento, capace di risolvere ogni situazione con la forza dei muscoli e delle armi. Molto probabilmente questo eroe inizialmente era solo un personaggio delle narrazioni orali, ma poi fu divinizzato ed entrò nei vari panteon religiosi dell’epoca.Ha scritto Erodoto: « … la mia opinione è che quegli Elleni agiscono in modo saggio erigendo e mantenendo due templi di Heracle; in uno Heracle viene venerato con il suo nome Olimpico e riceve sacrifici come dovuti a un immortale, mentre nell'altro gli si rendono onori dovuti ad un eroe. »Olimpico non sta per Olimpionico (vincitore di allori olimpici), ma per abitatore del monte Olimpo, cioè un dio.

All’epoca non c’erano diritti d’autore, copyright, SIAE eccetera, così i personaggi e le vicende potevano liberamente circolare, mischiarsi, essere copiate, disperdersi in mille rivoli, consolidarsi in saghe articolate, ribollendo come magma fino a cristallizzarsi infine in un archetipo, quello che i greci chiamarono Eracle e i latini Hercules, quello che per i fenici era Melqart e per gli ebrei Sansone; anche l’Egitto ebbe il suo Ercole Egizio con tanto di templi e culto.

Di Ercole ve ne furono molti: Varrone dice quarantatré, Cicerone sei, Diodoro Siculo più di uno. Tratti comuni di questi personaggi: grandi appetiti carnali, problematici rapporti con il femminile, dipendenza dalla volontà di altri, uso indiscriminato della forza per risolvere le crisi. Fondamentalmente erano esseri liquidi, incapaci di assumere una forma propria, ma solo quella del contenitore in cui si trovavano. E’ abbastanza sintomatico che Ercole sia l’eroe delle città-stato, che sia venerato nelle comunità politiche fortemente autonome, con rapporti federativi e di alleanza piuttosto instabili, fondamentalmente liquide, o, al massimo, assimilabili ai cristalli liquidi, quali appunto Greci, Fenici, Italici. L’immaginario collettivo attribuì a questo tipo di eroe doti di generosità, altruismo, disinteresse.

X SECOLO A.C. — FENICIA (TIRO) — MELQART

E' una divinità maschile di Tiro, protettrice dei naviganti. Il nome significa "re della città". A lui è attribuita l’invenzione della porpora. Protegge i viaggi, i commerci, i giuramenti e le relazioni interpersonali.


Melqart, stele

Caratteristiche dei templi dedicati a Melqart è la presenza di due colonne, assimilate alle colonne d’Ercole, nonché l’albero di olivo, il fuoco, l’aquila e il serpente. A Melqart è dedicata la festa fenicia del ‘risveglio’ dalla morte, simboleggiante probabilmente la rinascita primaverile della natura. Al tramonto del primo giorno si ha la morte del dio mediante il fuoco, il secondo giorno si celebrano i rituali delle esequie funebri. La mattina del terzo giorno si ha il ‘risveglio’ del dio. Singolarmente simile alla morte e resurrezione di Cristo, anche per il periodo in cui essa si svolge (il primo plenilunio di primavera). Il suo culto penetrò in ambiente ebraico quando la fenicia Gezabele sposò il re Acab, ebbe un tempio a Samaria, e provocò la reazione jahwistica capeggiata dal profeta Elia.

L’identificazione di Melqart con Ercole a noi moderni non sembra molto pronunciata, ma tutti gli antichi la affermano, quindi noi la prendiamo per buona.

Le similitudini di Melqart con Eracle sono: il serpente, la pelle di leone che indossa, le colonne, la morte per fuoco, la discesa agli inferi e il suo ritorno da essi.

IX SECOLO A.C. — L’ERACLE GRECO

Le vicende di questo eroe non sono raccontate in una sola opera, ma le troviamo diffuse in molti testi. Ne parla Omero nell’Iliade e nell’Odissea. Numerosi riferimenti a Eracle sono presenti nella Teogonia di Esiodo e un poema pseudoesiodeo, lo Scutum, racconta la lotta di Eracle con il brigante Cicno. Per questi autori Eracle è praticamente un oplita, appare abbigliato come un guerriero miceneo.

E’ con Stesicoro (V a.C) che l’iconografia eraclea assume i suoi connotati finali: clava e pelle di leone.

La Maggior parte delle imprese di Eracle le conosciamo tramite Pausania e Apollodoro.

Il suo culto come dio è accertato solo dal V secolo.


V SECOLO A.C. — LE COLONNE D’ERCOLE


Monumento alle colonne d'Ercole

Le colonne d’Ercole sono sconosciute a Omero e Ad Esiodo. Le troviamo nominate per la prima volta da Ecateo di Mileto all’inizio del V secolo a.C., per localizzare i Masieni, abitanti della Spagna Occidentale e, subito dopo, sono cantate da Pindaro come limite invalicabile, fissato da un dio.

Gli antichi sono concordi nel collocarle allo stretto di Gibilterra, ma recentemente Sergio Frau ha speso argomenti ed energie per collocarle nel canale di Sicilia. I suoi ragionamenti sono essenzialmente di natura geo-politica. Tra la fine del VI e l’inizio del V secolo a.C. Cartagine si era affermata come potenza egemone nel Mediterraneo occidentale, inibendo a tutti (perfino ai propri alleati etruschi) la navigazione a ovest dell'attuale Capo Bon. Le merci dovevano essere scaricate a Cartagine i cui navigli si incaricavano poi di smerciarle nei mercati occidentali, dai quali riportavano metalli pregiati, soprattutto lo stagno, indispensabile per fare il bronzo. I profitti di questa ‘esclusiva’ erano giganteschi.

Nel 540 a.C. i Cartaginesi, assieme agli Etruschi, avevano distrutto la flotta di Marsiglia (colonia dei greci di Focea) nella battaglia di Alalia. Nel 500 a.C. avevano distrutto la città di Tartesso (Spagna sud-occidentale, oltre Gibilterra), punto d’appoggio dei Focei, dal quale portavano lo stagno alla madrepatria, e alla fine estromesso completamente i greci dal Mediterraneo occidentale togliendo loro il porto di Mainake.

Secondo Frau i Greci, per giustificare il divieto di navigazione imposto dai cartaginesi, si inventarono che Ercole avesse innalzato le Colonne come trofeo per una sua vittoria sui barbari, quindi queste colonne rappresentavano il confine tra il mondo civilizzato (greco) e i barbari d’occidente, confine da non superare.

Due colonne di bronzo vennero trovate nel tempio di Ercole-Melqart a Cadice (oltre lo stretto di Gibilterra) e questo fu interpretato dai romani come limite dell’ecumene, nonostante loro stessi praticassero la navigazione oltre Gibilterra. L’immaginario letterario perpetuerà l’interpretazione delle Colonne come limiti del mondo, ed effettivamente è molto più poetico collocarle all’inizio dell’Oceano, supposto infinito, che non in mezzo al Mediterraneo (fra l’altro aggirabili passando da Scilla e Cariddi).

Con buona pace del Frau io propendo per l’interpretazione classica della collocazione a Gibilterra delle Colonne, perché solo là hanno senso i versi di Dante: “venimmo a quella foce stretta/dov’Ercole segnò li suoi riguardi/acciò che l’uom più oltre non si metta.”

Un posizionamento recentissimo delle colonne d'Ercole lo ha effettuato Marco Bulloni nel suo recentissimo Ho scoperto la vera Atlantide (Armenia — 2010), dove afferma che Atlantide è l'isola Grande Solovetsky (o Grande Solovski), sì, proprio quella dell'Arcipelago Gulag di Solgenitsyn!


Petroglifo nella penisola di Kola (www.kolatravel.com/kthi07.htm)

L'arcipelago delle Solovetski si trova nel Mar Bianco, quasi al Circolo Polare Artico. Il Bulloni afferma di avervi trovato strutture che coincidono perfettamente con quelle descritte da Platone (nel Timeo e nel Crizia) e identifica le colonne d'Ercole negli unici due monti della penisola di Kola, il Khibini e il Lovozero Tundra. Su una parete di quest'ultimo c'è un gigantesco glifo rappresentante un uomo con le mani alzate che sembra sorreggere una volta. Una immagine del glifo la si può vedere a sinistra.
Non è questo il luogo per commentare le teorie di Bulloni, per cui mi limito ad una semplice informativa. Chissà mai che, in futuro, un articolo di questa serie non possa essere dedicata al mito (moderno) di Atlantide e alle sue ipotizzate collocazioni.

VIII SECOLO A.C. — L’HERCULES ITALICO

Secondo Tito Livio il culto di Ercole, totalmente divinizzato, era già radicato alla fondazione di Roma. Gli archeologi ne trovano tracce in Etruria e nel Sannio. L’Ercole etrusco si chiamava Hercle, esattamente l’anello mancante fra Heracle (sottraendo la ‘a’) e Hercule (aggiungendo la ‘u’) E’ controverso se, nell’Italia settentrionale il culto di Ercole sia arrivato al seguito della dominazione romana, o preesistesse. Plinio il Giovane attribuisce ai veneti Euganei una discendenza Eraclide; statuette del IV-V secolo furono ritrovate a Belluno, Trieste e Adria, ma potrebbero essere di origine etrusca. Tradizioni locali attribuiscono are preromane a Ercole, e a lui consacrano le sorgenti del Po, ma a me non sembrano sufficienti a dimostrare una grande diffusione preromana del culto dell’eroe. Del quale non si trova traccia nel mondo celtico, se non in qualche semidivinità minore del loro sterminato pantheon. Anche Cesare, nel De Bello Gallico, quando identifica le divinità celtiche maggiori con quelle romane menziona Mercurio, Apollo, Marte, Minerva e Giove, ma non Ercole.

Nel mondo italico sembra affiorare il substrato fenicio di Melqart. L’Ercole italico appare profondamente diverso dall’originale eroe greco, più dio che eroe, più propenso ad aiutare i deboli che ad abbandonarsi all’ira, ai piaceri e alla follia. Gli italici attribuirono a Ercole la soppressione dei sacrifici umani (peraltro già desueta in età protostorica, secondo gli archeologi) e ne esaltarono più le virtù di protettore dei pastori, dei viandanti, dei commerci e dei giuramenti, che non le imprese di forza.

Ercole arrivò in Italia dalla Spagna, ritornando dalla decima fatica (quella dei buoi di Gerione), venne da occidente quindi, adombrando in questo quasi una origine fenicia o punica piuttosto che greca. Sull’Aventino ebbe luogo l’epica lotta di Ercole con il gigante Caco. Secondo Strabone, Ercole in Campania si scontrò con i giganti Leuterni e diede origine al lago Averno chiudendo un preesistente golfo marino. Nell’area il nome di Ercole è presente nella città di Ercolano e nella Via Heracleia, che costeggia il mare.

Ercole italico è molto associato alle acque. Una leggenda afferma infatti che le ninfe avessero fatto zampillare delle sorgenti per dissetarlo e a Siracusa gli fu dedicata una fonte.

In Sicilia la città di Erice era reputata sua terra di origine.

ERACLE NELLA LETTERATURA COLTA



Eschilo, Sofocle ed Euripide hanno scritto tragedie su Eracle. Quelle di Eschilo sono andate perdute ma, da riferimenti di altri autori sappiamo che nella terza tragedia della trilogia di Prometeo (Prometeo Liberato) é l’eroe che scioglie le catene che imprigionano il titano, il quale gli profetizza i viaggi in occidente e le dodici fatiche. Nel ciclo degli Eraclidi, pervenutoci a minuscoli frammenti, sembrano esserci riferimenti alla morte e alla glorificazione dell’eroe.

Nel Filottete di Sofocle Eracle appare come deus ex machina, che dirime la contesa fra Filottete e i capi achei. Nelle Trachinie, invece, Eracle è raffigurato nelle sue più brutali e primitive caratteristiche, violento e rissoso, schiavo delle passioni e dell’ira, che distrugge una città solo per poter possedere la figlia del re.

Anche Euripide tratteggia un Eracle poco eroico, anzi piuttosto buffonesco, ingordo nel mangiare e nel bere, che però, al momento opportuno si trasforma in benefattore del suo ospite. Il lieto fine rende quest’opera molto atipica nella produzione Euripidea.

Nell’Eracle, sempre di Euripide, ritorna la concezione tragica: la precarietà dell’uomo di fronte al divino. Di ritorno dalle sue fatiche Eracle libera la moglie e i figli dalle insidie del tiranno Lico, ma Era lo fa impazzire e l’eroe stermina la famiglia.

Aristofane, negli Uccelli e nelle Rane sottolinea l’aspetto grottesco di Ercole, forzuto, ma di scarso raziocinio.

Plauto racconta il concepimento di Ercole come una commedia degli equivoci: mentre Zeus seduce Alcmena, Hermes tiene lontani curiosi, disturbatori e lo stesso marito della donna, il re Anfitrione, assumendo le sembianze del servo Sosia.

Seneca, invece, ritorna alla dimensione tragica dell’eroe: nell’Ercole Furente racconta la pazzia che lo portò a sterminare la famiglia e nell’Ercole Efeo la folle gelosia della seconda moglie Deianira, che lo portò a morte.

II SECOLO D.C. — L’ERCOLE CRISTIANO

Giustino, filosofo greco di fede cristiana, guardò ad Ercole come ad un anticipatore di Cristo. In lui vedeva l’immagine di un uomo che attraverso le pene e la sopportazione giungeva sino al cielo. Eracle compare come soggetto in numerose pitture paleocristiane.

Anche Teseo assurse a prefigurazione del Cristo Salvatore. Queste appropriazioni rientravano nella politica sincretistica praticata dalla primitiva Chiesa Cristiana e avevano, naturalmente, fini edificanti. Il culto di ercole cristiano si protrasse fino all’alto medioevo e secondo alcuni ve n’è ancora traccia nella Divina Commedia. Io non sono riuscito a trovarli.

Ma siccome, in questa sede, non intendiamo occuparci di mitologia e di religione, nella seconda puntata ci dedicheremo all’aspetto avventuroso della saga dell’Eroe Muscoloso.
(1 — Continua)

Autore: Giuseppe De Micheli - Data: 3 maggio 2010
 
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Nykyo
view post Posted on 3/5/2010, 21:37




Bello questo nuovo articolo. Il personaggio di Ercole è affascinante, ma più ancora lo è il concetto del mito che si radica in ogni cultura, anche nelle più disparate, magari modificandosi un po', ma restando sostanzialmente riconoscibile.
E' molto affascinante, anche nel campo delle fiabe, notare come tutte le culture del mondo, per quanto diverse, hanno una base comune di credenze e mitologia che tornano ovunque ci sia l'uomo.

Grazie per l'aggiornamento, tesoro :)
 
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Aliseia
view post Posted on 4/5/2010, 13:44




Davvero molto bella questa discussione, da leggere e rileggere.
Grazie, Ary! :)
 
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view post Posted on 10/5/2010, 17:35
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Seconda parte del Mito di Ercole!

E' lunghissima, metto solo la prima pagina e lascio il link per proseguire l'articolo!

Grazie a FantasyMagazine.


Melqart, Eracle, Hercules: Eroi Liquidi 2/2

La seconda parte della cronologia del mito di Ercole. La vita e le imprese della leggenda

Eracle II PARTE — VITA E IMPRESE DI ERACLE

Il web abbonda di siti dedicati a Eracle/Ercole. La voce di Wikipedia in proposito è ottima e abbondante. Non riuscirò quindi a dire nulla di più di quanto potreste trovare sul web. Spero di farvi cosa gradita riunendo in un solo articolo tutto quanto.



La nascita di Ercole:

Secondo tutte le tradizioni il buon Zeus aveva l’abitudine di sedurre le belle donne mortali. Una di queste fu Alcmena, moglie di Anfitrione. Approfittando dell’assenza del marito, per guerra, Zeus le fece visita e, mediante uno dei suoi poteri, fece sì che la notte durasse ben tre volte di più del solito. Non si dice quanto viagra ingoiasse il tonitruante Zeus per reggere una notte di 72 ore!
Così fu concepito Eracle.

Al mattino Anfitrione, rientrato dalla guerra, si unì a sua volta con Alcmena concependo Ificlo. Nacquero quindi due gemelli figli della stessa madre ma di padri diversi.
La gelosia di Era:

Secondo alcuni i due gemelli nacquero a Tebe, secondo altri ad Argo. In ogni caso Eracle avrebbe dovuto regnare su Tirinto, ma Era, la regina dell’Olimpo, moglie di Zeus, accecata dalla gelosia, ritardò la gestazione di Alcmena e accelerò quella della cugina Nicippe, la quale riuscì a partorire un ora prima; generò Euristeo che ottenne così la primogenitura e quindi la corona regale. Fu il grande indovino Tiresia che svelò ad Alcmena e ad Anfitrione la vera paternità di Eracle. Comprendendo che il piccolo sarebbe stato perseguitato dai furori di Era, i genitori esposero il piccolo Eracle in un campo, fidando che Zeus l’avrebbe in qualche modo protetto e allevato. Infatti Zeus mandò Hermes a prenderlo con l’ordine di depositarlo sul seno di Era addormentata. L’affamato pargolo si attaccò alla tetta della dea, succhiando il latte divino che lo rese invincibile. Ma, affamato com’era, Eracle diede un morsetto di troppo al capezzolo, così che Era si svegliò bruscamente staccandosi il bimbo dal seno. Una goccia del divino latte cadde dall’Olimpo, si disperse nel cielo e formò la via lattea.
L'infanzia di Eracle:


Ercole bambino con serpente
— Marmo bianco, prima metà I sec. d.C.
— Pompei, Casa di D. Octavius Quartio
— Soprintendenza Archeologica di Pompei, inv. 2932


Non si sa come Zeus abbia sottratto il pargoletto alle ire della consorte, oltraggiata due volte. Si sa che Era, sempre più furiosa, mise due serpenti nella culla di Eracle il quale, come se niente fosse, li strozzò.
Anfitrione allevò Eracle come fosse figlio suo, gli insegnò personalmente a domare i cavalli e a guidare il cocchio, e ingaggiò i più rinomati maestri per la sua istruzione. Il centauro Chirone gli insegnò la medicina e la chirurgia, Eurito il tiro con l'arco, Castore lo addestrò all’uso della spada e delle armi, Autolico ne fece un grande pugile. Eracle eccelse in tutto tranne che nella musica. Un giorno, rimproverato dal suo maestro Lino, discendente da Apollo, per la malagrazia dei suoni che produceva con la lira, Eracle gli tirò la stessa lira sulla testa uccidendolo all’istante.


La vocazione:

La sua forza e i suoi scatti d’ira costituivano un pericolo tale che Anfitrione lo mandò a vivere fra i guardiani dei suoi greggi sul monte Citerone. Secondo il sofista Prodico, all’età di 18 anni Eracle incontrò sulla sua via due donne affascinanti, Voluptas e Virtus. Eracle seguì Virtus, che camminava su un sentiero sassoso, simile a quelli del suo monte Citerone, mentre Voluptas correva su un prato erboso, terreno sconosciuto all’eroe. Così fu condannato a seguire la Virtus, mettendo la sua vita al servizio degli altri.


pagina 1 di 7 - CONTINUA...
 
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view post Posted on 7/4/2012, 17:25
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Inserisco qui, questo bell'articolo sull'origine degli Angeli Caduti e dei Giganti, protagonisti di un corposo filone fantasy di questi ultimi anni!

L'articolo è di FantasyMagazine

Angeli caduti, figlie degli uomini e Giganti

Un viaggio indietro nel tempo, da una complessa storia familiare alle origini del male.

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Qumran in Cisgiordania, Medio Oriente.
In questa grotta sono stati trovati i Rotoli del Mar Morto.
Foto di Effi Schweizer


La storia, ormai, è nota: alcuni angeli si innamorano di donne umane e da questo amore nascono delle creature bestiali che avrebbero cercato di distruggere il genere umano e sarebbero state a loro volta distrutte, o con lotte fratricide o con il Diluvio, da Dio. L’opinione comune vuole che questa tradizione si trovi nell’Antico Testamento, ma, in realtà, la Bibbia non ha molto a che spartire con i cosiddetti angeli caduti.
Al contrario, anche se gli angeli sono presenti in vari episodi e in varie forme, della loro controparte malefica non si trovano molte tracce, se non in un accenno presente in Genesi, al versetto 6:2, in cui si accenna ad alcuni angeli che, attratti dalle “figlie degli uomini”, se ne innamorano e si sposano con loro, in un atto che a noi non sembra, tutto sommato, negativo; nessuna spiegazione viene offerta riguardo ai motivi che rendono malvagia questa azione angelica, che non era comunque avvertita come tale dai due gruppi di protagonisti, i figli di Dio e le figlie degli uomini e solo il successivo discorso di Yahweh, che condanna l’accaduto, permette di comprendere che si tratta di qualcosa che non avrebbe dovuto assolutamente accadere: possiamo supporre che questa unione fosse riprovevole perché nella tradizione ebraica antica il matrimonio doveva avvenire all’interno della tribù, o comunque secondo una linea patrilineare, mentre in questo caso l’unione è assolutamente eterogenea. Poco dopo, nel testo, sono anche citati in causa i Nefilim , i Giganti, di cui si dice che ai tempi di questa storia vagavano sulla terra: essi potrebbero, anche se il versetto non è esplicito, essere identificati con la progenie di angeli e donne umane; Nefilim, però, nella Bibbia, non sono solo questi esseri, ma anche i Giganti di Canaan, che sono presenti sulla terra ben dopo il Diluvio, che, in teoria, avrebbe dovuto eliminare ogni forma di vita dalla terra.

A parte questo, la Bibbia sembra dimenticare la storia degli angeli scesi sulla terra, quanto meno nei libri riconosciuti come autentici sia dai cristiani, nel loro complesso, sia dagli ebrei: in un libro, il Siracide, accettato come autentico dai cattolici e dagli ortodossi, ma non dagli ebrei e dai protestanti, si accenna, al versetto 16:7, a una punizione divina contro i giganti che si ribellarono, a causa della loro forza, a Dio.
Per scoprire, dunque, da dove nasce la leggenda, il mito, degli angeli caduti, si deve guardare altrove, a un gruppo di libri che non sono generalmente accettati come autenticamente ispirati (quindi, come vera parola di Dio) e che sono abitualmente indicati con il nome di apocrifi o di pseudoepigrafi. Questo non vuol dire che siano stati composti successivamente rispetto ai libri che sono inseriti nei vari canoni biblici: alcuni apocrifi, infatti, sono contemporanei ad altri libri ritenuti autentici, come dimostra l’apocrifo dell’Antico Testamento più rilevante per la tradizione degli angeli caduti, e probabilmente il più noto, cioè il Primo Libro di Enoch (noto anche come Enoch Etiopico), di cui alcuni capitoli, risalenti ad una datazione incerta tra il 500 a.C. e il 333 a.C., sono più antichi di altri libri confluiti nel canone ebraico e cristiano. E non bisogna dimenticare che proprio questo libro è considerato come ispirato dai più antichi Padri della Chiesa, come ad esempio Clemente Alessandrino, Ireneo, Tertulliano.

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Manoscritto che mostra parti del Libro di Enoch in greco.
Attualmente ospitato nella Libreria
Ann Arbor dell'Università del Michigan.


Il Libro di Enoch è la prima testimonianza della letteratura apocalittica: l’apocalittica non ha nulla a che vedere con la fine del mondo, ma è piuttosto un modo di scrivere in cui il presunto autore racconta delle visioni che ha avuto in sogno. L’apocalittica, però, è anche una corrente di pensiero che nasce negli anni di composizione delle più antiche parti del libro, secondo cui gli uomini non sono gli artefici del male nel mondo, ma si trovano a vivere in una terra malvagia a causa dell’errore di qualcuno che è vissuto prima di loro.
Proprio nel Primo Libro di Enoch possiamo trovare qualche informazione sulle origini del mito degli angeli caduti, con qualche debita attenzione: non tutto quello che vi si legge, infatti, risale alla stessa, antica, epoca di composizione, perché in realtà questo libro è il risultato di una complessa sovrapposizione di più mani, diverse tra loro per ideologia e per periodo. Sono cinque le parti che lo compongono: il più noto Libro dei Vigilanti, che comprende i primi 36 capitoli (tranne i primi cinque, che servono da introduzione); il Libro dell’Astronomia, il Libro dei Sogni, l’Epistola di Enoch (che non toccano in realtà quasi per nulla l’argomento) e, infine, il Libro delle Parabole, che anche se appare in seconda posizione, subito dopo il Libro dei Vigilanti, è in realtà una tarda aggiunta, risalente probabilmente all’età cristiana, che serviva per sostituire il più antico Libro dei Giganti, eliminato forse perché, come vedremo, conteneva dottrine non più accettabili.

pagina 1 di 5 - CONTINUA... cliccare QUI per continuare a leggere l'articolo


Autore: Chiara Crosignani - Data: 3 aprile 2012
 
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Nykyo
view post Posted on 7/4/2012, 22:46




Tutte le cose più interessanti le scovi tu *_*
 
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Arien73
view post Posted on 8/4/2012, 14:24




Grazie davvero per aver postato tutti questi interessantissimi articoli! Io non amo molto questa moda dei romanzi su angeli caduti, vampiri, sirene o che siano che si innamorano dei mortali, che vanno tanto di moda ora, ma leggerne invece le leggende originali è veramente affascinante. Grazie e aspetto i prossimi articoli con molta curiosità!
 
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view post Posted on 20/6/2012, 07:56
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Metto qui questo interessante articolo di FantasyMagazine, dove si parla di Nicholas Flamel, figura un po' storica, ma soprattutto legata al mito della Pietra Filosofale e di come l'ha utilizzata l'irlandese Michael Scott nella sua saga.

I segreti di Nicholas Flamel l’immortale

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Uno sguardo dietro le quinte della saga fantasy di Michael Scott, tra citazioni classiche, echi di fantascienza e magie elementali.

Il 22 maggio scorso la Random House ha pubblicato The Enchantress, sesto e ultimo capitolo della serie The Secrets of the Immortal Nicholas Flamel (I segreti di Nicholas Flamel l’immortale, Mondadori) dell’irlandese Michael Scott, affollato fantasy mitologico-contemporaneo incentrato sulla figura del misterioso libraio e alchimista del Medioevo.

Per Flamel non è la prima volta nel mondo della fantasy. In Harry Potter e la pietra filosofale era un amico di vecchia data di Albus Silente, nonché l’artefice del composto magico citato nel titolo: quella famosa pietra filosofale, cioè, capace di tramutare il metallo in oro e di donare eterna giovinezza al suo possessore, obiettivi ultimi dell’alchimia — il cui etimo, l’arabo al-kīmiyā; significa per l’appunto “pietra filosofale”.

La vita di Flamel, d’altronde, ben si presta a storie intrise di magia. Nato attorno al 1330 nella Francia dei Valois, Nicolas Flamel — la h nel nome è un’aggiunta di Scott — si guadagnava da vivere come venditore di manoscritti, redigendo lettere e copiando libri su commissione. Nel tempo libero, si dedicava agli studi alchemici. La sua casa al numero 51 di Rue de Montmorency, una delle più vecchie di Parigi, è ancora in piedi e oggi ospita un piccolo ristorante. La leggenda vuole che attraverso i suoi commerci librari, Flamel sia entrato in possesso di un antico testo noto come il Libro di Abramo l’Ebreo o, più semplicemente, Il Codice: un volumetto di sole ventun pagine, rilegato in ottone e stranamente colorato, scritto in una lingua incomprensibile. Per decifrarlo viaggiò fino in Spagna assieme alla moglie Perenelle, dove rimase per vent’anni: al suo ritorno era diventato ricchissimo. Subito cominciò a circolare la voce che i coniugi avessero scoperto il segreto della pietra filosofale, ma i due non spiegarono mai l’origine della loro improvvisa ricchezza. Continuarono anzi a condurre una vita semplice, spendendo gran parte del denaro per finanziare ospedali e orfanotrofi. Perenelle morì per prima, tra il 1402 e il 1412; Nicholas si spense il 22 marzo 1418 e fu sepolto nella chiesa di Saint-Jacques-de-la-Boucherie — la lapide è conservata al Musée de Cluny, a Parigi. Qualche tempo dopo la morte dei coniugi, alcuni ladri entrarono nella casa dei Flamel per impadronirsi del loro tesoro ma, non trovando nulla, decisero di depredarne le tombe, scoprendo vuote anche quelle.

La saga di Scott prende avvio dal punto in cui si ferma la leggenda. Nicholas e Perenelle, ormai quasi sette volte centenari, vivono a San Francisco, dove gestiscono una piccola libreria sotto gli pseudonimi di Nick e Perry Fleming. Appeso al collo, Nicholas porta sempre con sé il libro di Abramo, tra le cui pagine non ha solo scoperto come non invecchiare e trasformare la materia, ma vi ha anche letto una versione diversa della storia della Terra e dell’uomo.

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Nicolas Flamel

“Il Libro di Abramo traboccava di storie, leggende, miti e racconti — o meglio, di ciò che all’inizio aveva ritenuto tali. Nel corso dei secoli, la sua ricerca aveva rivelato che tutte quelle storie erano vere … L’Antica Razza esisteva. Erano creature dall’aspetto umano, talvolta, ma con poteri divini. Avevano governato per diecimila anni prima che, coloro che essi chiamavano gli homines — il genere umano —, comparissero sulla Terra. Gli uomini primitivi veneravano gli Antichi Signori come demoni e divinità, e nel corso delle generazioni avevano costruito intere mitologie e sistemi di credenze fondati sul culto di uno o più di essi. Gli dei e le dee dell’Antica Grecia, degli Egizi, dei Sumeri, delle civiltà della Valle dell’Indo, dei Toltechi e dei Celti esistevano veramente … L’Antica Razza si divideva in due gruppi: coloro che operavano con gli homines e coloro che li consideravano alla stregua di schiavi e, talvolta, di cibo. Gli Antichi Signori erano in lotta fra loro, e combattevano battaglie lunghe anche secoli interi. Di quando in quando, degli homines si schieravano al fianco dell’uno o dell’altro, e le loro imprese erano ricordate in grandi leggende come quelle di Gilgamesh e Cuchulain, Atlante e Ippolito, Beowulf ed Elia di Murom. Infine, quando fu chiaro che tali guerre rischiavano di distruggere il pianeta, il misterioso Abramo impiegò una potentissima raccolta di incantesimi per costringere tutti gli Antichi Signori — anche quelli che sostenevano l’umanità — a ritirarsi dalla Terra … Alla fine, Flamel aveva compreso che il Codice non conteneva solo gli incantesimi che avevano costretto l’Antica Razza a fuggire nei Regni d’Ombra, ma anche quelli che avrebbero consentito il loro ritorno.” [1]

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Autore: Stefano Ferrari - Data: 18 giugno 2012
 
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