Ed ecco un altro viaggio nel mito... l'articolo ve lo metto in chiaro
FantasyMagazine ci parla del mito di Ercole..
Melqart, Eracle, Hercules: Eroi Liquidi. 1/2Prosegue la galoppata nella narrativa fantastica attraverso secoli e popoli con il mito senza tempo di Ercole.
I PARTE — ERACLE: EROE SOVRANAZIONALEEracleDopo Gilgamesh, eroe pensoso e problematico, l’area mediterraneo-medioorientale idealizzò l’eroe forzuto e violento, capace di risolvere ogni situazione con la forza dei muscoli e delle armi. Molto probabilmente questo eroe inizialmente era solo un personaggio delle narrazioni orali, ma poi fu divinizzato ed entrò nei vari panteon religiosi dell’epoca.Ha scritto Erodoto: « … la mia opinione è che quegli Elleni agiscono in modo saggio erigendo e mantenendo due templi di Heracle; in uno Heracle viene venerato con il suo nome Olimpico e riceve sacrifici come dovuti a un immortale, mentre nell'altro gli si rendono onori dovuti ad un eroe. »Olimpico non sta per Olimpionico (vincitore di allori olimpici), ma per abitatore del monte Olimpo, cioè un dio.
All’epoca non c’erano diritti d’autore, copyright, SIAE eccetera, così i personaggi e le vicende potevano liberamente circolare, mischiarsi, essere copiate, disperdersi in mille rivoli, consolidarsi in saghe articolate, ribollendo come magma fino a cristallizzarsi infine in un archetipo, quello che i greci chiamarono Eracle e i latini Hercules, quello che per i fenici era Melqart e per gli ebrei Sansone; anche l’Egitto ebbe il suo Ercole Egizio con tanto di templi e culto.
Di Ercole ve ne furono molti: Varrone dice quarantatré, Cicerone sei, Diodoro Siculo più di uno. Tratti comuni di questi personaggi: grandi appetiti carnali, problematici rapporti con il femminile, dipendenza dalla volontà di altri, uso indiscriminato della forza per risolvere le crisi. Fondamentalmente erano esseri liquidi, incapaci di assumere una forma propria, ma solo quella del contenitore in cui si trovavano. E’ abbastanza sintomatico che Ercole sia l’eroe delle città-stato, che sia venerato nelle comunità politiche fortemente autonome, con rapporti federativi e di alleanza piuttosto instabili, fondamentalmente liquide, o, al massimo, assimilabili ai cristalli liquidi, quali appunto Greci, Fenici, Italici. L’immaginario collettivo attribuì a questo tipo di eroe doti di generosità, altruismo, disinteresse.
X SECOLO A.C. — FENICIA (TIRO) — MELQARTE' una divinità maschile di Tiro, protettrice dei naviganti. Il nome significa "re della città". A lui è attribuita l’invenzione della porpora. Protegge i viaggi, i commerci, i giuramenti e le relazioni interpersonali.
Melqart, steleCaratteristiche dei templi dedicati a Melqart è la presenza di due colonne, assimilate alle colonne d’Ercole, nonché l’albero di olivo, il fuoco, l’aquila e il serpente. A Melqart è dedicata la festa fenicia del ‘risveglio’ dalla morte, simboleggiante probabilmente la rinascita primaverile della natura. Al tramonto del primo giorno si ha la morte del dio mediante il fuoco, il secondo giorno si celebrano i rituali delle esequie funebri. La mattina del terzo giorno si ha il ‘risveglio’ del dio. Singolarmente simile alla morte e resurrezione di Cristo, anche per il periodo in cui essa si svolge (il primo plenilunio di primavera). Il suo culto penetrò in ambiente ebraico quando la fenicia Gezabele sposò il re Acab, ebbe un tempio a Samaria, e provocò la reazione jahwistica capeggiata dal profeta Elia.
L’identificazione di Melqart con Ercole a noi moderni non sembra molto pronunciata, ma tutti gli antichi la affermano, quindi noi la prendiamo per buona.
Le similitudini di Melqart con Eracle sono: il serpente, la pelle di leone che indossa, le colonne, la morte per fuoco, la discesa agli inferi e il suo ritorno da essi.
IX SECOLO A.C. — L’ERACLE GRECOLe vicende di questo eroe non sono raccontate in una sola opera, ma le troviamo diffuse in molti testi. Ne parla Omero nell’Iliade e nell’Odissea. Numerosi riferimenti a Eracle sono presenti nella Teogonia di Esiodo e un poema pseudoesiodeo, lo Scutum, racconta la lotta di Eracle con il brigante Cicno. Per questi autori Eracle è praticamente un oplita, appare abbigliato come un guerriero miceneo.
E’ con Stesicoro (V a.C) che l’iconografia eraclea assume i suoi connotati finali: clava e pelle di leone.
La Maggior parte delle imprese di Eracle le conosciamo tramite Pausania e Apollodoro.
Il suo culto come dio è accertato solo dal V secolo.
V SECOLO A.C. — LE COLONNE D’ERCOLEMonumento alle colonne d'ErcoleLe colonne d’Ercole sono sconosciute a Omero e Ad Esiodo. Le troviamo nominate per la prima volta da Ecateo di Mileto all’inizio del V secolo a.C., per localizzare i Masieni, abitanti della Spagna Occidentale e, subito dopo, sono cantate da Pindaro come limite invalicabile, fissato da un dio.
Gli antichi sono concordi nel collocarle allo stretto di Gibilterra, ma recentemente Sergio Frau ha speso argomenti ed energie per collocarle nel canale di Sicilia. I suoi ragionamenti sono essenzialmente di natura geo-politica. Tra la fine del VI e l’inizio del V secolo a.C. Cartagine si era affermata come potenza egemone nel Mediterraneo occidentale, inibendo a tutti (perfino ai propri alleati etruschi) la navigazione a ovest dell'attuale Capo Bon. Le merci dovevano essere scaricate a Cartagine i cui navigli si incaricavano poi di smerciarle nei mercati occidentali, dai quali riportavano metalli pregiati, soprattutto lo stagno, indispensabile per fare il bronzo. I profitti di questa ‘esclusiva’ erano giganteschi.
Nel 540 a.C. i Cartaginesi, assieme agli Etruschi, avevano distrutto la flotta di Marsiglia (colonia dei greci di Focea) nella battaglia di Alalia. Nel 500 a.C. avevano distrutto la città di Tartesso (Spagna sud-occidentale, oltre Gibilterra), punto d’appoggio dei Focei, dal quale portavano lo stagno alla madrepatria, e alla fine estromesso completamente i greci dal Mediterraneo occidentale togliendo loro il porto di Mainake.
Secondo Frau i Greci, per giustificare il divieto di navigazione imposto dai cartaginesi, si inventarono che Ercole avesse innalzato le Colonne come trofeo per una sua vittoria sui barbari, quindi queste colonne rappresentavano il confine tra il mondo civilizzato (greco) e i barbari d’occidente, confine da non superare.
Due colonne di bronzo vennero trovate nel tempio di Ercole-Melqart a Cadice (oltre lo stretto di Gibilterra) e questo fu interpretato dai romani come limite dell’ecumene, nonostante loro stessi praticassero la navigazione oltre Gibilterra. L’immaginario letterario perpetuerà l’interpretazione delle Colonne come limiti del mondo, ed effettivamente è molto più poetico collocarle all’inizio dell’Oceano, supposto infinito, che non in mezzo al Mediterraneo (fra l’altro aggirabili passando da Scilla e Cariddi).
Con buona pace del Frau io propendo per l’interpretazione classica della collocazione a Gibilterra delle Colonne, perché solo là hanno senso i versi di Dante: “venimmo a quella foce stretta/dov’Ercole segnò li suoi riguardi/acciò che l’uom più oltre non si metta.”
Un posizionamento recentissimo delle colonne d'Ercole lo ha effettuato Marco Bulloni nel suo recentissimo Ho scoperto la vera Atlantide (Armenia — 2010), dove afferma che Atlantide è l'isola Grande Solovetsky (o Grande Solovski), sì, proprio quella dell'Arcipelago Gulag di Solgenitsyn!
Petroglifo nella penisola di Kola (www.kolatravel.com/kthi07.htm)L'arcipelago delle Solovetski si trova nel Mar Bianco, quasi al Circolo Polare Artico. Il Bulloni afferma di avervi trovato strutture che coincidono perfettamente con quelle descritte da Platone (nel Timeo e nel Crizia) e identifica le colonne d'Ercole negli unici due monti della penisola di Kola, il Khibini e il Lovozero Tundra. Su una parete di quest'ultimo c'è un gigantesco glifo rappresentante un uomo con le mani alzate che sembra sorreggere una volta. Una immagine del glifo la si può vedere a sinistra.
Non è questo il luogo per commentare le teorie di Bulloni, per cui mi limito ad una semplice informativa. Chissà mai che, in futuro, un articolo di questa serie non possa essere dedicata al mito (moderno) di Atlantide e alle sue ipotizzate collocazioni.
VIII SECOLO A.C. — L’HERCULES ITALICOSecondo Tito Livio il culto di Ercole, totalmente divinizzato, era già radicato alla fondazione di Roma. Gli archeologi ne trovano tracce in Etruria e nel Sannio. L’Ercole etrusco si chiamava Hercle, esattamente l’anello mancante fra Heracle (sottraendo la ‘a’) e Hercule (aggiungendo la ‘u’) E’ controverso se, nell’Italia settentrionale il culto di Ercole sia arrivato al seguito della dominazione romana, o preesistesse. Plinio il Giovane attribuisce ai veneti Euganei una discendenza Eraclide; statuette del IV-V secolo furono ritrovate a Belluno, Trieste e Adria, ma potrebbero essere di origine etrusca. Tradizioni locali attribuiscono are preromane a Ercole, e a lui consacrano le sorgenti del Po, ma a me non sembrano sufficienti a dimostrare una grande diffusione preromana del culto dell’eroe. Del quale non si trova traccia nel mondo celtico, se non in qualche semidivinità minore del loro sterminato pantheon. Anche Cesare, nel De Bello Gallico, quando identifica le divinità celtiche maggiori con quelle romane menziona Mercurio, Apollo, Marte, Minerva e Giove, ma non Ercole.
Nel mondo italico sembra affiorare il substrato fenicio di Melqart. L’Ercole italico appare profondamente diverso dall’originale eroe greco, più dio che eroe, più propenso ad aiutare i deboli che ad abbandonarsi all’ira, ai piaceri e alla follia. Gli italici attribuirono a Ercole la soppressione dei sacrifici umani (peraltro già desueta in età protostorica, secondo gli archeologi) e ne esaltarono più le virtù di protettore dei pastori, dei viandanti, dei commerci e dei giuramenti, che non le imprese di forza.
Ercole arrivò in Italia dalla Spagna, ritornando dalla decima fatica (quella dei buoi di Gerione), venne da occidente quindi, adombrando in questo quasi una origine fenicia o punica piuttosto che greca. Sull’Aventino ebbe luogo l’epica lotta di Ercole con il gigante Caco. Secondo Strabone, Ercole in Campania si scontrò con i giganti Leuterni e diede origine al lago Averno chiudendo un preesistente golfo marino. Nell’area il nome di Ercole è presente nella città di Ercolano e nella Via Heracleia, che costeggia il mare.
Ercole italico è molto associato alle acque. Una leggenda afferma infatti che le ninfe avessero fatto zampillare delle sorgenti per dissetarlo e a Siracusa gli fu dedicata una fonte.
In Sicilia la città di Erice era reputata sua terra di origine.
ERACLE NELLA LETTERATURA COLTAEschilo, Sofocle ed Euripide hanno scritto tragedie su Eracle. Quelle di Eschilo sono andate perdute ma, da riferimenti di altri autori sappiamo che nella terza tragedia della trilogia di Prometeo (Prometeo Liberato) é l’eroe che scioglie le catene che imprigionano il titano, il quale gli profetizza i viaggi in occidente e le dodici fatiche. Nel ciclo degli Eraclidi, pervenutoci a minuscoli frammenti, sembrano esserci riferimenti alla morte e alla glorificazione dell’eroe.
Nel Filottete di Sofocle Eracle appare come deus ex machina, che dirime la contesa fra Filottete e i capi achei. Nelle Trachinie, invece, Eracle è raffigurato nelle sue più brutali e primitive caratteristiche, violento e rissoso, schiavo delle passioni e dell’ira, che distrugge una città solo per poter possedere la figlia del re.
Anche Euripide tratteggia un Eracle poco eroico, anzi piuttosto buffonesco, ingordo nel mangiare e nel bere, che però, al momento opportuno si trasforma in benefattore del suo ospite. Il lieto fine rende quest’opera molto atipica nella produzione Euripidea.
Nell’Eracle, sempre di Euripide, ritorna la concezione tragica: la precarietà dell’uomo di fronte al divino. Di ritorno dalle sue fatiche Eracle libera la moglie e i figli dalle insidie del tiranno Lico, ma Era lo fa impazzire e l’eroe stermina la famiglia.
Aristofane, negli Uccelli e nelle Rane sottolinea l’aspetto grottesco di Ercole, forzuto, ma di scarso raziocinio.
Plauto racconta il concepimento di Ercole come una commedia degli equivoci: mentre Zeus seduce Alcmena, Hermes tiene lontani curiosi, disturbatori e lo stesso marito della donna, il re Anfitrione, assumendo le sembianze del servo Sosia.
Seneca, invece, ritorna alla dimensione tragica dell’eroe: nell’Ercole Furente racconta la pazzia che lo portò a sterminare la famiglia e nell’Ercole Efeo la folle gelosia della seconda moglie Deianira, che lo portò a morte.
II SECOLO D.C. — L’ERCOLE CRISTIANOGiustino, filosofo greco di fede cristiana, guardò ad Ercole come ad un anticipatore di Cristo. In lui vedeva l’immagine di un uomo che attraverso le pene e la sopportazione giungeva sino al cielo. Eracle compare come soggetto in numerose pitture paleocristiane.
Anche Teseo assurse a prefigurazione del Cristo Salvatore. Queste appropriazioni rientravano nella politica sincretistica praticata dalla primitiva Chiesa Cristiana e avevano, naturalmente, fini edificanti. Il culto di ercole cristiano si protrasse fino all’alto medioevo e secondo alcuni ve n’è ancora traccia nella Divina Commedia. Io non sono riuscito a trovarli.
Ma siccome, in questa sede, non intendiamo occuparci di mitologia e di religione, nella seconda puntata ci dedicheremo all’aspetto avventuroso della saga dell’Eroe Muscoloso.
(1 — Continua)
Autore: Giuseppe De Micheli - Data: 3 maggio 2010