Ed eccovi un'altra storia di castelli e fantasmi!
Il fantasma non si aggira nel castello, ma nella piazza antistante, dove secoli fa fu giustiziato!
Una delle storie tragicamente più famose della mia Roma e che mi colpisce sempre, ogni volta che ne parlo o la racconto a qualche amico di fuori!
Questa è la storia di Beatrice Cenci...
Lo spettro di Beatrice CenciLa città di Roma, pare essere una vera e propria fucina di "strane apparizioni".
Gli innumerevoli eventi storici che la videro protagonista hanno dato vita a "presenze" che non disdegnano il mostrarsi anche ai giorni nostri.
Tra queste figure eteree merita tutta la nostra attenzione Beatrice Cenci.
“Scocca la mezzanotte. Un’eterea figura femminile passeggia lungo Ponte Sant’Angelo. Si affaccia sul fiume Tevere, poi torna a camminare silenziosamente. Fra le candide mani tiene la sua testa, recisa dal corpo molti secoli or sono.”Questo è ciò che narrano di aver veduto centinaia di cittadini romani.
Castel Sant’Angelo, senz’altro uno dei più misteriosi luoghi di Roma, è stato teatro nel corso dei secoli di indicibili orrori e sofferenze atroci.
Esso è circondato da un alone di apparizioni e presenze, e da numerosissime leggende. La più famosa di tutte resta quella di Beatrice Cenci, la giovane donna condannata a morte con l’accusa di parricidio.
Beatrice aveva appena sedici anni quando venne condannata a morte da Papa
Clemente VIII e la sua famiglia sterminata, in un lontano 11 settembre 1577, sulla piazza di Ponte Sant’Angelo.
Figlia di Francesco Cenci, visse un’esistenza perseguitata dalle attenzioni sessuali e dalle percosse del genitore despota.
Così la stessa Beatrice, risponde all’interrogatorio del giudice:
“[...] Quando io mi rifiutavo, lui mi riempiva di colpi. Mi diceva che quando un padre conosce... carnalmente la propria figlia, i bambini che nascono sono dei santi, e che tutti i santi più grandi sono nati in questo modo, cioè che il loro nonno è stato loro padre”.
[...] A volte mi conduceva nel letto di mia madre, perché lei vedesse alla luce della lampada quello che mi faceva”.Tutti erano a conoscenza degli spregevoli gusti sessuali di Francesco Cenci.
Godeva di cospicue somme di denaro, e con esse aveva corrotto i suoi giudici in occasione dei tre processi subiti (fra cui uno per sodomia) a causa dei suoi “amori” infami, scampando così alle sanzioni contemplate dalle leggi dell’epoca. Neanche l’intervento dei tre figli maschi impedì la scarcerazione dell’uomo, che al suo ritorno s’accanì contro la sola figlia rimasta sotto il suo tetto, segregandola in un appartamento della fortezza di Petrella, percotendola e violentandola sotto gli occhi della madre, Lucrezia Petroni Cenci.
Beatrice aveva inviato una lettera al Papa, in cui raccontava dettagliatamente le sevizie del genitore. Questo documento, unica prova della sua legittima difesa, sparì misteriosamente senza mai giungere nelle mani del destinatario.
Persa ogni speranza, decise così, forte della complicità della matrigna, del fratello maggiore Giacomo, e di Monsignor Guerra, di assassinare il padre.
Dalle parole della ragazza si intuisce l’orrore che visse e che la portò a compiere il disperato gesto:
“[...] Quando ero bambina, ogni notte facevo lo stesso sogno. Sono nuda in una stanza immensa e una bestia respira, respira, non smette di respirare. Mi accorgo che il mio corpo splende. Vorrei fuggire, ma devo nascondere il mio corpo nudo. Si apre allora una porta. E all’improvviso, scopro di non essere sola. No! Insieme con la bestia che mi respira a fianco, sembra che altre cose respirino; e d’un tratto vedo brulicare ai miei piedi un ammasso di cose immonde. E anch’esse sono affamate. Comincio a correre senza fermarmi per cercare di ritrovare la luce. La bestia, che incalza, mi insegue di grotta in grotta, me la sento addosso, ha fame, tanta fame...”Pagarono un’ingente somma a due vassalli di Francesco: Olimpio Calvetti e Marzio Catalano, e progettarono un piano per cui l’assassinio avrebbe dovuto passare per un incidente fatale.
Tutto sembrò andare secondo i piani finché due accadimenti particolari non insospettirono Papa Clemente VIII.
Beatrice, interrogata dal giudice, descrive dettagliatamente l’assassinio:
“Io e mia madre demmo a mio padre dell’oppio, per addormentarlo. Poi arrivarono due uomini[...] Li conducemmo nella stanza di mio padre che dormiva e li lasciammo. Ma loro poco dopo uscirono, non avevano il coraggio, erano presi da pietà... dissero che era una azione bassa e ignobile. Così dissi loro: "[...] lo farò io stessa!" Allora rientrarono nella stanza e questa volta io e mia madre li seguimmo. Uno di loro aveva un grosso chiodo che pose in verticale sull’occhio di mio padre; l’altro con un martello gli fece entrare il chiodo nella testa. Poi, nello stesso modo, gli piantarono un altro chiodo nella gola. Il corpo di mio padre tremava tutto. Quanto sangue usciva... Strano che un corpo mostruoso possa tenere tutto quel sangue...
[...] io e mia madre tirammo fuori il chiodo dalla testa e il chiodo dalla gola, avvolgemmo il corpo in un lenzuolo e lo gettammo in un giardino. [...] Io non rimpiango nulla. Ho fatto ciò che dovevo fare”.Il primo episodio era legato proprio a quel lenzuolo pregno di sangue, consegnato alla lavandaia da Beatrice stessa che giustificò le macchie con una forte emorragia avuta durante la notte.
Il giudice principale, non convinto della versione dei fatti, s’insospettì e ben presto la storia del lenzuolo saltò fuori proprio dalla bocca della lavandaia ch’era rimasta poco convinta della spiegazione fornita dalla giovane.
Nonostante il pericolo in agguato, però, nessuno dei coinvolti nel delitto si mise in salvo fuggendo, anche se Monsignor Guerra inviò due sicari a togliere di mezzo Marzio ed Olimpio. Marzio scampò e quando fu arrestato confessò ogni cosa. Immediatamente venne emanato l’ordine di arresto.
Quando Marzio venne messo a confronto con Beatrice, negò tutto quello che aveva confessato in precedenza, e neanche le torture che l’uccisero servirono per farlo parlare.
Bernardo, Giacomo (i fratelli della ragazza), Lucrezia e Beatrice furono condotti nelle prigioni di Castel Sant’Angelo dove vissero un certo periodo di calma mentre l’investigazione continuava senza più ne’ prove ne’ indizi che potessero comprovare la colpevolezza della famiglia Cenci.
Con l’arresto e la confessione del sicario di Olimpio, però, il caso venne riaperto. Giacomo, Bernardo e Lucrezia furono torturati, ed incapaci di resistere, confessarono il delitto.
Solo Beatrice, nonostante le indicibili sevizie cui era sottoposta, manteneva il silenzio. Allora il giudice Moscati, dopo averle inferto la tortura della corda (consisteva nell’appendere il sospettato dalle braccia, legate dietro la schiena, fino allo slogamento di esse) senza ottener risultato alcuno, fece rapporto a Papa Clemente VIII che affidò il caso ad un giudice più severo.
Esso le propinò la cosiddetta “torturam capillorum” e mentre ella era appesa per i capelli, il giudice fece entrare nella stanza la madre ed il fratello maggiore che la convinsero a parlare.
Quando il giorno dopo il Papa sentenziò la pena di morte, tutta Roma si schierò dalla parte di Beatrice ottenendo una proroga della pena di 25 giorni, data per organizzare una difesa.
Nonostante i migliori avvocati di Roma si assunsero il compito di difendere la famiglia Cenci, il Papa non volle sentire nessuna ragione, e alle 4 del mattino di venerdì 10 settembre 1599 decretò la morte per tutti i membri della famiglia, scampando solo Bernardo, ma condannandolo ad assistere al massacro.
Questo l’ultimo brano di conversazione fra Beatrice ed il giudice che la condannò a morte:
“GIUDICE: Hai commesso un delitto orribile.
BEATRICE: Ho scelto la giustizia da me stessa.
GIUDICE: Che Dio abbia pietà di te. Domani verrai condotta a morte.
BEATRICE: Urla interminabili mi inseguiranno. Non voglio morire... Chi mi potrà garantire che laggiù non ritroverò mio padre!” Il giorno dopo tutto era pronto per l’esecuzione.
Giacomo veniva “tenagliato” (una tortura che consiste nello strappare con un ferro arroventato dei brani di carne da petto e schiena) prima della morte, mentre le due donne facevano testamento e indicavano il luogo per la loro sepoltura: Lucrezia nella Chiesa di San Giorgio (secondo altre fonti San Gregorio), mentre Beatrice nella Chiesa di San Pietro in Montorio (ove le sue spoglie giacciono, nella quarta cappella a destra, in una tomba priva di iscrizioni).
Sulla piazza di Ponte Sant’Angelo era stato eretto un grande palco con un ceppo ed una mannaia per giustiziare le due donne condannate alla decapitazione, mentre Giacomo, dopo aver subito la “tenaglia”, fu ucciso “mazzolato” con un grosso maglio che gli sfondò il cranio, e squartato di gambe e braccia che vennero appese ai quattro lati del palco.
Alcune fonti raccontano che il piccolo Bernardo, nonostante la grazia, venne castrato e legato ad una sedia posta direttamente davanti al patibolo, ad assistere alle esecuzioni dei congiunti.
L’esecuzione di Lucrezia fu veloce: la donna venne fatta sedere cavalcioni al ceppo, chinata in avanti con la nuca scoperta, e decollata.
Ma quando fu la volta di Beatrice, un palco costituito poco distante, sulla stessa piazza, crollò uccidendo molte persone. Questo rallentò l’esecuzione.
La giovane si sistemò sul patibolo di sua volontà: non voleva essere toccata dal boia.
Si narra che lo stesso esecutore trovò molta difficoltà a tranciarle la testa, sia a causa dei lunghissimi capelli della giovane, sia perché i seni turgidi non le permettevano di poggiare la testa come avrebbe dovuto. L’ascia vacillò mentre il Papa, rinchiusosi in preghiera a Monte Cavallo, raccomandava la salvezza dell’anima di Beatrice. Quell’istante di incertezza fu terribilmente infinito. Poi calò, e tutto finì. Il boia raccolse il capo mozzo e lo mostrò al pubblico attonito.
Beatrice, nella sua confessione, disse una frase che alla luce degli avvenimenti susseguitisi nei secoli, sa quasi di preveggenza:
“ Nessun giudice potrà restituirmi l’anima. La mia unica colpa è di essere nata! [...] Io sono come morta e la mia anima [...] non riesce a liberarsi.”E difatti la sua anima non si liberò mai, e ancora vaga disperatamente laddove il suo corpo terreno trovò una tragica morte.
In data 11 Settembre c'é chi é pronto a giurare che Beatrice si presenti puntuale in piazza di Ponte Sant'Angelo: tra le mani, la testa mozzata.
C'é chi giura di averla riconosciuta anche nella chiesa di S.Clemente presso l'antica tenuta di campagna della famiglia Cenci:
"Passammo accanto ad un vecchissimo castello dove, già in passato, giravano storie agghiaccianti, ambientate proprio al suo interno. Infatti, il noto Fantasma di Beatrice Cenci, giovane donna, accusata dell'omicidio del padre, venne uccisa, tagliandole la testa.
Da quel giorno vaga all'interno del castello, o come altri dicono, all'interno della chiesa. Onestamente non ci avevo mai creduto, ma dovetti ricredermi. Scorgemmo, da una finestra, il suo volto pallido osservarci. All'inizio pensammo, nonostante gli abiti, che fosse una donna entrata nell'edificio, e immaginate il nostro stupore quando ci siamo accorte che le si vedeva attraverso. Dopo, circa un mese, abbiamo visto un ritratto di Beatrice Cenci, e ci accorgemmo che era la stessa donna scorta un mese prima dalla finestra".Questa è la targa che si trova in via Monserrato:
Per approfondire, se ne avete voglia, vi consiglio:
"I Cenci" (A cura di A.Artaud)