Prendo spunto dal libro di Simone Berni “Manuale del cacciatore di libri introvabili”.
Cacciatore…
Le parole sono importanti.
Il lettore, anche appassionato, anche accanito, non è sempre un collezionista.
E il collezionista non è sempre un cacciatore.
Non è raro però trovare individui che queste caratteristiche le comprendano tutte. In vario grado e non sempre nella versione più “pura” (si intende definita in modo netto, senza sfumature e zone d’ombra).
Io per esempio sono una lettrice pigra, distratta, lunga nei tempi fino ad autodefinirsi “ruminante”. Eppure amo i libri. Li amo da quand’ero bambina, da prima di saper leggere. Ricordo un vecchio capriccio, per cui ogni sera, per parecchie sere, piansi e strepitai, urlando: “Voglio una favola!” Dove per favola non intendevo un racconto, ma proprio un libro di favole, con figure e copertina dura! Caspita, quelli sì che erano libri!
Scoprii poi che i libri non erano solo oggetti colorati e incantevoli, ma piccoli mondi di parole, oggetti magici, dove tutto poteva accadere, e che facevano accadere cose.
Per molti anni rimasi lettrice, appassionata ma incostante, e dimenticai il collezionismo.
Qui bisognerebbe aprire parentesi.
È possibile spiegare il collezionismo? Non vuol dire raccogliere cose. Non è solo metterle in ordine, dar loro un senso, strapparle all’insulto e alla devastante indifferenza del tempo.
Il collezionismo è una febbre. Questa io la conosco bene. Non dovete pensare al magnate solitario, ricchissimo, che nella propria irraggiungibile dimora raccoglie reperti introvabili e (quasi) senza prezzo. È una febbre che prende a volte per cose di scarsa o nulla importanza, tasselli di un disegno più grande. È la volontà quasi divina di dare un ordine al mondo, il bisogno di completare un progetto. Che però, questo è essenziale, appare tanto più bello e desiderabile solo finché è incompleto.
Trovare un oggetto è un caso.
Trovarne un altro ad esso legato a volte è solo una curiosità.
Ma cercare e trovare il terzo è già collezionismo.
È allora che ti prende la febbre.
Questo è, diciamo, lo stadio primitivo, la luna di miele.
Poi arriva la passione vera, che è fatta di pazienza, perseveranza, rigore.
Qui fallisco io, che sono capricciosa e incostante anche nei miei acquisti. Compulsiva. Vedo un oggetto che mi colpisce e devo averlo. Ipnotizzata lo prendo, la ragione annebbiata, la volontà prigioniera. Poi mi rilasso.
Ebbene, il vero collezionista prima di comprare ragiona, colloca i dati, ha in testa un disegno più ampio.
Ecco perché non potrei definirmi collezionista. Ed ecco perché amo il collezionismo, che mi permette di allenarmi allo sforzo di volontà, al rigore, come scrivevo sopra. Persino alla rinuncia, se occorre.
Il Berni mi collocherebbe tra gli onnivori. E in parte avrebbe ragione. Nella mia vita ho collezionato di tutto, dai foglietti delle chewing gum (ricordate? C’erano serie bellissime!) ai tappi di bottiglia fino alle bambole antiche.
E ai libri.
Preferisco di solito oggetti che possano insegnarmi qualcosa. Ma non è che tutti i libri che colleziono, poi li leggo.
Anzi.
Lo so, può sembrare una bestemmia.
Ho libri comprati per essere letti, e altri per essere collezionati. Li amo tutti, anche se in modo diverso.
Potrei prestarvi un libro “da leggere”, ma mai uno da collezione (onore al Berni, che ha avuto il coraggio di dirlo. Un libro che hai collezionato
non si presta! Prestereste un/una fidanzato/a?). E non perché i libri collezionati siano di maggior valore. A volte non è così. È che i libri da collezionare rispondono a un disegno diverso. A un bisogno quasi irrazionale.
Ci sono autori che amo e che non colleziono. E altri di cui ho letto poco, ma che, per ragioni infantili, magiche e imperscrutabili, voglio salvare in ogni edizione e in prima edizione.
“
Salvare”: questa è un’altra parola chiave.
Ma torniamo al problema “valore”.
Il collezionista non è venale, come si potrebbe credere. O lo è in modo diverso dagli altri. La cosa che lo delizia è trovare, per pochi euro, una piccola gemma dimenticata su una bancarella, su quello scaffale là in fondo, dove nessuno ancora è arrivato. E non perché provi gusto a fregare il libraio. Tutto questo fa parte del gioco. Sarebbe estremamente scorretto dirgli: “Guardi, lei lo mette 10, ma ne vale 30!” Il libraio per primo si offenderebbe.
Nello stesso tempo, non so se avrei il coraggio di prendere per 10 quello che vale 100. E capita, con i libri, più spesso di quanto si creda.
E per questo non sarò mai neanche una cacciatrice: non abbastanza cinica, e un po’ troppo bacchettona.
Ma non tanto da dimenticare il piacere di sfilare dal caos un piccolo libro dimenticato. E sottovalutato.
Come dice anche il Berni: i libri sono creature vive. E meritano rispetto.
Se trovo una prima edizione nel settore da un euro (!), praticamente l’anticamera del macero, non solo la prendo, ma credo anche di meritarmela, e a quel prezzo, perché ho compiuto un atto giusto e riparatore!
Non si tratta mai di tesori, intendiamoci. Un libraio giusto ed esperto quel romanzetto d’avventure te lo metterebbe 10, e un libraio furbone magari alzerebbe il tiro a 35 o 50. Va bene tutto. Il mercato è mercato, e nessuno ti obbliga a buttarti sulla prima copia che trovi. Ho anche pagato libri più di quanto dovevo, e soprattutto di quanto valevano, e in modo perfettamente consapevole. Solo per non stare in ansia dopo, in attesa di trovarne un’altra copia
Come avrete capito, il collezionismo è una cosa un po’ da malati. Dimenticate la parola “investimento”. Quella è una scusa.
Nel mio caso, poi, non ha alcun significato, perché i libri che raccolgo valgono davvero poco.
In una collezione ciò che conta è il progetto, l’idea che ne è alla base. Non il possesso finale, intendendo con questo l’insieme di oggetti che alla fine raccogli, e che potrebbero sembrare assai miseri, se la cosa si fermasse lì.
Se non ci fosse l’idea di allargarne il numero, in base a un disegno preciso. Una collezione non finisce mai.
Come la vita, è il continuo inseguire una meta, che speri di non raggiungere mai in modo definitivo.
Perché i libri, allora? Perché, se molti di questi rimangono impilati senza essere letti?
Il libro, per cominciare, è davvero un oggetto magico. Una chiave per capire il mondo. Non importa se sta lì senza essere letto. Tu sai che c’è, e che un giorno potresti. Tu sai che dentro la copertina, tra le pagine amorevolmente e perfettamente compresse, c’è un percorso trasversale, una galleria che ti mostra alla fine la visione di un mondo nuovo.
I libri, tutti i libri. A maggior ragione quelli fuori catalogo, quelli che, senza di te, nessuno potrebbe leggere più.
Se poi sono prime edizioni, hanno una specie di verginità, d’innocenza, che conserva il sapore del tempo che li ha partoriti. Lo stile della copertina, la fascetta…
Prime edizioni, ma non esemplari unici. Mi emoziona pensare di aver recuperato un esemplare mai edito, rifiutato dal suo stesso autore. Ma mi emoziona ancora di più sapere che altri sanno di cosa sto parlando, e ne hanno trovato a loro volta una copia. La storia della stampa è una storia di condivisione. Di comunione di idee.
Quali idee, mi direte? Ehm… Qualunque collezionista sa che non è mai prudente parlare delle proprie prede… Vero, Berni?
E così, sebbene io sia lettrice ignorante, collezionista approssimativa, inelegante e maldestra, che imita i “grandi”, cacciatrice compulsiva e preda ideale di scaltri venditori, ho pensato che collezionare mi piace. Mi rende felice.
Libri, naturalmente.
In questo momento è così. Poi un indomani potrei tornare alle bambole (no, ai tappi no, tranquilli).
Ma, certo, con i libri ho un rapporto speciale. Sono pur sempre quella che gridava: “Voglio una favola!”
(per chi fosse interessato: Manuale del cacciatore di libri introvabili - Simone Berni- BIBLOHAUS Non è che io sia d'accordo proprio in tutto. Ma è un libro intelligente, divertente, istruttivo, e con intuizioni notevoli. Scritto da un cacciatore infallibile, collezionista raffinato e senza pregiuzi di generi. Di quei libri che cambiano la vita di un collezionista)