Quale allegria se ti ho cercato per una vita senza trovarti senza nemmeno avere la soddisfazione di averti per vederti andare via
quale allegria, se non riesco neanche pi? a immaginarti senza sapere se strisciare se volare insomma, non so pi? dove cercarti
quale allegria, senza far finta di dormire con la tua faccia sulla mia saper invece che domani ciao come stai una pacca sulla spalla e via... quale allegria,
quale allegria, cambiar faccia cento volte per far finta di essere un bambino con un sorriso ospitale ridere cantare far casino insomma far finta che sia sempre un carnevale... Sempre un carnevale.
Senza allegria uscire presto la mattina la testa piena di pensieri scansare macchine, giornali tornare in fretta a casa tanto oggi ? come ieri senza allegria anche sui tram e gli aeroplani o sopra un palco illuminato fare un inchino a quelli che ti son davanti e son in tanti e ti battono le mani.
Senza allegria a letto insieme senza pace senza pi? niente da inventare. Esser costretti a farsi anche del male per potersi con dolcezza perdonare e continuare.
Con allegria far finta che in fondo in tutto il mondo c'? gente con gli stessi tuoi problemi e poi fondare un circolo serale per pazzi sprassolati e un poco scemi
facendo finta che la gara sia arrivare in salute al gran finale. Mentre ? gi? pronto Andrea con un bastone e cento denti che ti chiede di pagare
per i suoi pasti mal mangiati i sonni derubati i furti obbligati per essere stato ucciso quindici volte in fondo a un viale per quindici anni la sera di Natale...
Se dovessi parlare d’amore, vorrei farlo con queste parole, proprio queste. Non c’è frase più struggente di quel “senza nemmeno avere la soddisfazione di averti, per vederti andare via”.
Non ascolto mai le vecchie canzoni, se non risultano nuove per me. Non sono nostalgica, quasi mai. Ma ci sono canzoni che sono così “mie” che non smetterò mai di frequentarle. Canzoni “nostre”, dovrei anche dire, della mia generazione. Eccoci, allora, a squarciagola e con un po’ di tristezza nello sguardo allegro, a cantare di “un circolo serale per pazzi strasolati, un poco scemi”. “Facendo finta che la gara sia arrivare in salute al gran finale”. Gli occhi poi si abbassano. E proprio allora, rifuggendo i versi più rassicuranti, una vocina attacca “ti hanno vista bere a una fontana che non ero io”… Gli stessi sguardi di prima si sollevano all’improvviso, per incontrarsi in un sorriso. E poi: ta, tara rarà, tara rarà…
Ecco, questo era per me Lucio Dalla. Un sorriso su un mare di malinconia. Il “mio” Lucio, sarò sincera, non coincide perfettamente con il cantore ispirato del “te voglio bene assai”, e neppure con il fantastico clown ballerino di “Attenti al lupo”. Ma il “mio” Lucio non è migliore di quello degli altri. Piuttosto, il fatto che molti di noi abbiano un “proprio” Lucio, la dice lunga sulla profondità e sulla complessità dell’artista e del personaggio.
Non ascoltavo le nuove canzoni di Dalla da qualcosa come vent’anni. Mi mancavano le sue nuove canzoni? Forse un po’. Ma soprattutto mi mancherà lui, l’uomo e l’artista. Di sicuro è in gran parte colpa mia se Lucio Dalla non mi arrivava più come prima. La mia pigrizia, i miei pregiudizi. L’ultima volta che ho provato una sensazione 100% Dalla è stato alla fine degli anni ’80. La canzone era Felicità, dall’album Dallamorandi
Se tutte le stelle del mondo a un certo momento venissero giu' tutta una serie di astri di polvere bianca scaricata dal cielo ma il cielo senza i suoi occhi non brillerebbe piu' se tutta la gente del mondo senza nessuna ragione alzasse la testa e volasse su senza il loro casino quel doloroso rumore la terra povero cuore non batterebbe piu' mi manca sempre l'elastico per tener su le mutande cosi' che le mutande al momento piu' bello mi vanno giu' come un sogno finito magari un sogno importante un amico tradito anch'io sono stato tradito ma non m'importa piu' tra il buio del cielo le teste pelate bianche le nostre parole si muovono stanche non ci capiamo piu' ma io ho voglia di parlare di stare ad ascoltare continuare a far l'asino di comportarmi male per poi non farlo piu' ah...... felicita'... su quale treno della notte viaggerai lo so..... che passerai...... ma come sempre in fretta non ti fermi mai si tratterebbe di nuotare prendendola con calma farsi trasportare dentro a due occhi grandi magari blu e per dovermi liberare attraversare un mare medioevale guardare contro un drago strabico ma di draghi baby.... non ce ne sono piu' forse per questo i sogni sono cosi pallidi e bianchi e rimbalzano stanchi tra le antenne lesse delle varie t.v. e ci ritornano in casa portati da signori eleganti si si che parlano e tutti quanti che applaudono non ne vogliamo piu' ma se questo mondo e' un mondo di cartone allora per essere felici basta un niente magari una canzone o chi lo sa.............. se no sarebbe il caso di provare a chiudere gli occhi e poi anche quando hai chiuso gli occhi chissa' cosa sara' ah.... felicita'...... su quale treno della notte viaggerai lo so....... che passerai...... ma come sempre in fretta non ti fermi mai ah........ felicita'..... su quale treno della notte viaggerai lo so...... che passerai....... ma come sempre in fretta non ti fermi mai ah...... felicita'....... su quale treno della notte viaggerai lo so........ che passerai....... ma come sempre in fretta non ti fermi mai
“Ah, felicità, su quale treno della notte viaggerai, lo so, che passerai, ma come sempre in fretta non ti fermi mai” Un frammento di vita passava come un lampo nella notte dentro le mie emozioni, e, come spesso era accaduto nel passato, quel lampo illuminava tante cose, e per un attimo mi illudevo di aver capito. E ancora una volta dovevo cantare, unendomi a quel trionfante, malinconico coro finale. Cantare insieme. Questo ti faceva Lucio Dalla. Il ”mio” Lucio Dalla non era solo quello di Caruso. Il “mio” Lucio Dalla frequentava anche altri mari, profondità di un blu quasi nero, dove si muovevano inquietudini come lunghe braccia d’alga, era ambivalente e irrisolto nell’amore, misterioso e apocalittico nella percezione del mondo e della vita. Molto diverso dagli altri cantautori, molto più inafferrabile e insieme onnipresente, universale. Le canzoni di Dalla avevano un loro sapore, persino un loro odore. Spesso era proprio l’odore del mare, e chi come e è nato e cresciuto in una città costiera sa che quell’odore è stratificato e strano. Non è soave, taglia naso e orecchie, a volte è buono, a volte sa un po’ di disfacimento, persino di morte. Lucio Dalla era nato in una città bella e armoniosa come Bologna (e nel centro di Bologna, sapete, “non si perde neanche un bambino”). E Dalla amava la propria città, sarebbe persino superfluo citare Piazza Grande. Ma amava, tanto, anche il mare. Le Tremiti, la Sicilia. Sembrava così a proprio agio in quell’acqua amara e inquieta, in quell’irregolarità commossa e imprendibile. E “studiava” il mare come avrebbe studiato il cuore di un insondabile mistero. Il mare rifletteva e ispirava pensieri crudeli e sensuali sull’amore
Anna Bellanna
sulla storia (la splendida, inquietante Com’è profondo il mare. Video di maurisly)
Ci nascondiamo di notte Per paura degli automobilisti Degli inotipisti Siamo i gatti neri Siamo i pessimisti Siamo i cattivi pensieri E non abbiamo da mangiare Com'è profondo il mare Com'è profondo il mare
Babbo, che eri un gran cacciatore Di quaglie e di fagiani Caccia via queste mosche Che non mi fanno dormire Che mi fanno arrabbiare Com'è profondo il mare Com'è profondo il mare
E' inutile Non c'è più lavoro Non c'è più decoro Dio o chi per lui Sta cercando di dividerci Di farci del male Di farci annegare Com'è profondo il mare Com'è profondo il mare
Con la forza di un ricatto L'uomo diventò qualcuno Resuscitò anche i morti Spalancò prigioni Bloccò sei treni Con relativi vagoni Innalzò per un attimo il povero Ad un ruolo difficile da mantenere Poi lo lasciò cadere A piangere e a urlare Solo in mezzo al mare Com'è profondo il mare
Poi da solo l'urlo Diventò un tamburo E il povero come un lampo Nel cielo sicuro Cominciò una guerra Per conquistare Quello scherzo di terra Che il suo grande cuore Doveva coltivare Com'è profondo il mare Com'è profondo il mare
Ma la terra Gli fu portata via Compresa quella rimasta addosso Fu scaraventato In un palazzo,in un fosso Non ricordo bene Poi una storia di catene Bastonate E chirurgia sperimentale Com'è profondo il mare Com'è profondo il mare
Intanto un mistico Forse un'aviatore Inventò la commozione E rimise d'accordo tutti I belli con i brutti Con qualche danno per i brutti Che si videro consegnare Un pezzo di specchio Così da potersi guardare Com'è profondo il mare Com'è profondo il mare
Frattanto i pesci Dai quali discendiamo tutti Assistettero curiosi Al dramma collettivo Di questo mondo Che a loro indubbiamente Doveva sembrar cattivo E cominciarono a pensare Nel loro grande mare Com'è profondo il mare Nel loro grande mare Com'è profondo il mare
E' chiaro Che il pensiero dà fastidio Anche se chi pensa E' muto come un pesce Anzi un pesce E come pesce è difficile da bloccare Perchè lo protegge il mare Com'è profondo il mare
Certo Chi comanda Non è disposto a fare distinzioni poetiche Il pensiero come l'oceano Non lo puoi bloccare Non lo puoi recintare Così stanno bruciando il mare Così stanno uccidendo il mare Così stanno umiliando il mare Così stanno piegando il mare
Sulla vita quotidiana, sulle sue ingiustizie e disparità
Itaca
Ma Lucio Dalla era anche un uomo di terra, uno che non aveva paura di sporcarsi le mani col sarcasmo e con l’ironia. Non potrò mai dimenticare i primi versi, fulminanti, di questa splendida canzone
Treno a vela
Voglio un chilo di pane e un fiasco di vino. le dò in cambio il bambino che ho in più posso darle anche un osso. non mi piace è di cane m'è passata la fame. quanto costa una mela? costa un sacco di botte. se mi faccio picchiare un pochino la darebbe al bambino? se la metterà in testa senza neanche capire così lei con le frecce si potrà divertire.
Tutte le sere il padre e il figlio si tenevano per mano poi e nella notte senza suoni e nostalgia si incontravano con gli altri nella via. e senza un alito di vento a guardare quella stella là che era una stella senza luce era quella del brodo STAR.
E poi via di corsa fino alla ferrovia dove al lume di candela passava un Treno A Vela ringhiando sbuffando. bimbo non piangere più
Il bambino ora dorme sulla schiena di un cane mentre il padre sfinito gli fa aria con un dito poi c'è gente che viene dal veneto per vedere il cantante Patrizio e il suo porno comizio. si è svegliato il bambino a dormire ora è il cane mentre il padre da ore non parla ed ha sempre più fame in un lampo la sua decisione prende in mano un bastone e comincia a volare e comincia a volare e comincia a volare
“Le do in cambio il bambino che ho in più". In tempi non sospetti, nel modo più scorretto e più ferocemente empatico e commosso, Lucio Dalla cantava di povertà e di emarginazione, di sradicamento dalle proprie origini e dal proprio passato, con toni così partecipi e sinceri da far impallidire tutti i cantori del politically correct. Treno a vela, come simbolo dell’unione di terra, mare e aria. E allora il viaggio. Il viaggio metafora, il viaggio reale. Quello cercato, quello obbligato (“ferma quel treno, fallo tornare indietro” canta all’emigrante di Balla Balla Ballerino). Terra, mare, aria. La primordialità terrigna, l’ancestralità marina. E con il simbolo del cielo ecco il viaggio cosmico: nelle profondità dell’uomo, nel nero ignoto del futuro. “Futura” sarebbe stata la sua bambina, se mai ne avesse avuta una. Eccoci dunque alle sue meravigliose canzoni apocalittiche, capaci di suscitare, adesso come trent’anni fa, un persistente brivido lungo la schiena. La già citata Com’è Profondo il Mare
L’oscura “L’Ultima Luna”, al cui bimbo appena nato, occhi neri e grandi ali, affido per sempre il ricordo del “mio”, del nostro Lucio Dalla.
La 7a luna era quella del luna-park lo scimmione si aggirava dalla giostra al bar mentre l'angelo di Dio bestemmiava facendo sforzi di petto grandi muscoli e poca carne povero angelo benedetto.
La 6a luna era il cuore di un disgraziato che, maledetto il giorno che era nato, ma rideva sempre da anni non vedeva le lenzuola con le mani sporche di carbone toccava il culo a una signora e rideva e toccava sembrava lui il padrone.
La 5a luna fece paura a tutti era la testa di un signore che con la morte vicino giocava a biliardino era grande ed elegante né giovane né vecchio forse malato sicuramente era malato perché perdeva sangue da un orecchio.
La 4a luna era una fila di prigionieri che camminando seguivano le rotaie del treno avevano i piedi insanguinati e le mani senza guanti ma non preoccupatevi il cielo è sereno oggi non ce ne sono più tanti.
La 3a luna uscirono tutti per guardarla era così grande che più di uno pensò al Padre Eterno sospesero i giochi e si spensero le luci cominciò l'inferno la gente corse a casa perché per quella notte ritornò l'inverno.
La 2a luna portò la disperazione tra gli zingari qualcuno addirittura si amputò un dito andarono in banca a fare qualche operazione ma che confusione la maggior parte prese cani e figli e corse alla stazione.
L'ultima luna la vide solo un bimbo appena nato, aveva occhi tondi e neri e fondi e non piangeva con grandi ali prese la luna tra le mani e volò via e volò via era l'uomo di domani l'uomo di domani.
Grazie tesoro per averci regalato un altro pezzettino di te attraverso Lucio. Ci mancherà Lucio, ci mancherà l'artista, il musicista e la persona che traspare dalle canzoni, che a volte sono poesie.
Passati i momenti della tristezza, ma purtroppo anche della polemica e, secondo me, del non rispetto, anche io ho un piccolo pezzo da postare. Ce ne sarebbero tanti, perché sono cresciuta con uno zio appassionato e Dalla è stato un pezzo della mia infanzia, ma posterò solo questo. Perché... beh...
ecco il mistero sotto un cielo di ferro e di gesso l' uomo riesce ad amare lo stesso e ama davvero senza nessuna certezza che commozione che tenerezza