La prima sera, Severus e il suo ingresso ad Hogwarts

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Camelia.
view post Posted on 23/6/2013, 14:47




Ciao a tutti! (questo fa molto Luna Lovegood ^_^ )
Sperando di non sbagliare sezione, vorrei linkarvi una ff che ho scritto su Severus Piton e Alan Rickman Fan Forum.

Titolo: La prima sera
Autore/Data: Camelia.
Rating: per tutti
Genere: "Lente d'ingrandimento" (più avanti spiego meglio!)
Personaggi: Severus Piton bambino e il mondo magico e babbano del tempo
Epoca: 1 settembre 1971 e anni precedenti
Avvertimenti: Nessuno
Disclaimer: I personaggi e i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me ma a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

Riassunto e Note: Mi piace molto fantasticare sugli spazi bianchi tra le righe di un racconto, è come puntare una "lente d'ingrandimento" sulla pagina di un libro per scovare le cose non scritte.
Il capitolo 33 di Harry Potter e i Doni della Morte ha stimolato tantissimo la mia curiosità e in questa ff ho immaginato la prima sera del piccolo Severus a Hogwarts.
Il racconto è strutturato in modo da aprire continui flash back sulla sua vita di Piton a Spinner's End, con Eileen e Tobias, sul suo rapporto con Lily e sui primi contatti con Sirius, James e i Serpeverde futuri Mangiamorte (con una piccola incursione di Tom Riddle).
Questi squarci sul passato di Severus servono a sottolineare le caratteristiche della sua personalità, del suo rapporto con gli altri e rimarcano lo scarto che si crea tra la sua vita "prima e dopo" Hogwarts, anche se l'ingresso tanto atteso nella scuola di magia non è privo di delusioni.

Sto anche scrivendo un seguito, Il primo giorno, che linkerò in un nuovo topic.


Sperando che vi piaccia, ecco a voi il piccolo Sev!

(vi faccio un copia-incolla dei capitoli un po' alla volta, sennò me li mette tutti in fila in un unico post.)

Edited by Camelia. - 20/7/2013, 13:46
 
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Camelia.
view post Posted on 12/7/2013, 23:05




Capitolo I


Durante il banchetto, Severus cercò di fronteggiare la delusione. Se fosse stato a casa, avrebbe potuto rifugiarsi in camera, come faceva tutte le volte che sua madre e suo padre litigavano. Litigavano sempre e quando era piccolo lui piangeva per questo, lacrime calde che gli bruciavano gli occhi. Suo padre non sopportava vederlo piangere “come una femminuccia” e così aveva imparato a farlo di nascosto, a volte mordendosi le nocche per soffocare i singhiozzi che avrebbero fatto infuriare ancora di più il padre.

Ma era durato poco. Erano anni che non piangeva più.

Quel calore quasi bollente che gli offuscava la vista per poi sciogliersi lungo le sue guance fin dentro i vestiti era un ricordo lontano, una debolezza che aveva imparato a controllare, dominare e allontanare da sé. Non si addormentava più sfinito nel suo letto, disteso su un fianco, scosso dai singulti e con le lacrime che gli colavano nell’orecchio. Se ne stava ore in camera sua disteso o rannicchiato per terra, a fissare il niente nella stanza spoglia dai muri vecchi e muffi, grigia come l’aria che circondava sempre Spinner’s End e arredata con pochi e brutti mobili.
Guardava senza vedere e aspettava. Alle volte si era spinto fino al parco a guardare gli altri bambini ridere e giocare. Non si era mai avvicinato a loro, era sempre rimasto per conto suo, senza invidiare la loro gioia, semmai... la sensazione che quei bambini potevano piangere solo per una caduta dall'altalena. Ma lui aveva imparato a non piangere e non invidiava più quei bambini, li sentiva estranei e provava verso di loro un sotterraneo diprezzo. Babbani.

***


Era stata la testata di ferro del letto a insegnargli a non piangere più. Era successo quella notte che suo padre aveva urlato più forte del solito e le grida di sua madre gli erano penetrate dentro come spilli nella carne viva. Prima si era tirato la coperta fin sopra la testa, poi si era messo seduto sul letto e qualcosa l’aveva fatto tremare violentemente, ma non era il freddo. Aveva cominciato a piangere senza nemmeno accorgersene e quando aveva chiuso stretti gli occhi per strizzarne via le lacrime, le aveva sentite cadere sulle guance accaldate. Si era voltato e si era aggrappato al ferro della testata, posandoci il volto, prima una guancia, poi l’altra. E quel fresco sollievo si era diffuso in tutto il suo essere, quella rigida carezza che gli aveva rinfrescato il viso gli era penetrata dentro, scendendo nel suo profondo: l’aveva sentita estendersi ed espandersi in ogni sua fibra e quando il suo respiro era tornato regolare e i suoi singhiozzi si erano spenti, aveva riaperto gli occhi e si era reso conto solo allora dei pugni serrati attorno al ferro. Li aveva aperti e, dopo averli fissati percependone il freddo che avevano assorbito, si era rimesso disteso, chiudendo le voci dei suoi genitori fuori da sé, sperimentando per la prima volta in vita sua una sensazione nuovissima e strana. Riusciva a tenere tutto quanto lontano, non solo le grida, ma perfino il rumore e i tonfi che provenivano dalla cucina dove Eileen e Tobias stavano dando l’ennesima conferma al loro matrimonio.
Non sentiva più nulla e si tirò la coperta sugli occhi asciutti che non bruciavano più, sostituendo la disperazione e l’angoscia di poco prima con pensieri decisamente più appaganti, attorno ai quali la sua mente si smarrì con una sorta di dolce, fresco abbandono.

Presto lui, Severus, se ne sarebbe andato.

Mancava ancora qualche anno, è vero, ma era cosa certa. Perché lui era diverso da suo padre. Lui era come sua madre, lui aveva la magia in sé. Sarebbe andato al nord, a Hogwarts, la scuola per i giovani maghi, e avrebbe vissuto in un castello con altri bambini come lui e con i professori che gli avrebbero insegnato milioni di cose meravigliose che lì, in quel quartiere squallido dalle stradine sporche e buie e dai mattoni grigi come il fumo della ciminiera che si ergeva all’orizzonte della sua finestra, non era quasi possibile immaginare. Ma lui invece immaginò, vide tutto chiaro e luminoso nella sua mente, vide tutto, quella sera, assaporandone la promessa. Avrebbe fatto i bagagli lasciando a casa tutti i suoi vestiti babbani, avrebbe preso un treno rosso e sbuffante vapore, avrebbe avuto una bacchetta tutta per sé e avrebbe indossato con orgoglio una divisa nera, su cui si sarebbe stagliato brillante lo stemma verde-argento della Casa di Serpeverde…

***


Lanciò un’occhiata a Lily seduta al tavolo di Grifondoro, accanto a quel ragazzo antipatico incontrato sul treno e che anche mentre mangiava aveva quell’aria strafottente e noncurante che aveva caratterizzato il loro breve scambio di battute.
“Tutta la mia famiglia è stata in Serpeverde”, aveva detto, e allora come mai sedeva tra quegli esaltati dei Grifondoro? Perché era un cretino, l’aveva dimostrato.
E infatti c’era anche quell’altro, quello con gli occhiali e i capelli arruffati, un completo deficiente, fanatico dei Grifondoro. Beh, in fondo glielo si leggeva in faccia che era un povero cretino anche lui, per di più invasato.
I Grifondoro erano noti per essere dei palloni gonfiati; guardando i due, Severus provò un moto di disgusto e si rese conto che sarebbe stato orribile essere assegnato a quella Casa, santo cielo, se ce n’era una che considerava peggiore delle altre era proprio quella rosso-oro.

Fece scorrere lo sguardo lungo gli altri tavoli. Non c’era dubbio, i Grifondoro erano i più chiassosi e quei due ragazzi non facevano altro che parlare e ridere forte, come se si conoscessero da sempre. Era un bene non essere finiti nella stessa Casa, Severus era proprio contento che non fossero Serpeverde.
Erano esattamente quello che si aspettava, due autentici -idioti- Grifondoro e vide quello con gli occhiali scoppiare in risate sonore picchiando i pugni sul tavolo e dando una manata al ragazzo che odiava Serpeverde.

Nel farlo, lo fece urtare la spalla di Lily che gli sedeva accanto. Lily gli lanciò un’occhiataccia. Poi il ragazzino con gli occhiali si sporse leggermente verso di lei e le disse qualcosa, porgendole il vassoio della torta.
La vide voltare il viso e ignorare ostentatamente i due che, come sul treno, le fecero il verso, atteggiandosi a principini altezzosi e facendo un sacco di smorfie. Lily incrociò le braccia e disse qualcosa che lui, Severus, non poté sentire, ma vide i due rimanere interdetti per un momento e si rallegrò di questo, con un moto di rivalsa su di loro. I ragazzi ridacchiarono tra loro e ripresero a stuzzicare Lily.
Lei li ignorò, abbassando il viso sul piatto mentre finiva di mangiare e una ciocca di capelli le cadde in avanti.

Un'elegante, morbida onda rosso scuro…

Con un gesto meccanico lei la rispinse dietro la spalla, piegando leggermente il collo di lato e Severus Piton, per un fulmineo, rovente istante... sentì gli occhi bruciare e desiderò essere un Grifondoro, per la prima e unica volta in vita sua.
 
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Camelia.
view post Posted on 13/7/2013, 11:46




Capitolo II


“Cosa guardi?” chiese una voce strascicata di fianco a lui.
Con un sussulto, distolse lo sguardo dal tavolo di Grifondoro e si riempì la bocca con una cucchiaiata di dolce.
Deglutì e chiese al giovane dai lunghi capelli biondi che lo aveva accolto con trionfo tra i Serpeverde: “È vero che i nostri bauli sono stati portati dentro?”
Non ascoltò la risposta, in realtà lo sapeva benissimo, lui sapeva tutto di Hogwarts.

***


Da anni la sua mente era completamente assorbita da quell’unico pensiero, sua speranza e suo conforto. Sua madre gli aveva spiegato molte cose e anche se le sue narrazioni non erano mai state granché ricche di entusiasmo, Severus l’aveva incalzata di domande, si era infiammato e aveva ascoltato ogni parola con l’avidità di un assetato vicino a una fonte d’acqua fresca.
Gli altri bambini si facevano raccontare favole, ma lui si beava di questi racconti, che erano veri, veri!, e che l’avrebbero visto protagonista quando avrebbe compiuto undici anni.

Osservava di nascosto sua madre quando faceva incantesimi, anche i più sciocchi come quelli domestici, e stava ore a provare i movimenti del polso e del braccio impugnando una bacchetta che non c’era, rinchiuso in camera sua.
Non voleva farsi vedere da lei e nemmeno da suo padre, sebbene per motivi diversi.

Aveva trovato dei vecchi libri di scuola di sua madre e anche se non poteva leggerli, li aveva sfogliati tante e tante volte nella solitudine della sua camera, toccandoli quasi con reverenza, senza che né lei né il padre se ne accorgessero. Suo padre sarebbe andato su tutte le furie, certamente. Ma lui aveva imparato ad agire di nascosto e ad evitarlo il più possibile.
Di quei preziosi libri, che un giorno sarebbero stati suoi, aveva osservato fino allo sfinimento i disegni e le figure, imparandole a memoria; ce n’era uno con diverse illustrazioni particolareggiate di piante e fiori. Severus si chiudeva in camera e riusciva a passare interi pomeriggi a guardarlo, annusandone l’odore umido, mentre con il dito magro percorreva i contorni neri di quei disegni, dimentico di tutto, fino a che sentiva suo padre far tremare la porta a pugni o urlare nelle stanze accanto.

Un giorno però era stato incauto, passando davanti alla cucina. La luce malata che entrava dalla finestra aveva fatto brillare per un attimo le lettere dorate incise sulla copertina del libro che stava portando in camera.
“Cosa diavolo stai facendo tu?” aveva abbaiato suo padre alzandosi dalla sedia e facendola strisciare con uno stridìo sul pavimento. Severus aveva sentito un fiotto di paura attraversargli il corpo e fargli contrarre le dita sul libro. Vide con orrore suo padre fermarsi ritto sulla porta della cucina e abbassare il viso ringhioso all’altezza del suo.
“Ooooh, ma che bravo…”, aveva detto Tobias Piton con un tono falsamente adulatorio. “Abbiamo un piccolo saputello in casa… un libro! E che cosa ci sarà mai di tanto interessante in questo libro?” aveva sibilato, cercando di sfilarglielo di mano.
Severus istintivamente aveva fatto per trattenerlo e questo piccolo gesto aveva fatto infuriare il padre.
“Adesso sai leggere eh?” urlò. Poi con uno scatto di collera aggiunse: “È stata tua madre, immagino!”
“No!” aveva risposto in fretta Severus, che sembrava ancora più piccolo dei suoi cinque anni di fronte all’ira paterna.
“No, non so leggere! Mi piacciono…” balbettò, sotto lo sguardo feroce del padre “…mi piacciono le figure…”
Suo padre rise di scherno, strappandogli il libro di mano. Ma quando vide la copertina e sfogliò qualche pagina a caso, la risata si congelò, lasciandogli sul volto una strana espressione, i denti scoperti e gli occhi che cominciarono a stringersi.

“Ancora queste… queste…” sibilò.
Severus vide la rabbia montante deformare i lineamenti di suo padre.
Tobias cominciò a scuotere il libro come se potesse così costringerlo confessare chissà quali crimini e Severus osservava angosciato le pagine ballare, la copertina sbatacchiare; Tobias strapazzava il libro tenendolo in alto e gridava, urlava cose che lui non sentiva, lui aveva occhi solo per il libro, perché un giorno… un giorno sarebbe stato capace di leggerlo, voleva solo riprenderselo e scappare. Si riscosse da quel torpore quando il padre gli strinse forte tra le dita la sua spalla ossuta, prendendo a scuoterlo come il libro. La rabbia prese il posto dello spavento che gli incuteva quell’uomo e lo fissò dritto negli occhi.

Fu un attimo.

Cercò di spingere via la grossa mano del padre con la sua, piccola e magra. Fu un gesto puramente istintivo, nessun ragionamento logico gli avrebbe mai potuto consigliare un’azione tanto avventata e inutile, ma qualcosa accadde.
Tobias allentò di scatto la presa e ammutolì mentre una smorfia di dolore gli si disegnava sul volto. Lasciò cadere il libro e si afferrò la mano fissandone le dita stranamente incurvate come artigli e immobili, come congelate. Stupefatto, spostò lo sguardo sul figlio che lo guardava spaventato, incapace di spiegare cos’era accaduto, ma con una lontana ombra di sfida negli occhi neri.

Severus afferrò il libro che giaceva a terra, aperto, e corse via, percorrendo più veloce che poteva il corridoio fino alla porta d’ingresso. Udì suo padre imprecargli contro e mentre usciva nella stradina squallida e sporca lo sentì rivolgersi violentemente contro la moglie, che era scesa mentre Severus fuggiva, attirata dalle urla.
Corse fino in fondo alla strada e voltò a destra, poi a sinistra, poi ancora a destra, senza vedere dove stava andando, con i capelli troppo lunghi che gli ricadevano sul collo tutte le volte che rallentava per voltare un angolo, più veloce che poteva sulle sue gambe così piccole e magre, stringendosi al petto il libro, tenendolo stretto a sé con entrambe le braccia…

Si fermò solo quando si rese conto che aveva abbandonato il dedalo di strade desolate. I suoi occhi percepirono una luce più forte e vide qualche prato, molti alberi. Percepì un profumo di fiori. Quel posto era così diverso dal grigio spoglio che dominava il suo quartiere, che avviluppava ogni cosa, dalle strade lastricate e sporche fino al fumo che usciva dai camini delle brutte case addossate l’una all’altra. Non c’erano piante dove abitava e perfino l’erba che cresceva lungo il fiume dalle acque opache era grigia e spenta.

Sbatté le palpebre, sorpreso di trovarsi lì.

Ansava, il libro contro il petto che si alzava e abbassava velocissimo.
Con una mano scostò i capelli sporchi dalla fronte sudata e vide poco lontano il parco, affollato di bambini e qualche adulto. Le loro voci alte lo raggiunsero in ritardo, quando smise di sentire nelle orecchie il proprio respiro affannoso. Si avvicinò, mentre il cuore prese a battergli con maggiore lentezza contro la copertina del libro che ancora stringeva: non voleva mescolarsi con quelle persone, ma al contempo ne era anche irresistibilmente attratto.

I bambini ridevano, urlavano, si rincorrevano. Saltavano, si arrampicavano, cadevano e si rialzavano, riempiendo lo spazio dei loro movimenti frenetici e l’aria delle loro voci allegre. I loro genitori chiacchieravano a gruppetti, osservandoli ogni tanto con occhiate ora distratte ora apprensive, quando li vedevano cadere o scivolare.

Severus si avvicinò a un cespuglio e si sedette a terra, con le gambe incrociate. Tese il libro davanti a sé e se lo posò sulle cosce magre. Non pensava a niente.
Piegò il collo all’indietro e chiuse gli occhi per non guardare il sole. I capelli gli scivolarono sulle tempie. Inspirò a lungo l’aria e la ributtò fuori con un senso di pace, abbassando infine lo sguardo sui piedi. Aveva le scarpe con i lacci rotti tutte impolverate. Ricordò che sua madre era in grado di far sparire la polvere con un incantesimo e prese a cercare un bastoncino accanto a sé, per fingere nella maniera più verosimile la magia che ancora non gli era concesso usare.

Frugò con gli occhi alla base del cespuglio e trattenne il respiro: quella… quella pianta assomigliava moltissimo a uno dei disegni del libro che giaceva quieto tra le sue gambe!
Lo afferrò e cominciò a sfogliarlo con un’ansia febbrile; trovò l’illustrazione che cercava, attorniata da parole stampate che non riusciva a capire.
Aveva creduto che tutte le piante disegnate in quel libro non si trovassero nel mondo babbano, e invece… eccola lì. Di un bel verde inteso, le foglie piccole, sottili e leggermente seghettate. Avvicinò il libro alla pianta, e si distese sulla pancia per confrontarla meglio.
Ne studiò con profonda attenzione tutti i dettagli, provando continui scoppi di esultanza quando ne verificava la corrispondenza con il disegno nel libro. Il suo naso adunco si ritrovò vicinissimo alle foglie e Severus percepì un odore intenso e buono. Sorrise, anche se non se accorse.

Si sentiva pieno di una strana euforia: quella pianta e il fatto che fosse disegnata nel suo libro erano la prova dell’esistenza del mondo bellissimo che tra qualche anno sarebbe stato il suo presente e non più solo un sogno. Senza rendersene conto allungò la mano a toccare quelle foglioline e le sentì leggermente pelose e ruvide. Il loro odore rimase sulle sue dita.

Si riscosse quando sentì la voce di una donna molto vicina a lui.
Velocemente richiuse il libro e si ritrasse meglio dietro il cespuglio. La donna aveva una sfumatura dolce nella voce e la sentì dire “Su, torniamo a casa, che papà ci aspetta”.
Allungò un po’ il collo, in tempo per vedere di spalle una signora dai capelli di un castano caldo allontanarsi tenendo per mano due bambine, una con i capelli biondo cenere stretti in una treccia e una più piccola, con i capelli rosso scuro, lunghi e sciolti. Il sole li colpiva, facendoli brillare.
La bambina gridò “Sìììììì!!!” e fece un balzo arrivando con dolce naturalezza ad abbracciare la madre al collo, dandole un bacio sulla guancia.

Il momento di stupore che bloccò Severus a quella vista gli fece allentare la presa sul libro che cadde con un leggero tonfo, sollevando una nuvoletta di polvere da terra.
Si chinò a raccoglierlo e tornò subito a guardare oltre il cespuglio.
La donna e le due bambine si allontanavano e Severus non le vide in volto. La bambina più piccola era tornata a camminare di fianco alla madre, come se non si fosse mai mossa da lì.

Sentì il suo cuore accelerare i battiti. Possibile che…?

***


“Pensavo che Black sarebbe finito qui, con noi, tutta la sua famiglia è stata in Serpeverde!” stava dicendo il giovane seduto accanto a lui, che aveva preso a guardare nella direzione in cui guardava lui. “Vero, Narcissa?”, aggiunse.

Severus seguì lo sguardo di Lucius Malfoy e dall’altra parte del tavolo vide una ragazza dai capelli biondi e lisci rispondere con voce fredda e distaccata: “Io l’ho sempre pensato che non fosse a posto. Non mi è mai stato simpatico, e ora che lo vedo a Grifondoro, beh, è definitivamente chiaro che tipo sia.” Narcissa contrasse le labbra con leggero disprezzo. “È una vergogna vederlo seduto lì, non vorrei essere nei panni di mia zia.”
“Già. Un purosangue con una tradizione di famiglia di assoluto rispetto…” aggiunse Lucius sdegnato, “…finire in quel covo di mezzosangue e rifiuti babbani.”

Severus sentì qualcosa pungergli fortissimo dalle parti dello stomaco.

Azzardò uno sguardo a Lily. Aveva finito di mangiare e aveva sollevato lo sguardo verso il soffitto incantato della Sala Grande, fissandolo a bocca aperta e con gli occhi verde chiaro luccicanti di meraviglia.

“Molto bene!” annunciò la voce del Preside. “Cari ragazzi, ritengo sia giunta l’ora per voi di ritirarvi nelle vostre sale comuni e riposare. Domani cominceranno le lezioni e un nuovo anno scolastico, in cui mi auguro darete il meglio…”
Severus sentì una gran voglia del domani e vide Lily ascoltare con attenzione le parole del professor Silente.
Ingoiò l’ultima cucchiaiata di dolce assaporandone l’aroma di menta.

Menta…

Quando aveva finalmente imparato a leggere, aveva scoperto che quella pianta riconosciuta nel parco da bambino era menta e che, secondo il libro di sua madre, poteva essere usata in diverse preparazioni magiche, ma in quantità piccolissime e scrupolosamente dosate, pena il rovinare completamente la pozione e i suoi effetti.

“…invito pertanto gli studenti del primo anno a seguire i prefetti nei dormitori”, concluse infine il Preside.

Lucius Malfoy si alzò con alterigia, lo stemma da prefetto che luccicava sul suo petto, e subito i ragazzini del primo anno si misero in piedi anche loro, guardandolo con deferenza. Severus si mise in fila e i Serpeverde cominciarono a dirigersi verso il portone.
Lo raggiunsero assieme a un’altra Casa.

Lucius guardò con arroganza il prefetto di Grifondoro e dicendogli con voce sottile e irridente “Penso proprio che dovrebbero passare per primi i migliori”, fece per imboccare l’uscita.
Alle parole “i migliori” si levò un sonoro “HA!” dalle fila di Grifondoro.
Lucius si voltò con lentezza misurata e cercò tra i volti, soffermandosi infine su quello insolente di un ragazzino, che lo guardava fisso con una piega di scherno sulle labbra.
“Cinque punti in meno a Grifondoro, Black” disse Malfoy con la sua voce strascicata che si fece dura e derisoria quando pronunciò il suo nome.
Il ragazzino fece per reagire, ma il prefetto di Grifondoro si intromise e disse: “Passate pure, Malfoy… Noi Grifondoro sopporteremo coraggiosamente di vedere una sfilata di pagliacci.”

I Grifondoro ridacchiarono, Black diede di gomito al ragazzo con gli occhiali (com’è che l’aveva chiamato la professoressa McGranitt… Potter?), che rise senza ritegno e guardò spavaldo i Serpeverde.
Lily osservava la scena con una certa apprensione.
Malfoy ebbe l’istinto di ribattere, ma con un’occhiata indietro si accorse che le fila di Corvonero e Tassorosso aspettavano di vederli uscire e cominciavano ad allungare i colli per vedere che stava succedendo davanti. Strinse gli occhi grigi, sollevò il mento appuntito con aria superba e uscì dal portone, seguito dalla sua Casa.

Severus notò uno sguardo di disprezzo negli occhi di Narcissa mentre passava accanto al cugino, che ricambiò l’occhiata con pari disgusto.
Cercò Lily, mentre la fila si muoveva, e si sentì sfiorare la mano.
“Buonanotte Severus”, gli sussurrò lei con un sorriso.
Black se ne accorse e a voce alta e leziosa esclamò: “Buonanotte Mocciosus!”, provocando un altro scoppio di risa nel ragazzo con gli occhiali.
Lily lo guardò infuriata, Piton con rabbia. Poi strinse il pugno ossuto e uscì, seguendo i suoi compagni.

Nella Sala d’Ingresso Malfoy spiegava che i dormitori di Serpeverde si trovavano nei sotterranei e si diresse deciso verso una porta che si apriva su una scala scura che scendeva nell’ignoto, illuminata da torce appese al muro.

Severus si voltò indietro a guardare i Grifondoro salire nella direzione opposta, appena in tempo per vedere una macchia rosso scuro sparire dietro un angolo, in cima alla lunga scala di marmo.
Poi si voltò e prese a scendere, verso quella che sarebbe stata la sua stanza per i prossimi sette anni.
 
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Camelia.
view post Posted on 13/7/2013, 23:00




Capitolo III


L’ultimo della fila chiuse la porta dietro di sé.
Improvvisamente si spensero il brusio e le chiacchiere eccitate che provenivano dalla Sala d’Ingresso e anche la luce diminuì, dando l’impressione che i Serpeverde fossero stati catapultati in un mondo fatto di freddo silenzio.
La temperatura era più fresca e quando le narici di Severus furono investite da un odore di umido che pareva uscire dai muri stessi di pietra, la mente gli fu attraversata dalla visione di quelli delle case di Spinner’s End nelle giornate di pioggia, quando nuvole basse e dense gravavano pesanti, esasperando l’abituale squallore del quartiere con pennellate di un grigio più scuro.

***


Tante volte era rimasto a guardare dalla sua finestra gocce e rivoli scivolare sui vetri sporchi, ma l’acqua non era mai abbastanza o non era abbastanza pulita da migliorare quella cartolina opprimente in cui tutto -mattoni, selciato e aria- si fondeva in volute di livida disperazione.
Severus osserva i muri delle case di fronte e i ritagli malsani di cielo, con la fronte appoggiata ai vetri freddi, mentre i capelli spartiti in due bande scivolavano in avanti a chiudergli pietosamente la vista della desolazione che proseguiva anche al di qua della finestra, all’interno della sua camera. Il respiro che gli usciva dalla bocca socchiusa era il solo indizio di vita del suo corpo gracile appollaiato immobile su una sedia scassata.

Aloni opachi si allargavano sul vetro e poi si restringevano fino a sparire.

Due profondi occhi neri guardavano fuori senza espressione e dopo un po’ si spostarono ad osservare qualcosa di più vicino a loro, tanto che Severus parve diventare strabico. Seguì con lo sguardo alcune goccioline di pioggia, cercando di indovinare il loro percorso mentre scendevano lungo la finestra.
Senza averlo pensato, allungò un dito a seguire la loro corsa irregolare e il loro scontrarsi, che le faceva diventare più veloci.
Alitò forte sul vetro.
Ora non vedeva più il brutto muro della casa di fronte che riapparve poco per volta con lo sparire dell’ombra del suo fiato. Alitò ancora, stavolta a coprire la visione di un sostegno in ferro tutto ricurvo e arrugginito. Ripeté più volte l’azione, cancellando uno alla volta alla sua vista, anche se per pochi secondi, tutti i particolari di quel tetro quadro immobile, animato solo dal cadere della pioggia, dallo scorrere dell’acqua lungo le crepe della strada e dal movimento delle nuvole scure raddoppiato nel riflesso delle pozzanghere.

Si riscosse un momento quando udì urlare il padre. Stavolta forse era per la legna del camino che non scaldava abbastanza, oppure per una sedia che sicuramente era stata messa apposta dove lui stava camminando.
Severus si sforzò di non ascoltare, non voleva i particolari, conoscerli non avrebbe reso l’atmosfera migliore. Si strinse i palmi aperti sulle orecchie coperte dai lunghi capelli lisci mentre l’ultimo alone scompariva restituendogli la vista della ciminiera lontana.

Alitò sul vetro più volte, rapido e con più intenzione, disegnando velocemente col dito una forma tondeggiante.
Un giorno sarebbe stato suo il calderone panciuto che sua madre aveva usato da ragazza, a Hogwarts.
Di nascosto, ogni tanto andava a toccarlo, facendo scorrere il dito sul bordo, saggiandone la forma rotonda col palmo della mano aperta, percependone la ruvida superficie. Era vecchiotto, con graffi e qualche piccola ammaccatura qua e là, annerito sul fondo. Lo faceva risuonare di un timbro profondo colpendolo delicatamente con le nocche, sentendone le vibrazioni svanire mentre venivano assorbite dal contatto con la sua mano.

Si beava nei pensieri che quell'oggetto faceva scaturire come un'onda in piena, ma non aveva nessuno con cui parlarne, sua madre era sempre più stanca delle sue domande, spesso reagiva con fastidio e Severus aveva dovuto imparare a reprimere la sua frenesia, limitandola a pensieri solitari.

Se quella bambina... Per settimane era tornato al parco, a osservarla, poi erano arrivati i mesi freddi e non l'aveva vista più, anche se aveva sperato l'impossibile. Ora sapeva che aspetto aveva, l'aveva vista bene in viso. Aveva la pelle rosea e occhi dalla forma allungata, di un verde chiaro e puro. Le sopracciglia vi disegnavano sopra due archi rossicci delicati e leggeri, il naso era piccolo e aggraziato, l'espressione dolce e curiosa.

L’alone sulla finestra era svanito. Fiatò di nuovo sul vetro e l’immagine sbiadita del calderone riapparve, come una magia, come la magia che un giorno sarebbe stata contenuta, per davvero, in un calderone reale, pieno degli ingredienti che lui avrebbe accuratamente scelto e dosato, mentre lingue di fuoco l’avrebbero lambito, guizzando vive sotto il suo fondo.

***


La luce delle torce riverberava riflessi giallognoli sulle pareti di pietra, lungo le quali i passi dei ragazzi e il fruscio delle loro vesti sembravano moltiplicati dal loro stesso rimbombo. Avevano iniziato a percorrere corridoi e altre scale che scendevano, ore strette e ripide, ora più larghe e dai gradini bassi e piatti. Severus si guardava bene intorno, per registrare il percorso, come gli altri piccoli del primo anno, alcuni dei quali sembravano un po’ smarriti dalle continue svolte e discese.

“Non è complicato raggiungere la sala comune” stava dicendo Malfoy.
“Qui -a differenza di quanto accade a quelli che stanno nelle torri- “ (e la voce strascicata si velò di disprezzo) “le scale non si permettono di cambiare posizione e confonderci.” Qualche sogghigno attraversò la fila.
Severus si chiese con apprensione se Lily fosse già arrivata nella sua sala comune (chissà dove si trovava esattamente…) o stesse vagando a vuoto su scale che si spostavano di qua e di là.
Lucius Malfoy camminava spedito con la punta della bacchetta accesa, per illuminare meglio il suo percorso e anche alcuni degli studenti più grandi le avevano accese.

Quando Severus se ne rese conto, si sentì attraversare da una voglia improvvisa: sentì la bacchetta battergli ritmicamente contro le costole e pensò di accenderla anche lui. “Lumos” era l’incantesimo, lo sapeva, anche se non l’aveva mai praticato.
Concentrato su questo pensiero e mordendosi il labbro inferiore, assaporando l’idea di usare per la prima volta la sua bacchetta a Hogwarts, fece per infilare la mano nella divisa, proprio mentre voltavano un angolo. Non si accorse che la fila si era fermata e andò a sbattere con la testa abbassata contro un ragazzo alto e secco, che si girò, guardandolo con un sopracciglio alzato.

“Scu-scusami” disse subito Severus.
Il ragazzo lo fissò, non gli disse nulla e gli voltò le spalle.
“Quello è Nott” gli sussurrò con ossequio un bambino dai capelli scuri che gli invadevano disordinati la fronte.
Severus non diede particolari reazioni, cosa che stupì il ragazzino.
“Non sai chi è?!”, bisbigliò incredulo e con una sfumatura di sospetto.
Severus si sentì a disagio.
Sebbene fosse un mago e sapesse tutto del mondo magico, la sua infanzia era trascorsa nel mondo babbano, senza alcun legame né contatti con altre famiglie magiche. Dal tono del ragazzino comprese che Nott doveva essere un cognome di tutto rispetto.

“Ascoltatemi bene tutti quanti”, parlò Lucius Malfoy alzando leggermente la voce. “La parola d’ordine per entrare nella sala comune è Supremazia.”
Appena la disse, una porzione della parete liscia davanti a cui si erano fermati prese a scivolare di lato, rivelando un’apertura nascosta. I ragazzi sciamarono dentro, più disordinatamente di come avevano marciato fino a quel momento.
Appena entrato, Severus si riempì gli occhi di decine di particolari.

Per quanto si fosse figurato infinite volte la stanza attraverso i racconti di sua madre, vederla, esserci, era un’altra cosa.

Il primo dettaglio che lo colpì fu la luce verdognola che avvolgeva tutto: non proveniva soltanto dalle lampade e dai candelieri appesi al soffitto basso con catene scure, ma sembrava quasi emanare da ogni singolo oggetto e mobile nella stanza, perfino dai muri.
Sui due lati più lunghi della spaziosa sala rettangolare erano disposti a intervalli regolari grandi camini di marmo, decorati da sculture che rappresentavano strani animali fantastici o maghi e streghe dall’espressione dura. Fuochi scoppiettanti vi ardevano, intensificando la luce verdastra della sala comune; dopo il dedalo di corridoi e scale buie, quella luce dolente sembrava perfino forte.
Tavoli scuri, con le gambe sottili e dagli intagli elaborati erano disposti ordinatamente al centro, quasi a imitare in miniatura la Sala Grande, attorniati da sedie rigide e dallo schienale alto. Scaffali e vetrinette riempivano gli spazi vuoti tra un camino e l’altro e al loro interno vi erano allineati strani oggetti opachi o sinistramente luccicanti, mucchi di pergamene fittamente scritte, barattoli impolverati e pieni di oggetti o liquidi indefiniti, perfino qualche teschio giallastro e privo di mandibola.
La porta d’ingresso, vista dall’interno, era pesante, massiccia e attraversata da grossi inserti di ferro tra le decorazioni del legno scuro intagliato.
Il pavimento di pietra era ricoperto da numerosi tappeti, di fattura preziosa e dai disegni complicati che sembravano raffigurare scene di battaglie o duelli magici, simili ai soggetti dipinti nei quadri appesi nella parte più alta delle pareti, dominati da tinte buie e circondati da spesse cornici impolverate.

Una catena traslucida passò davanti agli occhi di Severus che ebbe un sussulto di sorpresa, distogliendo lo sguardo dall’osservazione della sala comune. La catena pendeva da un fantasma dall’aria emaciata e che vestiva abiti chiazzati in più punti da grosse macchie d’argento. Le vesti erano eleganti e ricche, ma l’espressione sofferente e lo sguardo quasi feroce, rendevano l’aspetto generale dello spettro tutt’altro che rassicurante. Il fantasma fluttuò via, apparentemente senza degnare della minima attenzione i nuovi studenti, né nient’altro nella stanza.
Severus sapeva chi era, era il Barone Sanguinario. Dunque, era fatto così.

Era straordinario veder disegnarsi davanti ai suoi occhi tutto ciò che per anni era stato fantasia; meraviglioso veder prendere forma concreta ciò che per anni era stato solo pensiero, desiderio, attesa bruciante. Una felicità entusiasta prese possesso della sua mente e desiderò con tutta l'anima di potersi voltare e trovare Lily lì accanto per poterle dire con gioia “Hai visto?” E lei gli avrebbe sorriso di rimando, eccitata quanto lo era lui, e la luce verde della stanza avrebbe moltiplicato all’ennesima potenza il colore bellissimo dei suoi occhi, che sarebbero stati luminosi e incantati...

“Potete accedere ai vostri dormitori dalle porte in fondo” annunciò Malfoy rimasto in piedi davanti ai piccoli accanto a una ragazza dal viso rincagnato che portava anche lei una spilla da prefetto; un paio di bambini tesero il collo per vedere meglio.
Alcuni dei ragazzi più grandi si erano già diretti verso due porte in fondo alla sala, ma la maggior parte si erano accomodati sui divani e sulle poltrone sparsi qua e là davanti ai camini o si erano riuniti a gruppetti, chiacchierando vivacemente.

Lucius si rivolse al bambino che aveva parlato a Severus fuori dalla porta della sala comune: “Bene, Mulciber, benvenuto tra noi.”
E poi, rivolto a un bambino dal viso pallido e i capelli castani: “E anche tu, Avery.”
Un sorrisetto di approvazione gli incurvò un angolo della bocca, dopodiché Lucius raggiunse un divano di fronte al camino più vicino abbandonandosi mollemente con un braccio disteso sullo schienale, vicino alla ragazza con i lunghi capelli biondi e l’aspetto altero che si chiamava Narcissa e che sedeva rigida osservando assorta il fuoco, lisciandosi ritmicamente una ciocca di capelli.

I due bambini cui Malfoy si era rivolto si scambiarono uno sguardo di intesa venato di un che di superbo, poi: “Tu come ti chiami?”, fece il ragazzino bruno.
Lui sentì per un attimo un po’ di apprensione e rispose: “Severus.”
Quando i due bambini rimasero in attesa, guardandosi velocemente per la seconda volta, stavolta con un’ombra di sospetto...
“Piton”, continuò, a voce un po’ più bassa, quasi di malavoglia, come fosse un’ammissione sconveniente e deglutendo mentre spiava la loro reazione.

A quanto pareva i due non erano rimasti granché colpiti dal suo cognome: era chiaro che non era tra le loro conoscenze (oltre le quali per loro -Piton ne era certo- non c’era da abbassarsi a perdere tempo) e forse si stavano chiedendo se fosse un babbano, a giudicare dalle occhiate guardinghe e indagatrici con cui lo fissavano.
Per un momento non sentì più le gambe e, fingendo un agio che non provava, in fretta aggiunse: “Mia madre è stata in Serpeverde e mi ha detto che questa sala si trova sotto il Lago Nero.”

Qualcosa si rischiarò sui volti dei bambini e il dubbio e la diffidenza furono sostituiti da un’espressione più disponibile. Mulciber posò un braccio attorno alle spalle di Severus e cominciò a dirigersi verso i dormitori, spingendolo con cameratesca confidenza, seguito da Avery.

“Scommetto che quei miserabili elfi domestici non hanno scaldato abbastanza le stanze”, stava dicendo Malfoy a Narcissa, mentre superavano il loro divano. La punta dei suoi stivali batteva nervosa sul tappeto che ne attutiva il suono. La risposta di Narcissa, che replicò qualcosa a voce più bassa, si perse mentre loro raggiungevano la porta in fondo a destra.

“Gli elfi domestici non sono dei che dei poveri rifiuti” ridacchiò Mulciber all’orecchio di Severus ed aprì la porta dei dormitori. “A casa ne abbiamo uno che lavora solo se lo prendi a calci”, proseguì sospirando con noncuranza.

Pochi gradini larghi introducevano a un lungo corridoio, illuminato, come la sala, da candelieri di ferro appesi al soffitto e decorato da ritratti di ragazzi in divisa scolastica, con lo stemma di Serpeverde e la spilla da prefetto sul petto. Alcuni erano molto vecchi e scrostati e le targhette che riportavano i loro nomi parevano essersi consumate.

Mulciber si arrestò con Severus davanti a una porta scura e fece per entrare, quando si accorse che Avery si era fermato davanti a uno dei ritratti. Mollò la spalla di Piton.

“Chi è, tuo padre?” chiese, mentre si avvicinava ad Avery. Severus si sentì di nuovo a disagio.
“Non sapevo che fosse stato prefetto!” continuò Mulciber, grattandosi il collo.
“No, no. Non è mai stato prefetto…”
“Bah, neanche il mio” disse subito Mulciber soffocando uno sbadiglio. Severus si sentì inspiegabilmente sollevato.
“…ma questo è… Lui…” continuò Avery abbassando improvvisamente la voce.
“Davvero?” Mulciber fissò di scatto la tela.
“Sì, me l’ha detto mio padre.” La voce di Avery era impercettibile.

Severus si avvicinò ai due timidamente, fermandosi alle loro spalle.
Il volto pallido di un giovane molto bello, dai lineamenti finemente cesellati e dai capelli bruni, li osservava con occhi penetranti e un’espressione superba che in certi momenti sembrava accendersi di un repentino guizzo rossastro. Indossava la divisa della scuola con fierezza regale e teneva le braccia conserte. In una mano dalle lunghe ed eleganti dita bianche stringeva una bacchetta e quando aprì le braccia come a voler scacciare quegli spettatori troppo insistenti, un anello d’oro con una pietra nera brillò all’altra mano.

“Dicono che discenda proprio da Salazar Serpeverde” stava dicendo Avery con reverenza e sempre a voce bassissima, mentre con Mulciber si allontanava dal ritratto.

Severus abbassò gli occhi sulla targhetta, ma era impossibile leggervi il nome. Sottilissimi graffi la coprivano e a prima vista potevano sembrare frutto di una normale usura. Eppure non sembrava tanto vecchia e a ben guardare... c’era qualcosa di meticoloso in quella cancellazione.

Fissò per un momento il giovane negli occhi, sentendosene trafitto.
Con un balzo fu di nuovo accanto ad Avery e Mulciber che ancora parlottavano fitto sottovoce ed entrò con loro nella camera da letto.
 
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Camelia.
view post Posted on 14/7/2013, 17:21




Capitolo IV



Li accolse il crepitìo della legna nel camino, alla loro sinistra.
Severus si immobilizzò sulla soglia e i suoi occhi neri perlustrano impazienti una stanza spaziosa. Certo, c’era molto meno da vedere rispetto alla sala comune: per quanto arredata con mobilio di ottima fattura, la camera da letto al confronto sembrava quasi spoglia.
Sui lati non occupati dal camino, tre alti letti si protendevano verso il centro della stanza, massicci, dalla struttura solida in legno scuro decorato. Ciascuno era sormontato da un baldacchino da cui pendevano pesanti tende di velluto verde, con fragili frange argentate che catturavano la luce tremula del camino, dando l’impressione di muoversi, come fossero vive. Una spessa coperta lunga fino a terra, copriva i letti in un abbraccio rigido. Anch’essa era verde e recava al centro lo stemma della Casa da cui si diramavano sinuosi ricami d’argento come sottili serpenti che andavano a confondersi con i disegni dei tappeti sul pavimento.
Una cassapanca di legno scuro era sistemata ai piedi di ogni letto; sopra vi erano disposti cuscini di seta frangiati che riprendevano i colori e i motivi della coperta.
Tre tavoli scuri, simili a quelli della sala che avevano appena lasciato, ma più piccoli, erano addossati al lato sinistro di ciascun letto, vuoti, a parte una serie di candele e un candelabro di ferro. Su ogni tavolo era accesa una piccola lanterna che gettava ombre rossastre sulla superficie lucida.
I bauli erano stati sistemati all’altro lato dei letti.

“Che fai, non chiudi?” chiese Avery.
Assieme a Mulciber si era accomodato in una delle poltroncine verdi di fronte al caminetto e stuzzicava le fiamme con un attizzatoio, provocando guizzanti scintille rosse che svanivano subito, inghiottite dall’aria.
Severus si riscosse dal momento di totale beatitudine che lo aveva avvolto.
Si voltò a chiudere la porta e il piccolo rumore metallico che ne scaturì serrò fuori tutto -cose, persone e passato- e sancì il definitivo benvenuto di Hogwarts per lui, solo per lui. Con la mano ancora sulla maniglia posò la fronte sul legno della porta, annusandone l'odore antico; chiuse gli occhi e assaporò quell’istante. Era arrivato. Era arrivato a casa.
Sentì le sue labbra stirarsi in un sorriso enorme.

Quasi mai nella vita aveva sorriso così, sentendo la gioia crescergli dentro senza controllo, tanto da doverla sfogare. E quella sera… era già la seconda volta che succedeva.

***



Quando l’Hogwarts Express aveva cominciato a rallentare, una strana frenesia si era impossessata di lui. Lily era appena andata a mettersi la divisa. Tornò e i suoi capelli spiccavano come fiamme sul nero della veste nuova di zecca; quella di Severus era invece più opaca e il suo volto pallido e magro e il naso adunco che sporgeva dai capelli troppo cascanti, non miglioravano il suo aspetto.
Ma nella sua mente si formulò un solo, luminoso pensiero: “Ora siamo proprio uguali!”

Lily era tornata a sedersi davanti a lui, felice e orgogliosa della sua divisa. Stava cercando di infilare la bacchetta nella tasca interna mentre Severus osservava rapito ogni suo movimento.
C’erano quasi, c’erano quasi!
Aveva guardato Lily e nei suoi occhi vi aveva letto lo stesso fermento, ma con un’ombra di timore.
“Che cos’hai?” le aveva chiesto.
Lily si era passata una mano nei capelli, nervosa.
“È che…”, iniziò, guardando fuori dal finestrino il paesaggio scuro, “è che adesso che ci siamo… ho un po’ di paura”, finì precipitosamente.

Qualcosa si sollevò nel petto di Severus. Poteva capirlo: fino all'anno prima lei non sapeva niente di maghi, di incantesimi, di Hogwarts, di lettere portate da gufi, del treno rosso, del Ministero, di Azkaban… lui le aveva spiegato ogni particolare, raccontandole tutto quello che sapeva con la gioia rara che si prova solo quando si condivide una cosa molto cara e preziosa con qualcuno che si sente vicino alla propria anima.

Lily si torceva distrattamente le dita in grembo. Severus si protese verso di lei e posò una mano sulla sua; era morbida e tiepida.
“Non devi avere paura, ci sono io.”
Nonostante fosse solo un bambino, la sua voce era suonata calda e protettiva.
“Va bene?” aveva aggiunto con l’ingenuità trepidante dei suoi undici anni, cercando di guardarla negli occhi.
Lily abbassò la testa, un po’ vergognosa del proprio impaccio. Poi girò la mano sotto la sua, accogliendola per un momento in una stretta delicata, e alzò il viso sorridendo di un sorriso meraviglioso.
“Sì!” aveva esclamato, specchiandosi nei suoi occhi neri.

Aveva staccato la mano dalla sua e se l’era portata al volto assieme all’altra, scoppiando in una risata argentina e battendo velocemente i piedi a terra. Si morse il labbro inferiore con espressione vivace tornando a guardare fuori dal finestrino, rassicurata e serena, e Severus aveva osservato il paesaggio che tanto aveva sognato, scorrere, con contorni sempre meno definiti, riflesso in due iridi verde chiaro, brillanti di curiosità ed eccitazione.

Il fischio improvviso del treno li fece sobbalzare entrambi e dopo essersi scambiati istintivamente un’occhiata, presero a ridere, stemperando la tensione che ormai era palpabile.

Era bello ridere. Era bello ridere con lei.

Sentirono gli altri ragazzi cominciare muoversi negli scompartimenti attigui e in pochi secondi tutto il treno era in fermento, le voci si facevano più concitate e alte, i passi e le corse nei corridoi aumentarono e si fecero più intensi.
Il treno arrivò sbuffando nella stazione di Hogsmeade, “l’unico villaggio completamente magico che c’è vicino alla scuola”, aveva raccontato Severus a Lily.
Stavano entrambi in piedi davanti al finestrino, uno di fianco all’altra. Lo stridìo dei freni si spense negli ultimi sbuffi di vapore e il treno si arrestò completamente. I due bambini si guardarono raggianti e uscirono, percorrendo il vagone un po’ intimiditi tra i ragazzi più grandi che si urlavano dietro e si muovevano con la sicurezza della consuetudine.
Si affacciarono sullo sportello del vagone e l’aria leggermente pungente fece pizzicare loro le guance. Una quantità di immagini li investì nel giro di un istante. Fattorini che scaricavano bauli, civette che sbattevano le ali nelle gabbie, ragazzi che correvano e si abbracciavano, nuvole di vapore che ancora uscivano dalla locomotiva e cancellavano ora le teste ora le gambe di chi ne veniva investito, alberi, panchine di ferro lungo il binario illuminato da lanterne fisse…

Scesero e si mescolarono alla folla brulicante, tenendosi vicini, cercando di risalire il fianco del treno.
“Primo anno di qua!” udirono gridare da una voce profonda e rimbombante.
Allungarono il collo cercando di vedere, ma erano così piccoli in mezzo agli studenti più grandi, che poterono solo dirigersi alla cieca nella direzione della voce. Adocchiarono una lanterna dondolare in alto vicino alla locomotiva e quando si avvicinarono scorsero l’uomo più enorme che avessero mai visto. Una specie di montagna, avvolta in un pastrano che aveva di certo conosciuto giorni migliori e con barba e capelli così folti e incolti da sembrare un groviglio.

“Urca!” esclamò più avanti con impertinenza un ragazzino con gli occhiali e i capelli spettinati, guardandolo da sotto in su.
Severus fu contento di non essere vicino a lui e a quell’altro che l’aveva preso in giro sul treno.
Lily fece un verso di stupore.
“Chi è?” domandò con un filo di voce.
“Primo annooo! Seguitemi!” ripeté l’omone, che a dispetto dell’apparenza aveva però un tono rassicurante e li guardava tutti con benevolenza e calore.
“Quello è Hagrid, il guardiacaccia di Hogwarts” sentirono una bambina dire a un’altra. “Mio fratello me l’aveva detto che ci accompagna lui al castello.”

Rassicurati, Lily e Severus si scambiarono uno sguardo e lo seguirono, imboccando un sentiero tra gli alberi appena fuori dalla stazione. Alcune carrozze che si muovevano da sole stavano già trasportando gli studenti più grandi, su una strada diversa, più larga e sgombra. Il loro sentiero invece era stretto e s’inoltrava tra file di alberi, leggermente in salita.
Marciavano spediti, concentrati nel tenere il passo esagerato di Hagrid, seguendo la fila e la lanterna tenuta alta davanti, gettando ogni tanto un’occhiata di lato o verso il cielo sempre più imbrunito.
Severus non stava nella pelle. Ogni passo era un momento in meno da aspettare, ogni passo segnava l’avvicinarsi definitivo dell’inizio di una nuova vita, migliore, più bella, finalmente degna di essere vissuta in ogni suo istante. Si smarrì in questa eccitazione crescente mentre le scarpe calpestavano un terreno battuto e sassoso, qua e là chiazzato di morbida erba. La veste di Lily frusciava accanto alla sua e sentì che anche il respiro di lei accelerava per la camminata e la trepidazione.

“Sarà bellissimo, vedrai” le disse fiducioso.
Si stavano per avverare i suoi sogni e anche le promesse fatte a Lily.
Una volta lei gli aveva chiesto se fosse tutto vero, se non le stava raccontando bugie. Sua sorella le aveva messo in testa quell’idea, sua sorella che non capiva niente e non sapeva niente, quell’antipatica che aveva rovinato l’inizio del viaggio verso Hogwarts facendola piangere. Tunia-Petunia. In realtà era invidiosa, se la prendeva perché era solo una babbana e voleva essere una maga, come lui, come Lily, e li aveva pure spiati per questo. Come se lui e Lily potessero mai avere qualcosa da spartire con una come lei. Aveva perfino scritto al professor Silente per supplicarlo di ammetterla alla scuola, roba da non credere.
“Io lo so chi sei, sei il figlio dei Piton…” “Abitano giù a Spinner’s End…” “Cos’è che hai addosso, la camicetta di tua mamma?” Ancora sentiva un fiotto di rabbia quando ci pensava.

“Severus, guarda!!”
Il sentiero era terminato e una striscia di terra sgombra di alberi si stendeva ai margini di uno specchio d’acqua. E oltre la riva del grande lago dalle acque scure e placide... bello e imponente si ergeva sulla cima di una montagna il castello di Hogwarts.
Si stagliava contro il cielo di una sfumatura appena più chiara, immobile sotto le nuvole che muovendosi lente ne facevano risaltare i contorni netti e scuri, torri e torrette a spezzarne la rigidità, file e file di finestre ordinate che lasciavano scappare fuori nella sera la luce interna, piccoli rettangoli incendiati di un bagliore brillante: ciascuno, una scheggia luminosa che andava a spazzar via prepotentemente ogni mattone grigio di Spinner’s End, ogni urlo di Tobias Piton, ogni lacrima di angoscia e dolore caduta di nascosto, ogni goccia di pioggia grigia, ogni istante trascorso unicamente nel far passare se stesso.

Era l’immagine, reale, di tutti i suoi desideri.

Severus aveva sentito uno scoppio di esultanza accendergli le viscere di un calore intenso e non aveva potuto reprimere un saltello mentre sulla sua bocca sentiva allargarsi qualcosa che fino ad allora aveva provato una sola volta nella vita, un sorriso smisurato, carico del senso -finalmente- di tutta la sua esistenza. Eccolo.

“Lily!!!”
E non fu un grido sommesso, né un sussurro reverente, ma il sospiro grato e denso di chi torna a galla dopo aver rischiato di affogare.
Lily sorrise, con gli occhi che luccicavano.
Tutto in quegli anni e in quella giornata era accaduto solo per arrivare a quel momento.

Severus tornò a guardare il castello che sembrava fuso nella roccia e che si rispecchiava ribaltato nelle acque del lago, accendendone la superficie scura e immobile delle sue luci calde.
Una serie di piccole barche li aspettavano.
I due bambini antipatici del treno ci saltarono letteralmente dentro, facendo un gran baccano e increspando l’acqua di piccole onde, ridendo sguaiati, gli idioti. Lily li guardò appena con riprovazione mentre Hagrid faceva salire tutti gli altri, quattro per volta, e si accomodava poi da solo nell’ultima barca che iniziò a muoversi e parve trascinare dietro di sé tutte le altre in silenzioso corteo.

Severus e Lily stavano a prua di una delle barche centrali, dietro di loro sedevano altre due bambine che lui non guardò neppure. Momenti di estatico immobilismo a fissare il castello si alternavano a frenetici sguardi tutt’intorno, come se temesse di non aver abbastanza tempo per registrare l’aria, i contorni irregolari del lago, il profilo delle montagne pennellate sull’orizzonte, l’acqua che scorreva veloce sotto di loro mentre la barca ne fendeva dolcemente la superficie, Lily accanto a lui.
Lei era una maschera di meraviglia e dolce stupore; la sua bocca era leggermente socchiusa, tratteneva il respiro e a malapena sbatteva le palpebre, quasi avesse paura di far svanire l’incanto di quella visione.
Severus si era proteso in avanti e aveva infilato le dita nell’acqua fresca. Stava toccando la stessa acqua che lambiva la roccia su cui si innalzava il castello, era il suo primo, vero, contatto con Hogwarts. Inclinò diverse volte la mano per sentire la carezza dell’acqua scorrerci sopra. Anche Lily tuffò la mano nel lago e la felicità le riempì gli occhi verdi sgranati e affascinati.

Un rumore d’acqua che non poteva essere provocato dalla loro processione fece voltare tutti i bambini a sinistra. Un imponente tentacolo uscì dal lago, luccicando per un istante immobile nell'aria e inabissandosi subito dopo in curve sinuose. Qualche gridolino ruppe il silenzio e Lily e Severus ritrassero le mani dall’acqua.
“È la Piovra Gigante”, sentirono sussurrare con vaga inquietudine da una barca vicina.
“Ci ha detto ciao” disse Lily stringendosi nelle spalle con un sorriso.

Poi il buio li inghiottì sotto una cortina d’edera che sfiorò i loro capelli. Severus poteva solo percepire la presenza di Lily accanto a lui.

***



“Mio padre conosce i Black, ero certo che quel Sirius sarebbe finito qui. Io sarei scappato da scuola se quel vecchio capello mi avesse mandato a Grinfondoro, ma te lo immagini? In mezzo ai babbani!”
Avery annuì con un verso di disgusto.

Severus riaprì gli occhi e si voltò scostandosi i capelli unticci dal viso. Anche lui era contentissimo di non essere finito a Grifondoro, la Casa dei tronfi senza cervello, eppure il sorriso immenso e beato che aveva appena colorato il suo pallore si raffreddò in una morsa di sgomento che gli attraversò fulminea lo stomaco.
Abbandonò la porta della camera e si diresse alla parete di fronte, verso il letto con il suo baule accanto.
I due compagni lo seguirono in silenzio con lo sguardo, poi avvicinarono le teste e ripresero a confabulare bisbigliando tra loro.

“Com’è che hai detto che si chiama tua madre?” Mulciber ora aveva parlato forte, torcendosi sulla poltrona per guardarlo.
Severus si era inginocchiato davanti al baule, che la luce del camino faceva sembrare più malconcio e particolarmente vecchio, se paragonato a quelli lucidi e nuovissimi dei suoi compagni.
Sentì un vago sentore inquisitorio nella domanda.
Tuttavia, o forse proprio per questo, si rialzò e fissando Mulciber dritto negli occhi rispose: “Prince. Eileen Prince.”
“Tuo padre è un babbano, vero?” incalzò Avery senza il minimo tatto e senza nemmeno provare a nascondere un sorrisetto presuntuoso.

Non era una domanda, era un'affermazione.

Avery era accoccolato nella poltrona di fianco a Mulciber e in un solo istante si creò uno spazio immenso tra la loro complice vicinanza e Severus in piedi, da solo, il riflesso delle fiamme che producevano strane ombre sul naso e sulla pelle del viso libera dai capelli che gli ricadevano in avanti, nascondendone la gran parte.
Non c’era nulla che lo accomunava ai loro vestiti nuovi, alla loro aria pasciuta, ai loro occhi beffardi; lui era piccolo e magro nella sua divisa opaca, lui era diverso, lui non era un purosangue.
Sentì il respiro bloccarsi, le dita chiudersi e i denti serrarsi sulla lingua.
Lui e loro, due mondi separati.

“Ma io sono un Serpeverde” pensò con rabbia mentre le unghie affondavano nel pollice piegato e un sopracciglio si aggrottava “Mio padre non c’entra con Hogwarts…”

Nell’attimo in cui accadde tutto questo, un crepitìo più forte e uno schiocco li fecero voltare tutti e tre verso il camino. Un ciocco di legno ardente era saltato fuori ed era caduto sul tappeto, incendiandolo.
“AAH!”
Avery e Mulciber istintivamente si sollevarono sulle poltrone ritraendosi sugli schienali, spaventati, ma Severus, senza nemmeno rendersi conto di cosa stava facendo, aveva già estratto la bacchetta dalla veste puntandola con precisione contro le lingue fuoco.

FLAMAS EXTINGUO!”

Aveva parlato chiaramente, quasi con calma, ma con risoluta decisione.
Una scintilla azzurrognola scaturì dalla punta della bacchetta che stringeva con sicurezza e colpì il ciocco e il tappeto, spegnendo le fiamme all’istante. Un leggero fumo scuro si levò dal legno annerito e dal tappeto bruciato.

Lentamente, con gli occhi spalancati e increduli, Avery e Mulciber si voltarono verso di lui.
Severus aveva ancora il braccio teso e ansava irrigidito, fissando il punto che aveva colpito con l’incantesimo, con una smorfia sul volto che era un misto di sorpresa ed esultanza. Sollevò gli occhi a guardare i compagni.
Sulle loro facce ancora impaurite per il fuoco e stupite per la sua reazione, tanto veloce quanto naturale, lesse una nuova ammirazione ed esultò nell’intimo.
Tuttavia, niente di tutto questo tumulto interiore trasparì dai suoi occhi neri, che anzi si velarono di freddo distacco, come se ora fosse lui a decidere la distanza tra sé e gli altri due. Sebbene fosse il più piccolo dei tre, improvvisamente sentì di riempire la stanza con la sua presenza.
Strinse più forte la bacchetta nel pugno.
“Ehi, mezzo Prince…”, fece Mulciber con rispetto, ancora a bocca aperta.

Era a Hogwarts.
E quella era la sua camera. Un posto che gli apparteneva, non più un rifugio squallido in cui sfuggire da qualcosa, in cui rintanarsi cercando di non sentire le urla di Tobias Piton. Uno spazio da occupare a pieno diritto.
Aveva appena compiuto la sua prima magia.
 
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Camelia.
view post Posted on 15/7/2013, 19:32




Capitolo V


Con un movimento lento, Severus ripose la bacchetta all’interno della veste. La sentì scivolare placida e silenziosa.

***


Eileen invece, l’aveva nascosta in fretta appena le fiamme si erano spente.

Stava cercando di tamponare la finestra rotta da Tobias, che in uno scoppio d’ira aveva lanciato a caso il primo oggetto che gli era capitato tra le mani.
Quella giornata particolarmente ventosa era anche molto fredda fin dalla mattina, tanto che l’umidità dell’aria era simile a sottile nevischio. Un vento gelido aveva preso ad entrare dall’apertura irregolare nel vetro, riuscendo a rendere la povera cucina ancora più inospitale del solito.
Severus si strinse un vecchio cappotto liso addosso mentre osservava la scena. Aveva cercato di uscire dalla cucina quando aveva capito che la collera paterna stava raggiungendo il culmine; pur se affamato, era stato disposto a rinunciare alla zuppa insipida che riempiva il piatto scheggiato davanti a lui ed era sceso dalla sedia non appena il vetro era andato in pezzi con fragore e sua madre aveva lanciato un grido.
Il movimento però non era sfuggito a Tobias, la cui furia parve aumentare. Tutto in quei momenti diventava motivo di rabbia maggiore, tutto colpa altrui e pretesto per ulteriori sfoghi violenti.

“Dove diavolo credi di andare tu?” ringhiò.
Severus si bloccò, con la mano sulla spalliera della sedia. Eileen trattenne il respiro, voltandosi spaventata e facendo saettare velocemente lo sguardo tra i due.
Per alcuni secondi il tempo parve rimanere sospeso alle occhiate feroci che padre e figlio si scambiavano senza sbattere le palpebre e a quelle ansiose della madre. Nessuno parlava. L’unico rumore era quello del vento che entrava prepotente e faceva ondeggiare i capelli del bambino coprendogli e scoprendogli gli occhi puntati sul padre.
Tobias sembrava indeciso su come comportarsi e nell’attesa non si mosse né disse altro. Poi afferrò il tovagliolo e per un attimo lo strinse forte come se così potesse far del male sia a sua moglie che a suo figlio. Si girò di scatto gettandolo via con un verso di stizza.
“Dannazione!”

Non guardava cosa stava facendo.
Eileen tornò a fissare la finestra rotta, chiudendo per un secondo gli occhi e accogliendo la sferza del vento freddo sul volto sciupato e smunto con un’espressione quasi grata. Severus allentò la presa sulla sedia.
Ma il tovagliolo era caduto vicino a una fiamma accesa sul fornello e il fuoco sbocciò come all’improvviso, sviluppandosi rapido piegato dal vento che, spingendolo di lato, sembrava farlo crescere con un rumore caldo e minaccioso. Un odore acre investì i tre.
“Ma che cos…” iniziò a dire Tobias, mentre lingue guizzanti iniziavano a lambire la vicina credenza di legno.

Le parole uscirono dalla bocca di Eileen prima ancora che Tobias avesse capito cosa stava succedendo.
Un lampo azzurro lo fece sussultare e, un attimo dopo, fissava un mucchietto di stoffa bruciata fumante e delle striature nere sul mobile accanto.
Quando si voltò verso la moglie, vide due occhi scuri spalancati, enormi nel viso pallido e magro.
Eileen sembrava una statua scura, il braccio era teso e immobile, soltanto la manica cascante della sua veste ondeggiava mossa dal vento alle sue spalle; nell’attimo in cui incrociò lo sguardo del marito, la bacchetta che stringeva nella mano cominciò a tremare leggermente e venne precipitosamente nascosta sotto l’abito.
Fu velocissima, ma era troppo tardi.
Il panico attraversò i suoi occhi, rendendoli ancora più grandi.
Poi Severus sentì il tavolo spostarsi con rudezza e vide mulinare le braccia di suo padre mentre suoni sgradevoli prendevano a uscire dalla sua bocca, i denti digrignati. Sua madre parve rimpicciolire e tentò una difesa a mani nude, senza neppure azzardarsi a riprendere la bacchetta.
Lei lo sapeva e anche Severus lo sapeva… avrebbe potuto ridurre Tobias alla totale impotenza, ma negli occhi di Eileen c’erano soltanto infelicità e sconfitta. Balbettava parole inutili, terrorizzata, cercando di respingere l'uomo che le era piombato addosso.

“Smettila!”

Tobias si voltò stupefatto, con le mani ancora serrate a pugno sul vestito della moglie, che pareva semisvenuta da quanto era inerte e priva di volontà, mentre il marito la scrollava come un oggetto.
“Cosa…?” fece l’uomo, mettendo a fuoco il figlio. "Come osi, tu??" urlò poi, senza mollare la presa su Eileen.
Severus lo guardava con un odio bruciante, sentiva la pelle tendersi sui pugni magri sempre più serrati e la brocca esplose sul tavolo, facendo sussultare entrambi i suoi genitori. Un ultimo filo nero di fumo si levò dal tovagliolo bruciato e si disperse nell’aria. Eileen ebbe solo la forza di un gemito appena percettibile mentre il figlio usciva di corsa dalla cucina.
“Quell’inutile, dannato ragazzino!” stava gridando Tobias “...È tale e quale a te!!”

***


Sì, Severus era esattamente come Eileen Prince.
Ma a differenza di lei, non doveva occultare la bacchetta come se fosse un oggetto proibito. La stava mettendo via, non la stava nascondendo.
Pur se celata, continuava ad essere lì, vividamente presente, ad affascinare Avery e Mulciber tanto quanto lui era stato affascinato dalla luce azzurra che era uscita da quella di sua madre, mentre lei pronunciava l’incantesimo.
E ora non sarebbe scappato, non ce n’era bisogno, lì.

***


Era corso nella sua camera e vi si era chiuso.
Sapeva che suo padre non sarebbe venuto: era solito urlargli addosso, minacciarlo verbalmente, far tremare la porta nei cardini con colpi violenti e furiosi, ma non avrebbe tentato di entrare, non si sarebbe azzardato. Da tempo non gli si avvicinava, da tempo non osava più toccarlo. Quell’onore lo riservava solo a Eileen.

Severus si posò di schiena sulla porta chiusa che non era abbastanza spessa da escludere le suppliche di sua madre, né ciò che il padre le stava facendo. Stringeva spasmodicamente gli occhi, come se così potesse non sentire.
Trasse un respiro tremante e, senza rendersene conto, con un piccolo tonfo sordo colpì il legno vecchio e rovinato con la nuca. Aprì gli occhi. Un secondo tonfo, lento, poi un terzo, più veloce. Quattro, cinque, sei volte, sempre più forte, ora cosciente di quel che faceva, i capelli lisci e sporchi che seguivano il movimento della sua disperazione.
Era stanco. Piegò le gambe, scivolando a terra. Si abbracciò le ginocchia e vi posò la fronte, chiudendosi in uno spazio protetto, mentre i capelli neri ricadevano sulle maniche del cappotto come rivoli di inchiostro denso.
Cercò di controllare il respiro.
Hogwarts.
A Hogwarts non ci sarebbe stato nessuno come Tobias Piton. Nessuno. Sarebbero stati tutti come lui, come Eileen, come… come quella bambina.
Desiderò che fosse primavera, desiderò poter andare al parco, a cercarla, ad osservarla. A desiderarla.

***


Il suo sguardo freddo e impassibile era ancora posato sui due compagni, ma non li vedeva. Mentre faceva ricadere distrattamente il lembo della veste, la sua mente fu attraversata da un unico pensiero.
Pensava al domani, pensava a quando avrebbe raccontato tutto a Lily.
Qualcosa di fresco e benevolo prese a galleggiargli nel petto.
 
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Camelia.
view post Posted on 17/7/2013, 16:26




Capitolo VI


Si voltò e tornò a chinarsi di fronte al suo baule. Anche se dava loro le spalle, poteva sentire Avery e Mulciber scambiarsi muti messaggi, ancora ammirati e colpiti dal suo incantesimo. Sentì il cuore saltellargli dentro con una contentezza venata di trionfo, una sensazione strana, nuova, che però non trasparì minimante nel suo contegno all’apparenza indifferente. Adesso non contavano più la purezza del suo sangue né il suo cognome babbano: suo padre era stato cancellato per sempre, ne era certo.

“A tuo papà non piace la magia?” La voce di Lily gli riempì le orecchie come fosse accucciata accanto a lui.

***



Gli piaceva la sua voce: a volte, quando andava al parco a cercarla, dopo averla adocchiata, si sedeva dietro al solito cespuglio rimanendo ad ascoltarla e basta, sforzandosi di isolare il suono della sua voce tra quello di tutti gli altri bambini e sorridendo tutte le volte che riusciva a distinguerlo.
Severus restava seduto a giocherellare con sassi e bastoncini che usava come finte bacchette o per fare disegni sul terreno polveroso. Immaginava di avere quella bambina accanto e di parlare con lei di Hogwarts. Ormai era sicuro che fosse una strega, non potevano esserci dubbi, l’aveva osservata troppo spesso per potersi sbagliare.

Il giorno che ne era stato certo era anche stato il giorno in cui aveva imparato il suo nome.
Era una di quelle volte in cui a Severus non era bastato sapere che lei era lì, al parco, e che poteva sentirla senza farsi vedere: quel giorno aveva voglia di guardarla e fu tutto reso più semplice dal fatto che il tempo era nuvoloso e minacciava pioggia, per cui al parco non c’era nessuno a parte due bambine e un vecchio che passò lentamente con un piccolo cane al guinzaglio, che procedeva annusando frenetico ogni cosa.
Severus lo vide puntare verso le due sorelle e mentre la maggiore si ritrasse tormentandosi nervosamente la fine della lunga treccia che le pendeva dalla spalla, la più piccola si chinò ad accarezzarlo.
Il cane scodinzolò come un matto ed abbaiò quando il vecchio padrone prese a trascinarlo via, dirigendosi verso l’uscita.

“Non dovresti toccare gli animali”, disse astiosa la bambina più grande, incrociando le braccia.
“Ma non mi ha fatto niente!”
“Potrebbe avere le pulci, sai?” il tono era alquanto seccato e petulante; la sorella maggiore pareva trarre piacere nello sgridare la minore.
“Ma no, Tunia, che dici…” fece questa, con una scrollata di spalle e una risatina.
Si voltò e prese a saltellare come se stesse giocando a campana. L’altra la guardava con rancore.
“Io non ci volevo venire, perché sei voluta uscire?”
A quanto pareva, Tunia aveva voglia di litigare o quanto meno di costringere la sorella a condividere con lei i sentimenti animosi che la rendevano tanto ostile.
“Ma Tunia, è così bello quando non c’è nessuno!”

Severus si mise seduto sulle ginocchia senza far rumore e spiò meglio attraverso i rami del cespuglio. Si sollevò un poco per inquadrare più agevolmente uno spicchio di parco tra le foglie, puntellandosi sulle mani. Sentiva dei sassolini pungergli le ginocchia attraverso la stoffa consunta di un vecchio paio di pantaloni scoloriti, ma non si spostò, né cercò una posizione più comoda. Respirava molto lentamente, spesso trattenendo il fiato, completamente concentrato nella sua osservazione.

La bambina si era messa a ballare, girando su se stessa con grazia e canticchiando una melodia a lui sconosciuta. Ogni tanto rideva e la gonna si gonfiava e si sgonfiava seguendo i suoi movimenti. I capelli non brillavano sotto il cielo plumbeo, ma risaltavano comunque nell’aria senza sole: una soffice macchia rosso scuro che fluttuava in mezzo al grigio, aprendosi su un volto illuminato da un’espressione furbetta e spensierata.

Si udì un brontolio lontano.
“Ecco, lo senti? Tra un po’ farà temporale!”
Petunia batté un piede per terra con stizza e strinse i pugni. Si ostinava a non giocare e non si unì alla sorella nella sua danza allegra.
Non avrebbe potuto comunque.

La bambina ora si era messa sulla punta di un piede e stava facendo una serie di piroette tenendo le braccia aperte e i palmi rivolti al cielo. Erano piroette impossibili da imitare, ora lente, ora veloci, senza che la bambina si fermasse né si desse lo slancio per continuare. Una ballerina di legno dipinto su un carillon, ma con la veste e i capelli che le ondeggiavano morbidi intorno, rendendola viva; ruotava senza fermarsi, tenendosi perfettamente in equilibrio sulla punta della scarpa mentre la sorella maggiore la fissava con un misto di invidia e preoccupazione, scoccando occhiate intorno e con le braccia conserte strette al petto.
Teneva il broncio e quando si udì un secondo brontolio più prolungato mormorò qualcosa come: “Adesso si mette a piovere e ci bagneremo tutte, io l’avevo detto alla mamma. Perché hai insistito? …Mi è toccato uscire, per accompagnare te!”, aggiunse con risentimento, stringendosi il golfino addosso.

Severus si chinò talmente in avanti che alcuni rametti gli toccarono il viso e i capelli che ricadevano flosci sulle guance.
Sentì l’odore delle foglie mischiarsi a quello dell’aria sempre più densa.

“Ma dai, vieni qui… è divertente, Tunia!”
Alle parole seguì una risata argentina e Severus all’improvviso desiderò essere al posto di “Tunia” e poter dire alla bambina con i capelli rossi quant’era brava, prima di unirsi a lei in una gara di piroette magiche e… risate. Era incredibile, Severus immaginò proprio se stesso ridere accanto a…

“LILY SMETTILA!!!”

La voce arrabbiata di Petunia aveva seguito un tuono molto più forte e vicino. Parve anche spezzare l’incanto della danza impossibile della sorella, che si fermò di botto, con un’ombra di dispiacere a velarle gli occhi. Aveva abbassato anche l’altra gamba, tornando a poggiare su due piedi.
Ora il cielo si stava facendo davvero scuro, grossi nuvoloni freddi si muovevano veloci sopra le loro teste e un vento umido fece cigolare le altalene vuote che si mossero leggermente.

“Mi dispiace, Tunia.”
La bambina le si avvicinò, cercando il suo sguardo.
Petunia fece un verso irritato.
“Dai va bene, andiamo a casa” si arrese la più piccola, sorridendo.
Le due sorelle si allontanarono, la maggiore impettita e a passo svelto, l’altra trotterellandole dietro.

Era una strega, non c’erano dubbi, quella bambina era senz’altro una strega!
Severus si sentì invadere da una felicità mai provata prima, una gioia che eruppe dalla sua gola in un grido trionfante, liberatorio. Felice.
Subito si zittì, guardandosi intorno, inquieto. Ma non c’era nessuno, era solo, nel vento che si faceva più intenso.
Solo e con un meraviglioso segreto.

Non aveva mai pensato ad altri bambini maghi, quel pensiero era sempre stato collegato al suo arrivo a Hogwarts, per cui mancava ancora qualche anno.
I racconti e le fantasticherie sulla Scuola di Magia e Stregoneria erano gli unici pensieri positivi di un’esistenza altrimenti priva sia di felicità sia della sua prospettiva. Percepiva e viveva la sua vita come un’attesa lunga e infelice in un mondo babbano e ostile, in cui le uniche -e pure sgradite- presenze magiche erano lui e sua madre; Severus non si era mai posto la questione se la magia potesse abitare anche in quel tempo e in quello spazio. Desideri e speranze erano tutti proiettati nel futuro, la sua vita pareva divisa in un prima fatto di un rassegnato presente e di un dopo a venire, carico di tutta la bellezza che ora non c’era.

Ma quella bambina aveva spazzato via queste certezze, aprendo inaspettatamente anche nel presente una possibilità di grazia. Lei aveva portato la bellezza qui e ora, una luce brillante e calda che si era accesa con dolcezza dove prima c’era freddo e buio.
Severus non si accorse che alcune grosse gocce di pioggia avevano iniziato a cadere rimbalzando sulle foglie e rotolando lungo i suoi capelli.

Lily.

“Li-ly”, mormorò piano, assaporando quelle due sillabe che colpivano lievi i suoi denti.
Gli si allargò un sorriso immenso sul volto pallido.
Con una mano tirò indietro i capelli e inclinò il collo all’indietro, accogliendo sul viso la pioggia che ora cadeva più fitta. Rimase immobile per qualche minuto, allargando le braccia come la bambina aveva fatto nella sua danza, senza rendersi conto del passare del tempo, totalmente sospeso in un niente che era anche tutto e in cui si sentiva leggero e libero. Si riscosse quando ormai era zuppo e rialzò la testa, tornando a guardare nella direzione in cui Lily era sparita. Le maniche del cappotto logoro che indossava, troppo grande per lui, ricadevano molli sulle sue mani, pendendo come il costume di un pagliaccio povero e lacero.
Ma l’espressione del suo viso non era una maschera buffa, bensì un concentrato di elettrizzata eccitazione e, anche se fradicio, con i capelli che ora gli si erano incollati alle guance e le scarpe scassate piene d’acqua… Severus aveva ancora il volto aperto dal sorriso più bello e gioioso di tutta la sua vita.

Prese a correre alzando schizzi d’acqua tutte le volte che calpestava una pozzanghera. Ma non se ne curava, non gli importava. Correva verso casa, per la prima volta non controvoglia ma con una speranza viva e a portata di mano. Concreta e non lontana nello spazio-tempo che sarebbe iniziato una volta compiuti undici anni.
Con Lily, Hogwarts si faceva inaspettatamente più vicina e lui non era più solo.

***



Ricordò tutto questo mentre le sue mani frugavano nel baule e tiravano fuori libri, vestiti, una piuma, della pergamena arrotolata e una boccettina d’inchiostro. Si era voltato un momento e aveva scorto Avery e Mulciber accoccolati sul tappeto a studiarne la bruciatura.
Di nuovo un lampo di trionfo gli attraversò le viscere.
Girò intorno al letto con una pila di libri tra le braccia e raggiunse la scrivania.

Gli altri due bambini, che parevano non aver alcuna intenzione di disfare i bagagli, avevano ripreso a bisbigliare tra loro, ma stavolta Severus sapeva che non parlavano di lui e anche se lo stavano facendo, sarebbe stato con rispetto. In ogni caso, era perso in pensieri più dolci e non badò molto a quanto i due discutevano.

“… e io ho sentito dire che è all’estero.”
“Sì anche mio padre l’ha detto una volta, pare che sia andato in Albania e che prima sia stato anche in Romania”, Avery parlava con un tono ammirato. “Di sicuro ha visto cose che qui a Hogwarts non trovi neanche sui libri.”
Anche Mulciber ridacchiava.

Severus posò i libri e cominciò a sistemarli in ordine sul legno lucido. Li aveva mostrati tutti a Lily, più di una volta, e lei li aveva toccati quasi con timore reverenziale, anche se erano vecchi e rovinati.

***



“Ma anche io li posso comprare?”
“Ma certo!” aveva risposto Severus, annuendo con forza. Quel pomeriggio le spiegò tutto del Paiolo Magico a Londra, di Diagon Alley e del Ghirigoro.
“Ma prima dovrai passare alla Gringott, a cambiare i soldi babbani.” Severus l’aveva detto con un remotissimo accenno di fastidio, come se stesse parlando di un’operazione necessaria a liberarsi si qualcosa di spiacevole.
“Che cos’è la Gringott?”
“La banca dei maghi. Noi usiamo monete diverse dalla vostre, non abbiamo le sterline, i penny eccetera, noi abbiamo galeoni, falci e zellini.”
“Come fa tua mamma a comprare il pane con queste monete?” aveva chiesto Lily incuriosita.
“Oh…” Severus per un attimo era arrossito per la gaffe, anche se Lily non se ne accorse per via dei capelli che gli cadevano sulla faccia.
“Beh, no, volevo dire che quando saremo nel mondo magico useremo galeoni, falci eccetera, ma qui adoperiamo le sterline anche noi… cioè…”
Lily lo guardava con una pacata espressione di curiosità.
“…voglio dire… in mezzo ai babbani, tutti i maghi e tutte le streghe usano le sterline.”
Severus aveva parlato sempre più precipitosamente, osservando la reazione di lei.
“Anche tu, no? Anche tu usi le sterline, giusto?” aveva aggiunto, come a voler dimostrare in modo inconfutabile un teorema.
“Oh certo!” Lily aveva raccolto le ginocchia e le stringeva con le mani “Lo sai che a Natale la nonna me ne ha regalata una?”
Severus vide due occhi verdi brillare eccitati.

***



Improvvisamente una morsa gli attanagliò lo stomaco. Strinse le dita sulla copertina dell’ultimo libro che stava sistemando e la sua mente fu invasa da un unico pensiero che lo angosciò: perché, perché Lily era finita a Grifondoro?

“…anche io sono d’accordo, quegli sporchi babbani se lo meritano.”
Mulciber sghignazzò.
Severus si morse un labbro, nascosto dalla cortina di capelli neri.
Mise in piedi l’ultimo libro contro la parete dalle larghe e piatte pietre a vista e si voltò verso i due compagni, avvicinandosi a loro.

“Il problema è che ci sono ancora troppi maghi favorevoli a quella feccia, a cominciare da Silente. Se avessimo un preside come quelli che dirigono Durmstrang, nessun lurido babbano potrebbe metter piede qui dentro. …Se ci fosse Lui come Preside di Hogwarts” la voce di Mulciber si velò di reverenza “di sicuro…”
Si interruppe, fissando Severus che aveva raggiunto le loro poltrone.
Allungò un angolo della bocca in una smorfia e disse: “Sai, mezzo Prince… noi di Serpeverde siamo gli unici a capire veramente cosa conti davvero. Purtroppo la maggior parte dei maghi si lascia abbindolare da gente come Silente e non capisce quanto questo sia dannoso per la comunità magica. Mio padre lo dice sempre”, concluse con aria saputa.

“Di chi state parlando?” Severus aveva posto la domanda con calma, senza lasciar trasparire alcuna emozione dalla voce. Era la prima volta che si inseriva nei loro discorsi, ma lo fece esercitando -lo sentiva- un diritto appena acquisito.

I due si guardarono velocemente e poi presero a scrutare lui. Parvero soppesare quel bambino all’apparenza gracile e male in arnese che aveva appena dato loro una splendida lezione di magia che difficilmente altri studenti, anche più grandi, avrebbero potuto offrire.
“Beh… di Lui, no?” Mulciber sgranò gli occhi, incontrando quelli scuri e impenetrabili di Severus. “Lord V....”, soggiunse poi a voce bassissima, quando capì che l’altro davvero non lo sapeva.
Avery ebbe un moto di sorpresa. “Sssst!” intimò, prima che l'altro terminasse.

Severus spostò lo sguardo su di lui.
E così quel ragazzo del ritratto, dall’aria altera, che riempiva il corridoio dei dormitori con il suo aspetto insieme nobile e sprezzante era qualcuno di cui pronunciare il nome sottovoce.
Ma perché? Chi era Lord V...?

“Mio padre dice che è meglio non chiamarlo per nome, lui è… è troppo… capisci?” Avery non sembrava trovare le parole per spiegare meglio il concetto, ma qualcosa nella sua voce trasmetteva l’urgenza di far capire a Severus che era un argomento su cui non scherzare.
“È molto potente, sai?” Mulciber aveva sostituito la spacconeria con la reverenza. “Il Signore Oscuro è di certo il mago più potente del mondo.”

D'un tratto, Severus si sentì stranamente euforico. Posò lo sguardo sul fuoco del camino e nelle fiamme guizzanti e rosse gli parve di osservare di nuovo gli occhi del giovane sconosciuto che ora aveva un nome.
Il mago più potente del mondo…
Un Serpeverde, come lui.
 
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Camelia.
view post Posted on 18/7/2013, 09:51




Capitolo VII


Il “Signore Oscuro”.
Severus lo ripeté mentalmente un paio di volte e percepì qualcosa di grandioso e terribile in quel titolo; a quanto pareva, incuteva timore perfino negli adulti.

Avery e Mulciber ne erano completamente ammaliati e ripresero a parlare.
“Secondo mio padre è assurdo dover imparare certe cose di nascosto o addirittura andando all’estero. Come credi che Lui abbia imparato tutto? Di sicuro non stando qui! Hogwarts è una gran perdita di tempo, te lo dico io!”
Le parole di Avery colpirono Severus. Hogwarts una perdita di tempo? Ma lui era lì per imparare, per imparare tutto quello che ancora non sapeva e non aveva letto nei libri materni!
“Io so che nella biblioteca c’è un reparto proibito…” -Severus sentì qualcosa solleticarlo e guardò Mulciber- “…ma pare che Silente non permetta agli studenti di leggere quei libri.”
La brama di conoscenza punse Severus nel profondo.
“Perché?” chiese.
Avery lo guardò. Con una piega amara alla bocca rispose: “Beh, loro pensano che siano sufficienti i libri che ci fanno comprare al Ghirigoro, quelli con gli incantesimi… che tutti dovrebbero imparare a fare.”
“Che vuoi dire?”
“Sono solo le cose da sapere per superare i G.U.F.O. e i M.A.G.O., capisci? Nient’altro.” Avery lo disse quasi con disprezzo. “Puoi prendere il massimo dei voti studiando tutti quei libri e…”
“Io li ho letti”, lo interruppe Severus.
“Letto cosa?”
“I… i libri di scuola.”
Deglutì e le dita dei piedi si contrassero nelle scarpe.
Avery sollevò un sopracciglio.
“Tutti?”
“Tutti.”

Mulciber fece un verso di sorpresa.
“Che? Accidenti… Severus, giusto? Io credevo che tua madre ti avesse insegnato a fare incantesimi, non che ti avesse pure costretto a leggere i libri del primo anno!”
“Non mi ha fatto leggere i libri, li ho letti da solo!” Severus sollevò il mento e scosse il capo per allontanare i capelli dal viso. “E non mi ha neanche insegnato a fare incantesimi.”
Ora i due bambini erano decisamente perplessi.
“Ma com’è che sai fare quell’incantesimo? Io so che per le cose pericolose tipo il fuoco ci fanno aspettare almeno fino al terzo anno!”
“Beh, io…” Severus sembrava nervoso, ma si sentiva anche fiero di aver fatto sfoggio di magia avanzata, per la sua età. “Io ho visto mia madre farlo una volta. E comunque poi l’ho letto in un libro e...”
“Aspetta un momento.”
Avery si puntellò sullo schienale della poltrona per meglio guardare Severus. “Ci stai dicendo che hai letto anche i libri degli altri anni?”
Un attimo di esitazione e poi: “Sì.”

La risposta di Severus fu secca, decisa. Orgogliosa.

Un fischio sonoro lo fece voltare verso Mulciber.
“Per la barba di Merlino!! Perché non fai direttamente i M.A.G.O. e te ne vai in giro per il mondo a imparare cose più interessanti?”
“Più interessanti?”
“Ma sì! Ci sono ben altre cose che vale la pena di sapere per essere un mago con i controfiocchi come… Lui. Cose-che-qui-non-ti-insegneranno-mai.” Mulciber sillabò l’ultima frase e lo guardò con intenzione.
“Perché?”
Avery sospirò, sdegnato.
“Purtroppo il Ministero e gente come Silente sono di vedute ristrette. Non hanno onore. Pensano che sia giusto per i maghi vivere in clandestinità, grazie a quel… trattato di non so quanto tempo fa. Mio padre dice che non capiscono che i maghi sono una razza superiore e che la magia vera non sono quelle stupidate che impari in classe.”
“Già”, intervenne Mulciber, “Fortuna che ci sono quelli come il Signore Oscuro a impegnarsi per ciò che vale.”
Annuì con decisione. “Ho sentito dire che in uno dei suoi viaggi ha dato una lezione a un bel po’ babbani in un villaggio. Ne ha lasciato vivo uno… perché potesse raccontarlo immagino, ma dubito che a quell’inutile essere fetido sia rimasta la capacità di spiegarsi, ahahah!”
Scoppiò in una risata cattiva, gli occhi eccitati al pensiero dei babbani trucidati e dell’unico sopravvissuto mutilato o torturato in chissà che modo.
Avery si unì allo scherno, mostrando la stessa insensibilità verso la vita di persone che probabilmente riteneva fosse meglio non fossero mai nate.
“Scommetto che neppure Silente avrebbe potuto reagire, non conosce le potenzialità di un certo tipo di magia, mio padre dice che non è niente in confronto al Signore Oscuro.”

A quanto pareva, il padre di Avery aveva molte opinioni e non aveva lesinato, neppure davanti al figlio, commenti sul preside di Hogwarts e sul suo modo di intendere l’insegnamento scolastico.
Severus provò un’ombra di invidia per quel bambino così fiero del padre.
Ripensò a Silente, cui non aveva dedicato troppa attenzione quella sera, durante lo Smistamento e la cena, dati gli sviluppi presi dagli eventi.

Quando si era avvicinato al tavolo degli insegnanti con gli altri bambini del primo anno e Lily gli aveva sussurato piano “È quello Albus Silente?”, era rimasto colpito dalla sua aria autorevole; ma oltre ad averne registrato la lunga barba, gli occhiali a mezzaluna e un non so che di ridicolo quando più tardi nel bel mezzo del suo discorso se ne era uscito con una battuta sugli ippogrifi della Foresta Proibita (molti dei Serpeverde più grandi si erano dati a eloquenti scrollate di capo), il preside non gli aveva lasciato un gran ricordo, forse perché la sua attenzione si era focalizzata altrove.
Solo quando si era tolto il Cappello Parlante per restituirlo alla professoressa Mc Granitt, con la coda dell’occhio aveva incrociato uno sguardo azzurro penetrante, ma non se ne era curato, troppo preso dal non potersi sedere accanto a Lily, anche se lui era stato smistato nella Casa giusta.

“Ma Silente non ha sconfitto Grindelwald?” azzardò.
Avery non disse nulla per qualche momento.
“Sì… ha vinto un duello, tempo fa”, rispose infine con distacco. “Dicono che Grindelwald sia stato un grande mago e che conoscesse un sacco di magia… oscura. Ma sai come la penso io? Secondo me sono per la maggior parte leggende, questi maghi del Nord fanno tanta scena, pensa solo al fatto che nessuno sa dove si trova Durmstrang, la loro scuola. Ascoltami bene,” e picchiò con l’indice il velluto spesso della poltrona “Grindelwald non è niente in confronto a Lui. Davvero niente. E secondo mio padre c’erano altri maghi in grado di sconfiggerlo, hanno scelto Silente solo perché era famoso”, concluse Avery, con una scrollata di spalle.

Severus rifletté: nuovi scenari si stavano aprendo davanti ai suoi occhi attraverso le parole dei compagni.
Avery rimase per un momento a fissare il vuoto, poi tornò a rivolgersi agli altri due.
“Sapete…” continuò, ora abbassando un po’ la voce e con un tono cospiratorio. Moriva dalla voglia di dire quello che stava per dire, era evidente, e si sporse verso gli altri due: “… da quando mio padre è diventato Mangiamorte, non desidero altro anch’io.”
Mulciber fece un verso di approvazione, Severus invece girò intorno alle poltrone e si portò di fronte a loro, dando le spalle al fuoco. Badò appena al calore alla schiena e alle gambe, la sua attenzione era tutta per i due compagni.
“Cosa vuol dire Mangiamorte?”
I suoi occhi neri si perdevano nell’ombra che avvolgeva il suo viso, quasi completamente nascosto dai capelli e da cui spuntava solo la punta del lungo naso.

Per un attimo sembrò che Avery e Mulciber fossero leggermente esasperati dalla sua completa ignoranza su argomenti così vitali.
Poi Avery parve prendere una decisione. Un bambino dotato come Severus meritava di essere accolto e indirizzato sulla retta via e gli rispose:
“I Mangiamorte sono quelli che stanno con Lui.” Lo disse con solennità. Non si riferiva a persone che potevano condividere le idee del Signore Oscuro o approvarne le gesta, Severus lo capì dal tono di voce e dallo sguardo luccicante di ammirazione: parlava proprio di persone che stavano letteralmente con lui, con il mago più potente del mondo e capace di magie superiori, accompagnandolo nelle sue imprese.

Avery portò un braccio sopra la testa e posò la gamba sul bracciolo della poltrona, assumendo una posizione comodamente scomposta. Severus vide balenare un sorriso sul viso di quel ragazzino tanto sicuro di sé e che parlava dei seguaci del Signore Oscuro con assoluta deferenza, come fossero le uniche persone al mondo degne di rispetto; ed era anche deciso a entrare in quella cerchia ristretta, a quanto pareva.

“Vedi, Severus… gente come Silente non può neanche pensare di competere con Lord Voldemort.” Pronunciò il nome pianissimo, con voce quasi muta, irrigidendosi per un momento.
“Solo i babbani e i traditori del loro sangue pensano che Silente sia un genio”, continuò Mulciber.
“Pensa che tempo fa pare ci fossero perfino un sacco di persone che volevano che diventasse Ministro della Magia. Ve lo immaginate?” Mulciber fece finta di rabbrividire, mentre sulla faccia di Avery si disegnava un’espressione schifata. “Avrebbe fatto un mucchio di leggi favorevoli ai babbani e umilianti per i maghi, sarebbe anche stato capace di toglierci la bacchetta, per farci assomigliare a quella sudicia feccia!” esagerò il ragazzino.
All’idea che maghi e babbani stessero sullo stesso piano, Severus nell’intimo arricciò il naso, ma con una lontanissima eco di disagio.
“Già. A proposito di questo, mi chiedo come sia possibile che a certi babbani sia permesso di comprare bacchette”, soggiunse Avery e nella sua voce c’era qualcosa di molto simile alla rabbia. “Per fortuna che poi finiscono tutti a Tassorosso, Corvonero e Grifondoro!” aggiunse, con sprezzante sollievo.

***


“Severus?”
“Mhh?”
Gli occhi di Lily tradivano un’eccitazione incontrollabile.
Severus rimase un attimo interdetto e la guardò. Quel giorno l’aveva raggiunta sotto un albero del parco con la paura di non trovarla affatto, come era successo il giorno prima. Ci era rimasto male.

Non si vedevano tutti i giorni, ma ogni volta che si erano dati un appuntamento, Lily non l’aveva mai mancato.
Qualche volta era venuta con Petunia e Severus a malapena aveva nascosto il malumore, cosa che la ragazzina bionda con i denti da cavallo pareva condividere appieno.
Non parliamo poi di quando lui era andato a casa loro…
Era accaduto poche volte e Petunia li aveva totalmente ignorati, non dopo essersi assicurata che avessero ben capito quanto era scocciata dalla presenza in casa sua di quel bambino dai vestiti bizzarri e dimessi. Severus d’altro canto si sentiva un po’ estraneo in una casa di babbani e sebbene la madre di Lily fosse molto gentile, non le aveva quasi rivolto parola, sentendosi a disagio in sua presenza ed evitando quanto più possibile ogni contatto con lei.
Gli Evans vivevano in una bella via alberata con le case addossate le une alle altre; come a Spinner’s End, forse, ma con una signorilità e un ordine che le rendeva completamente differenti. I muri erano chiari e il sole pareva trarre gusto a illuminarli. Una breve scalinata saliva dal marciapiede e conduceva al portone d’ingresso; il nero ferro battuto della ringhiera era lustro e ingentilito da curve aggraziate.

Severus però preferiva incontrarsi con Lily al parco.

“Sono arrivata presto oggi”, aveva detto lei senza alzarsi e invitandolo con un gesto a sedersi accanto. Negli occhi le si leggeva un segreto che la rendeva felice.
“Ieri ero venuto…” iniziò lui.
“Severus?”
“Mhh?”
“Chiudi gli occhi!”
L’esitazione durò solo un secondo, poi lui abbassò le palpebre. Sentì Lily alzarsi accanto a lui e muovere qualche passo.
“Ora aprili!”
La bambina era in piedi davanti a lui, con il sole che da dietro le illuminava la sommità della testa come se indossasse una coroncina rosso incandescente. Gli occhi erano allegri e la bocca distesa in un sorriso smagliante.
Ma l’attenzione di Severus fu subito attratta da ciò che Lily stringeva nel braccio teso puntato contro di lui.
Una bacchetta!
Severus fece appena in tempo a spalancare la bocca che Lily esclamò saltando: “Hai visto? Sorpresa, sorpresa!!”
“Ma come… quand…ohhhh!” lui capì. “Ieri sei andata a Londra!”
“Sì!” rispose lei rimettendosi seduta accanto all’amico.
“Ti volevo fare una sorpresa,” ripeté e lo guardò con i verdi occhi ridenti “per questo ti ho detto che Dorcas Meadowes sarebbe venuta tra una settimana.”
Per un attimo sembrò preoccupata.
“Non sei arrabbiato, vero? Forse dovevo avvisarti che non sarei venuta ieri. Ma non so bene dov’è casa tua e…”
“Arrabbiato, ma scherzi?” la interruppe immediatamente lui. Neanche morto avrebbe voluto che vedesse dove abitava e con chi. “No!” asserì con forza.
Si sentiva felice. Il fatto che Lily avesse anche lei una bacchetta aveva completamente cancellato la delusione di averla attesa invano il giorno prima.

Severus era già stato a Londra, con sua madre, a comprare una bacchetta anche lui; non avevano preso nient’altro, tutto il resto ce l’aveva già, anche se di seconda mano.
Aveva temuto di dover usare quella di sua madre, che aveva desiderato per tanti anni, è vero, ma come si desidera l’idea di qualcosa e non quel particolare oggetto in sé, e sempre immaginando che, quando sarebbe giunto il momento di possederne una, avrebbe avuto una bacchetta nuova ed esclusivamente sua.
Quando aveva “per caso” fatto cadere il discorso sull’argomento, Eileen aveva liquidato la faccenda con uno stanco “Andremo a Londra quest’estate, da Olivander.”
Tranquillizzato, non si era chiesto come mai sua madre non gli avesse semplicemente passato la propria bacchetta che utilizzava sempre meno e solo per qualche banale incantesimo domestico, di nascosto da Tobias; qualche anno più tardi, Severus avrebbe capito che il solo fatto di averne una, anche senza usarla, era per Eileen motivo di conforto e forse l’unica ragione che la aiutava ad andare avanti.
Ma lì per lì non aveva creduto alle sue orecchie e si era sentito soltanto invadere dall’esultanza.

Studiò Lily. Anche lei era accesa di una contentezza incontenibile.
“Ora sei completamente una strega!” le disse, osservandola compiaciuto come se si fosse compiuta davanti a lui una trasformazione irreversibile che l’aveva senza ombra di dubbio resa parte del suo mondo, una come lui.
Ma Lily non lo sentì perché parlò anche lei, come una valanga in piena: “E ho preso anche tutti i libri, al Ghirigoro, e poi ho comprato le pergamene e l’inchiostro. E anche due piume e la bilancia, il calderone, i guanti e…, ah! La divisa! Ma prima siamo andati a cambiare i soldi ovviamente, alla Gringott, papà a momenti sveniva quando ha visto i folletti, dice che li aveva visti solo nei libri di favole per bambini, ma con i piedi più corti. La Gringott è bellissima, ma a me è piaciuto di più passeggiare per Diagon Alley e vedere tutti quei negozi: Dorcas è stata gentilissima, ci ha spiegato un mucchio di cose e non so come avremmo fatto senza di lei, il Ministero non poteva mandarci una guida più carina. Lo sai che mamma e papà non si erano nemmeno accorti che eravamo arrivati al Paiolo Magico? Credo che Dorcas abbia fatto un piccolo incantesimo, tu mi hai detto che i babbani non lo vedono, vero? Deve aver fatto un incantesimo anche quando siamo tornati, perché poi loro non si ricordavano bene le cose e non riuscivano a spiegarle a Petunia.”

Si fermò un istante per riprendere fiato, e una piccola ruga verticale le incise la pelle tra le sopracciglia.
“Lei è come… arrabbiata con me, ieri non mi ha quasi parlato e poi si è chiusa in camera sua. Ho provato a bussare ma mi ha detto di lasciarla in pace che stava scrivendo una lettera. Le volevo raccontare un mucchio di cose, ma... anche stamattina, quando è uscita per impostare la lettera, non ha voluto che la accompagnassi.”
Il dispiacere velò il suo volto.
Sospirò.
“Beh… Ah!! Lo sai che ho quasi comprato un gufo? Però a papà non piaceva l’idea di averne uno in casa e così abbiamo lasciato perdere.” Ridacchiò.

Severus aveva smesso di ascoltarla con attenzione. La osservava tenendo la testa inclinata e si sentiva in pace con il mondo. Tutto era perfetto.
Lily si accorse del suo sguardo intenso e si bloccò con aria interrogativa. Poi sorrise.
“Ecco, tieni. Guardala.”
Gli mise la bacchetta in mano, sfiorandogli le dita.
“Olivander -ah! A proposito, anche a te è sembrato… un… un po’ strano?”
Severus sollevò appena le spalle e fece una piccola smorfia bofonchiando un “Boh”.
“Beh, lui mi ha detto che è di salice e che ci farò un sacco di incantesimi bellissimi!”
“Sicuro!”, concordò Severus restituendole la bacchetta, felice. “E mancano solo poche settimane!” Si sentì attraversare dall’eccitazione al pensiero.
“Sai che ho sentito tutta la mano calda quando Olivander mi ha fatto provare questa?” Lily abbassò lo sguardo a guardare la bacchetta con tenerezza. “Dice che è la bacchetta che sceglie il suo mago e la sua strega. Quindi lei ha scelto me!” concluse con gioia.

***


Severus si sentì per un momento lontanissimo dai due compagni accomodati nelle poltroncine verdi davanti a lui.
Si voltò verso il fuoco e si chinò in avanti, allungando una mano sul marmo del caminetto e smarrendo lo sguardo nelle fiamme che ardevano; la luce tremolante gli disegnava ombre mutevoli sul volto assorto e incorniciato dai lunghi capelli scuri.
Nella sua mente si rincorrevano come onde di un mare in tempesta sogni di grandezza, l’immagine di un mago potentissimo e il ricordo del tocco lieve delle dita di Lily sulle sue.

“Ehi, Severus!” si sentì chiamare.
Si raddrizzò, stringendosi nella divisa, rigido e scuro davanti al fuoco. Girò appena il capo verso Mulciber, senza muoversi.
“Sì?”
“Domani ti faccio conoscere Malfoy, è un amico di famiglia.”
Piton sbattè le palpebre.
“Il nostro prefetto, quel ragazzo alto e biondo”, precisò Mulciber. “Vedrai, ti piacerà.”
“Sicuro!” confermò Avery. “È un tipo in gamba, mio padre dice che farà molta strada.”

Anche Severus voleva fare strada.
Quella sera gli sembrava di averne percorsa più che in tutta la sua vita, allontanando da sé Spinner’s End molto più che con il viaggio in treno fino a Hogwarts.
Sentiva di essere sulla soglia di infiniti mondi possibili che desiderava e voleva scoprire dal primo all'ultimo; nell’ultima ora aveva capito che le possibilità che gli si proponevano davanti erano molte più di quelle che aveva immaginato in tutti gli anni passati a sognare il giorno del suo ingresso ufficiale nel mondo magico.
La magia non gli si prospettava più come una strada battuta di nozioni da conoscere e studiare, ma come un territorio inesplorato, le cui scoperte erano alla portata solo di chi fosse stato tanto temerario e bramoso di conoscenza da voler indagare gli aspetti più profondi di arti che potevano essere accessibili solo ai più grandi, solo a maghi determinati come il ragazzo del corridoio.
Il “Signore Oscuro”.

Tornò a guardare il fuoco, immobile, una figurina nera esile e solenne contro la luce guizzante, assorto in pensieri che viaggiavano sui binari dell’oltre.
 
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Camelia.
view post Posted on 18/7/2013, 11:27




Capitolo VIII


Si sentiva capace di qualunque cosa, come se nulla potesse sfuggire alla sua ansia di ricerca.
Quella serata gli stava regalando continui motivi di eccitazione e anche se fisicamente era molto stanco, Severus non poteva davvero mettersi a letto, la sua mente era in totale fermento.
Era magnifico sapere che da quel momento in poi la sua vita sarebbe stata diversa, in ogni singolo aspetto; era talmente esaltante che per brevi attimi doveva ripetere a se stesso “Sono a Hogwarts!”, come per esorcizzare la paura irrazionale di vivere un sogno.

Continuò ad osservare il fuoco, senza ascoltare le chiacchiere dei due compagni, relegandole a rumore di fondo; aveva pensieri più stimolanti su cui concentrarsi e vi ci si stava perdendo, seguendo e rincorrendo il filo ambizioso che li legava assieme: magie avanzatissime, la guida di un grande mago attorno a cui si potevano raccogliere solo i migliori…
I migliori… negli ultimi minuti, aveva raggiunto la consapevolezza di poter essere lui uno dei migliori, per una ragione molto semplice: lo voleva.
I brevi discorsi con Avery e Mulciber, che parevano ripetere a pappagallo le parole sentite dagli adulti senza davvero comprenderne il significato profondo, gli avevano aperto gli occhi. Quei due bambini, persi nei loro discorsi sulla purezza del sangue, non sembravano capire a fondo le cose di cui parlavano tanto animatamente, vantandosene a vuoto.

L’indomani avrebbe imparato dov’era la biblioteca, tanto per cominciare: i libri che aveva appena allineato sulla sua bella scrivania li sentiva necessari, ma già superati. Non erano che i pochi gradini polverosi e usurati sulla soglia di un palazzo magnifico e tutto da scoprire, un breve sentiero ai margini di una foresta piena di segreti che attendevano solo di essere svelati.
Sentì di essere diverso dai compagni che stavano pigramente adagiati sulle poltrone alle sue spalle, ma non come prima, quando l’ombra babbana di suo padre l’aveva come escluso da un circolo ristrettissimo.
Adesso era diverso da loro perché aveva dimostrato di essere più in gamba e avrebbe fatto di tutto per continuare ad esserlo.

***


“Cosa succede se non sei bravo?”
“Che vuoi dire?”
“Se… se non vai bene, se non riesci a imparare gli incantesimi e le magie che ti spiegano.” Lily era preoccupata.
Severus scosse il capo incredulo, come se lei stesse parlando di un’eventualità impossibile.
“Ma dai, Lily! Tu non puoi andare male a scuola!”
“Ma io non so niente di tutte quelle cose che insegnano a Hogwarts…” insistette lei.
“Che c’entra?” ribatté Piton con veemenza. “È una scuola, è per quello che andiamo lì, per imparare quello che non sappiamo…”
“Tu sai tutto”, lo interruppe Lily con voce titubante e ansiosa.
Si morse un labbro fissandolo con gli occhi verdi aperti da qualcosa di simile a una spaventata insicurezza.
“Io…?” Severus posò il suo sguardo scuro sul viso ansioso di lei.
“Tutti i libri che hai letto…” stava proseguendo Lily, stropicciandosi un lembo del colletto. “I libri che mi hai mostrato, tu… tu li conosci a memoria!”
“Esagerata!” esclamò Severus.

Ma abbassò per un momento la testa e i capelli scesero a coprirgli il profilo affilato.
In realtà Lily aveva detto una cosa vera, lui aveva letto e riletto tutti i libri di Hogwarts di sua madre, avidamente, imparando tutto quello che c’era scritto. Era anche perfettamente in grado di trovare con facilità le corrispondenze tra loro, specialmente tra quelli di erbologia e quelli di pozioni. Con chiunque altro questo sarebbe sicuramente stato un motivo per sentirsi superiore, ma con Lily era impossibile anche solo pensarlo, e infatti l’idea non lo sfiorò neppure.
Con lei era naturale condividere.
Spostò all’indietro i capelli unticci e tornò a guardarla. Gli piaceva moltissimo guardarla: da quando l’aveva vista al parco la prima volta, era entrata anche nei suoi sogni, fino a prima occupati solo da Hogwarts.

“Tu andrai benissimo, non ti devi preoccupare”, dichiarò con decisione.
La sua sicurezza parve tranquillizzare Lily, che sorrise e si cinse le ginocchia con le braccia.
“È che alle volte penso che siccome sono babbana…” -un muscolo si contrasse rapido all’altezza della mascella di Piton- “…magari per me può essere difficile, non so… magari mi ci vuole più tempo per imparare o… insomma…” Lily aggrottò la fronte, pensierosa “…forse potrei non imparare affatto.” Lo disse con un filo di voce.
“Te l’ho già detto, tu hai una sacco di magia, non avrai nessun problema, vedrai!” Piton fece un gesto eloquente per escludere categoricamente la possibilità di un fallimento di Lily.
“Anche Olivander ha detto che farai bellissimi incantesimi con la tua bacchetta!”
A queste parole Lily non poté reprimere un sorriso e lo guardò. Severus ricambiò lo sguardo con intensità.
“Ti hanno chiamata, capisci?” riprese lui. “Sono venuti dal Ministero per spiegare alla tua famiglia che sei una strega!” Protese appena il viso verso di lei. “Tu hai ricevuto la lettera!”

Senza accorgesene, aveva calcato la voce sul “tu”. Gli bruciava ancora la scoperta fatta qualche giorno prima, in una delle rarissime occasioni in cui si era recato nella bella casa di Lily.
Passando davanti alla camera di Petunia, suo malgrado ci aveva buttato un occhio, arricciando il naso, e lo sguardo gli era caduto su una busta giallognola, con uno stemma inconfondibile. Si era bloccato, incredulo, trattenendo il respiro. Lily, che aveva continuato a camminare lungo il corridoio, gli era tornata accanto e aveva chiesto: “Cosa c’è?”
“Ma non… non può essere…” aveva balbettato lui, con una specie di sottile furia che gli montava dentro.
Come poteva Petunia aver ricevuto anche lei la lettera scritta in inchiostro verde?
Una fitta di panico gli aveva stretto lo stomaco. Quella babbana a Hogwarts?
Ancora fermo davanti alla sua camera, con gli occhi quasi sbarrati, voltò il capo verso Lily, incrociandone lo sguardo chiaro e incuriosito. Si calmò all’istante. Sua sorella era più grande, se fosse stata una maga, la scuola si sarebbe premurata di chiamarla quando aveva undici anni, come loro due adesso, ragionò.
Ma allora quella lettera cos’era?
Ardeva dalla voglia di scoprirlo, ma non poteva entrare in quella stanza senza permesso.

“Quella è una lettera di Hogwarts” disse a Lily, indicandogliela.
Lei la vide e spalancò la bocca, dapprima incredula, poi con un repentino moto di esultanza. Batté le mani e fece un saltello sussurrando eccitata: “Anche Tunia ha ricevuto la lettera!!”
Un lampo di stizza e fastidio balenò negli occhi neri di Piton, che non approvava affatto la sua felicità.
“Ma non è possibile! Cioè…”
Strinse le labbra, allontanando lo sguardo dalla visione della gioia di Lily e tornando a fissare la busta, incapace di dire qualcosa che non suonasse offensivo o poco amichevole.
Quasi subito però Lily si bloccò: “Ma… ma perché allora il Ministero non ha avvertito anche lei? Perché Dorcas Meadowes non ci ha accompagnate tutt’e due a Diagon Alley? Perché…?”
“Se… se noi la leggiamo forse potremmo capire…” osò Piton, incerto e al tempo stesso smanioso di chiarire l’orrendo equivoco una volta per tutte.
Perché di certo c’era una spiegazione logica, una spiegazione che non contemplava l’ingresso di quell’odiosa babbana a Hogwarts.

Lily parve indecisa sul da farsi. Forse era meglio attendere il ritorno della sorella e chiedere direttamente a lei come mai avesse ricevuto una lettera da… ma Petunia si mostrava sempre così insofferente quando si accennava all’argomento, si innervosiva subito.
La bambina si morse un labbro, guardando la busta.
“Va… va bene” decise infine.
Gettò un’occhiata veloce alle scale che portavano di sotto.
“Però facciamo presto!” aggiunse inquieta, come se compiere una mancanza in tempi brevi rendesse l’atto meno grave.

Severus tirò un forte sospiro di sollievo e faticò a non avventarsi sulla lettera. La sfilò dalla busta (era indirizzata proprio a “Miss Petunia Evans”, da non credere!) ma riuscì a passarla a Lily, imponendosi una certa dose di correttezza.
Lily la spiegò davanti a loro e, avvicinando le teste, lessero sotto l’intestazione:


“Gentile Signorina Evans,

ho letto con attenzione la sua inaspettata bella lettera.
Sono davvero rimasto colpito dal suo intenso desiderio di frequentare la scuola di Magia e Stregoneria Hogwarts come sua sorella Lily.

Tuttavia, è mio doloroso -ancorché doveroso- compito comunicarle che purtroppo tale scuola è riservata solamente ai giovani maghi e streghe e che pertanto risulterebbe oltremodo problematico per lei seguire le lezioni e tenersi al passo con i compagni.

Le esprimo la mia sincera gratitudine per averci onorati della sua richiesta, anche se non possiamo accettarla.

I miei più rispettosi ossequi,
Albus Silente

Direttore
Ordine di Merlino, Prima Classe, Grande Esorcista, Stregone Capo, Supremo Pezzo Grosso, Confed. Internaz. dei Maghi”



Gli occhi neri di Severus si erano mangiati famelici ogni parola scritta in un’ordinata grafia sottile e inclinata. Man mano che procedeva nella lettura, i suoi muscoli irrigiditi si erano rilassati e fu a fatica che represse il sorriso che gli stava spuntando sulle labbra.
“Oh…” aveva sospirato Lily, rattristata, rialzando la testa e guardando l’amico che con un gesto rapido del capo scosse via i capelli dal viso pallido. Per rispetto nei confronti dell'amica, Severus celò la propria gioia.

Lily rimise la lettera nella busta, la posò di nuovo sulla scrivania di Petunia e uscì dalla stanza tirandosi dietro Severus.
“Non avevo capito che voleva venirci anche lei... Credevo che odiasse Hogwarts, da quando sono venuti quelli del Ministero è sempre arrabbiata…” Lily era persa nelle sue riflessioni, nella scoperta del segreto di sua sorella.
Severus invece, per quanto abile nel dissimularlo agli occhi dell’amica, non sapeva se essere più arrabbiato o disgustato nell’intimo… Una come Petunia a Hogwarts! Sentiva di aver scampato un pericolo terribile, non poteva essere più felice di così.

Però gli dispiaceva che Lily fosse così amareggiata. Facendo uno sforzo le disse controvoglia: “Beh... potrai... potrai sempre scriverle e raccontarle tutto, no?”
Una piega incurvò le labbra di Lily, ma i suoi occhi rimasero tristi.

***


Chissà dov’erano quegli occhi ora, chissà dov’era la stanza comune di Lily.
Malfoy aveva accennato qualcosa a proposito di una torre… che si trovasse lassù il dormitorio di Grifondoro? Non potevano essere più distanti, pensò Piton con delusione.
Grifondoro.
Ora era arrabbiato. Tra tutte le Case, proprio doveva finire? Cosa aveva Lily da spartire con quei due deficienti del treno, tanto per citarne un paio?
Si girò verso Avery e Mulciber.
“Mio padre dice che Lumacorno conosce un sacco di gente interessante…” Avery si accorse che Severus li fissava.
“Tu sai chi è Lumacorno?” gli chiese.
“No.”
“È il Direttore di Serpeverde” spiegò Avery.
“Ah.”
“Quel tipo ciccione che sedeva vicino alla McGranitt.”

Severus frugò velocemente nei ricordi della cena e inquadrò il professore di cui parlavano. Elegante, con degli stopposi capelli giallastri e una calvizie incipiente, due baffoni ingombranti, decisamente sovrappeso, era parso particolarmente entusiasta del cibo che aveva riempito il suo piatto dopo il discorso di benvenuto di Silente.

“Insegna Pozioni”, aggiunse Mulciber.
Piton saettò lo sguardo su di lui. Pozioni. La materia che desiderava imparare più delle altre!
Pensò al vecchio calderone che era ancora nel baule.
“Chissà se domani cominceremo con lui” disse, senza tradire alcuna particolare emozione.
“Io speravo di cominciare con il volo” dichiarò Mulciber “anche se qui non ti permettono di avere una scopa il primo anno, ci dovremo accontentare di quelle schifezze usate della scuola. Sempre meglio che studiare comunque!” concluse ridendo sguaiato. “Ooops, non ti sei offeso, vero secchione?” disse rivolto a Severus.

Piton incrociò le braccia e scosse il capo.
Rimase per un istante fermo in piedi, poi si diresse verso la poltrona libera. Non aveva mai volato su una scopa e, cosa strana, realizzò solo in quel momento di non averci praticamente mai pensato, a parte le poche volte che ne aveva parlato a Lily.
Lei si era dimostrata entusiasta, ma lui per il volo sentiva solo indifferenza. Forse era perché Eileen non gliene aveva quasi mai parlato e non c’erano manici di scopa che non fossero babbani a Spinner’s End.

Mentre si accomodava sulla poltrona, si rese conto di non aver pensato a quel luogo chiamandolo “casa” e ne fu felice.

Ma quale casa... quel tugurio grigio dove suo padre aveva alimentato il suo disprezzo verso tutto ciò che fosse non-magico, non poteva essere chiamato “casa”. Era “Spinner’s End”, il posto dove stava prima e che non aveva più niente a che fare con lui.
Pensò per un attimo che avrebbe dovuto per forza tornarci d’estate e forse anche a Natale.
No, a Natale no, non ci sarebbe tornato, piuttosto avrebbe finto di avere la febbre, oppure -ancora meglio- avrebbe preparato una pozione che gliela potesse far venire, ecco. Avrebbe fatto di tutto per inventarsela se non fosse esistita, ma esisteva, l’aveva letta in un libro. Servivano ali di scarabeo, polvere di artiglio di barbagianni, un goccio di distillato di asfodelo…

Allungò le braccia sui braccioli, posò la testa sul velluto dello schienale e guardò il soffitto. Scure travature di legno lo attraversavano da un capo all’altro, rendendo la stanza di fredda pietra un po’ più accogliente.
I suoi pensieri ripresero a vagare.

Chissà com’era il professor Lumacorno. Era anche il direttore della sua Casa, voleva assolutamente fargli una buona impressione.
Sembrava più amichevole della McGranitt, arcigna e rigida, ma quello che contava è che fosse un buon insegnante, Severus voleva imparare tutto da lui e l’avrebbe fatto anche se il docente si fosse dimostrato antipatico.
Udì i passi di alcuni Serpeverde percorrere il corridoio, diretti alle loro stanze. L’ora si stava facendo tarda e di certo la sala comune iniziava a svuotarsi.
Si sentì improvvisamente attraversare da una scarica di benessere. Realizzò che quei compagni che ancora non conosceva, non solo erano maghi come lui, ma erano anche i più simili a lui. Erano nella stessa Casa.
“Speriamo solo di non avere lezione con i Grifondoro” buttò lì Mulciber continuando un discorso con Avery che Severus non aveva seguito, e lo vide storcere la bocca.

Qualcosa gli si gelò all’altezza del petto; Severus provò una paura irrazionale, l’angoscia di non poter più vedere Lily.
Lo Smistamento sembrava aver creato una distanza immensa tra loro due, il che era grottesco... finalmente sotto lo stesso tetto, eppure così lontani!

Contrasse le dita sui braccioli e stringendo per un momento gli occhi, vide il viso bello e gentile di lei, incorniciato da una nuvola di capelli rossi e illuminato da un limpido sguardo verde puro, che mai il colore della sua Casa avrebbe potuto eguagliare.
Con il cuore gonfio di malinconia si mise a fissare le fiamme, per l’ennesima volta senza vederle, dimenticando i compagni, dimenticando i sogni di gloria e potenza, dimenticando il Signore Oscuro dal bel volto pallido e senza nome che stava appeso in corridoio…

In quel momento Severus Piton avrebbe barattato tutto questo per un unico desiderio: fare lezione con i Grifondoro, il giorno dopo.
 
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Camelia.
view post Posted on 18/7/2013, 15:46




Questo capitolo è interamente dedicato a un ricordo di Piton, a quel che accadde dopo essersi svelatosi a Lily e Petunia.
____________________________

Capitolo IX

***

“Che cosa volevi dire ieri?”
I due bambini rimasero a guardarsi, esaminandosi con attenzione.

Quella mattina Severus era tornato al parco con l’angoscia che gli premeva il petto.
Il giorno prima era rimasto immobile a guardare Lily e sua sorella voltargli le spalle e andarsene con decisione, dopo che lui era stato tanto incauto da mostrarsi, da parlare loro, da svelare alla bambina più piccola un segreto che lei ancora non conosceva.

Perché era stato così sciocco?

Davvero aveva creduto che sarebbero diventati amici, che lei sarebbe stata contenta di sapere di essere una strega?
Beh… sì.
L’aveva creduto, perché l’aveva immaginato tante e tante volte, ci aveva fantasticato talmente su che era come vedere un film, con scene sempre uguali a se stesse.
Ma quando la realtà aveva preso il posto delle fantasie, quando le cose avevano preso fin da subito una piega diversa, non era stato in grado di gestire gli eventi: aveva dovuto improvvisare, per di più davanti a quella babbana che l’aveva fatto sentire a disagio, diverso, fuori posto, contagiando con il suo atteggiamento anche Lily, che vide allontanarsi con il disprezzo negli occhi.
Non gli aveva creduto, anzi si era offesa.

E lui era rimasto lì a vivere un film diverso da quello dei suoi sogni, solo sotto il sole, sudato, avvilito e tremante per la tensione, anche quando le bambine erano già scomparse alla sua vista.
Poi all’improvviso si era messo a correre, più veloce che poteva, sollevando nuvolette di polvere quando le sue scarpe toccavano la terra riarsa.

“Stupido, STUPIDO!!” si ripeteva, mentre calpestava con forza il suolo, le gambe magre che spuntavano dai jeans laceri, il cappotto che gli svolazzava scomposto intorno.
Correva e sentiva l’aria fendergli il viso, un’aria calda che non gli recava alcun sollievo. Si morse il labbro fino a sentir talmente male da non curarsene più. Correva con i pugni stretti e gli occhi chiusi per impedirsi di piangere, perché se era facile non piangere più per suo padre, questa volta si trattava di lui e dei suoi sogni che si spezzavano, sogni che fino a qualche anno prima non esistevano, ma che da tempo avevano prepotentemente invaso la sua mente, regalandogli il dolce conforto di immaginarsi non più solo.

Ma non pianse.

Giunto lungo il grigio fiumiciattolo che passava accanto a Spinner’s End si fermò ansando, per farsi male, per godersi la gioia perversa di un panorama tanto differente da quello del parco, un panorama brutto, schifoso, squallido… la location ideale per il suo desiderio frantumato come un inutile coccio.
Assaporò la crudeltà con cui si infliggeva la vista della ciminiera che sputava grigio, dell’erba malata e secca, dello scorrere denso dell’acqua putrida e semistagnate, delle case misere e sporche che si ergevano poco più in là come le mura di una prigione dell’anima.
Si sedette sull’argine e tenendosi le ginocchia aspettò che il respiro gli tornasse regolare, le palpebre chiuse contro il sole che gli faceva vedere macchie rosse.
Annusò con un sottile, perfido piacere il cattivo odore che pareva venir fuori dal terreno stesso, come per convincersi che quel luogo era il suo elemento, quello il posto che meritava, quella l’unica compagnia che gli spettava. Una solitudine desolata.

Davvero aveva creduto che quella bambina… Lily… (l’angolo della bocca gli tremò per un istante) si sarebbe messa a saltellargli intorno eccitata, come faceva sempre quando era felice? Davvero aveva pensato che lo avrebbe preso per mano e che avrebbero giocato assieme?

“Stupido” ripeté una voce nella sua testa.

Reclinò la testa all’indietro e sollevò i piedi, rimanendo per un po’ a bilanciarsi con impercettibili movimenti avanti e indietro.
Quando il suo respiro si calmò, allungò le gambe e poi si distese completamente; aprì gli occhi e nel suo piccolo viso pallido incorniciato dai capelli appiccicati alla pelle si schiusero due dense gocce nere senza espressione, senza volontà, che presero ad osservare il nulla sopra di sé, immobili.

Dopo molto tempo si era alzato di scatto e per qualche istante aveva barcollato per una vertigine dovuta al movimento brusco e all’essere rimasto sotto il sole cocente. Ruotò il braccio per meglio sistemarsi addosso il cappotto e senza pensare a niente si diresse verso la sua casa. Camminava senza vedere le stradine strette, con le mani affondate nelle tasche e il capo chino, il volto completamente nascosto da due cortine di capelli impolverati, svoltando a destra e a sinistra come un automa.

Nessuno gli aveva chiesto nulla quando era rientrato. Sua madre stava preparando una misera cena e suo padre gli si parò davanti a quanto pareva solo per costringerlo a fermarsi e a girargli intorno. Severus strinse forte i pugni in tasca e senza sollevare la testa deviò quel tanto che bastava per non sfiorare suo padre.
“Stasera non ho fame” lo informò senza voltarsi, appena lo ebbe superato.
Poté immaginare la reazione di Tobias, ma non se ne curò, continuando a camminare. Quando aveva quasi raggiunto la sua stanza lo sentì rivolgersi rabbioso alla moglie, ma non udì nulla del litigio che ne nacque anche se la porta che si chiuse alle spalle non era sufficiente a escludere la furia che era esplosa di sotto.
Era stanco. Stanco.

Non si trascinò neppure sul letto, scivolò a terra e lì rimase rannicchiato, sporco, sotto il cappotto che lo soffocava nel suo calore, una mano aperta che strofinava meccanicamente il ruvido pavimento di assi scheggiate.

Non ricordò di essersi addormentato e quando tornò cosciente e capì dov’era, provò a muoversi, sentendo le ossa doloranti per la posizione scomoda che aveva tenuto sul pavimento duro. Aveva passato tutta la notte lì.
Si sedette appoggiandosi alla porta; nessun rumore si sentiva in casa.
Nonostante avesse dormito parecchie ore, si sentiva sfiancato e mentre scendeva le scale il più silenziosamente possibile, a passi lenti, tendendo le orecchie a qualunque suono potesse tradire la presenza di suo padre, nella sua mente ancora confusa dal sonno cominciarono a riordinarsi pensieri e ricordi del giorno prima.

Arrivò in cucina e si sedette su una sedia facendo penzolare un piede avanti e indietro a colpire piano la gamba del tavolo.
Dalla finestra entrava una luce fievole e lattiginosa, le imposte non erano state chiuse. Ma tanto erano rotte, la luce sarebbe entrata comunque.
Si guardò intorno, facendo scorrere lo sguardo sui mobili usurati e sulle pentole scure, sui canovacci appesi a un chiodo e sull’ordine muto di bicchieri e tazze di poco valore allineati vicino al lavello. Godette del silenzio di quelle povere cose e per qualche minuto posò il capo sulle braccia incrociate sul tavolo, ascoltando il proprio respiro.

Improvvisamente desiderò vedere quella bambina.

Alzò la testa e rimase qualche istante a fissare il riflesso della luce sulla parete di fronte. Poi si decise, scese dalla sedia e sentì dei movimenti di sopra. Non voleva incontrare suo padre e neanche sua madre.
Aveva deciso cosa fare, ma doveva tornare di sopra a prendere una cosa, prima. Si tolse le scarpe e salì velocemente le scale in punta di piedi, un po’ impedito dall’ampiezza del cappotto; quando ridiscese, teneva qualcosa stretto al petto. Tornò in cucina a prendere un pezzo di pane indurito e una mela, se li infilò in tasca, si rimise le scarpe ai piedi e uscì.

Sulla soglia di casa osservò il vicino trasportare un fagotto informe dentro una carriola. Un cane morto? Un gatto?
Prese a camminare, vagando per un po’ nel dedalo di stradine tutte uguali che però conosceva a memoria, dando qualche calcio ai sassi che incontrava, sentendo il quartiere animarsi a poco a poco.
Quando cominciò ad esserci troppa gente per i suoi gusti, si diresse verso il fiumiciattolo. Vide il vicino risalire l’argine, con la carriola vuota, e quando si incrociarono, l’uomo si grattò la canottiera unta con le dita tozze e gli fece un ghigno che mise a nudo una dentatura annerita e irregolare.
Severus guardò l’acqua sudicia e con una smorfia di disgusto prese con decisione a dirigersi nella direzione opposta.

Voleva andare al parco, voleva rivederla.
Più camminava più diventava un’urgenza, come se volesse a tutti i costi rivivere la sofferenza del giorno prima. Aumentò il passo e quando arrivò al parco era accaldato e ansimante, i capelli incollati alla nuca.
Si tenne in disparte, evitando le poche persone che quel giorno avevano sfidato il sole che ora era alto e infuocava l’aria che pareva avvolgere ogni cosa in un abbraccio soffocante.
Lei non c’era.
Severus era deluso e sollevato in pari misura. La disperazione del giorno prima bruciava ancora.

Si guardò intorno e individuò un posticino riparato e in ombra; prima però si diresse a una fontanella e, dopo aver posato con cautela a terra il libro che teneva in mano, bevve avidamente l’acqua fresca che zampillava, rinfrescandosi anche il viso e il collo. Scosse le mani scrollandosi via le goccioline e se le asciugò alla bell’e meglio sul cappotto, riprendendo poi il libro e dirigendosi sotto un albero.
Da lì non aveva una visione privilegiata del parco come da dietro il solito cespuglio, ma trovandosi su un terreno un po’ più elevato, poteva vedere abbastanza, senza troppi rischi di essere visto a sua volta grazie a una pianta di ortensie poco distante.
Se desiderava rivedere la chioma rossa della bambina, era parimenti deciso a non farsi vedere da lei.

Si immerse nella lettura del libro di pozioni, uno dei suoi preferiti, addentando la mela croccante e sbocconcellando il pane indurito; ogni tanto buttava un occhio alle altalene o alla giostrina, sempre con un misto di desiderio e apprensione.
Era concentrato nel rileggere -anche se la conosceva a memoria- la procedura per preparare la Pozione Polisucco (in grado di far prendere le sembianze di un’altra persona per un’ora -per un folle attimo immaginò di diventare Petunia!-) e non prestava attenzione ai movimenti davanti a lui, bambini, mamme, qualche anziano…
Sussultò violentemente quando sentì una voce esitante ma abbastanza forte chiedere: “Che cosa volevi dire ieri?”

Non l’aveva vista arrivare, non l’aveva sentita nemmeno avvicinarsi.

La bambina con i capelli rossi stava appena poco più sotto di lui, fissandolo nervosa, fissando proprio lui, ferma, non osando muovere un altro passo verso quel bambino magro e vestito in modo strano.
Ma non dava nemmeno l’impressione di voler andarsene, anche se si teneva abbastanza distante come per assicurasi la fuga e ogni tanto gettava qualche occhiata dietro di sé. Si irrigidì quando Severus saltò in piedi, spaventato quanto lei e tenendo una mano posata sul tronco, ma non si mosse.
Teneva gli occhi verdi puntati su di lui che, dal canto suo, stava ancora riprendendosi dalla sorpresa e tratteneva il fiato; il libro gli era scivolato dalle gambe e giaceva sull’erba con la copertina all’insù, il torsolo della mela era rotolato poco più in là.
Quand’era arrivata? Come l’aveva trovato?

Per lunghi istanti rimasero a fissarsi, studiandosi a distanza, intensamente, non osando compiere la mossa successiva.
Gli occhi neri di Piton erano spalancati per lo stupore e mentre qualcosa gioiva nel suo petto, la paura sembrava avergli tolto ogni capacità di reazione. Poterla vedere di nuovo e così da vicino era una sorpresa talmente insperata che dimenticò per un momento la delusione e la vergogna del giorno prima, perdendosi nell’osservazione del suo viso preoccupato e incuriosito insieme.
Respirò rumorosamente e scostando i capelli dalla guancia aprì la bocca, facendone uscire un suono inarticolato.

Forse rinfrancata dal suo imbarazzo, la bambina parve prendere coraggio e mosse un passo verso di lui; d’istinto Severus si appiattì di più contro il tronco.
“Perché mi hai detto quelle cose?”
“I… Io…” farfugliò Severus.
Poi qualcosa scattò dentro di lui, forse la consapevolezza che gli veniva offerta una seconda possibilità.
Ma fu quando realizzò che Lily era sola che prese il coraggio necessario per dire, con una punta di sfida: “Ho detto che sei una strega.”
Parlò velocemente, con voce chiara, per impedirsi di balbettare di nuovo.
Mentre pronunciava l’ultima parola si rese conto che a lei non era piaciuta, il giorno prima, e aggiunse in fretta: “Cioè, che tu hai poteri magici, che sei… sei una maga.” Ecco, questo termine forse era più gentile, per lei.

La guardò dritto negli occhi, ansioso, per capire se gli credeva oppure no, con il cuore che martellava all’impazzata.

Lily fece un altro passo verso di lui. Aveva gli occhi spalancati.
Con voce incerta disse: “...Una maga?”
“Sì!” Severus sembrava sollevato. Non era scappata!
“A… anche io lo sono.” Trattenne il fiato. “Un mago.”

Stava dicendo le stesse cose del giorno prima, ma questa volta la bambina non rifiutava le sue parole. Le soppesava e non c’era una Tunia al suo fianco a soffiare cattiverie malevole. Era indecisa.
La bambina fece vagare lo sguardo verso il parco, poi sollevò la testa a osservare la folta chioma dell’albero, immersa in chissà quali pensieri.

“Hai detto che anche tua mamma è una strega.” Aggrottò la fronte pronunciando quella parola.
“Sì…” Severus grattò con la punta delle dita la corteccia del tronco.
“Ma le streghe non… non sono cattive?” Lily questa volta aveva parlato a capo chino, muovendo nervosamente la punta del sandalo nel terreno.
“No!”
Severus lo disse d’istinto. I maghi non erano cattivi, o meglio, essere maghi era meglio che essere babbani, cioè… sì, c’erano dei maghi cattivi, Grindelwald per esempio, come gli aveva accennato sua madre una volta, ma essere mago o strega non implicava automaticamente l’essere malvagio. Sua madre non era cattiva. Non era neppure “buona”, ma… beh, a dire il vero non aveva mai pensato a sua madre in questi termini.

“Io credevo che le streghe fossero cattive”, sussurrò Lily.
“Tu non sei cattiva!” disse velocemente Piton, prima di potersi frenare.
La bambina lo guardò negli occhi. Severus sentì le ginocchia cedergli e strinse la mano contro il tronco dell’albero.

Un sorriso, un sorriso meraviglioso che cancellò tutto quello che era accaduto il giorno prima e che lo liberò dalla morsa pesante che lo stringeva, si disegnò sulla bocca di Lily.

“Come ti chiami?”
Aveva fatto un altro passo verso di lui, ma stavolta Piton non arretrò e staccò la mano dal tronco, strofinandola contro il cappotto per liberarsi di alcuni frammenti di corteccia.
“Severus”, rispose.
“Io mi chiamo Lily”, disse lei.
Ora erano uno di fronte all’altra.
“Lily” pensò lui.
Lo sapeva già, lo sapeva da tempo, ma fu bellissimo sentirglielo dire. Parlava proprio a lui.

Severus sentì le narici venir invase da un profumo lontano, un profumo ricolmo di tutte le cose belle del mondo. Si sentì leggero.

Ora la bambina era vicinissima e lo sguardo le cadde sul libro che giaceva nell’erba. Lesse la copertina e trattenne il fiato, scoccando un’occhiata a Severus.
“Posso?”, chiese.
Piton, litigando per un momento con la manica troppo lunga del cappotto, si chinò in fretta a raccogliere il libro, ne scrollò via un paio di formiche e glielo porse, trepidante.
Lily lo prese e si sedette per terra, guardando il viso dal colorito opaco di quel ragazzino che però aveva qualcosa che la spingeva a fidarsi delle sue parole, per quanto incredibili.
Ma in fondo… a lei capitavano cose incredibili, cose che… abbassò lo sguardo sul libro e lo sfogliò a caso.

Severus le sedette accanto, incapace di credere a quello che stava succedendo.
“È per questo” cominciò lei, esitante “…che alle volte faccio delle cose… strane? Tunia non… Tunia è mia sorella-” spiegò e Piton represse il disprezzo “…lei non riesce a fare quelle cose. E neanche mamma e papà.”
“Sì, tu puoi fare cose che loro non possono fare perché sono bab… p-perché non sono magici”, si corresse lui.
Ma Lily l’aveva sentito.
“Com’è che li hai chiamati?” domandò. “L’hai detto anche a mia sorella, ieri.”
Severus la guardò.
“Babbani”, rispose, cercando di usare un tono neutro.
La bambina non parve cogliere alcuna sfumatura in quella risposta, limitandosi a registrare semplicemente l’informazione.
“Dove hai comprato questo libro?” chiese curiosa.
“Oh, era di mia mamma, quando andava a Hogwarts…”
“Cos’è Hogwarts?”

Piton si sentì invadere dalla felicità.
Stava davvero spiegando a quella bambina del mondo di cui faceva parte senza saperlo, stava davvero seduto accanto a lei a parlarle di magia!
I suoi sogni più belli, ora li stava vivendo e lei lo ascoltava con interesse, non lo guardava storto per via del suo abbigliamento, del suo cognome o del quartiere da cui proveniva. Lo ascoltava rapita, gli occhi stretti per la concentrazione; non era come quella babbana di sua sorella, era venuta a cercarlo, a cercare proprio lui.
Piton voleva urlare dalla gioia.

“Hogwarts è la Scuola di Magia e Stregoneria dell’Inghilterra, tutti i bambini maghi ci vanno quando compiono undici anni.”
“Davvero? Ma io non ne ho mai sentito parlare!”
“Riceveremo tutti e due una lettera dalla scuola quando sarà il momento e quando il gufo ce la porterà…”
“Il gufo?” lo interruppe lei, sorpresa.
“Sì, la posta magica viene sempre portata dai gufi.”
Lily rise. Pareva trovare la cosa molto buffa.
Accarezzò con una mano le pagine ingiallite del libro di pozioni.
“Ti insegnano a fare queste pozioni a… Hogwarts?”
“Sicuro! E un sacco di altre cose, incantesimi, trasfigurazioni…”
“Che?”
“Trasfigurazioni, vuol dire che con la bacchetta puoi trasformare una cosa in un’altra, anche in un animale…”
“La bacchetta?!” Lily sembrava non credere alle proprie orecchie. “Vuoi dire che in quella scuola si usano le bacchette magiche?”
“Certo, tutte le magie si fanno con la bacchetta”, annuì Severus.

Lily sembrava al settimo cielo. L’idea della bacchetta l’aveva esaltata, Severus riconobbe l’espressione gioiosa che precedeva quei saltelli che le vedeva sempre fare quando era su di giri.
Ma Lily si trattenne, forse un po’ intimorita di fronte a un bambino che ancora le era sconosciuto.
Severus comprese e iniziò a raccontarle tutto quello che sapeva sul mondo magico, sul Ministero, su Hogwarts, sull’Espresso che sarebbe partito da King’s Cross, sulle magie e gli incantesimi che conosceva, sulle materie che avrebbero studiato a scuola…

Lily guardò di nuovo il libro, affascinata.
Poi lo chiuse e lo restituì a Severus allungando il braccio. Lui osservò la sua bella mano bianca, morbida e delicata, così diversa dalla propria, magra, nervosa e con le vene scure che si vedevano attraverso la pelle sottile e giallastra.
Tutto in Lily sembrava suggerire dolcezza e calma.
Per qualche minuto la bambina rimase seduta con il mento posato sulle ginocchia, pensierosa. Sembrava desiderosa di mettere ordine in quella valanga di novità che Severus le aveva raccontato, in conflitto tra la ragione e una voce interiore che le diceva che era tutto vero e che quel ragazzino dai capelli lunghi non mentiva.

Piton capì il suo bisogno di tempo per assimilare il fatto di essere una strega.
Rimase a guardarla in silenzio e ogni momento che passava nella contemplazione dei suoi capelli rossi e dei suoi occhi assorti era un tesoro prezioso. Prese ad accarezzare sovrappensiero l’erba, provando una sensazione di beatitudine del tutto nuova, ma così piacevole che chiuse gli occhi e tirò un profondo respiro per gustarla meglio.
Era accaduto, stava accadendo! Sorrise.
Non era abituato a farlo…
Lily si voltò proprio in quel momento. Sorrise di rimando e raccolse una piccola pigna. La mise in equilibro sul palmo della mano, si alzò in piedi, tese il braccio e la pigna prese a girare come una trottola di legno, ma lei non la guardava. Guardava Severus.
Il suo sguardo era deciso, metà sfida, metà richiesta di spiegazioni. Lui la guardò da sotto in su.
Poi strappò dei fili d’erba e, alzatosi a sua volta, le si avvicinò. Il braccio di lei era ancora teso in avanti, con la pigna che girava scura sul palmo, senza accennare a fermarsi.

Severus sfiorò il polso di Lily con i fili d’erba e questi vi si avvolsero intorno intrecciandosi tra loro. Non le staccò gli occhi di dosso mentre la magia si compiva e vide alternarsi sul suo volto preoccupazione, stupore, meraviglia.
Lily spalancò la bocca e lasciò cadere a terra la pigna fissando il braccialetto d’erba e subito alzò lo sguardo sul viso del bambino davanti a lei, serio e solenne, che la guardava con gli occhi neri carichi di risposte e di una luce ardente.
Stavolta Lily non poté trattenersi e afferrate le mani di Severus lo trascinò in un girotondo in cui colori e forme si susseguirono veloci fino a fondersi nel suo grido di giubilo, nella sua risata cristallina.

Severus vide il mondo vorticargli intorno e strinse le mani in quelle di Lily, che in quel momento erano l’unico punto fermo dell’universo intero.
Si ancorò a quella stretta morbida e si perse in uno sguardo verde chiaro, gridando al cielo la sua liberazione.

***

 
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Camelia.
view post Posted on 18/7/2013, 16:32




Capitolo X


“Certo che non sei un gran chiacchierone, eh?” proclamò Avery.
“Severus, yu-uhhh!”
Mulciber si sporse dalla sua poltrona e agitò il palmo della mano davanti alla faccia di Piton, sogghignando.

Severus si sentì strappare via dal calore di una splendida giornata estiva e precipitò in un’atmosfera più buia, più fredda. Non c’era nessuno che rideva in un’esplosione di gioia, non c’erano colori; tutto era fermo, racchiuso entro quattro mura di pietra.
Si accorse di stringere fortissimo la mano… sul niente.
Lily non c’era.

Quei due bambini avevano appena interrotto il suo ricordo più bello, ma fece uno sforzo immenso per non darlo a vedere. I suoi occhi seri guardarono ora l’uno ora l’altro compagno, in silenzio; per un momento il suo respiro si fece irregolare e gli parve di sentire qualcosa incastrato in gola. Se fosse stato da solo, sarebbe uscito di corsa dalla sala comune per andare a cercare i dormitori di Grifondoro, anche col rischio di farsi beccare, di prendersi una punizione a poche ore dal suo arrivo a Hogwarts, a costo di vagare tutta la notte per il castello e…
Ma che idea stupida.
Si impose un maggiore controllo, Lily era da qualche parte e forse stava già dormendo, l’avrebbe vista l’indomani, di sicuro, era impossibile il contrario.

Per la prima volta in vita sua, immaginò Lily dormire: nelle sue fantasie la bambina era sempre ben sveglia, spesso in frenetico movimento, e rideva, rideva moltissimo.
Altre volte invece stava ferma e immersa in chissà quali riflessioni che la portavano altrove, lontano dal presente e dal suo stesso corpo. Lily era speciale in quei momenti, si lasciava trascinare via in un altro mondo e Severus si incantava a guardarle gli occhi verdi aperti su immagini a lui precluse.

Ma una volta aveva visto qualcosa.

Aveva visto se stesso avvicinarsi a Lily con dei fili d’erba in mano che poi si erano avvolti morbidamente attorno al suo polso.
Era stata una visione fugace, niente più che un lampo, sparito prima ancora di poter essere focalizzato. Aveva sussultato, incredulo.
Lily quasi nello stesso istante aveva ripreso a vedere e aveva sorriso, come faceva sempre, guardando il volto dell’amico che la fissava sbalordito.
“Che c’è?” aveva chiesto.
“N… niente.”
Piton aveva immediatamente guardato altrove. “Giochiamo?”
Non capiva bene cos’era successo e anche se temeva di aver fatto qualcosa che non doveva, di aver invaso un territorio che non gli apparteneva, se ne sentiva inebriato. Quella sera avrebbe ripensato a lungo agli occhi aperti di Lily.

Chissà com’era vederla dormire…
Severus, che ora osservava sulla parete uno stendardo di Serpeverde che prima non aveva notato nella penombra, immaginò i suoi bei capelli sparsi sul cuscino, le palpebre chiuse e un’espressione di totale pace sul viso.
“Uhh, sei davvero un tipo silenzioso” insisté Mulciber.
Piton sobbalzò, era incredibile come i suoi pensieri continuassero a scivolare su Lily.
Mulciber fece uno sbadiglio colossale, stirando le braccia, poi smosse alcuni ciocchi di legno nel camino con uno dei ferri scuri appesi lì vicino e il fuoco si ravvivò crepitando.

“Beh, meglio che parlare a vanvera come Silente stasera, ma l’avete sentito?” sentenziò Avery storcendo la bocca “Gli ippogrifi… ma per favore. A tavola ho sentito Malfoy dire che Silente è completamente fuori di testa.”
Severus ripensò al ragazzo biondo che lo aveva accolto con grandi pacche sulla spalla quando il Cappello Parlante l’aveva smistato a Serpeverde: quanto gli sarebbe importato che suo padre fosse un babbano?
In sala comune non aveva mostrato attenzione nei suoi confronti; una volta compiuti i suoi doveri di prefetto, si era rivolto a Mulciber ed Avery, di cui conosceva i genitori purosangue, e poi si era accomodato in poltrona accanto a quella ragazza dall’aria fredda, senza aggiungere altro, con un distacco totale da quanto gli capitava intorno.

“… Narcissa è una Black, è cugina di quel Sirius che è finito a Grifondoro” stava dicendo Avery, continuando l’ennesimo discorso sulle famiglie con l’amico.
Una linea si disegnò sulla fronte di Severus quando sentì il nome di Sirius.
“Sua sorella Bellatrix ha sposato da poco Rodolphus Lestrange, mio padre lo conosce, erano a scuola insieme.”
“Se finiranno per sposarsi anche loro due non potrebbe esserci matrimonio migliore! Black e Malfoy, pensa che roba! Avranno una discendenza coi fiocchi.”

Piton era un po’ sconcertato dall’insistenza sull’argomento. Non sapevano discutere d’altro quei due? O gli dava fastidio perché condivideva le loro idee, ma ne era inesorabilmente escluso? Tornò a sentirsi a disagio e comunque, parlare di matrimonio… erano solo bambini!
“Già. Fa schifo che non tutti la pensino così, non so come fanno certi purosangue a sposare dei babba…”
Avery stavolta si rese conto di aver completamente sbagliato.
S’interruppe mentre Mulciber gli dava una gomitata e guardò Severus con un’occhiata sghemba, in apprensione, ma lui fece finta di essere ancora perso nei suoi pensieri e di non aver sentito una parola.
Gli altri due rimasero zitti qualche momento, poi ripresero forzatamente a parlare di Silente, delle lezioni che sarebbero iniziate il giorno dopo, ma senza troppa convinzione e alla fine non seppero come continuare.
Si stiracchiarono e si alzarono dalle poltrone.
“Ehi, mezzo Prince, non pensi che sia ora di andare a dormire?” fece Mulciber.
Severus piegò l’angolo della bocca, considerando con amara soddisfazione il tentativo di Mulciber di rimediare all’errore dell’amico; mugugnò un suono inarticolato, guardandolo appena, e annuì velocemente col capo, tornando a fissare il fuoco mentre si passava un dito sulle labbra, pensoso.

Non sarebbe mai stato accettato a “scatola chiusa”.

Era un’eventualità a cui non aveva mai pensato, come l’idea di non finire a Serpeverde.
Avrebbe dovuto prevederlo, ma il fatto di provare insofferenza per i babbani e odio per suo padre lo avevano sempre fatto sentire a posto e aveva ritenuto che sarebbe bastato mettere piede a Hogwarts per cancellare tutto ciò che non gli piaceva della sua vita, perché ne sarebbe cominciata un’altra.
Ora invece comprendeva una verità inaspettata, capiva che non bastava questo, che non era neppure lontanamente sufficiente e che la sua esistenza passata gli restava indissolubilmente legata addosso.
Anche se aveva guadagnato il rispetto dei compagni di stanza, sapeva che da quel momento in poi, avrebbe dovuto farlo ogni giorno, avrebbe dovuto provare costantemente di essere un "mezzo Prince", perché ci sarebbe sempre stato qualche altro Avery o Mulciber cui dimostrare la nulla importanza del cognome che mai come ora sentiva pesargli addosso come una maledizione.

Ma adesso sapeva cosa doveva fare e l’avrebbe fatto, ogni giorno.
Presa questa risoluzione, si alzò, determinato, facendo leva con le mani sui braccioli e si diresse verso il proprio letto. Mentre si sfilava la divisa, scorse i due compagni osservarlo per un momento e poi riprendere a sistemare le proprie cose.
Infilò in fretta il pigiama e fece calare le pesanti tende del baldacchino che frusciarono giù dondolando per qualche attimo.
Sistemò la divisa sul baule e mentre la lisciava con le mani, sentì sotto le dita la bacchetta nella tasca interna; la prese e se la rigirò tra le mani, compiaciuto, sentendosi improvvisamente potente.
Poi, allungando il braccio in mezzo alle tende tirate, la posò delicatamente sul cuscino.

“’Notte Severus!” disse esitante Mulciber.
“’Notte” gli fece eco Avery, con tono più squillante.
Piton girò attorno al letto per prendere una candela dal proprio tavolo, la accese e si voltò a guardare gli altri due, i capelli che gli ricadevano in avanti nascondendogli gran parte del viso.
Qualcosa nel suo sguardo in cui si rifletteva la fiammella gialla della candela fece ammutolire i compagni.
“Beh… a domani”, dichiarò ancora Avery, intimorito e con una sfumatura gentile nella voce.
“Buonanotte.”
Severus parlò lentamente guardando prima Avery, poi Mulciber. Poi scivolò nel rifugio sicuro del suo letto, posando cautamente la candela sulla spessa testata di legno.

Finalmente isolato, il sollievo calò su di lui come una coperta leggera e si sentì tranquillo entro le mura di velluto di quello spazio tutto suo. La fugace visione della sua misera stanza a Spinner’s End gli attraversò la memoria dissolvendosi nello spesso velluto verde che lo circondava.
Prese la bacchetta e per un po’ rimase seduto sul copriletto, a gambe incrociate, con le braccia pigramente abbandonate sopra e le mani inerti; era molto stanco, ma qualcosa lo agitava. Piegò all’indietro il collo, fissando sul baldacchino sopra di sé un’altra riproduzione dello stemma di Serpeverde; la luce fievole della candela ne faceva baluginare i profili argentati.
Ora che finalmente era calmo e solo, gli pareva di essere al riparo da tutto.

Che giornata.
L’aveva fortissimamente attesa per tutta la vita, come un assetato nel deserto che non vede l’ora di raggiungere l’oasi, e… beh, non era andata esattamente secondo i piani.
Era finito a Serpeverde, va bene, ma solo per scoprire che questo non sarebbe stato un riscatto, bensì una strada tutta in salita.
No, non era un problema in fondo, rifletté con la fronte aggrottata, rigirandosi la bacchetta in mano; era un imprevisto, ma non lo spaventava affatto, anzi si sentiva stimolato nel voler far riconoscere il proprio valore. E aveva l’impressione che se l’indomani avesse convinto Malfoy di essere alla pari degli altri, tutto sarebbe stato più semplice.
Sbadigliò, sentendo la spossatezza rendergli le palpebre pesanti.

Ma poi... lui non voleva essere alla pari di nessuno, rimuginò, abbassando il capo e fissando le mani che stringevano la bacchetta.
La fece ruotare e ne osservò le venature alla luce tremula della fiammella; la accarezzò come se fosse la cosa più preziosa del mondo. Probabilmente lo era, aspettava solo di essere usata per le grandi magie che meritava di compiere, stava a lui, solo a lui, renderlo possibile.
Lenti rivoli biancastri gocciolavano lungo la candela sempre più corta e l’odore della cera sciolta aveva riempito l’aria.
Severus si sollevò leggermente e soffiò per spegnere il mozzicone, poi mormorò “Lumos!”.

Nell’attimo di buio che precedette l’incantesimo vide il volto di Lily.

Alla luce che illuminò la punta della bacchetta osservò il denso filo grigio di fumo che si levava sottile dallo stoppino nero, salendo in alto e disperdendosi in volute irregolari, fino a finire assorbito dai tendaggi.
Lily.
Ecco cos’era davvero andato storto in quel giorno tanto atteso e desiderato.
Adesso che era da solo e lontano dagli sguardi indiscreti di Avery e Mulciber, avrebbe potuto lasciarsi andare alla disperazione acuta che sentiva premergli dentro dal momento in cui il Cappello Parlante, posato su una chioma rosso scuro, aveva emesso un verdetto inaccettabile.
Lily.
Era come se avessero separato i loro destini. Tremò, portandosi le mani al volto. Stava per fare una cosa che non faceva da tempo, lo sentiva. Lottò per resistere.

Lily a Grifondoro… non poteva succedere cosa peggiore. Pensando alla Casa che odiava, sentì un sentimento di rabbia montare in lui e fu con stizza che scalciò nel vuoto; si concentrò con forza sul ragazzino borioso con gli occhiali e i capelli spettinati e su Sirius Black, il perfetto imbecille, nonché traditore della sua nobile famiglia purosangue.
Pensando al proprio padre babbano, Severus provò un senso perverso di rivalsa nei confronti di quel ragazzo insolente, come se gli avesse soffiato da sotto il naso il posto che doveva spettare a lui, a Serpeverde.
Lo rivide seduto nello scompartimento del treno, scomposto e sfrontato, sentì di nuovo le sue parole di scherno, udì la sua risata beffarda, lo vide schiamazzare con l’occhialuto Potter, lo ricordò seduto a cena accanto a lei… No!!!!

Esalando un respiro affannoso, si infilò in fretta sotto le coperte, tirandosele fin sopra la testa. Stringeva ancora la bacchetta accesa, la cui luce era resa verdognola dal copriletto.
Il cuore gli martellava contro le costole, lo sentiva tuonare dentro le orecchie come i passi di un gigante.
Lo Smistamento aveva cancellato tutte le fantasticherie sul tempo che avrebbe trascorso con Lily in sala comune, ogni sera; su come sarebbe stato bello parlare delle lezioni, fare i compiti assieme o chiacchierare semplicemente, accomodati davanti al camino; su come sarebbe stato bello dirsi “buonanotte” sulla porta dei dormitori e aspettarsi lì al mattino per darsi il buongiorno, prima di salire assieme a fare colazione in Sala Grande.

Si calmò, cercando di dominare la disperazione che lo investiva a ondate, e abbassò le lenzuola dalla testa, che sentiva pesante e intontita per il sonno. Distese il suo corpo magro rannicchiato e rimase a pancia in su.
Vide lo stemma di Serpeverde sopra di sé e tirato fuori il braccio vi puntò contro la bacchetta dalla punta illuminata; seguì con la luce le linee sinuose del serpente facendo brillare l’argento.
Non doveva andare così.
Qualcosa gli offuscò la vista, qualcosa di molto caldo, e l’immagine del serpente si appannò.

NO, non avrebbe pianto.

Strinse forte la bacchetta sentendo la pelle tendersi sulle nocche, spalancò gli occhi con rabbia e il riflesso del serpente cadde dentro due profondi pozzi neri che sembravano non avere fine.
Lily, Lily, Lily…

Si sentì sprofondare nel cuscino e udì delle voci intorno al suo letto, voci che si muovevano in tutte le direzioni, ora soffocate ora forti… maledizione, perché Avery e Mulciber non si mettevano semplicemente a dormire?
Dei passi attutiti dai tappeti si rincorrevano nella camera, sembrava ci fosse qualcuno che chiamava, ma non riusciva a distinguere bene le parole, un brusìo crescente e indistinto aveva preso ad avvolgere tutto e sentì qualcosa che somigliava al fischio di un treno e allo sbuffare del vapore di una locomotiva.
Poi una voce fonda lo chiamò “Severus!” e lui balzò a sedere sul materasso morbido, la bacchetta in mano, guardando in su, perché quella che sembrava la voce di Hagrid pareva sgorgare da sopra il suo letto, dal soffitto. Con i piedi separò la cortina verde del baldacchino e si aprì un varco, scivolando fuori dal letto.
Come toccò il tappeto con i piedi scalzi, ogni rumore svanì, inghiottito dal nulla.

Rimase in piedi, rabbrividendo un po’ dopo essere uscito dal calore delle coperte, anche se il fuoco nel camino lì a fianco era ancora acceso. Come dal niente lo udì di nuovo crepitare. Nessuno parlava, nessuno correva.
Girò attorno al letto e intuì le sagome addormentare dei suoi compagni di stanza, che non avevano tirato le tende. I loro respiri erano regolari e profondi.
Tese le orecchie e udì di nuovo un rumore di passi, stavolta fuori dalla stanza.
In punta di piedi, si avvicinò alla porta e la aprì lentamente, illuminando con la bacchetta una piccola porzione di corridoio. Vi si affacciò e guardò prima a sinistra, poi a destra, ma ogni rumore era svanito nel momento stesso in cui aveva schiuso l’uscio.
Indeciso, girò indietro la testa e osservò Avery e Mulciber immobili nei propri letti.

Tornò a guardare fuori e stavolta udì delle voci provenire da oltre la porta del corridoio, dalla sala comune: ascoltando con attenzione gli parvero più delle risate, come se ci fossero delle persone che si stavano divertendo incuranti che fosse notte fonda e che tutta la Casa stava dormendo. Uscì, e mentre era voltato a chiudere piano la porta della sua stanza, gli parve di riconoscere quelle due voci, erano i due ragazzi del treno, quegli insopportabili Grifondoro, cosa ci facevano nella SUA sala comune? Voltò di scatto la testa verso la porta alla fine del corridoio, ma non c’era più.
Una luce forte proveniva dalla sala comune, abbagliandolo, tanto che non riusciva a distinguere nulla al di là.

Qualcosa però era appeso e dondolava avanti e indietro, dalla sala al corridoio, e schermandosi gli occhi con la mano Severus riconobbe un’altalena con qualcuno seduto sopra. Nell’attimo in cui lo capì, una risata argentina gli riempì le orecchie… e il cuore.
Lily dondolava sull’altalena, in archi sempre più ampi, anche se non riusciva a vederla bene, ora nel buio del corridoio, ora nella luce della sala comune. Ma poi… era la sala comune quella?
Un’altra risata.

Era lei, era la risata di Lily, l’avrebbe riconosciuta tra un milione!
Il cuore gli sobbalzò nel petto.
Felice, Severus fece per correre verso di lei, ma i suoi piedi scalzi sprofondarono nell’acqua fino alle caviglie. Il corridoio era allagato, Severus abbassò lo sguardo e vide la luce della sua bacchetta riflettersi e muoversi ondeggiando sulle increspature che i suoi movimenti avevano provocato nell’acqua.
Lily continuava a ridere dandosi lo slancio sull’altalena e Piton sentì l’esuberanza di una splendida giornata di sole fiorire attorno a lui. Guardò la bambina oscillare avanti e indietro e “Severus, vieni anche tu!”, si sentì invitare.
Mosse un passo e vide qualcosa spuntare dall’acqua quando Lily arrivò nel punto più basso della sua traiettoria, un tentacolo che sembrava volerla afferrare anche se lei non se ne curava minimamente e continuava a dondolare lieta, sempre più allegra.

“Lily!”
Angosciato, Severus prese a correre, incurante degli schizzi d’acqua che sollevava infradiciandosi il pigiama.
Guardava verso Lily che però gli parve più lontana, come se il corridoio si fosse allungato. La sua voce cristallina si allontanava e Piton corse più veloce, percependo appena al suo fianco lo scorrere di due file di ritratti in grandi cornici dorate.

Oltre la porta dei dormitori, dietro Lily, improvvisamente vide Malfoy.
Rigidamente in piedi al centro della sala comune, il ragazzo guardava Lily con un’espressione dura in volto e una mano posata su una poltrona verde da cui spuntava una nuca di lisci capelli biondi. Severus si spaventò moltissimo: Lily era di Grifondoro, non doveva stare lì, cosa avrebbe detto Malfoy, era anche un prefetto! Doveva assolutamente raggiungerlo e spiegargli… spiegargli che lei era una sua amica, che non stava facendo nulla di male.
Mentre Severus correva nell’acqua, Lily continuava a dondolare, ignara, come se appartenesse a un altro tempo. Ora la vedeva bene in viso e poteva leggervi tutta la felicità del mondo. Barcollò a quella vista e cadde in avanti con le mani nell’acqua, bagnando tutta la bacchetta che si spense. Aveva il fiatone.

Alzò lo sguardo e si accorse che la persona seduta sulla poltrona di fianco a Malfoy indossava il Cappello Parlante.

Lily rise forte: “Dai, Severus! È bellissimo!” e si abbandonò con la testa all’indietro, beandosi della carezza del vento che le scompigliava i capelli in un morbido groviglio rosso.
Malfoy, alle spalle di Lily, mosse un passo e chiese a voce alta e chiara: “È così? Sei il figlio dei Piton?”
Il Cappello Parlante oscillò, come se chi lo indossava stesse piangendo. O ridendo. Vide una treccia biondo cenere spuntare da sotto la stoffa macchiata e rappezzata.
Severus si sentì gelare e si sollevò da terra di scatto, gocciolando, impaurito, con i capelli appiccicati alle guance.
“Io…” la sua voce tradiva tutta la sua esitazione.
Malfoy strinse le labbra e sollevò un sopracciglio.
“Severus, andiamo a cercare gli ippogrifi?” Lily continuava a ridere, come se non capisse il pericolo che stava correndo.
Severus ansimò, disperato.
“Lily…”, cominciò, ma un forte rumore metallico lo fece sobbalzare.
Guardò oltre il varco di accesso del dormitorio, oltre lei, e vide la sala comune: non c’era nessuno, era buia e il rumore sembrava quello della porta in fondo che si chiudeva. Severus strinse gli occhi per scrutare bene nell’oscurità che avvolgeva la lunga stanza. Sì, la sala comune era vuota.

“È una babbana?” sussurrò all’improvviso la voce di Lucius Malfoy alle sue spalle, soffiandogli nell’orecchio.
Severus si voltò di scatto, trattenendo fragorosamente il respiro e sentendo il proprio cuore rimbombare per tutto il corridoio.
Ma un sollievo immenso lo invase quando scoprì di essere solo.
Si girò per andare da Lily, tranquillizzato, ma lei non c’era più. Non c’era neppure l’altalena e la porta dei dormitori era chiusa e muta.
Tutto il corridoio era silenzioso e buio.

Lumos” mormorò Severus.
Vide una lunga fila di tappeti allineati per terra perdersi nell’oscurità e ne sentì uno sotto i suoi piedi scalzi. Asciutti.
Si sentì improvvisamente piccolissimo e, infreddolito e impaurito, fu scosso da brividi violenti. Si strinse nelle braccia magre, spossato, si guardò intorno girando disperatamente su se stesso più volte e bisbigliò piano, come una preghiera, come una supplica, “Lily?...”

L’eco di una risata gentile gli risuonò in testa.

Abbattuto, sentendo sulle spalle un peso che quasi lo schiacciava sul pavimento, Severus si voltò per tornare in camera sua e vide un ritratto alla parete.
Vi si avvicinò, e la bacchetta ne illuminò per prima cosa la piccola targa. “Tobias Piton”.
Con gli occhi spalancati dal terrore, guardò la figura dipinta e vide suo padre fissarlo malevolo. Con un ghigno sul viso, l’uomo sollevò le mani che reggevano qualcosa di sottile e con uno schianto spezzò la bacchetta di Eileen davanti ai suoi occhi. Allungò un braccio e Severus fece d’istinto un passo indietro, stringendo forte la propria bacchetta, mentre Tobias prendeva a ridere sguaiatamente, sempre più forte, una risata sonora, insopportabile e volgare.
Avrebbe svegliato tutti… Severus guardò con apprensione le porte chiuse lungo i due lati del corridoio, sentendo il respiro mozzarsi in gola.

“Smettila!” urlò, sentendo bruciare la gola, con l’odio che gli infiammava gli occhi scuri e i pugni stretti tanto da fargli male.
Un bagliore improvviso lo accecò, nascondendo ogni cosa alla vista, e quando il corridoio tornò buio e l’unica luce rimasta era quella della sua bacchetta, vide che il ritratto era vuoto, la tela bucata e accartocciata, nera, come bruciata.
Scorse la punta di una bacchetta muoversi con precisione sulla targa, con piccolissimi movimenti e guardò il nome di Tobias cancellarsi, sparire, progressivamente occultato sotto sottili e precisi graffi sul metallo.

Non vide chi stava compiendo quel lavoro certosino perché, anche se lo percepiva accanto a sé, il buio sembrava essersi fatto denso, coprendo ogni cosa e dilatando lo spazio.
Severus si sforzò di distinguere qualcosa, ma vide solo il fugace brillìo di un anello con un pietra nera e poi due fulminei bagliori rossi, che perforarono il buio e i suoi occhi per sparire subito com’erano apparsi.
Turbato, prese fiato per fare una domanda, ma anche l’aria si era fatta densa. Una strana inquietudine lo pervase.

Provò a guardare meglio, alzando la bacchetta.
Una macchia rossa saltò giù da un’altalena e un attimo dopo la sua bacchetta illuminava il volto vispo di Lily. Due occhi verde chiaro lo guardavano sereni e furono come un balsamo per lui che sorrise e sentì la tensione scivolargli di dosso.
Improvvisamente si sentì più stanco di quanto non fosse stato quella sera e si stropicciò gli occhi, sollevato. Allungò la mano libera per prendere quella di Lily, ma la sentì muoversi nel vuoto. Rialzò il capo e si ritrovò davanti alla porta della sua camera.

“Lily!”
Nessuno rispose.
Di nuovo prese a correre avanti e indietro chiamandola piano, i suoi passi come piccoli tonfi sui tappeti.
Infine, deluso, rimase a lungo immobile davanti alla porta della camera, le braccia lungo i fianchi, la bacchetta che gli illuminava i piedi. Con un ultimo sguardo al corridoio entrò nella stanza, a capo chino, avvilito. Lo accolsero i respiri dei suoi compagni e lo scoppiettìo del fuoco, che si era notevolmente ridotto.
Si trascinò verso il suo letto, entrando nelle tende e infilandosi sotto le coperte, sfinito, crollando sul cuscino con un gemito.

Si sarebbe svegliato solo il mattino dopo, aprendo lentamente le palpebre e mettendo a fuoco come prima cosa il serpente dello stemma della sua Casa sopra di sé.
Qualcosa nella notte era scivolato dagli angoli dei suoi occhi, lasciando due leggere tracce bianche.

Edited by Camelia. - 13/8/2013, 17:45
 
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Camelia.
view post Posted on 18/7/2013, 23:36




Con questo capitolo si conclude la prima sera di Severus.

Non contenta, sto scrivendo un'altra ff -Il primo giorno (sì, sono molto fantasiosa nei titoli)- che descrive praticamente passo passo la prima giornata di Piton a Hogwarts, dal suo risveglio, all'incontro con Malfoy e Lumacorno, alle prime lezioni... e con diverse incursioni nel suo passato fatto di Tobias, Eileen, Spinner's End e Lily.
Al momento ne ho scritti 18 capitoli e non l'ho ancora terminata, comincerò a postarvela un pezzo alla volta.

Intanto spero che La prima sera vi piaccia :)
 
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Astry
view post Posted on 21/7/2013, 19:09




Bella ff, ben scritta. Le descrizioni e i pensieri del piccolo Piton erano davvero come li ho sempre immaginati. A volte mi si è stretto lo stomaco, ogni volta che leggevo della sua felicità, conoscendo purtroppo quanto dovrà soffrire, è stato un po' come aprire una vecchia ferita. E' un po' che non leggevo fanfiction e, leggendo la tua, è tornata quella sottile sensazione amara che ho sempre provato leggendo le storie su Severus, almeno di quelle che hanno colto la sua vera anima. Complimenti!
 
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Camelia.
view post Posted on 21/7/2013, 23:10




Grazie, mi hai fatto un complimento bellissimo dicendo che anche la mia ff ha colto la vera anima del piccolo Sev. Grazie davvero :) :)
 
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13 replies since 23/6/2013, 14:47   129 views
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