Il primo giorno, 2 settembre 1971

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Camelia.
view post Posted on 23/7/2013, 11:08




Eccomi a voi con una nuova ff, già pubblicata sul Severus Piton & Alan Rickman Fan Forum :)

Titolo: Il primo giorno
Autore/Data: Camelia.
Rating: per tutti
Genere: "Lente d'ingrandimento" (più avanti spiego meglio!)
Personaggi: Severus bambino, allievi e professori di Hogwarts, personaggi del passato o del mondo babbano
Epoca: 2 settembre 1971 e anni precedenti
Riassunto: in questa ff seguirò passo passo la prima giornata di Severus undicenne a Hogwarts
Avvertimenti: Nessuno
Disclaimer: I personaggi e i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me ma a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

Note: Il primo giorno forma un dittico con la mia precedente ff La prima sera, di cui è il seguito ideale.
Mi è sempre piaciuto, quando mi appassionavo ad una storia, ricamare con la fantasia su tutto ciò che accade ai personaggi "tra le righe del libro".

Nello specifico della saga di HP, mi intriga molto Severus bambino, dal momento che è nella sua infanzia che si trovano tutti gli elementi scatenanti del suo futuro ego adulto e anche perché è stato un bambino molto triste e sfortunato e mi piace poterlo seguire più da vicino.
Come nella precedente ff, ci sono parecchie incursioni nel passato di Severus (compreso il racconto del giorno in cui scoprì di essere un mago).
Ne ho scritti 18 capitoli e ritengo di essere a "metà" della giornata di Severus che vorrei raccontare, il 2 settembre, ovvero il suo primo giorno ad Hogwarts. E' un po' come se fossi al suo fianco e osservassi man mano cosa gli succede, in questo nuovo giorno pieno di incognite :)

_________________________________________

Capitolo 1


Per qualche istante Severus fissò il serpente sopra la sua testa senza davvero vederlo.
Si sentiva completamente intontito, la testa era pesantissima e così affondata nel cuscino da inghiottirgli le orecchie in un abbraccio soffice: quel cuscino era ben diverso da quello che aveva usato per anni a Spinner’s End, duro e sottile.

Doveva essere presto, non sentiva rumori.
Prendendo lentamente coscienza del proprio corpo e del calore delle coperte che lo ricoprivano, rimase immobile a rimirare lo stemma di Serpeverde sul baldacchino sopra di lui, questa volta con attenzione, e a poco a poco una sensazione di orgoglio cominciò a diffondersi nel suo corpo, che prese progressivamente ad allungare fino ad arricciare le dita dei piedi e a stirare quelle delle mani con un piccolo grugnito soddisfatto.

Sentì che dalla mano destra veniva rilasciato qualcosa e tastò per capire cos’era.
La bacchetta!
La sua bacchetta, si era addormentato tenendola stretta in mano tutta la notte. Sfilò la mano da sotto le lenzuola e rimirò quel sottile pezzo di legno con qualcosa che era più che affetto; provò la netta sensazione che quel mondo di possibilità che gli si era spalancato davanti la sera prima fosse distante da lui esattamente “11 pollici e mezzo”, gli risuonò nella testa la voce di Olivander.

Girò il capo e godette della carezza del cuscino sulla guancia, strofinandocela sopra. Quel piccolo movimento parve liberargli la testa dal peso che sembrava riempirla e anche la sensazione di oppressione che gli gravava addosso da quando aveva riaperto gli occhi svanì come fumo da tutto il suo corpo.

Chiuse le palpebre e una serie di immagini troppo veloci gli riempirono la mente all'istante. Tavoli scuri, porte massicce, buio e luce, il dondolio di un’altalena e una risata lontana, una voce fredda e un improvviso fiotto di paura…
Aprì gli occhi, spaventato.
La tenda verde che gli chiudeva alla vista il resto della stanza era ferma e silenziosa.
Corrugò la fronte nello sforzo di ricordare il suo sogno; perché adesso era sicuro di aver sognato qualcosa e di aver provato angoscia; era stato il sogno, o meglio l’incubo, a farlo svegliare con una sensazione di pesantezza nel cuore che si era diffusa anche alle sue membra.
Non ricordava i particolari, non ricordava nulla, però ora si sentiva a disagio e con una leggera nausea.
Sbatté velocemente le palpebre e in quel fugace istante vide un lampo di luce, due saettanti bagliori rossastri e un ancor più rapido ma morbido movimento di capelli rossi. Ricordò.

Lily.

Senza accorgesene si ritrovò seduto sul letto, una mano a scostarsi la coperta di dosso, il respiro leggermente accelerato.
Il ricordo della cerimonia dello Smistamento avvenuta la sera prima avanzò prepotente nella sua testa. Piegò le ginocchia sotto le lenzuola e vi si appoggiò con i gomiti, afferrandosi il capo tra le mani. Ecco cos’era che non andava, che cosa gli premeva addosso, ecco l’imperfezione che gli stava impedendo il risveglio grandioso che avrebbe meritato in quel suo primo, glorioso, giorno a Hogwarts.
Severus Piton era felice di essere finalmente alla Scuola di Magia e Stregoneria d’Inghilterra e non poteva essere più soddisfatto di essere stato smistato a Serpeverde, oh se lo era, la Casa migliore della scuola! Ma…

Scostandosi i capelli dal viso, avvertì qualcosa di appena ruvido sotto le dita, sugli zigomi ossuti, e grattò via quelle che sembravano leggere pellicine bianche. Scivolò fuori dalle coperte e aprì la tenda alla sua destra, inspirando profondamente, cercando di fare ordine nei suoi pensieri. Rimase qualche istante a far penzolare le gambe seduto sul letto, cogliendo un leggero odore di resina.
Mentre infilava i piedi nelle pantofole, alzò gli occhi sulla parete di fronte e notò che il fuoco scoppiettava allegramente: qualcuno doveva aver ripulito il camino nella notte, perché non c’era quasi cenere e i ciocchi di legno erano grossi, sicuramente messi da poco in sostituzione di quelli della sera precedente, assieme a dei pezzi di carbone.

Il bambino osservò con soddisfazione la bruciatura sul tappeto davanti al focolare e l’orgoglio per la sua impresa della sera prima gli strappò perfino un sorriso: quell’incidente era stato il suo lasciapassare privilegiato nella considerazione di Avery e Mulciber.

Pensò a sua madre e realizzò che avrebbe dovuto scriverle.
Cosa le avrebbe scritto?
Non si vedeva a iniziare una lettera con “Cara mamma…” e per la prima volta in vita sua si pose la questione dei propri sentimenti nei confronti di Eileen. Non poteva definirli affetto. Non le voleva propriamente bene, non come la frase “voler bene alla mamma” poteva significare ad esempio per Lily.
Non ricordava di averla mai abbracciata negli ultimi anni; solo quando era molto piccolo le braccia di Eileen erano state un agognato rifugio da suo padre.

Mentre rifletteva corrucciato su quest’argomento, lievemente imbarazzato dal ricordo di se stesso che cercava aiuto e riparo, lo sguardo cadde sul baule accanto al letto e il cuore gli sussultò tra le costole. Con un balzo fu vicino al baule, alla divisa che si trovava esattamente dove l’aveva lasciata il giorno prima, ma… qualcuno ci aveva cucito sopra uno stemma, lo stemma della sua Casa! La afferrò, stringendo la stoffa tra le dita e ammirandola con la gioia sul volto, provando improvvisa la voglia di infilarsela, di rivestire il proprio corpo con quell’uniforme, per sentirsi definitivamente parte del mondo magico in ogni più piccolo dettaglio.
Niente più abiti babbani, scadenti e pure male assortiti; basta con pantaloni logori e cappotti da portare anche col caldo soffocante dell’estate, per coprire la vergogna di vecchie camicette a fiori!

Senza pensarci, si diresse quasi correndo alla porta della camera, gettando appena uno sguardo ai due compagni che ancora dormivano, ascoltando distrattamente il brontolio basso e regolare dell’uno e il leggero sibilo dell’altro.
Si ritrovò nel corridoio e per un istante fu sopraffatto da una sensazione di pericolo, paura e angoscia.
Qualcosa gli attraversò rapida la mente: comprese che le confuse visioni notturne stavano tornando in superficie e suo malgrado si voltò a destra a guardare la porta chiusa che conduceva alla sala comune.
Una risata lontana echeggiò nella sua testa.

Abbassò lo sguardo e vide una fila ordinata di tappeti lungo tutto il corridoio, poi si voltò con decisione e si inoltrò alla sua sinistra, attraverso una fila di altri ritratti di ex prefetti che la sera prima non aveva guardato. Il corridoio era molto lungo e a metà era attraversato perpendicolarmente da un altro altrettanto profondo, che si allungava in entrambe le direzioni; a quanto pareva, il dormitorio maschile era formato da quattro blocchi di stanze che si aprivano su un corridoio a croce. I bagni del primo anno erano appena dietro l’angolo del braccio in cui si trovava lui e Severus vi entrò spingendo piano la porta. Non c’era nessuno.

Sia le pareti che il pavimento erano ricoperti da lustre piastrelle verdi, ma di diverse sfumature, così che l’effetto generale era quello di un colore uniforme e al tempo stesso cangiante, quasi in movimento.
Severus ricordò con una piega amara sulle labbra i muri spogli, ammuffiti lungo gli angoli e scrostati del piccolo bagno della casa in cui aveva abitato fino alla mattina prima.
Niente a che vedere con il luogo dove ora si trovava, con ordinati cubicoli su un lato e una fila di lavabo lungo l’altro, ciascuno dotato di un grande specchio ovale sulla parete. I rubinetti erano ricurvi e la ceramica, anche se bianca, appariva verdognola per il riflesso delle piastrelle; sotto ogni lavabo era sistemato un piccolo piano d’appoggio.
Non era che un bagno, eppure Severus si sentì inspiegabilmente immerso nel lusso in un ambiente del genere, dominato anche dall’ordine e dalla pulizia. Nessuna macchia agli angoli in alto e tutto, pur se antico e freddo, dava comunque l’impressione di un gradevole lustro.

Aveva appena appoggiato con cura la divisa sotto un lavabo quando udì un leggero tonfo di fuori, come se fosse caduto qualcosa.
Incuriosito, aprì la porta del bagno e vide una piccola creatura sollevarsi sulle ginocchia e affannarsi a recuperare pezzi di carbone sparsi su un tappeto. Li gettava velocemente dentro un secchio, cercando di fare meno rumore possibile e quando finì, ripulì per bene il tappeto dalla polvere scura rimasta, ne sistemò le corte frange e fece per andare via.
Quando si accorse del bambino dai capelli lisci e scuri che lo fissava sulla porta del bagno, lo spavento allargò gli occhi già grandi di quello che Severus capì essere un elfo domestico, anche se non ne aveva mai visto uno dal vivo. La creatura era molto magra e la pelle bruna sembrava tesa sulle membra ossute; una tunica linda di cotone spesso, con una grande H ricamata sul petto, rivestiva il corpicino nervoso e ai lati del capo sporgevano due grandi orecchie come ali di pipistrello.

L’elfo era impaurito e come incrociò lo sguardo di Severus si fece ancora più piccolo, ingobbendosi e farfugliando a capo chino delle scuse.
“Frongy chiede perdono, Signore, Frongy è desolato per aver rovesciato il carbone e aver disturbato il giovane Signore.”
Severus stava per ribattere, sorpreso dalla reazione dell’elfo e pronto a chiarire che non considerava grave l’aver inciampato su un tappeto, quando dal corridoio a sinistra si sentirono dei passi e Lucius Malfoy apparve in un lucido pigiama di seta grigio scuro, con i capelli sciolti appena scomposti e la divisa al braccio.
L’elfo improvvisamente rabbrividì e parve ancora più intimorito. Si piegò in un inchino servile e prese a scusarsi anche con Malfoy, balbettando con voce tremante.
Gli occhi grigi del ragazzo si restrinsero con disprezzo e Malfoy disse a denti stretti:
“A quest’ora gli elfi dovrebbero essere in cucina, non a perdere tempo nei nostri corridoi. Come osi essere ancora qui a quest’ora?”
La voce era tagliente e rabbiosa.
“Frongy chiede scusa, Frongy chiede scusa al Signore…”
“Io sono un Prefetto” sibilò Malfoy e rimanendo rigidamente in piedi, allungò un braccio verso l’elfo a mostrargli la spilla dorata con la P incisa sopra, appuntata sul petto della divisa. Non era che un ragazzo, ma il tono della sua voce era terribilmente autoritario.
“Frongy implora il perdono del Signore Prefetto” pigolò l’elfo e Malfoy parve gonfiarsi e godere dell’umiliazione della piccola creatura. Le labbra si incurvarono in un sorrisetto compiaciuto.
“Forse Hogwarts merita servitori più capaci…” soffiò piano Malfoy e l’elfo rimpicciolì così tanto da sembrare grande quanto il secchio che gli stava accanto.

Severus assisteva alla scena imbarazzato.
Temette per un istante che Malfoy si aspettasse man forte da parte sua e sentì un fiotto di panico attanagliargli lo stomaco; non gli sembrava poi tanto grave quello che aveva fatto l’elfo, ma a quanto pareva Malfoy non era dello stesso avviso. E Severus voleva (doveva?) fare buona impressione al Prefetto della sua casa, Mulciber aveva detto che gliel’avrebbe presentato…

“Tornatene in cucina” ordinò all’improvviso Malfoy, con durezza, e Severus sussultò, osservando l’elfo agguantare il manico del secchio e allontanarsi con rapidi inchini, camminando a ritroso. Giunto alla svolta del corridoio, si girò e lo sentirono correre via a passettini veloci e lievi.
“Sei mattiniero, per essere uno del primo anno” osservò rigido Malfoy, abbassando gli occhi a studiare Severus dall’alto in basso, ma senza il disprezzo che aveva riservato all’elfo. Il suo sguardo era indagatore nel volto pallido e col mento arrogantemente sollevato e indugiò qualche secondo sul modesto pigiama di sottile flanella del bambino.

Piton si costrinse a guardare Lucius negli occhi e soffocò la necessità di giustificarsi che gli stava spontaneamente salendo alle labbra. Non stava facendo nulla di male e non era un elfo domestico. Notò che sulle guance del prefetto vi era una leggera peluria ruvida.
“Volevo mettermi la divisa” disse infine con sincerità, ma adottando un tono che fece sembrare la frase molto meno infantile di quello che era.

Malfoy parve approvare lo zelo di quel bambino dall’aria un po’ patita e dimessa, ma con lo sguardo scuro stranamente penetrante ad accendergli il volto pallido.
Con un impercettibile cenno del capo si accomiatò da lui e sparì nel corridoio a fianco. Severus rimase ancora sulla porta del bagno e con sorpresa udì Malfoy entrare nella sala comune.
Quando il silenzio tornò ad avvolgere i dormitori, Severus chiuse la porta e tornò al lavabo. Si spogliò e cominciò a lavarsi.
 
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Camelia.
view post Posted on 23/7/2013, 18:15




Capitolo 2


L’acqua era fresca, trasparente, pulita.
Severus rimase a torso nudo, mezzo insaponato, a osservarla. La lasciò scorrere dai rubinetti, ascoltandola scrosciare, sentendola gorgogliare nel risucchio dello scarico. Chiuse gli occhi e inspirò, sempre più lentamente, la pelle inumidita che rabbrividiva ad ogni movimento dei suoi polmoni, godendosi quel rumore che pareva lavare via dalla sua mente il ricordo della miseria di Spinner’s End in cui aveva vissuto fino al giorno prima.
Una miseria che non era la sola povertà materiale, ma qualcosa di più disumano, la disperazione della solitudine e della paura.
Tobias.
Un’onda bollente e selvaggia si sollevò dentro Severus al pensiero che non avrebbe visto suo padre per mesi; le labbra si stirarono in un sorriso trionfante.
Eppure sentiva che quell’uomo poteva nuocergli anche da lontano. Era un babbano. Il che faceva di lui, Severus, un mezzosangue.

Aveva potuto assaggiare la sera prima quanto fosse importante, essenziale, la purezza di sangue nella sua Casa; aveva avuto a che fare con poche persone, è vero, ma il campione era stato assolutamente unanime sulla questione del sangue e delle famiglie.
Ancora con gli occhi chiusi, strinse la saponetta tra le dita.
Se proprio doveva essere un mezzosangue, sarebbe stato meglio che il babbano fosse sua madre, almeno così lui non avrebbe avuto un cognome così traditore delle proprie origini.
Riaprì gli occhi e vide il proprio volto affilato nello specchio, incorniciato dai capelli lisci.
Oppure, ancora meglio, sarebbe stato magnifico avere il cognome di Eileen! “Mezzo Prince” l’aveva apostrofato Mulciber la sera prima, con il rispetto e la deferenza nella voce.

“Severus Prince” mormorò, osservando il movimento delle proprie labbra riflesso davanti a sé.

Suonava bene, accidenti se suonava bene. “Prince”…
Vide la delusione afflosciargli tutti i muscoli del viso.
No, “Piton”. Severus Piton, così si chiamava lui.

Un brivido più forte gli ricordò di essere ancora mezzo nudo e bagnato; posò la saponetta e si accorse di avere del sapone sotto le unghie, l’aveva stretta troppo forte.
Era stato il pensiero di suo padre, si disse stizzito, doveva imparare a chiuderlo fuori da sé, doveva diventarne impermeabile. Nessuna parte del suo corpo doveva minimamente reagire al pensiero di Tobias, senza che lui ne fosse cosciente.
Tolte le morbide schegge di sapone dalle unghie, riprese a lavarsi, aprendo anche il rubinetto dell’acqua calda. Prese da sotto il lavandino un asciugamano pulito -ovviamente color argento e verde e con lo stemma di Serpeverde- e vi si avvolse. Com’era morbido, ed era anche piacevolmente tiepido! Probabilmente gli elfi domestici incantavano gli asciugamani dopo averli accuratamente piegati e ordinati in fila.

Severus affondò il volto nella spugna soffice e quando ne riemerse sussultò. Su un angolo, a lucidi ricami argento, era apparso il suo nome. Stupito, osservò le lettere eleganti, combattuto tra la meraviglia di quella magia inaspettata, l’orgoglio del proprio nome ricamato a identificare una proprietà e il ribrezzo per il proprio cognome che scintillava beffardo sotto i suoi occhi.
Qualcuno si prendeva gioco di lui!
Aveva appena preso la risoluzione di cancellare suo padre dalla mente e un asciugamano (!!!) si prendeva il gusto di sbatterglielo sotto il naso.
Si morse un labbro e serrò gli occhi. No, stavolta non avrebbe ceduto. Doveva essere superiore, quella magia lo stava mettendo alla prova… Lui avrebbe vinto, perché voleva vincere quella sfida lanciatagli dal caso.

Era solo un cognome e lui era molto di più.

Non sarebbe rimasto incastrato nelle cinque lettere del cognome di suo padre, non erano che segni, semplici segni.
“Io sono Severus” si disse con forza. “Io sarò un grande mago e i grandi maghi affrontano sfide molto più grandi di questa.” Immaginò duelli di abilità, scoperte rivoluzionarie, magie complesse, pozioni terribilmente complicate, incantesimi potentissimi e micidiali.

Improvvisamente, la pochezza del sentimento che lo aveva investito nel leggere il proprio cognome gli apparve nella sua giusta dimensione. Non era niente, ora era in grado di guardarlo a distanza e poteva chiaramente vedere quanto fosse minuscolo, inconsistente.
E se era riuscito a farlo valere per sé, ci sarebbe riuscito anche con gli altri, tutti gli altri, chiunque altro.
Aggrottò la fronte, deciso.

Severus non lo sapeva, ma pochi bambini di undici anni sarebbero stati capaci di uno sforzo mentale del genere, in pochi secondi. Pochi davvero avrebbero avuto la lucidità di immaginarsi adulti e percepire come “cosa di poco conto” quella bagatella da bambini.
Ma Severus era diverso da tutti gli altri bambini della sua età e presto sarebbe stato evidente a chiunque.

Abbassò lo sguardo sull’asciugamano e una strana pace gli invase tutto il corpo. Lo posò e, come toccò il piano d’appoggio sotto il lavandino, l’asciugamano si piegò da solo, lasciando un lembo piegato, il lembo con il suo nome.
Sorrise, con la determinazione negli occhi.
Sì… lui, Severus-Mezzo-Prince, avrebbe trovato il modo di vincere quella magia.
 
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Camelia.
view post Posted on 24/7/2013, 13:36




Capitolo 3:


Si vestì e si infilò la divisa, che frusciò sulla sua testa e lungo il suo corpo: la lisciò con le mani e allungò il collo per vedersi il più possibile nello specchio. Per quanto si sforzasse, riuscì a vedersi appena sotto le spalle, così prese a saltellare cercando di catturare la vista di se stesso completamente rivestito di nero e con lo stemma di Serpeverde sul petto.
Una macchia scura prese a danzare su e giù nello specchio e quello che dopo un po’ si fermò ansante fu un Severus felice, orgoglioso.
Osservò il suo viso ridente attraverso i capelli scompigliati, una visione per lui nuova. Il cuore gli batteva forte, si sentiva pieno di gioia, di energia, di…

Un’altra volta gli era capitato di sentirsi così e si bloccò nel ricordare ancora una giornata di sole in cui le sue mani e quelle di Lily erano state il perno di un mondo fatto solo di pura esultanza.

Improvvisamente non sorrideva più e la sua bocca pareva una crepa su un muro vecchio; il respiro gli si era mozzato e solo i battiti del suo cuore martellavano dentro di lui, anche se sempre più lenti e regolari.
Voleva, doveva, rivedere Lily e prima di fare colazione, decise.

Era passata solo una notte e gli pareva che fosse una vita.
Poté percepire la distanza dilatarsi tra quel sotterraneo e la torre dove si trovavano i dormitori di Grifondoro. Una paura irrazionale si impossessò di lui, temette che lei l’avesse dimenticato, che non gli avrebbe rivolto parola quando si fossero incontrati di lì a poco nella Sala d’Ingresso o in Sala Grande.
Ma rapidamente come quei pensieri neri si erano insinuati nella sua mente, l’idea della Sala d’Ingresso lo mise di buon umore.
Le loro sale comuni erano distanti, è vero, ma si sarebbero incontrati a metà strada, il che accorciava lo spazio tra lo loro e per qualche oscura ragione rendeva meno probabile che Lily fosse diventata un’estranea nel giro di una nottata.

Rinfrancato, Severus prese il pigiama e uscì dal bagno.
Nessun movimento nel corridoi, nessuno, a parte il Prefetto Malfoy, aveva ancora lasciato il tepore delle coperte. Avviandosi verso la sua camera, gli unici rumori che sentiva erano i morbidi tonfi delle sue pantofole sui tappeti in fila.
Con la mano sulla maniglia si fermò un attimo a sbirciare la porta in fondo che portava alla sala comune e, come appena sveglio, un ridda di sensazioni spiacevoli gli ribollì dentro rapidissima. Scosse con forza il capo per liberarsi di quei residui di un incubo notturno che non aveva nessuna voglia di ricordare nei particolari, se i soli frammenti che riaffioravano ogni tanto erano così angoscianti.
Aprì la porta, risoluto, e chiuse dietro di sé paure e pensieri pesanti.

Avery e Mulciber dormivano ancora della grossa; probabilmente, se fosse dipeso da loro, si sarebbero alzati solo a mattina inoltrata. Severus pensò divertito a cosa sarebbe successo se i due non si fossero presentati al primo giorno di lezione e decise che li avrebbe svegliati lui, se non avessero dato cenno di voler abbandonare il proprio sonno.
Aveva raggiunto il proprio letto e dopo aver piegato con cura il pigiama sul cuscino, si era messo calzini e scarpe, lasciando le pantofole ai piedi del baule.

Prese in mano la bacchetta, osservando il fuoco nel camino e il tappeto bruciato. Gli venne in mente sua madre, una figura magra, perennemente impaurita, che sembrava cercasse sempre il modo di non farsi notare, di confondersi con l’aria che la circondava.
Anche lei era stata in Serpeverde, ma ora Severus realizzò che non le aveva mai chiesto -né lei gli aveva mai parlato- di come si era sentita il suo primo giorno lì e non solo. Si rese conto che da sua madre aveva appreso un milione di informazioni su Hogwarts, ma mai, mai, avevano parlato di lei.

Ora che doveva scriverle, non sapeva da che parte cominciare, non c’era un terreno comune di emozioni.

Pensò a cosa Lily avrebbe scritto ai suoi genitori, certamente lo avrebbe fatto con l’entusiasmo e l’affetto che la contraddistinguevano e per di più aveva tutto da raccontare, mentre lui non aveva che i propri sentimenti da esprimere, dato che Eileen conosceva già tutto quello che era cornice e contenitore di una vita nuova.

Severus da tempo non esprimeva le proprie emozioni con i suoi genitori.
I Piton erano quasi tre estranei legati loro malgrado da un rapporto che era fatto di tutto tranne di ciò che di solito definisce il concetto di famiglia.
Eileen però, anche se non affettuosa come la madre di Lily e poco incline a manifestazioni di amore materno, a modo suo era stata una buona madre. Aveva sempre difeso Severus, anche fisicamente quando era piccolo, e solo adesso lui apriva gli occhi, solo ora comprendeva l’enormità di quegli atti e la disperazione di dover dividere la vita con un uomo come Tobias. Non poteva esistere un matrimonio più sbagliato: come era finita Eileen Prince, Serpeverde, nelle grinfie del violento babbano Piton?
Ora Severus si chiese se l’insofferenza e certe sbrigative risposte di Eileen su Hogwarts, quando lui la pungolava di avide domande, non fossero dovute al dolore di sapersi lontana per sempre da quella realtà così meravigliosa, relegata a ricordo perduto.

Severus chiuse gli occhi e provò a immaginare di uscire da scuola e non tornarci mai più, per finire in un posto come Spinner’s End e in compagnia di un uomo come Tobias.

L’angoscia degli evanescenti ricordi del suo incubo notturno non fu più nulla di fronte alla bestialità di quel pensiero.
Solo ora vedeva davvero sua madre.
La sua freddezza, la stanchezza che le avviluppava l’anima e che si traduceva nella perenne sconfitta sul volto sempre teso e impaurito e mai sorridente… tutto ora gli appariva sotto la giusta e impietosa luce.
Provò l’impulso di abbracciarla, come aveva fatto secoli prima, tanti anni fa, quando Eileen era il suo unico riparo, prima che lui la sostituisse con la solitudine di una stanza vuota o di vagabondaggi fuori casa.
Eppure sapeva bene che se sua madre fosse stata lì, davanti a lui, in quel preciso momento, non l’avrebbe abbracciata affatto. Non avrebbe nemmeno fatto il più piccolo cenno di intenzione.
Ora che non era più con lei, solo ora la capiva davvero, ma non era in grado di colmare con gesti affettuosi la distanza emotiva che era la cifra della “famiglia” Piton.
Tuttavia le avrebbe scritto, e non come dovere, ma per onorare la scoperta e la comprensione dei suoi sentimenti.

Severus si diresse alla sua scrivania, dove la sera prima aveva sistemato libri, inchiostro e pergamena. Accese la lanterna e si sedette sulla sedia dallo schienale rigido. Sapeva cosa doveva fare e, mentre srotolava la pergamena, apriva la boccettina scura e saggiava la punta acuminata della sua piuma, pensò intensamente a quali parole avrebbe usato.
Rimase per un po’ immobile, gli occhi fissi sul niente, completamente immerso nei suoi pensieri mentre con il braccio teneva tesa la pergamena che si arrotolava sugli angoli.

“Cara…”
No, “Cara mamma” no.
“Ciao mamma, io…”
Severus si soffermò incerto sulla parola “mamma”, ma dopo lunghe riflessioni e una spasmodica ricerca di alternative, una più improbabile dell’altra, non trovò nulla con cui sostituirla.
Pensò anche al resto delle cose che avrebbe scritto, mordicchiandosi il labbro inferiore e giocherellando con la piuma, sentendosi a disagio laddove gli pareva di sconfinare troppo nel sentimentalismo, anche se si trattava solo di una fredda cronaca di viaggio.

Mulciber si rigirò nel letto e Severus fu strappato dalle sue riflessioni. Non voleva che i suoi compagni lo trovassero a scrivere a sua madre.
Intinse la piuma nell’inchiostro e cominciò a grattare la pergamena con una grafia minuta e nervosa:

Ciao mamma,
ti scrivo che è ancora mattina presto, i miei compagni dormono ancora.
Ieri sera c’è stato lo Smistamento e sono un Serpeverde.


Dopo qualche secondo di titubanza, aggiunse una sottile linea sopra il punto. Fu l’unica concessione a un’emozione, anche se si pentì subito di questa debolezza.
Ma non voleva che ci fossero cancellature, quindi proseguì.

… Serpeverde! Il Preside Silente ci ha fatto un discorso dopo cena e ancora non ho conosciuto nessun insegnante, anche se mi hanno detto che il professor Lumacorno ci insegnerà Pozioni ed è anche il direttore della nostra Casa.

Tralasciò di scrivere “Come ai tuoi tempi?”, così come stava tralasciando qualsiasi parola o espressione che potessero tradire una vicinanza.
Mulciber grugnì, rigirandosi di nuovo.

Forse lo vedrò oggi. Ho già conosciuto il nostro prefetto, si chiama Lucius Malfoy. E i miei compagni stanza, Avery e Mulciber.

Si fermò e prese ad accarezzarsi il mento con la piuma.
Doveva scrivere qualcos’altro, la lettera era davvero breve!
Pensò a Frongy e a quanto era capitato nel corridoio poco prima, ma rifletté che parlare di elfi domestici a una donna che viveva nella miseria non fosse una gran mossa.
Poi si ricordò dell’impresa del giorno prima e intinse in fretta la piuma, eccitato, ma un attimo prima di tracciare qualsiasi segno, si fermò.
Voleva raccontarlo, ma allo stesso tempo si rifiutava di farlo.
Era una cosa sua.
E dei suoi compagni. Una cosa di Hogwarts, del suo nuovo mondo, che non voleva sporcare mandandola a Spinner’s End.

No… Non gliel’avrebbe scritto.

Oggi avrò le prime lezioni e mi hanno detto che ci distribuiranno gli orari a colazione.

Che cosa arida da scrivere… perché non le scriveva che voleva cercare la biblioteca e dare un’occhiata al parco prima di immergersi nella lettura di qualche libro adatto a ragazzi più grandi, di cui però eguagliava il livello di conoscenze?
Quel giorno poi anche aveva in mente di passare molto tempo con Lily, ma questo non l’avrebbe assolutamente scritto.
Eileen forse aveva capito che suo figlio conosceva quella bambina babbana, quando erano stati al binario 9 e tre quarti il giorno prima, e forse aveva anche capito qual era stata la meta delle sue lunghe assenze da casa, ma non aveva detto niente e Severus a sua volta aveva continuato a non mettere in comunicazione il mondo di Lily con quello di Spinner’s End, neppure nel momento del distacco da sua madre.
Era difficile scrivere quella lettera per un bambino abituato a dividere la propria vita in tanti pezzi che si curava rimanessero ben indipendenti l’uno dall’altro.

Spedirò questa lettera più tardi, devo prima capire dove si trova esattamente la guferia della scuola. E comunque penso che sia meglio se la lettera arriva di notte.

L’ultima frase l’aggiunse senza riflettere, scrivendo di getto a lettere più scomposte e più minute ancora. A quanto pareva, era solo nel timore delle reazioni di Tobias che riusciva a manifestare un po’ di empatia.
Severus non si soffermò a pensarci, ma gli fece bene scriverla.
Come fece bene a Eileen leggerla, quando la lettera arrivò quella notte, con un gufo che molto discretamente frusciò piano con l'ala scura sul vetro sudicio della finestra della cucina, mentre suo marito non c’era.

Anche Avery si mosse sotto le lenzuola, mentre Mulciber si grattava negli ultimi rimasugli di sonno.

Ciao,” decise infine di scrivere, a grande fatica. “Severus

Arrotolò stretta la pergamena e la legò con un cordino proprio mentre Mulciber allungava un braccio fuori dalle coperte e si esibiva in un colossale, sonoro sbadiglio.
 
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Camelia.
view post Posted on 24/7/2013, 14:15




Capitolo 4


“Grnaumph” udì Piton alle sue spalle.

Si voltò e vide Mulciber sollevarsi dal letto e fare strane smorfie nel tentativo di aprire le palpebre, che non parevano però essere molto collaborative. I capelli scuri gli stavano tutti ritti e schiacciati da una parte, mentre un reticolo di segni rossi gli copriva la guancia su cui aveva dormito. Il ragazzo prese a stropicciarsi gli occhi con sempre maggior vigore e, solo dopo un minuto buono da che si era messo seduto, fu in grado di aprirli.
Ma potevano essere ancora chiusi, dall’espressione vuota che mostravano, una pesante cortina di sonno li velava ancora, facendoli sembrare opachi.

Severus, contento di aver finito con la lettera prima i compagni si destassero, lo osservò reprimendo una risatina. Mulciber era davvero buffo, si muoveva e grugniva senza sapere come e perché, completamente intontito e incapace sia di articolare parole che di compiere movimenti sensati.
Mentre si stiracchiava spalancando nuovamente la bocca (lo sbadiglio più lungo della storia pensò Severus, che fissava il compagno bloccato in una comica posa plastica), anche nell’altro letto cominciarono a intensificarsi i rumori: Avery si stava svegliando e, a quanto pareva, il processo era un po’ più rapido e composto rispetto a Mulciber. Nessun gesto plateale, ma un pacato sollevare la schiena e aprire lentamente gli occhi su cui ricadevano finissimi capelli castani che si accendevano ogni tanto di riflessi dorati nel movimento delle fiamme del caminetto.
Avery rimase per qualche istante inebetito a fissare apparentemente Severus, in silenzio. Poi ricadde di schianto sul materasso, senza un suono; Severus fece fatica a non ridere e camuffò il suono che gli uscì di bocca fingendo di schiarirsi la gola.

Ripensò alla sera prima e a tutti i loro bei discorsi su “un certo tipo di magia” e sui “maghi coi controfiocchi come Lui” (Severus ripensò anche al ritratto del giovane in corridoio e due lampi rossastri gli attraversarono rapidi la mente, provocandogli un brivido)…
Per tutti i folletti, quei due davvero pensavano di esplorare i più oscuri recessi della magia, se non erano neppure in grado di svegliarsi?
Si alzò dalla sedia facendo volutamente rumore e con la coda dell’occhio vide due fessure tra le palpebre gonfie di Mulciber e scorse Avery rimettersi nuovamente seduto.

“Scei già sveglio?” biascicò quest’ultimo.
“Oh sì. Da un po’.” rispose Severus, apparentemente con noncuranza, ma calcando le ultime parole, mentre si dirigeva al proprio letto e nascondeva la lettera per sua madre nel baule.
“E sei anche già vestito!”
Avery scrollò il capo nel debole tentativo di schiarirsi le idee.
“Già.”, rispose asciutto Severus, dirigendosi verso il baule per prendere la bacchetta e infilarla nella tasca interna della divisa.
“Umph”, mugugnò Mulciber, con voce arrocchita. “È troppo presto… a casa non mi sono mai dovuto svegliare così presto, se quell’elfo domestico ci provava, le prendeva.”

Avery parve trovare divertente l’idea di Mulciber che picchiava un elfo e sghignazzando scese finalmente dal letto, stiracchiandosi in piedi. Dei due, era senz’altro quello meno rozzo nel modo di muoversi. Anche fisicamente era più raffinato, aveva lineamenti sottili e delicati e una corporatura snella, anche se non gracile come quella di Severus. Detto questo però, poteva essere il gemello di Mulciber, quanto a visione della vita.

“Beh, io vado in bagno” annunciò, prendendo vestiti e divisa.
“A… ashhpettami” sbadigliò Mulciber che tra un’imprecazione e l’altra era riuscito nell’impresa di mettersi in piedi e di infilarsi le pantofole, anche se invertite.
Ciabattando, seguì l’amico fuori dalla stanza, mentre bofonchiava ancora qualcosa sullo svegliarsi all’alba.
Quando i due aprirono la porta per uscire, dei rumori annunciarono che anche altrove nel dormitorio gran parte dei Serpeverde si stava svegliando.

Rimasto solo, Severus si godette quei momenti di pace e, preso un libro dalla sua scrivania, si accomodò sulla poltrona di fronte al camino, sprofondandoci dentro e dondolando i piedi verso il fuoco. Anche se era pronto già da un po’, non voleva entrare in sala comune da solo.
Anzi, a dire il vero lo voleva, ma pensò che l’avere al fianco Avery e Mulciber –che sembravano già popolari e ben inseriti- gli avrebbe risparmiato un po’ di spiegazioni che non aveva intenzione di dare.
Quei due non erano al suo livello, ormai l’aveva capito, tuttavia avevano qualcosa che a lui mancava: la purezza del sangue e la considerazione della Casa, a prescindere. La loro vicinanza era il modo più rapido ed efficace per ovviare a questa deficienza.

Sfogliando distrattamente il libro, all’improvviso pensò che Lily era completamente babbana.
Gli occhi di Severus si spalancarono di botto e il volume gli scivolò tra le dita, rimanendo placidamente aperto sulle sue ginocchia.
Lily.
Lily… non avrebbe mai rinunciato a lei, ma come poteva giustificarla ai suoi nuovi compagni? Si vergognò un po’ di quel pensiero, eppure avvertiva l’urgenza di risolverlo.
Era strano, fino ad allora era stato lui a sentirsi in dovere di giustificare la propria esistenza quando andava al parco o a casa di lei. In territorio babbano era lui il pesce fuor d’acqua, la nota stonata, l’ospite sgradito di casa Piton, assieme a Eileen.

“Quell’inutile, dannato ragazzino! È tale e quale a te!!” aveva gridato un giorno Tobias.
Il ricordo di suo padre lo incupì. Si sforzò di non pensarci e corrugò tutti i muscoli del viso nello sforzo di non pensare a quelle braccia maledettamente forti, a quegli scatti d’ira incendiaria, alla violenza di quell’uomo volgare.

***


“Che cos’hai da guardare tu?” ringhiò l’uomo.
Severus strinse ancora più forte le ginocchia al petto e, quando Eileen gridò di nuovo, serrò gli occhi e si tappò le orecchie con le mani piccoline e magre. Ombre presero ad agitarsi davanti alle sue palpebre chiuse, urla rumori e tonfi lo raggiunsero attutiti, mentre si spingeva sempre più con la schiena contro il muro, disperato e impaurito.
Poi ci fu qualche secondo di silenzio e tutto parve sospendersi in un incredibile niente. Il bambino rimase immobile, terrorizzato all’idea di guardare.
Poi udì dei passi pesanti allontanarsi e lo schianto della porta d’ingresso sbattuta con violenza lo fece sussultare.
Il silenzio che ne seguì fu subito rotto dai respiri affannosi che provenivano a poco più di un metro di distanza da lui.

Severus aprì piano gli occhi, mentre le membra si scioglievano dalla morsa che le aveva rattrappite fino a quel momento e vide il corpo rivestito di scuro, riverso a terra su un fianco, immobile, a parte il movimento rapido e ansante del torace. Si mise in ginocchio e avanzò timoroso in quella direzione, verso la schiena che si alzava e abbassava convulsamente.
“…Mamma?”
Un suono soffocato e poi una mano bianchissima fece capolino sopra la testa della donna; i capelli che erano stati raccolti in ordine, ora pendevano sfilacciati dal nodo allentato che prima li stringeva. Le dita magrissime tremavano, ma afferrarono saldamente la gamba di una sedia rovesciata.
La donna fece forza e riuscì a sollevarsi e mettersi seduta, continuando a non voltarsi verso il bambino. Ora i suoi respiri si fecero più lenti, la donna si stava sforzando di calmarsi. Piangeva?

Severus, ancora spaventatissimo per il litigio dei suoi, si sentì stranamente a disagio. Voleva andare da lei, ma percepiva un ostacolo tra loro, un muro che gli sembrava indecente superare.
Era troppo piccolo per comprendere cos’era, sapeva solo che c’era e non era in grado di capire cosa fare. Lo spavento gli pulsava ancora dentro.
Dietro di lei, la vide armeggiare con qualcosa e quando Eileen finalmente si voltò, ancora aggrappata alla sedia, stringeva tra le dita un lembo del grembiule logoro e rattoppato e i suoi occhi incavati nel volto scarno erano arrossati. Ma il viso era asciutto, non vi era traccia di lacrime.

“…M-Mamma?” osò, esitante.
Forse capiva che non avrebbe dovuto parlare, addirittura che non avrebbe dovuto stare lì, ma era rimasto e aveva parlato.
Di più, la stava guardando.
Vide la mano di Eileen stringere il grembiule. Ora erano inginocchiati uno di fronte all’altro, e Severus era combattuto tra la disperata voglia di una rassicurazione e la sensazione che avrebbe dovuto lasciarla sola.

Eileen allungò un braccio verso il suo bambino. Severus si avvicinò un po’, timoroso.
“C’è un po’ da rimettere a posto” sospirò la donna, facendo vagare lo sguardo sul disastro che regnava in cucina; la sua voce era monocorde, stanca.

Poi Eileen si voltò di scatto.

La sedia le era scivolata tra le dita e ora era in piedi di fianco a lei, raddrizzata. Severus era ancora vicino al muro, con gli occhi spalancati.
“Mamma?” domandò ancora, ma stavolta non c’era paura nella voce, bensì sorpresa e incredulità.

Eileen si portò le mani alla bocca e stavolta sì, stavolta Severus vide le lacrime spuntarle negli occhi e traballare sulle ciglia.
Eileen lo sollevò e lo mise seduto sulla sedia, accucciandosi davanti a lui, tenendogli le braccine tra le mani e fissandolo intensamente negli occhi. I piedi del bambino arrivavano giusto sul bordo.

“La sedia si è tirata su” disse lui, per rompere quel silenzio imbarazzante.
“No.”
Severus la guardò interrogativo. Come no? Come “No”? Come poteva sua madre negarlo, era appena accaduto, l’aveva appena vist…
“No, Severus, non si è tirata su.”
Eileen non gli staccava gli occhi di dosso e il respiro le si fece grosso.
“Sei stato tu.”

Severus si spaventò a morte.
Quella era una frase maledetta, la pronunciava suo padre tutte le volte che lui faceva cadere qualcosa per sbaglio ed era sempre l’anticamera di qualcosa di brutto, molto brutto e molto doloroso. Per questa ragione, il bambino trattenne il fiato spaventato, ma quando alle parole non seguì nulla di quello che era consuetudine accadesse con Tobias, Severus suo malgrado si tranquillizzò e osservò meglio la madre.

Le sue mani gli stringevano salde le braccia, ma non era una stretta violenta, non sentiva male.
Un ciuffo di capelli le era scivolato davanti al viso e si muoveva al ritmo del respiro che le usciva sonoro dalla bocca aperta.
Sembrava che Eileen volesse comunicare qualcosa al figlio con la forza dello sguardo e, proprio quando il bambino aprì bocca per chiederle qualcosa, lei disse, fredda:
“Ti porto a letto Severus, tuo padre si arrabbierà molto se ti trova ancora sveglio quando torna.”

Suo padre sarebbe tornato. Tornava sempre e non era mai una buona notizia.
Severus si dibatté all’idea, disperato. Non... non c’era modo di evitarlo? Non si poteva chiudere bene la porta e non farlo rientrare mai più? Mentre seguiva Eileen su per le scale tenendole la mano, immaginò suo padre che non riusciva ad entrare in casa e la visione di una porta sfondata e di un Tobias parecchio alterato lo fece tremare.
Allora forse era meglio andare via. Ecco, se lui e sua madre fossero andati via, allora Tobias non avrebbe trovato nessuno quando sarebbe tornato!

Guardò sua madre, proprio mentre erano arrivati in camera e lei lo aveva messo in piedi sul letto dalla testata di ferro, iniziando a spogliarlo per mettergli il pigiama.
“… Mamma?” azzardò timidamente.
“Uhm?”
“’diamo via?”

Le mani di Eileen si bloccarono e Severus rimase con la testa dentro la maglia del pigiama. Dopo qualche secondo di silenzio in cui rimase immobile, riemerse da solo e vide sua madre con una strana espressione stampata sul volto. Per un attimo gli parve quasi di leggervi qualcosa di simile alla speranza, ma quell’attimo fu subito sostituito dalla consueta rassegnazione, che invase rapidissima il volto stanco di Eileen e parve rinsecchire anche tutto il suo corpo.

Poi, lei disse qualcosa di incredibile.

Tu te ne andrai, Severus.”
Il bambino non ebbe il tempo di aprire quasi la bocca.
“Non subito” lo anticipò lei. “A undici anni.”
“Perché?”
La voce di Severus tremava di paura e somigliava vagamente ad un piagnucolio.
“Non mi chiedi dove andrai?”
Il bimbo rimase interdetto qualche secondo.
“Dove?”
“A Hogwarts” rispose Eileen in un sussurro e qualcosa nel modo in cui lo disse tradì solennità e al tempo stesso un’infinita pacatezza.
“Dov’è?”
“Non mi chiedi cos’è?”
Anche stavolta Severus studiò per qualche secondo il volto della madre e nei suoi grandi occhi scuri vide un mondo di risposte che aspettavano solo la domanda giusta.
“Cos’è?”
“È una scuola.”
Tutto il senso di aspettativa di Severus si sgonfiò un pochino. Sai che notizia. Anche se aveva solo tre anni, lo sapeva che i bambini vanno a scuola, li aveva visti quelli più grandi di lui nel quartiere, con dei libri sottobraccio. Ma poi tornavano sempre a casa!

“È una scuola per bambini maghi.”

Cosa?? Severus guardò la madre dritto negli occhi, arrabbiato. Si stava prendendo gioco di lui ed era una cosa che non sopportava.

“Prendilo dai! Non lo prendi? Non lo vuoi? Non ci arrivi? Eh, non ci arrivi? Eh?”
Tobias aveva l’abitudine di sfilargli dalle mani qualsiasi oggetto lui avesse trovato per giocare e di tenerlo alto, fuori dalla sua portata. Severus odiava a morte essere canzonato a quel modo e vedere suo padre godere dei suoi sforzi disperati di recuperare ciò che gli era stato tolto.


“Non guardarmi così. Hai capito bene: una scuola per giovani maghi. Tu sei un mago, Severus.”
Qualcuno doveva aver lanciato un sasso dentro di lui, perché ora sentiva delle onde incresparsi e allargarsi nella sua pancia.

“Hai rimesso tu la sedia dritta, anche se non te ne sei reso conto.”
Severus non capiva nulla, non aveva neppure percezione del suo corpo, adesso. Eileen gli infilò le braccia nelle maniche del pigiama. Sospirò.
“Mettiti sotto le coperte”, gli disse.
Lui obbedì e lei si sedette sul letto, tenendogli una manina tra le sue.

“Anche io sono andata lì. Io sono una strega.”
E prima che lui avesse il tempo di reagire in qualunque modo, sfilò qualcosa da dentro il vestito, un sottile pezzo di legno e, dopo che lo ebbe agitato con un piccolo movimento del polso, Severus vide i poveri vestiti che si era appena tolto sollevarsi a mezz’aria, piegarsi e andarsi a posare sul casettone lì a fianco, in ordine.
Fu troppo, non poté impedirsi di scattare immediatamente seduto.
“Ma io… ma come… cosa devo?... mamma…? E quella?” riuscì a dire infine, fissando a bocca aperta la bacchetta di Eileen.
“Questa è una bacchetta magica, ma non puoi averla prima di aver compiuto undici anni.”
Severus la fissava come si fissa la cosa più bella, più bella del mondo.

“Io non lo sapevo che lo eri anche tu” mormorò Eileen e Severus fu sorpreso da tanta confidenza.
Succedevano cose strane, quella sera.
Improvvisamente gli salirono alle labbra un’infinità di domande, ma sua madre dovette capirlo e lo bloccò subito.

“Severus, ora non ho tempo” e con la punta delle dita gli scostò i lisci capelli neri dalla fronte. “Devo rimettere a posto le cose in cucina prima ch… Devo rimettere in ordine” tagliò corto.
“Con quella?” chiese Severus indicando la bacchetta.
“Io…” fece Eileen, pensierosa.
“Sì… potrei…” riflettè tra sé e sé, ma lo sguardo involontario che lanciò alla porta fece capire qualcosa a Severus.
Capì che usare la bacchetta era una cosa che avrebbe fatto infuriare Tobias e allora capì anche un’altra cosa. Tobias non poteva farlo.

“E…” azzardò, perché doveva assolutamente avere la conferma a questo sospetto. “E… lui?”
Eileen si voltò bruscamente e fece per nascondere la bacchetta.
“No!” gridò Severus, allungando la mano, ma fermandosi appena prima di toccarla, come se non si sentisse degno di tanto onore.
“È babbano”, mormorò infine Eileen, dopo una lunga pausa.
“Non è come noi” aggiunse, in risposta allo sguardo interrogativo del figlio.

Stavolta la bocca di Severus si spalancò mentre lui tratteneva forte il respiro; gli sembrò di veder disegnarsi attorno a sé una realtà diversa e perfino i muri vecchi della sua stanza gli parvero accoglienti.
Ma Eileen si era alzata e gli stava rimboccando le coperte.
“Mi… mi posso guardare solo una cosa?” farfugliò Severus, che sentiva di non farcela proprio a starsene disteso buono lì e tentava di respingere le coperte.
Eileen capì, perché dopo un attimo di esitazione stese la mano verso di lui, che schizzò letteralmente fuori dal letto e la seguì nuovamente di sotto, in cucina.
“Una sola”, chiarì lei.
Severus la guardò da sotto in su e annuì, serio e determinato. Attento.
Eileen si guardò intorno, incerta, e poi indicò a suo figlio i vetri infranti di un bicchiere. Severus si concentrò.

REPARO”, disse lei, puntandoci contro la bacchetta.

I vetri sparpagliati furono sollevati da una forza invisibile, anche le schegge più piccole, e si incontrarono a mezz’aria saldandosi tra loro. Un attimo dopo, un bicchiere perfettamente intatto si posava sul tavolo.
Severus si molleggiava sulle ginocchia, al settimo cielo.
Eileen lo fissò, inclinando leggermente il capo per ricordargli la promessa e lui, sì, avrebbe obbedito, tra un attimo. Si gettò contro la gambe di sua madre, stringendole tra le piccole braccia e affondando il volto nel grembiule.

Loro due non erano come Tobias... Il mondo poteva essere bello.

***

 
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Camelia.
view post Posted on 24/7/2013, 19:27




Capitolo 5


Severus scosse il capo per scacciare quel ricordo. Era stato secoli fa, era stato un altro bambino.

Da quanto non c’era più un contatto fisico con sua madre?
Il giorno prima, quando era salito sull’Espresso per Hogwarts, Eileen aveva allungato una mano verso di lui, forse voleva accarezzargli la testa, forse no, fatto sta che Severus si era irrigidito e anche sua madre era parsa stupita del movimento del proprio braccio. Gli aveva stretto appena la spalla tra la punta delle dita e gli occhi vuoti da anni si erano per un istante riempiti di qualcosa che Severus non ricordava di averci mai visto.
Era stato imbarazzante, per entrambi, eppure si erano detti tutto quello che avevano vergogna di dirsi, vergognandosi di averlo fatto.

Sul binario, intanto, Lily si lasciava stritolare dalle braccia di suo padre e di sua madre, mentre Petunia se ne stava in disparte, col broncio, saettando sguardi attorno. Le si leggeva in faccia che stava friggendo dalla voglia di andarsene via di lì, non faceva che spostare il proprio peso da un piede all’altro, lanciando occhiate disgustate ai genitori e alla sorella e cercando di non guardare tutto il caos lì intorno e l’andirivieni di tutte quelle persone squilibrate, vestite con abiti dalla foggia e dai colori pazzi; per sbaglio, aveva incrociato per un attimo gli occhi di Piton, affacciato alla porta del vagone, e invisibili scintille d’odio furono scambiate con reciproca soddisfazione.

“Mi scriverete, vero?” stava dicendo Lily trepidante.
“Ma certo, tesoro” disse dolcemente la signora Evans, dandole l’ennesimo bacio sulla guancia. “Scrivici anche tu, piccola, mi raccomando. Raccontaci tutto!”
Le accarezzò i capelli rossi e il viso insieme eccitato e spaurito.
“E sii brava.”
“Sì, mamma!” Lily si gettò di nuovo tra le sue braccia.

Non potendone a farne a meno, Severus aveva spostato l’attenzione sulla famiglia felice (beh, sorella babbana a parte) e anche Eileen, seguendo lo sguardo di suo figlio, aveva suo malgrado posato l’occhio sul gruppetto abbracciato, ascoltandone il brandello di conversazione.
Madre e figlio sussultarono nello scoprirsi a guardare qualcosa che loro due erano incapaci di riprodurre. Le dita di Eileen scivolarono via dalla spalla ossuta di Severus e la donna tentò di dire qualcosa.
“Fai presto” pensava il bambino, a disagio, evitando di guardarla.
Non ce la faceva più a sostenere quella situazione di tensione.

“…Scrivimi...” gli disse infine Eileen, con voce piatta, fissando un punto sopra la sua spalla.
Non era un ordine, era più una frase fatta, qualcosa che andava detto, eppure portò con sé l’eco velata di una preghiera.
La donna allungò la mano di nuovo e la bloccò a mezz’aria. Sempre senza guardarlo, con un gesto meccanico sfiorò il petto del figlio, spazzolando rapida con la mano la divisa di Severus, anche se non c'era nulla da togliere.
“Quando… quando arrivi, intendo” aggiunse a voce più alta e sicura, come per escludere qualsiasi coinvolgimento e rimarcare il fatto che scrivere a casa fosse nulla più che una consuetudine, qualcosa da fare e basta.
“Va bene.”
Severus mosse un passo indietro. Non vedeva l’ora di chiudere, non poteva dirle nient’altro, anche se sentiva di essere villano.

Si erano guardati un’ultima volta, gli occhi pieni di speranza di Severus contro quelli spenti per sempre di Eileen, dopodiché il bambino si era voltato ed era corso subito a prendere la divisa dal suo bagaglio, sgomitando nel vagone affollato.
Fu l’unico a non sporgersi dal finestrino, urlante, per salutare sua madre, immobile sul binario.
La vide alzare di scatto una mano e deviarla immediatamente a grattarsi il collo, gli occhi scuri grandissimi nel viso scarno e scolorito, mentre tutti gli altri genitori si sbracciavano attorno a lei e alcuni seguivano anche il movimento lento del treno che sbuffava più che mai.
Un’impenetrabile cortina di vapore bianco oscurò i finestrini e solo allora Severus si prese una pausa dalla gioia infinita di essere accanto a Lily e guardò verso il binario che non poteva vedere; alzò le dita di una mano, per un attimo.

Undici anni di sofferenza assieme non potevano produrre differenti manifestazioni di affetto materno e filiale tra Eileen Prince Piton e Severus.
Probabilmente, l’unico “sentimento” che si poteva riscontrare nel rapporto tra lui e sua madre era il rispetto. Gli abbracci erano spariti da tempo, Severus aveva imparato a farne a meno ed Eileen… beh, lei era stanca, sfiancata dagli anni trascorsi accanto a Tobias, senza più alcuna volontà. Non lottava più, neppure per suo figlio, da quando Severus aveva imparato a difendersi da solo, ed era accaduto molto presto.

Eppure, nonostante gli anni di sottomissione e silenzio, Severus fu certo che lei avrebbe lottato ancora se il marito non avesse acconsentito, per puro dispetto, a mandare il bambino a Hogwarts. Ma perfino Tobias aveva visto più vantaggio nel liberarsi del ragazzino che tenerselo a casa… In ogni caso sarebbe rimasta la moglie, non gli sarebbe mancato qualcuno su cui sfogare il suo animo bestiale.
La mattina della partenza, quando Eileen e Severus si erano preparati in fretta per uscire, Tobias non aveva detto nulla, ma una volta sulla soglia, aveva sputato per terra guardando moglie e figlio allontanarsi uno di fianco all’altra, trascinando un baule.

Severus si chiese cosa aveva subito la madre, al suo ritorno a casa. Mentre lui era sul treno, con Lily e quei due bambini antipatici, mentre era Hogsmeade, o mentre si dirigeva alle barche, o nei meravigliosi momenti impiegati ad attraversare il Lago Nero… che cosa era successo a Eileen?
Si vergognò di non aver pensato a lei neanche un attimo, il giorno prima. Quale disperato coraggio le aveva fatto varcare la soglia di quella casa maledetta quando aveva fatto ritorno alla desolazione di Spinner’s End? Che avrebbe fatto da sola, con Tobias? Cosa le avrebbe detto quel babbano? Cosa le avrebbe… fatto?

Severus si afferrò il capo tra le mani.

***

Quella notte di otto anni prima, quando era venuto a sapere l’esaltante verità della sua natura di mago, Severus era ritornato nel suo letto con il cuore a mille e una valanga di pensieri.
Si era messo sotto le coperte, ma per circa mezz’ora era rimasto seduto, eccitato, tentando di muovere una sedia lì vicino. Non c’era stato verso, la sedia era rimasta ferma dov’era, sotto la finestra. Un po’ deluso, era stato improvvisamente colto da una pesante stanchezza. Doveva aspettare fino al giorno dopo, l’indomani avrebbe chiesto a sua madre come fare, oh sì. Anche lei era magica.
A quella rivelazione, gli era sembrato di aver cancellato Tobias dalla sua esistenza.
Certo, era durato molto poco. Era bastato che suo padre tornasse a casa perché i muri tornassero a essere brutti e freddi. Lo sentì, nella camera accanto.

La cucina era stata riordinata, Severus aveva sentito sua madre rimettere tutto a posto, anche se poteva giurare che non aveva usato la magia. Per paura, come capì solo parecchio tempo dopo.
Eppure quell’uomo aveva trovato da ridire, come sempre, e le grida erano continuate anche di sopra. Ma quella fu la prima volta che Severus ebbe un vago pensiero felice su cui focalizzarsi, anche se la paura e le lacrime tornarono a fargli compagnia, mentre si raggomitolava sotto le coperte in preda all’angoscia e si sforzava di non sentire, non sentire…

***


Severus si riscosse, staccando le mani dalla testa. Non aveva più tre anni, per Merlino.
Si limitò a provare una fitta dolorosa al petto al pensiero di Tobias. O meglio, di sua madre sola con lui. Maledetto babbano.
Babbano... Tornò subito a pensare a Lily; era per questo che il Cappello Parlante non l’aveva messa a Serpeverde? Al banchetto di benvenuto Lucius Malfoy aveva definito quelli come Lily “rifiuti babbani”.
L’agitazione scosse Severus.

Chiuse di schianto il libro, lo rimise a posto e fece per uscire dalla porta, risoluto. Al diavolo la sala comune, i compagni Serpeverde, l’ansia di piacere a Malfoy… Solo per oggi, sarebbe salito da solo fino alla Sala d’Ingresso e l’avrebbe aspettata, sperando che non ci fosse troppa gente.
Aveva già la mano sulla maniglia della porta, quando udì delle voci vicinissime e con un balzò si portò di nuovo presso le poltrone.

Avery e Mulciber entrarono ridacchiando, le facce un po’ più sveglie. Evidentemente l’acqua aveva fatto il miracolo.
“Ehilà!”, lo apostrofò Mulciber, ora in grado di connettersi con la realtà e di pronunciare parole di senso compiuto. “Avevo appena detto ad Avery che secondo me potevi già essere in classe ad aspettare la prima lezione...” E rise.
Severus cercò di ridere anche lui. Mulciber era davvero scemo.
Lo vide lanciare le pantofole verso il letto e così pure il pigiama, che rimase penzoloni sulle coperte in disordine. Lo stesso fece Avery, anche se ebbe la decenza di posare le sue cose.

“Ah, bene!” Mulciber face un gran sospiro con le mani sui fianchi, fissando Severus.
“Secondo me tu ci farai guadagnare un sacco di punti, diventerai il cocco dei professori. Aspetta solo che si sappia cosa hai fatto ieri sera…”
Piton si sentì pungolare dal compiacimento, ma non lo diede a vedere e si voltò verso il camino.
Sentì i suoi compagni avvicinarsi e un’esclamazione uscì ancora dalla bocca di Mulciber.
“Ma cosa fai, l’elfo domestico? Guarda che non occorre che sistemi il letto e il pigiama. E le pantofole, guarda Avery, ha messo in ordine le pantofole!”
Severus odiò quel bambino.
Avery si rese conto che Mulciber stava esagerando e gli fece cenno di star zitto. Come aveva fatto il compagno la sera prima, cinse le spalle di Severus con un braccio, spingendolo verso una poltrona.

“Non avete mai avuto un elfo domestico a casa?”
Severus lo guardò; Avery forse era meno bestia di Mulciber nei modi, ma il suo parlare piano e lo sguardo troppo comprensivo, traditore di una grande malizia, erano forse più difficili da digerire.
Si sentì a disagio: come sempre, quel bambino non faceva domande, ma affermazioni.
“No. Ma ho messo a posto per abitudine...” Severus passò al contrattacco, parlando col tono più indifferente che riuscì ad adottare.
Fissò il tappeto, come per sbaglio.
Certe cose mi vengono senza pensarci.

Bingo.

Ora Avery non aveva più niente da dire e Mulciber si avvicinò a loro, gettando uno sguardo al tappeto pure lui. Anche se non li guardava, Severus percepiva che la loro abitudine al lusso e alla ricchezza si sarebbe sempre inesorabilmente infranta contro le sue capacità superiori.
Si grattò la testa e li graziò, scegliendo di non umiliarli oltre. Doveva tenerseli buoni.
“A che ora si va di sopra?”
“Verso le 8, credo” rispose Avery gentilmente.
Mulciber emise un lamento.
“Beh, almeno oggi, no? La prima lezione è alle 9, ma devono darci gli orari e tutto… Andiamo a vedere se Malfoy è già in sala comune.”
“È uscito” li informò Severus.
“Perché, l’hai visto?”
“Sì, l’ho incontrato in corridoio.”
“Ah già!” Mulciber si diede una manata in fronte. “È un Prefetto, i Prefetti hanno il loro bagno.”
Questa poi. Bagni riservati.
Ecco una cosa di Hogwarts che Severus non sapeva (perché sua madre non gliene aveva mai parlato?) ed ecco spiegato l’arcano su Malfoy che all’alba usciva dalla sala comune in pigiama.
“Beh, andiamo?” fece Avery, annoiato. “Tanto qui non c’è niente da fare.”

Severus si alzò dalla poltrona, lievemente agitato. Mentre il terzetto usciva dalla stanza, finse di grattarsi il torace, per sentire la bacchetta contro il petto.
Stava per essere presentato come si deve al Prefetto della sua casa, nonché a un ragazzo che doveva appartenere a una famiglia magica molto importante.
 
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Camelia.
view post Posted on 24/7/2013, 23:09




Capitolo 6


Uscirono dalla stanza e Avery e Mulciber percorsero il corridoio non facendo che darsi spinte, saltarsi addosso e ridere.
Severus non si unì a quel gioco, era pensieroso e camminava lentamente qualche passo dietro a loro; passando davanti al ritratto del giovane dal nome sconosciuto, non poté impedirsi di sollevare il capo e lanciargli un’occhiata. Il ragazzo lo fissò di rimando e il bambino dai capelli neri troppo lunghi rivisse tutte le sensazioni della sera prima, ma stavolta non scappò.
Ora sapeva cos’era diventato quel ragazzo e interpretò la sua espressione non più come superba, bensì trionfante.
Lord Voldemort”, mormorò pianissimo tra sé e sé, davanti al quadro.

Chissà come ci si doveva sentire a essere temuto e rispettato da tutti, pensò Severus, e senza accorgersene sfilò la bacchetta dalla veste e si mise in posa come il giovane, a braccia conserte, fissando i propri occhi scuri in quelli altrettanto scuri dipinti su un volto di raffinata bellezza che lo guardavano dall’alto, muti.
Se ne sentì trafiggere, ma non si mosse, anzi, raddoppiò la forza del proprio sguardo pensando solo quattro parole: “Anche io lo farò”.
Un gridolino più forte degli altri lo riscosse: i suoi compagni avevano raggiunto la porta d’ingresso dei dormitori e stavano entrando in sala comune. Abbandonò il ritratto.

“Muoviti, dai!” gli fece Mulciber voltandosi indietro.
Severus affrettò il passo riponendo la bacchetta al suo posto e sentì il cuore battergli forte. Alcune porte si aprivano alle sue spalle e ragazzi in pigiama si trascinavano lungo il corridoio per raggiungere i bagni, chi in trance, chi più vispo.
“Dieci galeoni che entro stasera il vecchio Luma mi inviterà a cena!” gridò una voce bassa. “Eh Nott, ci stai?”
Severus accelerò, ricordando bene lo sguardo freddo di Nott quando gli era finito addosso, la sera prima. Mentre entrava in sala comune, udì una voce annoiata rispondere: “Venti che lo chiederà prima a me, McNair.”

Chiusosi la porta alle spalle, Severus fu colto per un momento da una lieve vertigine sentendo una risata provenire da una poltrona. O aveva immaginato di sentirla?
Avery e Mulciber erano i soli nella stanza e stavano davanti a una vetrina osservandone il contenuto, bisbigliando.
Ricordò qualcosa, oppure no… prima di capire, la sensazione svanì. Gli venne in mente solamente Lily e si agitò, combattuto tra la preoccupazione e la contentezza: stava per rivederla.
Si avvicinò ai compagni e nella teca vide, tra oggetti vari, una piccola coppa d’argento con lo stemma non della sua Casa, ma dell’intera Hogwarts, sotto cui era anche inciso su un cartiglio il motto “DRACO DORMIENS NUNQUAM TITILLANDUS”.

“In realtà quella vera sta nell’ufficio di Lumacorno” li informò un ragazzo poco più grande di loro, che non avevano sentito arrivare.
“Questa è una copia, più piccola. Mio padre dice che a Lumacorno fa piacere che anche in sala comune ci sia la Coppa delle Case, così ci viene voglia di conquistarne una nuova ogni anno.”
Il nuovo venuto guardava i tre bambini del primo anno con l’aria vissuta di chi non era più matricola.
“Rosier”, aggiunse, tendendo la mano.
“Avery” rispose prontamente una voce di fianco a Severus e i due si strinsero la mano.
“E questi sono Mulciber…” altra stretta di mano accompagnata da un “Ahh” da parte di Rosier “… e Piton.”

Rosier corrugò la fronte cercando di scovare nella sua mente qualche informazione su quel cognome che, era chiaro, non gli diceva niente, tuttavia strinse anche la mano di Severus che nascose molto bene il fatto di sentirsi sulle spine.
Rosier non gli staccava gli occhi di dosso.
Era piuttosto in carne, anche se non grasso, e i folti capelli biondastri pettinati con estrema cura con un’impeccabile riga in parte gli davano l’aria di un funzionario del Ministero con la faccia da bambino.
“In effetti i nostri genitori si conoscono…” prese a dire Rosier, guardando solo Avery e Mulciber che si scambiarono uno sguardo d’intesa “...ma col fatto che abitiamo in un castello un po’ isolato in Scozia non vi avevo mai conosciuti, voi due.”
“Io conosco Malfoy!” disse prontamente Avery.
“Sì… Malfoy conosce tutti i purosangue...” fece Rosier con un sorrisetto.

Severus si sentì avvampare, terribilmente a disagio.
Non sapeva che dire e non osava guardare negli occhi quel ragazzino così sicuro di sé, ma proprio mentre la porta della sala comune scivolò di lato aperta dall’esterno, fu Mulciber a trarlo d’impaccio. Per una volta, non parlò a sproposito, con un tempismo perfetto:
“Ehi, lo sai che questo qui sa fare magie da terzo anno?” disse, balzando in ginocchio su una poltrona, sporgendosi dallo schienale e dando una manata a Severus, che barcollò un attimo, preso alla sprovvista.
Rosier guardò il bambino pallido, con una cortina di capelli troppo lunghi e mal tagliati spartiti in due bande lisce e scure, un po' unte; anche con il corpo ricoperto dalla divisa, la magrezza di Severus era evidente e il suo aspetto suggeriva la necessità di qualche abbondante pasto caldo e magari di abiti nuovi, più che capacità magiche straordinarie.

“Come ti chiami?” fece una voce strascicata e tutti e quattro si voltarono.
Malfoy era appena tornato, altero e autorevole nella divisa su misura che gli cadeva addosso con principesca eleganza, la pelle del viso liscia per la fresca rasatura e i capelli raccolti in una coda, perfettamente pettinati. La spilla da Prefetto mandava bagliori verdastri nella luce della sala comune.
I suoi occhi grigi erano puntati sul bambino male in arnese che la sera prima non aveva notato e che quella mattina aveva trovato in piedi prestissimo, smanioso di cominciare la sua vita a Hogwarts.
“Severus Piton.”
“E che magie sai fare?” Malfoy tralasciò di approfondire quel cognome sconosciuto, incuriosito dalle parole che aveva sentito entrando.
“Ha spento il fuoco in camera nostra!” si inserì non richiesto Mulciber, avido di raccontare i fatti della sera prima, come se gli appartenessero.
“Il tappeto stava andando a fuoco e lui l’ha spento!”
Un sopracciglio si sollevò leggermente sul viso di Malfoy.

Ragazzi e ragazze entravano alla spicciolata in sala comune, chiacchierando tra loro: i dormitori cominciavano a svuotarsi. Nessuno però badò ai ragazzini del primo anno, anche se tutti rivolsero uno sguardo al loro nuovo Prefetto.
“Dovevi vederlo!” stava proseguendo Mulciber, un fiume in piena.
“Ha tirato fuori la bacchetta velocissimo e ZAM! L’ha spento!” continuò, mimando la scena.
“È stato un fulmine” concesse pacatamente Avery, forse un po’ invidioso di quel nuovo compagno, ma anche abbastanza scaltro da capire che uno così poteva tornargli molto utile.
“Molto bene…” approvò Malfoy, colpito. “Non sono molti gli studenti del primo anno in grado di produrre magia di quel livello, specialmente in situazioni di emergenza. Chi te l’ha insegnato?”
Stavolta Avery e Mulciber ebbero il buon gusto di lasciarlo rispondere.
Severus si sentiva intimidito dal fatto che ci fossero parecchie persone ora nella stanza, eppure sentiva anche l’orgoglio lambirgli le viscere con vampate sempre più calde.
“Ho visto mia madre farlo una volta” disse infine, fissando gli occhi grigi di Malfoy, come aveva fatto davanti al bagno.
“E ha anche letto tutti i libri!”
La capacità di Mulciber di starsene zitto si era già esaurita.
“E mica solo quelli del primo anno!!”

Rosier assunse un’espressione incredula; Severus percepì che il chiacchiericcio intorno a loro si era diradato un poco; con la coda dell’occhio, vide che alcuni gruppetti di ragazzi guardavano nella sua direzione, cercando di ascoltare. Mulciber stava parlando sempre più forte, dimenandosi sulla poltrona.
Alzò lo sguardo su Malfoy. Per quanto cercasse di mantenere un contegno austero, il Prefetto non poté impedire che lo stupore si impossessasse di lui. Quel ragazzino da niente si stava rivelando una sorpresa.
“Chi è tua madre?” domandò.
“Eileen Prince.”
Severus si sentì decisamente a suo agio nel pronunciarlo. Si rilassò, sentendo ogni tensione scivolargli di dosso; ora che il discorso si era spostato sull’unico membro degno della sua famiglia, non gli dava più fastidio l’attenzione degli altri, anzi.

***


“Non sai nemmeno attaccare un bottone come si deve, donna!” sbraitava Tobias sventolando davanti al naso di sua moglie una camicia.
“È la seconda volta che ne perdo uno, mi fai sentire uno straccione!”
Eileen non si azzardò a dire che la camicia era vecchia, usurata, talmente lisa che attaccarci un bottone era come attaccare un bottone sul niente. Come tutte le altre camicie del marito, l’aveva rattoppata innumerevoli volte e i rammendi avevano richiesto molto tempo e infinita pazienza, mettendole a dura prova gli occhi; aveva rivoltato polsini e colletto, rifatto gli orli… ma la verità era che quella camicia era arrivata al capolinea, ne serviva una nuova.
Poteva confezionarla lei (alla babbana, così come i rammendi, ovviamente), ma la stoffa costava e a casa Piton il denaro era talmente poco da non assicurare nemmeno il pranzo e la cena, anche se era sempre sufficiente a garantire le bevute di Tobias.
“Buona a niente, sei... troppo Principessa per questo umile lavoro?” la schernì urlando l’uomo, storpiando il cognome della moglie e gettandole la camicia in faccia.
“Bell’affare sposare una come te…” continuò, pieno di disprezzo, sedendosi di schianto a gambe larghe su una sedia, mentre il viso pallido di Severus faceva timidamente capolino sulla porta alle sue spalle, guardando Eileen, immobilizzata dalla paura, che stringeva tra le mani una camicia stropicciata.

***


Prince?”
Una ragazza bruttissima, bassa e tozza, con la voce rasposa e gli occhietti piccoli e pungenti abbandonò il gruppo di amiche che stavano facendo i complimenti alla loro Prefetto e si avvicinò a Severus. Dalla faccia, poteva essere dell’ultimo anno, o del penultimo.
“Uhmmm, Prince… Mi sa che mia madre la conosce, è un nome che le ho sentito dire una volta quando parlava della squadra di Gobbiglie.”
E fece un sorriso che mise a nudo la dentatura più brutta e storta mai vista. Somigliava più a una creatura marina che a una donna…
“Alecto Carrow” si presentò; Avery e Mulciber mormorano qualcosa di fianco a Piton.
“Dirò a mia madre di scriverle, non si sono più viste dopo la scuola da quello che so… Dove abitate?” chiese, con tono un po’ troppo indagatore, gli occhi che scrutavano la divisa evidentemente non nuova del bambino.
Con un ghigno continuò: “Se non sbaglio ha sposato un…”
Severus ripiombò nel panico, ma fu Malfoy a salvarlo.

“Alecto, di’ a tuo fratello di non presentarsi tardi alle lezioni, come al solito” le disse.
Rosier trattenne una risatina.
“Non tollererò di perdere punti a questo modo, quest’anno.”
Parlò con calma, ma con tono tagliente, l’essere Prefetto pareva autorizzarlo ad avere il controllo su ogni cosa.
“Malfoy…” cominciò lei.
“Lucius?”
Una voce fredda ed elegante stroncò la replica in gola ad Alecto.
La giovane alta e bionda che la sera prima aveva cenato e poi chiacchierato in sala comune con Malfoy, si era avvicinata a loro silenziosamente, algida e bella. Accanto a lei, Alecto veniva definitivamente classificata nel regno bestiale e si defilò, andando a spettegolare con altre ragazze, dimenticandosi anche di Severus, “per sempre” sperò lui.

“Narcissa, tu già conosci Avery e Mulciber…” fece Malfoy con un gesto della mano verso i due, che alzarono la propria in segno di saluto, Mulciber aggrappato allo schienale della poltrona. Narcissa piegò appena il capo.
“Ti presento un nuovo compagno, Severus Piton”, continuò Malfoy.
“Pare sia un… come definirlo?”
Lo guardò, abbassando gli occhi grigi sul viso del bambino leggermente ansioso.
“…un precoce talento…” concluse in un sussurro, con voce di seta.
Narcissa, con lo sguardo azzurro altezzoso, tese la mano a Severus che si sentì fiero e onorato.

Era bello sentirsi accettato, era bello essere riuscito in una sola notte a scardinare il potere del cognome paterno con la forza del proprio talento.
Il Prefetto della sua Casa lo presentava agli altri… la giornata iniziava sotto i migliori auspici.
 
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Camelia.
view post Posted on 25/7/2013, 11:16




Capitolo 7:


Altri Serpeverde, che fino a quel momento erano rimasti a chiacchierare per i fatti loro a gruppetti, presero a gironzolare attorno alle poltrone, cercando di capire chi mai potesse essere quel bambino sconosciuto perché Malfoy in persona lo presentasse a Narcissa, una Black, notoriamente con la puzza sotto il naso.
Rosier si era avvicinato ad alcuni compagni della sua età e stava di certo riferendo il poco che aveva sentito. Poco ma sufficiente a far voltare parecchie teste verso Severus.
A quanto pareva tutti trovavano molto interessante avere un pettegolezzo fresco fresco già il primo giorno di scuola e il fatto che quello scricciolo di bambino malnutrito fosse uno che aveva letto i libri di testo anche degli anni successivi, non poteva che destare scalpore, specialmente negli studenti già grandi ma che avevano difficoltà di apprendimento.
Gli occhi puntati su Severus aumentavano ad ogni momento e capannelli di ragazzi si scambiavano impressioni e supposizioni, non sempre a bassa voce.

“Ma chi è?”
“Tu lo conosci?”
“No!”
“Pare che abbia spento una tenda che aveva preso fuoco con un incantesimo Spegnifiamma, senza pensarci due volte…”
“Quel bambinetto lì??”
“Piton, si chiama Piton!”
“No, era un tappeto…”
“Piton? E che famiglia è?”
“Non sarà mica un babbano?”
“La Carrow mi ha detto che è un mezzosangue, sua madre era strega…”
“Dai, uno sporco babbano non sarebbe neanche capace di tenere la bacchetta in mano…”
“Un mezzosangue che fa incantesimi da terzo anno appena arrivato a scuola?”
“Ma è vero?”
“Ho sentito che Malfoy in persona l’ha presentato alla Black…”
“E quelli vicino a lui chi sono?”
“…e ha già letto i libri del primo anno…”
“Tutti??!”
“…quello bruno mi sembra il figlio di Mulciber, l’altro è sicuramente Avery, è venuto una volta a casa nostra per una festa…”
“A me Rosier ha detto che ha sentito che ha letto anche quelli del settimo!”
“Ma è impossibile…”
“Un livello da M.A.G.O…”
“A quell’età??”
“Avery e Mulciber sembrano suoi amici…”
“...io con l’incantesimo Spegnifiamma ho avuto problemi per tutto l’anno scorso…”
“Chiedigli se ti dà ripetizioni allora, così magari un G.U.F.O. in Incantesimi riesci a rimediarlo, ahahah!”
“Cretino!”
“Ehi guardate Malfoy, adesso lo presenta a Nott…”

Che capogiro.
Severus cominciava a non capire più niente, mai nella vita si era sentito così. Cercò di non sembrare troppo compiaciuto e di darsi un contegno, ma mai un gruppo di persone erano state attirate dalla sua presenza, mai era stato il centro dell’attenzione e della curiosità.
Fugaci ombre che avevano l’odore di Spinner’s End e dei suoi abitanti gli solleticarono la mente e fu con una gioia selvaggia che le ricacciò indietro, godendo di essere il centro dell’interesse in quella prima mattina, nella Casa di Salazar Serpeverde.

Bambini e ragazzi, alcuni anche dell’ultimo anno, man mano che entravano alla spicciolata in sala comune, venivano inevitabilmente investiti dall’onda placida dei bisbigli su di lui, che veniva guardato -unico in quel luogo- perché-era-lui e non perché la sua famiglia era antica o ricca o famosa.
Un caso isolato in quella camerata, sebbene nella storia passata dei Serpeverde un altro bambino fosse riuscito nell’impresa, anche se Severus e nessun altro lì dentro lo sapeva.
Mai Severus aveva avuto la testa così piena del presente.

No, si sbagliava… con Lily era successo sempre.

Ogni momento con lei scacciava i brutti ricordi e sbiadiva perfino le speranze future, con lei Severus godeva di ogni singolo istante, non pensando a nulla, felice di guardarla e di ascoltarla o di essere ascoltato da lei e perfino… guardato.
Nessuno mai guardava Severus: non Eileen, che adempiva ai suoi doveri materni ma giorno dopo giorno veniva sempre più risucchiata dal niente che le spegnava la luce degli occhi; non Tobias, se non con odio e fastidio.

Lily invece no, non aveva mai avuto uno sguardo cattivo per lui. A parte il primo giorno che le aveva parlato, ma era stata colpa di Petunia. E quella volta che si era arrabbiata perché lui aveva inconsciamente colpito Petunia, la stupida sorella a cui Lily si ostinava a voler bene…
Ma tutte le altre volte quegli occhi verde chiaro l’avevano sempre guardato con ammirazione, amicizia, sincerità. Con interesse, quando lui le raccontava di Hogwarts. Con complicità, quando giocavano assieme e la magia usciva da loro libera da costrizioni. Con autentica gioia quando ridevano assieme. Con preoccupazione quando gli chiedeva come andava a casa…
Sì, Lily era speciale. Lei lo capiva.

***


“Che cos’hai Severus?”
“Niente.”
“Sei triste?”
“No” aveva risposto, fissandola.
Ma gli occhi neri non poterono non sciogliersi di fronte a quelli limpidi di Lily, non poterono mentire.
“È…” cominciò esitante.
“È solo che… i miei genitori hanno litigato ieri”, concluse precipitosamente.
Una piega intristì la bocca di Lily.

Severus si sorprese a raccontarle cos’era successo in casa Piton la sera prima; certo, le risparmiò i particolari più crudi, le parole volgari… ma le raccontò tutto. Non aveva mai parlato a nessuno dei propri genitori.
E avrebbe continuato a non farlo se non si fosse trattato di… Lily.
Solo con lei era stato possibile il miracolo, solo lei era riuscita a ricevere la fiducia di Severus, con semplicità, e a non tradirla mai.
Lily ascoltava, si dispiaceva del dolore dell’amico, partecipava alla sua sofferenza e lo consolava. Lei capiva.
Aveva la rarissima capacità di accogliere il suo dolore tra le mani e lenirlo, con la semplice dolcezza di una parola, di uno sguardo, di una carezza.
Allora Severus sentiva prima una fresca brezza dare sollievo al bruciore della sua anima e poi una calda coltre di benessere avvolgerlo come in un bozzolo, al sicuro.
Lei era una piccola strega, ma sapeva fare una magia grandissima, una magia che in nessun libro, neppure in quelli preparatori al M.A.G.O., sarebbe stato possibile trovare. Perché non bastava essere maghi dotati o applicarsi… occorreva essere lei, bisognava essere Lily.

***


A Piton cominciò a mancare l’aria. Seppur piacevolmente immerso nella novità di essere l’oggetto dell’interesse generale, ora avrebbe voluto restare solo, a pensare. Pensare a lei.
Stringeva mani, ascoltava cognomi a lui sconosciuti, rendeva conto di cosa aveva fatto la sera prima e doveva anche sopportare le pacche di Mulciber e il braccio attorno alle spalle di Avery, che parevano ben felici di essere al suo fianco e prendersi un po’ della sua luce.
Nott gli aveva appena stretto la mano con la punta delle dita, dicendogli a denti stretti: “A quanto pare ieri ho corso il rischio di venir affatturato… sei davvero così in gamba come dicono?”
Aveva un sopracciglio alzato e non nascondeva un’aria di sufficienza… quel bambino gracile e non purosangue non pareva convincerlo.
“Mio padre conosce il tuo” si intromise Mulciber con la solita impertinenza, anche se stavolta si sentiva un po’ di soggezione nella voce.
Nott spostò appena lo sguardo sul bambino.
“Tu… sei Mulciber, esatto?”
Il ragazzino annuì.
“Sì, tuo padre è venuto un paio di volte a casa nostra, mio padre lo conosce bene, hanno anche fatto dei… viaggi assieme” terminò, in un sussurro. “Anche con il tuo, Avery.”
Avery fece un gesto spavaldo con il capo, ricreando quella bolla di complicità dalla quale Severus sarebbe sempre rimasto escluso, anche con le capacità superiori che possedeva.

Capì che non sarebbe bastato essere più in gamba degli altri.
Doveva essere straordinario, per ricevere anche la totale stima di persone come Nott.
Malfoy alla fine si era dimostrato più aperto nei suoi confronti, nonostante l’aria altezzosa e i discorsi taglienti sulla purezza del sangue. Ma probabilmente, in qualità di Prefetto, gli faceva piacere supervisionare le matricole e capire fin da subito chi poteva dar lustro alla Casa, in qualunque modo.

“Ehi Nott!” chiamò qualcuno da in fondo la sala.
Il ragazzo lanciò un’ultima occhiata al terzetto del primo anno e si diresse a passi misurati verso l’amico che si sbracciava.
Malfoy, intanto, ora si trovava al centro di un gruppo più ampio, fieramente orgoglioso del distintivo che aveva sul petto. Molti ragazzi e ragazze gli si stavano avvicinando come api sul miele e gli facevano i complimenti: Severus ebbe la netta sensazione che in quelle lodi non ci fosse solo ammirazione disinteressata.
Si accucciò fingendo di allacciarsi una scarpa, in preda ai ricordi.

***


“Lily, vieni a casa di Betty?”
La voce di Petunia risuonò nel corridoio.
Severus aveva visto Betty una volta, una bambina dell’età di Petunia che abitava poco lontano ed era molto ricca. I suoi possedevano addirittura due macchine e se le erano fatte mandare dall’America. Petunia andava matta per gli inviti a casa della viziata Betty, adorava letteralmente entrare in casa sua e poi raccontare con abbondanza di particolari quanto fosse bella la sua camera, quanto dritte e perfette le aiuole del giardino, quanto lustro e grande il frigorifero in cucina, quanto impeccabili le tende alle finestre, quanto all’ultimo grido gli elettrodomestici che pareva avesse in ogni stanza.
Era un piacere per lei sciorinare tutti quei lussi e le volte che c’era anche Severus -al parco o a casa Evans- il piacere diventava gioia sfrenata.

“Il papà di Betty ha comprato un televisore nuovissimo, molto costoso…” cominciava, con il suo tono più petulante e viscido.
“Voi ce l’avete il televisore a Spinner’s End?” domandava poi, perfida.
Severus si irrigidiva, le avrebbe volentieri risposto che certa spazzatura babbana in casa sua non ce l’avrebbe voluta (ovviamente non c’entrava nulla il fatto che i Piton non si sarebbero mai potuti permettere un televisore), ma si tratteneva, per Lily. La quale non si faceva affascinare dalla ricchezza di Betty e, anche se lungi dall’arrabbiarsi con la sorella verso cui dimostrava sempre un inspiegabile affetto, dopo aver tentato invano una conciliazione decideva di appartarsi con Severus, il bambino dai vestiti dimessi, comprendendo che la cosa migliore era separare quei due che proprio non ne volevano sapere di andare d’accordo.

Petunia si bloccò sulla porta della stanza di Lily, alla vista di Piton. Con gli occhi squadrò, insolente, ogni particolare del suo abbigliamento modesto, soffermandosi poi con una smorfia sui capelli unti che incorniciavano un volto che trasudava insofferenza.
La ragazzina, a sua volta, non si curò di non apparire seccata e anche un po’ disgustata.
“No, Tunia, io e Severus… stavamo andando al parco. Salutami tanto Betty, dille che verrò volentieri un altro giorno” rispondeva intanto Lily, la voce argentina.
A lei davvero non dispiaceva non andare da Betty, davvero preferiva Severus.
“Già, capisco. Avrete da fare qualche... stramberia, voi due!” rispose gelida Petunia, girando sui tacchi col naso all’aria dopo un’ultima occhiata di fuoco al bambino pallido e magro.

Severus si accorgeva di dare un dolore a Lily, separandola dalla sorella, ma fare amicizia con quell’antipatica di una babbana che non perdeva occasione per punzecchiarlo e denigrarlo… no, assolutamente no. Era chiedergli troppo.
Già una volta, per colpa sua, Lily si era arrabbiata con lui. Ma mica l’aveva fatto apposta a far cadere un ramo addosso a Petunia! Se ne fosse stato consapevole le avrebbe fatto cadere in testa l’intero albero...
Poi, con il passare del tempo, Lily grazie al cielo aveva sempre fatto in modo di non farli incontrare e lui aveva potuto averla tutta per sé; e lei, immune alla sua evidente povertà, era sempre stata pronta a offrirgli un sorriso o una parola gentile, contenta sul serio di passare del tempo con lui.
Lily era così, non giudicava le persone per il loro aspetto o la loro ricchezza; incredibilmente generosa, illuminava ciò che la circondava di grazia e non chiedeva mai niente in cambio.

***


“Qualche settimana fa mio zio Archie è entrato in possesso di un antico castello, appartenuto al nostro famoso antenato medievale, il mago-alchimista McEntire” stava dicendo Nott, posato elegantemente contro il bordo di un tavolo e circondato da un gruppo di adoranti ragazze.
“Sapete bene che i suoi esperimenti sono tuttora ritenuti fondamentali nello sviluppo di alcuni tra gli incantesimi più potenti che esistano. Dobbiamo a lui la maledizione Cruciatus…” diceva con malcelato orgoglio e alcuni ragazzi si unirono al gruppo “…pare l’abbia sviluppata contro quella feccia babbana che voleva metterlo al rogo…”
Un ghigno sul volto e risatine di approvazione intorno.
“Mio zio mi ha mostrato alcuni degli oggetti maledetti da McEntire in persona, i più geniali e potenti che abbia mai visto e durante le vacanze di Natale tornerò certamente a studiarli…”

Adesso che la curiosità verso Severus stava scemando, la Casa Serpeverde si dedicava alle abituali conversazioni, anche se qualche occhiata di sottecchi continuava a essere rivolta al piccolo Piton.
Nott, con poche parole, era riuscito a catalizzare l’ammirazione dei compagni, moltissimi dei quali parevano completamente ammaliati dalla notizia, i ragazzi attirati più dalla magia oscura che si sapeva fosse intrisa in ogni mattone del maniero, le ragazze per la possibilità di essere invitate in un palazzo tanto famoso e antico.
“Sarebbe bellissimo farci una festa a Capodanno…” sospirò chioccia una ragazza sui sedici anni, sbattendo le ciglia.

Nel frattempo Mulciber si era accomodato in poltrona, con un’espressione strana sul volto.
“Che c’è?” gli chiese Avery.
“MMM...” mugugnò l’altro. “Non ho nessuna voglia di fare lezione e imparare cose noiose. Hai sentito? Sarebbe molto più interessante andare al castello dello zio di Nott con tutti quegli oggetti là…”
“Eh già. E poi metterli in mano a qualche sporco babbano!” ridacchiò Avery.

Severus si riscosse. Voleva uscire.

“Beh, allora… io vado.”
“Eh?”
“In Sala Grande.”
“Di già?” Mulciber si incassò ancora di più nella poltrona.
“Dai, non fare il cocco dei professori, andando su per primo. Scommetto che ancora non c’è nessuno!” incalzò Avery.
Ma qualcosa nel viso di Severus non lo fece continuare. Non era arrabbiato, ma Avery capì che voleva essere lasciato in pace.
Se fosse stato un legilimante abbastanza abile, forse avrebbe potuto vedere il movimento di una morbida chioma rossa danzare nelle profondità scure degli occhi di Severus. O forse no, Severus avrebbe fatto di tutto per impedirglielo.

In silenzio, Severus si defilò, attraversando la stanza fino alla grande porta in fondo.
Avery e Mulciber erano tornati alle loro inutili chiacchiere, altri piccoli del primo anno cercavano di aggregarsi ai gruppetti che gravitavano attorno ad alcuni degli studenti grandi; ormai quasi tutta la Casa Serpeverde era in piedi a discutere animatamente di cose terribilmente importanti come lo era l’inutile e costoso televisore di Betty per Petunia.

Severus, ancora frastornato da quei momenti di ribalta, si sentì felice di estraniarsi e varcò la porta col cuore che gli batteva forte al pensiero degli occhi verdi di Lily.
 
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Camelia.
view post Posted on 25/7/2013, 19:32




Capitolo 8:


Non appena la porta della sala comune si richiuse alle sue spalle, Severus venne inghiottito dal buio e dal silenzio.
Per l’ennesima volta dal suo risveglio, echi lontani di risate e brividi di paura riemersero prepotentemente dalle visioni notturne. Severus si portò una mano alla fronte scuotendo il capo, sforzandosi di far sparire dalle sue orecchie il suono di uno schianto e il rimbombo di passi di corsa nell’acqua. Strinse forte gli occhi, rivedendo l’immagine di una cornice dorata e scosse la testa con più forza, affondando entrambe le mani nei capelli.
Per un attimo si sentì preda della stessa spossatezza fisica che aveva provato appena sveglio.

Si calmò e respirò a fondo, riaprendo piano gli occhi. Dopo la diffusa luce verdina che avvolgeva tutta la sala comune, gli ci volle qualche secondo per abituarsi all’oscurità del corridoio, dominato invece da un’opaca gamma di sfumature nere, grigie e marrone. In realtà non era affatto buio; ora che i suoi occhi si stavano abituando, si accorse che le torce alle pareti fornivano luce a sufficienza per rischiare il cammino.
L’umidità penetrò ancora una volta le sue narici e di nuovo, come la sera prima, le fosche stradine di Spinner’s End parvero per un attimo sostituire i muri di pietra che lo circondavano.
Fissò intensamente la fiamma di una torcia e la desolazione del quartiere babbano dominato da una fumosa ciminiera si bruciò in quel bagliore acceso.
Piegò il collo all’indietro, tirando un respiro lento e profondo. Chissà se Lily si era già svegliata.

Cercando di ripercorrere a ritroso il cammino che la sera prima aveva percorso seguendo Malfoy, Severus prese a camminare, pensieroso. I sotterranei di Hogwarts erano vasti, tutti svolte e gradini, ma, rinfrancato dalla parole che il Prefetto aveva detto (“Non è complicato raggiungere la sala comune”), il bambino non si sentì sperduto.

***



La prima volta che era scappato di casa era davvero molto piccolo.
Da circa un anno sapeva di essere un mago, figlio di una strega. Gli capitava di fare cose strane, senza volerlo; Eileen gli aveva raccontato che ai maghi minorenni non era concesso, ma dato che lui ancora non andava ad Hogwarts e non era in grado di controllarsi, il Ministero non avrebbe preso provvedimenti.

Sempre più spesso però, il bambino tentava di compiere magie in maniera consapevole, di nascosto. Aveva anche trovato i libri di scuola di Eileen e cercava di capirci qualcosa studiandosi le illustrazioni, nello spazio relativamente privato della propria camera.
Tuttavia quella mattina, Severus, obbedendo a un desiderio più grande della paura di venir scoperto, stava cercando di avvicinare a sé, senza toccarla, la zuccheriera che si trovava in mezzo alla tavola; nessuno lo guardava, sua madre stava pulendo il pentolino dove aveva scaldato il latte e gli dava le spalle, Tobias era curvo sulla sua tazza di caffè scadente, torvo e astioso. Severus aveva allungato la mano, come se riducendo la distanza tra sé e la zuccheriera, potesse essere più semplice fare la magia; controllava che suo padre non vedesse cosa stava facendo e cercava di concentrarsi.

“Vieni da me… vieni da me” scandivano le sue labbra senza emettere suoni; le piccole dita magre si tendevano immobili nell’aria, nascoste da un cestino malandato con poche fette di pane secco all’interno.
A Eileen scivolò il pentolino mentre lo asciugava e anche se fu lesta a prenderlo al volo e a non farlo cadere, il rumore che fece contro il bordo del lavello fu sufficiente a scatenare suo marito.
Era chiaro fin dal suo risveglio… Tobias non aspettava che un pretesto per scattare.

L’uomo prese a inveire contro la sbadataggine della moglie e Severus sobbalzò, sulla sedia troppo alta per lui; fu allora che la zuccheriera cadde dal tavolo.
Il bambino rimase impietrito a fissarla, con la mano ancora tesa.
Per un momento nessuno fiatò. Tobias fissò i cocci e poi Severus, che lo guardava con gli occhi spalancati dal terrore.
“L’hai fatto apposta, vero?” urlò l’uomo.
Eileen trattenne rumorosamente il respiro.
Severus provò a dire “No”, ma nessun suono uscì dalla sua bocca. Scuoteva vigorosamente il capo e istintivamente guardò la madre; con quell’occhiata Eileen capì che non si era trattato di un semplice incidente e, se possibile, si spaventò ancora di più.

“Piccolo maldestro!” iniziò Tobias “Inutile…” e fece per agguantarlo oltre il tavolo.
Ma Severus fu più veloce e scivolò sotto il tavolo, graffiandosi le cosce sulla paglia rovinata della sedia.
“VIENI SUBITO QUI!!” urlò Tobias, accucciandosi per prenderlo e mentre Eileen si slanciava sul marito tentando di afferrargli il braccio, il bambino riuscì a sgattaiolare via, in corridoio, sentendo alle sue spalle il rumore di una sedia rovesciata e quello di un inequivocabile tonfo.
Si voltò a guardare: Tobias aveva inciampato sulla sedia di Severus ed era caduto.

“In questa casa tutto cade a pezzi! Non c’è nulla di sano!” urlava l’uomo, fuori di sé.
“No, no! Lascialo stare, ti prego!” Eileen aveva aiutato il marito a rialzarsi e adesso cercava di trattenerlo “Ti prego, è solo un bambino, non l’ha fatto apposta! Adesso… adesso sistemo tutto e…”
“LASCIAMI, maledetta puttana!”
Severus vide sua madre frapporsi con tutto il corpo tra il marito e la porta.
“ Tobias, ti prego!”
Ma l’uomo era più alto, più massiccio e più forte della donna, nonché più arrabbiato. Eppure Eileen lottava con tutta se stessa e, inspiegabilmente, resisteva.
“No, ti prego! NO!” gridava.
E Severus odiò suo padre, lo odiò come mai gli era capitato prima.
Uno strattone, un grido e Eileen finì per terra.

Severus non ricordò neppure di averlo fatto; tornò in sé solo quando si ritrovò in un vicolo maleodorante, le case appiccicate le une alle altre nell’aria stagnante.
Era uscito di casa ed era corso via, senza sapere dove. Non avrebbe neppure saputo dire per quanto aveva corso, quando si fermò ansante, smarrito, le tempie che pulsavano, circondato da case così simili alla sua eppure diverse. Dov’era? Il cuore gli sprofondò nel vuoto.
Si scostò i capelli dal viso, cercando di calmarsi.

Non era mai uscito da solo di casa. Girò su stesso, cercando di capire da quale di quelle strette vie era venuto, mentre strani fumi si sollevavano da terra e rivoli scuri si riversavano nel tombino lì accanto. Alzò il capo e vide una vecchia raggrinzita fissarlo da dietro un vetro sporco; la donna spalancò la bocca in un’orribile risata senza denti e Severus cominciò a correre di nuovo, respirando forte e inalando i miasmi di quei vicoli stretti e tutti uguali.
Le donne e gli uomini che incrociava non abbassavano neppure lo sguardo su di lui, o lo guardavano come fosse un mattone tra i mattoni. Il bambino aveva voglia di piangere, ma temeva quelle persone che camminavano grigie nel grigio.
Si strusciò sugli occhi la manica troppo lunga del golfino un tempo appartenuto a Eileen e cercò di calmarsi.
Sentì odore di naftalina misto a quello di casa sua, sulla lana consumata.

Allora ricordò come era finito lì, si ricordò della zuccheriera e di come aveva desiderato attirarla a sé, si ricordò delle urla di suo padre e di essere scappato. Aveva aperto la porta ed era saltato giù dai pochi gradini della soglia e aveva iniziato a correre, senza sapere cosa faceva.
Di nuovo si guardò attorno, smarrito e con il cuore che ora batteva forte non per la corsa appena fatta, ma per lo spavento di essersi perso.

Poi, nella confusione dei suoi pensieri, si ricordò di essere un mago, anche se ancora inesperto.

Allora tutto prese una dimensione diversa… l’intrico di Spinner’s End, i suoi brutti abitanti, le assi marcite degli scuri a una finestra, la mela caduta chissà quando e a chissà chi e ora preda di un nugolo di insetti, la bocca sdentata della vecchia, la sporcizia, i camini che sbuffavano fumo nero… se stesso.
Il cuore gli martellava in petto, ma seppe che doveva tornare a casa: e se era arrivato fin lì, voleva dire che c’era anche una strada per tornare indietro.

Vagò per ore, o mezz’ore, o forse solo minuti…
Il tempo si dilatava e al contempo restava fermo in quel quartiere, dato che era impossibile distinguere la parabola del sole. Si strinse di più nel golfino e ne rivoltò una manica quattro volte, mentre osservava bene i pochi particolari che potevano distinguere un vicolo da un altro, una fila di case da un’altra. Per un po’ peregrinò a caso, incrociando sguardi foschi e sentendosi più piccolo di quel che era in mezzo a quelle case sconosciute, ma capì di aver scelto il modo giusto di agire quando, dopo un po’ di vagare, riconobbe una strada che aveva già percorso e la evitò.

“…erus!…” si udì in lontananza.
Con il cuore in gola prese a correre nella direzione della voce, passando tra le gambe delle persone che ora più numerose affollavano i vicoli. Intravvide la ciminiera, lontana più o meno quanto appariva lontana da casa sua, non poteva essere lontano!
“Severus…!” la voce di Eileen ora era più vicina.
Alla svolta successiva, la vide.

Non aveva mai guardato sua madre da lontano: era magrissima nel nero del vestito che le arrivava fin quasi a terra e indossava ancora il grembiule. Camminava spedita e al tempo stesso scomposta, a zig-zag, come se non sapesse bene che direzione prendere per ritrovare il figlio. I capelli sciolti le ricadevano scuri sulle spalle, poche forcine allentate a fissarli qua e là, scoprendo un volto pallidissimo.
Severus si stupì di quella visione, ma il sollievo di rivederla cancellò subito ogni altra sensazione.
Non la chiamò, ma corse verso di lei. Eileen si voltò quando sentì qualcuno correre e come vide Severus si portò una mano al petto e l’altra alla fronte.

Severus si fermò di fronte a lei, guardandola da sotto in su, incapace sia di dirle qualcosa che di scusarsi. Eileen allungò un braccio e una piccola mano ossuta si fece prendere dalla sua gemella più grande.
Si diressero verso casa, in silenzio.
Ogni tanto Severus sollevava la testa per decifrare l’espressione della madre, che camminava in fretta e costringeva il figlio a fare dei passetti di corsa ogni tanto per tenersi al passo. Rientrarono in casa.
“Mamma…” cominciò Severus, ma si voltò di scatto cercando qualcosa con gli occhi.
“Dov’è lu…”
“È al lavoro” rispose asciutta sua madre, chiudendo la porta.

Lo guardò, con gli occhi scuri pieni di… angoscia? Beh, in effetti lui era scappato via, Eileen doveva essersi spaventata tanto quanto lui quando aveva capito di essersi perso.
Severus si accorse che la parte sinistra del volto di sua madre non era poi così pallida. E sembrava anche un po’ gonfia.
Lì, nel piccolo corridoio d’ingresso, Eileen si accucciò davanti al suo bambino, per guardarlo negli occhi.

“Severus… tu…” cercò le parole giuste.
“Tu devi stare attento. Ti ho detto che finché non vai a Hogwarts può essere che la magia ti venga fuori senza che te ne accorga…”
“Mi dispiace!” la interruppe precipitosamente Severus. “Mi dispiace, io volevo prendere la zuccheriera e invece è andata dall’altra parte quando lui si è…”.
“Sì, non l’hai fatto apposta, lo so.”
Eileen sospirò, chiudendo un attimo le palpebre.

“Ma non devi arrabbiarti con tuo padre”, continuò, più lentamente.
Ora il suo sguardo si era fatto più intenso.
Severus, a sentir nominare Tobias, sentì l’odio bruciargli dentro e si morse un labbro. Sua madre capì, perché gli afferrò le spalle tra le mani, spaventata.
Non devi m-a-i arrabbiarti con lui” scandì.
“Hai capito? Mi hai capito, Severus?” disse con più forza, stringendo di più le dita sulle sue spalle.
Il bambino era confuso, fissava incredulo gli occhi scuri e spalancati della madre. Sentì la stretta sulle sue spalle aumentare ancora.
“Sì…” mormorò infine, abbassando il capo.

“Severus!” lei gli sollevò piano il mento.
“Severus, piuttosto vai da un’altra parte, vai…” -un’ombra di spavento nei suoi occhi- “… no, non uscire. Non conosci ancora bene queste strade. Non ti allontanare da casa.”
“Vado in camera mia?” domandò Severus, conciliante.
“S-sì... Sì, vai in camera tua” rispose Eileen, stanca.

Severus guardò sua madre negli occhi, con uno sguardo che non aveva nulla di infantile nel suo volto di bambino, e si diresse alla scala per andare in camera sua.
Arrivato in cima, gli venne in mente una cosa.
“E la zuccheriera?” domandò voltandosi, con una punta di desiderio.
“L’ho buttata” rispose sua madre a bassa voce ma con un inequivocabile tono definitivo.
Già, Tobias avrebbe dato in escandescenze trovando la zuccheriera intatta, al suo ritorno. E Severus comprese che Eileen non avrebbe più usato la magia, neppure davanti a lui.

***



Chissà perché gli tornavano in mente certe cose, pensò Piton con fastidio, cercando di ritrovare la via per raggiungere la Sala d’Ingresso.
Il suo vagare nei sotterranei di Hogwarts non era neanche paragonabile a quella volta che si era perso a Spinner’s End, da piccolo. Certo, in seguito, aveva evitato di ripetere l’esperienza e si era sempre rifugiato in camera, anche se alle volte era stato raggiunto da Tobias e si era trovato in trappola. Questo prima che suo padre imparasse a lasciarlo in pace, ovviamente.
Ma fino a quel giorno benedetto, passato qualche anno da quella prima volta, si era trovato costretto a fuggire fuori ed era stato allora che il quartiere aveva cominciato a non avere più segreti per lui. In poco tempo aveva imparato a scovare le differenze in ciò che prima gli pareva tutto uguale e a muoversi con sicurezza tra vicoli e stradine. Sua madre non ne aveva più parlato, né era più venuta a cercarlo, sapeva che non ce n’era bisogno.
“Non conosci ancora bene queste strade”, gli aveva detto, e allora lui aveva imparato a conoscerle.

Se era riuscito a muoversi nell’intricata maglia di Spinner’s End, con Hogwarts sarebbe stato più facile. Tutto sembrava più facile lì, era anche riuscito a compiere una magia perfetta la sera prima!
Volontariamente e con la bacchetta.

Si compiacque del ricordo e improvvisamente capì.

Si immobilizzò sotto la placida luce di una torcia, folgorato dalla consapevolezza e comprese cosa era successo quella lontana mattina di tanti anni prima, finalmente capì perché Eileen si era buttata tra lui e Tobias, capì cosa davvero voleva dirgli sua madre con le parole “Non devi m-a-i arrabbiarti con lui”.
La sedia…
Tobias non aveva inciampato su una sedia, ma la sedia su cui aveva inciampato si era spostata apposta per farlo cadere... Severus l’aveva fatta spostare mentre fuggiva in corridoio, senza saperlo, senza volerlo. Anzi no, l’aveva voluto, in qualche profondo recesso di sé: aveva desiderato salvarsi, frapporre un ostacolo tra sé e la rabbia paterna e la magia che non era in grado di gestire aveva provveduto.
Forse Tobias non aveva capito, ma Eileen sì.

Non si era buttata contro il marito per difendere Severus, non solo… No, l’aveva fatto anche per dare al figlio il tempo di allontanarsi e calmarsi; per impedire non al marito di picchiare il bambino, ma a Severus di lasciar uscire da sé altra magia; l’aveva fatto per proteggerlo da se stesso e da qualcosa che poteva sfuggirgli di mano e che non era capace di controllare.
Ora Severus capiva.

La rivelazione gli provocò qualche secondo di smarrimento; il respiro gli si era fatto lentissimo, quasi assente.
Cos'altro non aveva capito di sua madre?
Il viso triste e rassegnato di lei galleggiò per un attimo davanti ai suoi occhi.

Riprese a camminare, inquieto. Anche Eileen aveva percorso quei corridoi, chissà perché non le aveva mai chiesto qual era la strada giusta da percorrere… per sette anni era stata lì, doveva ricordarsela di sicuro.
Per la seconda volta Severus finì in un corridoio cieco, con una pesante porta di ferro in fondo, e allora si fermò a riflettere. Doveva essere semplice, gli studenti mica potevano stare a vagare ore tra cunicoli e discese per entrare e uscire dalla sala comune…

Ritornando sui suoi passi, alzò per caso lo sguardo su una torcia e per un istante gli parve di veder guizzare un bagliore verde tra il fuoco. La torcia era troppo alta per lui, ma alla base del supporto su cui ardeva la fiamma, in un riflesso della luce, vide qualcosa in rilievo. Era un piccolissimo serpente sbalzato nella stessa posa dello stemma della Casa. Bisognava proprio guardare bene, era grande appena pochi centimetri e da sotto poteva essere confuso con un’irregolarità del ferro del supporto.
Severus tornò nel corridoio con la pesante porta chiusa e vi osservò le torce: nessun serpente. E nessun bagliore verde.
Con una strana idea in testa tornò a guardare la torcia con il serpentello, notando che anche quelle che la seguivano, lungo quel corridoio, erano così e inoltre, a fissarle un po’, un rapidissimo guizzo verde appariva in ciascuna. Continuò a seguire le torce segnate con il marchio e, alla fine di un’ultima, ampia scalinata aprì la porta che dava sulla Sala d’Ingresso.
Evviva! Non era affatto difficile il percorso e, fino a che non lo avesse imparato, avrebbe avuto la guida dei rilievi sulle torce a guidarlo, se si fosse perso.
Severus non lo sapeva, ma a Hogwarts, chi aveva bisogno di aiuto, lo trovava sempre.

Si guardò intorno, ammirando la Sala un po’ meglio rispetto alla sera prima: non l’aveva osservata bene, preso tra l’eccitazione di aver messo piede nel castello, il batticuore per l’imminente Smistamento e i commenti che si scambiava con Lily, semplicemente estasiata. La Professoressa McGranitt, che li aspettava al centro, rigida in un bel completo nero con cappello a punta, aveva poi parlato loro, prima di condurli in Sala Grande.

“Grifondoro!” La voce stridula del Cappello Parlante risuonò nella memoria di Severus.

Con il dispiacere sul viso, Piton si sentì piccolissimo in quel vasto ambiente vuoto. In quel momento non c’era nessuno, anche se Severus sentiva dei rumori provenire da chissà dove. Studenti e professori a breve avrebbero riempito quello spazio e, con il naso per aria a rimirare la grande balconata che si affacciava sull’ingresso, il piccolo Serpeverde si avvicinò alle porte della Sala Grande.

Erano aperte e un lieve brusio proveniva dall’interno.
Severus si affacciò, cercando lungo il tavolo di Grifondoro che però era deserto, a parte un paio studenti chiaramente grandi e un fantasma con una gorgiera.
Mentre altri studenti entravano e si accomodavano ai propri tavoli (un piatto, un bicchiere, delle posate e una quantità tra cibo e caraffe di succo di zucca apparivano davanti a loro all’istante), Severus vide che al tavolo dei professori stavano già facendo colazione il Preside Silente, la professoressa McGranitt, un insegnante piccolissimo che a malapena raggiungeva il bordo del tavolo con il collo e un altro professore dall’aria semplicemente decrepita.
Una ragazza sui quindici anni, con lo stemma di Corvonero sulla divisa, accennò un sorriso entrando nella sala e vedendo il piccolo del primo anno indeciso sulla porta.
Severus si tirò subito indietro, un po’ indispettito dal fatto di aver fatto la figura del fifone… Avrebbe aspettato Lily nella Sala d’Ingresso.

Ora gli studenti cominciavano a essere più numerosi, alcuni arrivavano scendendo la grande scalinata (Corvonero e Grifondoro, notò Severus), altri (Tassorosso) da una porta poco distante da quella da cui spuntavano fuori i Serpeverde.
Passando accanto a Severus, i suoi compagni di Casa gli lanciavano occhiate e così, per non sentirsi in imbarazzo, lui prese a guardare delle armature che decoravano una parete, fingendosi molto interessato. Con la coda dell’occhio vide Malfoy e Narcissa attraversare l’ingresso con aria regale, ragazzi entrare a far colazione parlando e gesticolando, e una ragazza con occhiali a fanale e l’aria completamente stordita riuscire a prendere in pieno lo stipite della porta della Sala Grande.
“Sibilla, sempre la solita” ridacchiarono alcune ragazze.
“Mi chiedo come ha fatto a prendere quattro G.U.F.O. l’anno scorso…”
La ragazza tuttavia non parve accorgersi dell’ilarità che aveva suscitato e toccatasi appena la fronte con la mano in un gran tintinnare di braccialetti, proseguì come se non fosse successo nulla, con un’espressione concentrata su tutto tranne che su quanto le accadeva intorno.

“Ciao Severus!!” risuonò all'improvviso alle sue spalle.
 
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Camelia.
view post Posted on 25/7/2013, 23:25




Capitolo 9:


Per Salazar… eccola. La sua voce, sembravano anni che non la sentiva!
Severus si voltò, pregustando la visione di una massa di splendidi capelli rossi e… vide Lily assieme a un’altra bambina. Il sorriso gli morì sulle labbra. Perché non era da sola? Lanciò uno sguardo non proprio benevolo alla sua compagna.
“Lei è Mary!” cominciò Lily allegramente, gli occhi che brillavano.
“Siamo nello stesso dormitorio, e lui…” sorridendo fece un gesto nella sua direzione “è Severus, te ne ho parlato ieri sera!” disse tornando a guardare la compagna.
La bambina dai ricci capelli scuri tese la mano, un po’ incerta, intimorita dalla freddezza e dall’aria ostile di quel bambino pallido, con un naso decisamente troppo grande per la magrezza del suo viso.
“Mary… Mary McDonald” bofonchiò.
Severus guardò Lily, radiosa nella divisa che, pensò lui con immenso dispiacere, portava lo stemma sbagliato, e si sciolse un pochino di fronte a quegli occhi che sprizzavano felicità. Strinse appena la mano di Mary, “Severus Piton”, e subito la lasciò.
“Beh, io vado dentro allora…” disse a disagio la bambina. Era chiaro che Severus voleva rimanere da solo con Lily.
“Tienimi un posto vicino a te!” fece gaia Lily e Piton non poté che indispettirsi un po’.

Invidiava quella Mary, ecco. Si era presa dei momenti irripetibili e preziosissimi con Lily che dovevano essere suoi: il dopocena, la sala comune e quegli occhi verdi che si sgranavano di fronte a tutte le novità della prima sera... E che bisogno c’era di fare colazione? Lui non sentiva affatto la fame, non ora che Lily era finalmente arrivata.

Stava per dire qualcosa, quando lei lo investì, afferrandogli le mani, raggiante, come quando al parco gli voleva rivelare qualcosa di bello:
“Severus, qui è magnifico! Ed è tutto strano! Lo sai che per entrare nel nostro dormitorio dobbiamo dire una parola d’ordine a un quadro? C’è una signora grassa vestita di rosa e… si muove! Tutti i quadri si muovono qui! Li hai visti? E parlano!”
Severus considerò i quadri foschi appesi nella sala comune di Serpeverde, nonché i ritratti dei passati Prefetti nel corridoio della sua camera, e veloci immagini frammentarie di cornici, bacchette e occhi rossi gli nascosero per un attimo il volto eccitato di Lily. Che continuava, in preda a un’euforia che le faceva accavallare le parole:
“…ma prima siamo rimasti bloccati su una scala per almeno dieci minuti, non si voleva spostare, sai? Ma c’erano così tante cose da guardare e le persone nei quadri hanno cominciato a chiacchierare con noi e Nick-Quasi-Senza-Testa è venuto a tenerci compagnia, ci ha raccontato un sacco di cose… Ah! Nick-Quasi-Senza-Testa è il fantasma di Grifondoro, se dopo lo vedo te lo faccio conoscere, è molto simpatico!”
Severus ripensò allo spettro che aveva visto attraversare la sua sala comune, la sera prima. Forse era meglio non presentarlo a Lily, non dava l’impressione di essere “simpatico”. Anzi, dava proprio l’idea di voler essere lasciato in pace, il Barone Sanguinario.
“…e poi finalmente le scale si sono spostate e siamo potuti entrare nella sala comune” proseguiva Lily, felice.

Severus non la interrompeva, era troppo contento di rivederla, di vederla così allegra, di poterla guardare di nuovo e... di sentire le proprie mani nel tepore delle sue.

Studenti grandi e piccoli sciamavano a gruppi o a coppie nella Sala Grande, le loro chiacchiere scivolavano attorno ai due bambini, troppo presi l’uno dall’altra per accorgersi del movimento che ora animava la Sala d’Ingresso.
“Il nostro dormitorio è in una torre e dalla mia finestra si vede un panorama splendido…”
Lily si bloccò, colpita da un improvviso pensiero.
“Oh… come vorrei che papà e mamma potessero venire qui qualche volta!” disse con un velo di malinconia.
“Penso che piacerebbe anche a Petunia” rifletté.

Eh no, Petunia no! Ancora? Possibile che Lily riuscisse a pensare a lei anche ad Hogwarts?
Lily lo guardò e Severus si diede un contegno.
Si schiarì la voce.
“Credo… credo che i tuoi genitori…” (evitò di nominare Petunia) “…non potrebbero neppure vedere Hogwarts…” azzardò, cercando di non ferirla.
“Sì, lo so” fece Lily, improvvisamente triste. “Me l’hai detto una volta che i babbani non possono vedere il castello…”

Severus era ben felice di questa particolarità del castello, tuttavia cercò qualcosa da dire per consolarla, ma proprio in quel momento fu placcato da qualcuno al grido di “Ehi secchione!” e perse il contatto con le mani di Lily.
Mulciber si staccò da lui, che non era caduto a terra solo perché Avery gli aveva dato una spinta dal lato opposto dicendo con una gran risata:
“Eh già, meno male che i babbani non ci vedono!”
Evidentemente aveva colto le ultime parole di Lily.

I quattro rimasero qualche secondo a guardarsi, Lily sorpresa, Avery e Mulciber curiosi di capire chi fosse quella… Grifondoro!, che avevano visto tenere le mani del loro compagno e Severus decisamente imbarazzato.
“Chi sei?” fece brusco Mulciber che, tanto per cambiare, aveva posato il gomito su una spalla di Piton e gli stava addosso con tutto il suo peso. Severus cercò di rimanere dritto.
“Mi chiamo Lily Evans” rispose lei, vagamente indispettita per il tono poco gentile della domanda e chiedendosi cosa mai aveva voluto dire Avery, che ora la squadrava con uno sguardo che a Severus non piacque per niente.
Era sicuro che avesse capito che era babbana.
Gli parve di cogliere della tensione nell’aria e sperò con tutto se stesso che Lily non se ne accorgesse. La spiò, ansioso, ma sul suo volto vide solo stupore, perplessità e una lieve riprovazione per l’invadenza dei suoi due compagni.
Per un terribile momento temette che Avery l’avrebbe chiamata “sporca babbana” e si sentì sprofondare.

Ma Avery, staccando finalmente gli occhi da Lily e facendo un sorrisetto a Piton, disse a Mulciber:
“Dai, andiamo a fare colazione…”
“Sì, ho una fame!” rispose l’altro, con entusiasmo, fregandosi le mani.
“Ti teniamo un posto…” disse Avery e, dando le spalle a Lily, articolò un silenzioso ma inequivocabile “...Mezzo Prince”, con un ghigno sulle labbra.

I due si allontanarono prima che Severus potesse presentarli.
Lily guardò Severus interrogativa e, lanciando loro un’occhiata, vide i due Serpeverde entrare in Sala Grande parlottando fitto e voltandosi un paio di volte verso di loro, ridacchiando.
“So-sono i miei compagni di stanza…” cominciò Severus, mentre l’algido Nott e alcune ragazze, tra cui la Carrow, passarono loro vicino con sguardi indagatori.
“Ah.”
“Avery e Mulciber.”
“A-ah...” Lily era perplessa.
Guardò verso la Sala Grande e poi posò di nuovo gli occhi su Severus, scostandosi una ciocca di capelli dal viso. “Sono… Cosa voleva dire quello magro con Meno male che i babba…
Ma Severus fu più rapido e disse contemporaneamente, ansioso di cambiare discorso:
“Non ti ho detto che il nostro dormitorio è tutto invaso da riflessi verdi, per via dell’acqu…”
Lily spalancò gli occhi.
“Ah sì! Me lo dicevi che si trova sotto il Lago Nero, giusto?”
Rise.
“Mi sa che questo castello è così grande che non riusciremo mai a conoscerlo tutto! Alice ci ha detto che dobbiamo metterci a esplorarlo solo dopo aver imparato le vie più brevi per arrivare alle aule. Alice è la nostra Prefetto: è stata molto carina ieri sera in sala comune. Ci ha spiegato un po’ di cose e poi ci ha accompagnate tutte nei dormitori, noi del primo anno.”
Lily sorrise.
“Sai, Severus, stamattina volevo scrivere a casa e raccontare tutte le cose meravigliose che ci sono capitate ieri, ma ho fatto un pasticcio con la piuma. Guarda!”
E mostrò a Severus un paio di dita tutte nere d’inchiostro.
“Non ti preoccupare” disse lui, sorridendole a sua volta.

***


Lily era rimasta molto sorpresa quando Severus le aveva detto che a Hogwarts si usavano piume e inchiostro.
Le aveva promesso di farle vedere come funzionavano e una volta tornato a casa si era precipitato a cercare tra le cose appartenute alla vita di studentessa di Eileen. Una piuma l’aveva trovata, anche se un po’ malridotta, e anche una boccettina d’inchiostro, che però si rivelò essere una massa scura secca e solidificata. L’aveva lasciata lì e aveva strappato un pezzo di pergamena pulita da quelli che sembravano vecchi appunti su come trasformare un cuscino in un gatto.

Quando aveva rivisto Lily, al parco qualche giorno dopo, l’aveva accolta sventolando piuma, pergamena e una ciotola. Aveva raccolto dei mirtilli mentre l’aspettava e si divertirono a schiacciarli per ricavarne un succo scuro, in cui Severus intinse la piuma prima di porgerla a Lily.
Lei, la bocca schiusa nella concentrazione, aveva provato a tracciare qualche parola sul pezzo di pergamena posato sul sedile di una panchina, ma all’inizio furono più le macchie che non le lettere.
“È difficile” aveva mormorato lei, la fronte corrugata.
Ma già dopo una ventina di minuti, anche se con le dita viola, aveva acquisito un po’ più di sicurezza.

Avevano poi passato il pomeriggio a cercare per terra penne di merlo o di tortora; non sarebbero state grandi abbastanza come quella di Eileen, ma potevano andare. Ci avevano messo un bel po’ a trovarne una e dovettero ringraziare l’assalto di un gatto a un merlo se alla fine Lily tornò a casa con la sua piuma. Severus le aveva spiegato come tagliare la punta e da allora Lily, ogni giorno, che fosse a casa o al parco, da sola o con lui, dedicava un po’ di tempo a fare pratica.
A Severus piaceva moltissimo osservare il suo viso attento e concentrato, mentre tracciava segni sulla carta. Sarebbe rimasto ore a guardarla.

***


“Mi ero svegliata presto per scrivere la lettera…” stava raccontando Lily “…solo che a un certo punto ho visto passare davanti alla finestra un uccello grandissimo, con le penne rosse e dorate, non ne avevo mai visto uno così! E allora sono andata alla finestra per vedere meglio, e non mi sono accorta che avevo la piuma ancora in mano, così mi sono sporcata le dita!” spiegò, strofinandosi una macchia scura sul pollice.
“Non sono riuscita a farla andare via, e sì che sono rimasta mezz’ora a strofinarmela col sapone!”

Severus la guardò con infinita dolcezza.
Senza una parola, le prese delicatamente la mano e si sfilò la bacchetta dalla veste. In fondo, la sera prima aveva spento delle fiamme, quanto poteva essere difficile un piccolo incantesimo domestico che aveva visto sua madre fare pochissime volte -millenni fa, ora che ci pensava- ma che comunque aveva letto su un libro, anche se di sfuggita?
Puntò la bacchetta sulle dita di Lily e disse: “GRATT…
“Santo cielo Evans!” risuonò una voce falsamente scandalizzata. “Ti stai facendo incantare da un Serpeverde?”
Severus alzò lo sguardo e Lily si voltò.
A parlare era stato il ragazzo antipatico del treno, quello con gli occhiali. E accanto a lui rideva beffardo Black.
“Mi sta aiutando” li informò Lily, piccata.
Severus si irrigidì e guardò i due Grifondoro con odio. Eccoli lì, spavaldi e tronfi, a spalleggiarsi come due deficienti.
“Oh, Evans, per tutti i folletti…” fece Black, scuotendo vigorosamente il capo “…ma con tuuuuutti i maghi che ci sono qui, devi proprio farti aiutare da Mocciosus? Potrebbe incantarti il braccio e fartene nascere due… o magari tagliarti le dita… non vedi che quel naso gli ostruisce la visuale?”
Scoppiò a ridere e il ragazzo con gli occhiali rise fortissimo anche lui, al suo fianco, dandogli di gomito.
“Invece vedo benissimo che siete due idioti” replicò Severus, cercando di mantenere la voce calma mentre la rabbia gli ribolliva dentro.
“O-oh!!” lo derisero i due.
“Potter, Black…” Lily si era spazientita “perché non ci lasciate in pace? Andate a fare colazione, invece di darci fastidio!”
“Ai tuoi ordini, Evans!” e James scattò sull’attenti, provocando un altro irrefrenabile scoppio di risa in Sirius.
“A-andiamo sì” disse Black a fatica, tenendosi la pancia e avviandosi verso la Sala Grande.
“Non volevamo interrompere niente comunque” continuò maligno, con uno sguardo eloquente alla mano di Lily in quella di Severus.
Un lieve imbarazzo colse i due alla sprovvista mentre Potter sghignazzava più che mai.
Le mani di Lily e Severus si separarono e lui con uno scatto si voltò verso i due Grifondoro, stringendo forte la bacchetta.

“Ohhh, ma chi abbiamo qui?” li interruppe una voce gioviale e i quattro bambini videro ai piedi delle scale un professore grasso e con folti baffoni spioventi.
“Giovani virgulti!” proseguiva ilare l’uomo, avvicinandosi, e Severus riconobbe Lumacorno.
L’insegnante di Pozioni! Il Direttore della sua Casa!
“Oh oh oh, giovani virgulti e già ansiosi di fare magie, a quanto vedo!” proseguì gaiamente l’uomo adocchiando la bacchetta nella mano di Severus.
“Chi siete, miei cari?” domandò con le dita infilate nelle taschine di un impeccabile panciotto viola scuro e fissandoli con una curiosità quasi avida.
“Lily Evans, signore.”
Il professore la guardò e parve concentrarsi su qualcosa, ma si distrasse sentendo:
“Severus Piton, signore.”
Severus si accorse che il professore, perplesso, aveva comunque avuto uno sguardo di approvazione notando lo stemma di Serpeverde sulla sua divisa.
“James Potter, signore” rispose l’occhialuto e Lumacorno strinse appena gli occhi, benevolo. Aprì la bocca ma…
“Sirius Black” concluse il ragazzino dall’aria spavalda.
“Ohhhhhh!!” il grido del professore fu particolarmente acuto. “Un altro Black a Hogwarts!”
Un sorriso gli si allargò da un orecchio all’altro.
“Carissimo ragazzo!”
Severus provò un’invidia bruciante.
“Carissimo ragazzo, è davvero un piacere averti qu… oh, per la barba di Merlino! Ma sei un Grifondoro!” esclamò il professore, sinceramente stupito.
Un velo di delusione gli appannò gli occhi e Severus si ringalluzzì. Ma per poco, perché Lumacorno posò un braccio sulle spalle di un seccatissimo Black e lo spinse verso la Sala Grande. Potter li seguì, non dopo aver lanciato un ultimo sguardo sfacciato a Severus.
“Che peccato, caro ragazzo, che peccato… ho avuto parecchi membri della tua famiglia nella mia Casa…” la voce del professore svanì inghiottita dalle chiacchiere della Sala Grande.

Lily e Severus, rimasti soli, si guardarono.
“Chi è?” chiese lei.
“È il professor Lumacorno, insegna Pozioni.”
“La tua materia preferita!” esclamò Lily, sorridendo.
Tutte le volte che avevano parlato delle materie di studio a Hogwarts, si era accorta del particolare interesse dell’amico per Pozioni.
Severus sorrise di rimando, di nuovo rilassato.
Certo, ci era rimasto male dell’interesse di Lumacorno verso quell’odioso di Black, ma avrebbe dato modo al professore di accorgersi anche di lui, prima o poi.
“Che antipatici quei due” si sfogò Lily sbuffando e Severus provò una gioia sfrenata.
“Ieri sera in sala comune non hanno fatto altro che confusione!”
Alcuni ragazzi scesero le scale correndo. Si stava facendo tardi, la Sala Grande era quasi piena.
“Forse è meglio se entriamo” suggerì Lily. “Alice ci ha detto che i Direttori delle Case devono darci gli orari delle lezioni.”
“Sì” rispose Severus, ma appena Lily mosse un passo verso la Sala Grande:
“Aspetta!” disse, e le afferrò dolcemente la mano.
GRATTA E NETTA” formulò, scandendo piano le parole e concentrandosi, la bacchetta puntata sulle macchie d’inchiostro. Le macchie presero a restringersi, diventarono sempre più piccole fino a sparire e Lily, che aveva osservato attentamente l’operazione, alzò gli occhi su Severus, incantata.
“Grazie Severus!”
E lo strinse in un abbraccio spontaneo e bello. Severus sarebbe rimasto lì per sempre.

Edited by Camelia. - 26/7/2013, 10:53
 
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Camelia.
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Capitolo 10:


“Dai entriamo!” disse Lily vivacemente, staccandosi troppo presto da lui e iniziando a trascinarlo verso la Sala Grande.
Severus la seguì, con una punta di dispiacere, perché si sarebbero seduti a due tavoli diversi. Lily gli disse un allegro “Ciao!” quando lo lasciò presso la tavolata di Serpeverde.
Lui rimase in piedi a guardare i suoi capelli rossi ondeggiare mentre correva e prendeva poi posto accanto a Mary McDonald.

“Beh, non ti siedi?” risuonò la voce di Avery, lievemente canzonatoria, alla sinistra di Piton.
Lui si riscosse, un po’ indispettito per il fatto di essere rimasto fermo in piedi a fissare i Grifondoro, davanti ai compagni della propria Casa.
Ma con sollievo notò che probabilmente soltanto Avery lo aveva sorpreso a seguire Lily con lo sguardo, perché il professor Lumacorno si trovava a circa metà della tavolata, in piedi assieme a Malfoy che gli stringeva la mano con un’aria quanto mai sussiegosa e compiaciuta. Lumacorno gli circondava le spalle con un braccio e salutò altri ragazzi che si alzarono per avvicinarsi a lui o si sporsero dall’altro lato del tavolo per stringergli a loro volta la mano.
“Ohh, che piacere rivedervi tutti, cari ragazzi!” andava dicendo gioviale. “Spero che abbiate passato delle belle vacanze, Nott, Rosier, signorina Black…”
Severus notò che tutti i suoi compagni sembravano ansiosi di venir nominati dal professore e di potergli porgere i loro rispetti, ma guardando bene si accorse che anche Lumacorno pareva altrettanto desideroso di non farsi sfuggire nessuno di loro. Gesticolava e dispensava grandi sorrisi e spesso chiedeva notizie sui parenti più stretti dei ragazzi, tutti, a quanto pareva, impiegati in lavori di alto livello o appartenenti a famiglie chiaramente blasonate.

Severus era così intento a osservare la scena che non si rese conto del ben di dio che gli si parava davanti: uova, pane tostato, latte, succo di zucca, caffè, bacon, salsicce… e tutto in quantità da sfamare un esercito. Mai in casa sua c’era stata tanta abbondanza e se la sera prima era rimasto altrettanto stupito, si era anche detto che si trattava del banchetto inaugurale, non immaginando che anche per colazione le tavole venissero letteralmente ricoperte di cibo.

A casa sua uno spettacolo del genere non si vedeva neppure a Natale.

Severus scosse vigorosamente il capo per scacciare via i ricordi di una squallida cucina che Eileen si era sforzata di rendere “festosa” e di uno striminzito pollo arrosto che, nonostante il profumo invitante, si accordava perfettamente alla miseria di quel quadro spoglio che era casa Piton.
Spesso negli ultimi anni, mentre mangiava avidamente il pollo (non per fame -quella ormai non la sentiva- ma per finire in fretta e allontanarsi da quello spettacolo infelice), si era figurato come doveva essere il Natale a casa Evans. Nei mesi freddi non vedeva Lily tanto spesso e meno che mai a Natale, un periodo per lei costellato di visite e scambi di regali.

***


Severus, un tardo e buio pomeriggio di metà dicembre, si era spinto fino a casa sua, osservando con il cuore gonfio di lacrimosa invidia i rami di agrifoglio punteggiati di bacche rosse e intrecciati sul portone e sulla balaustra di ferro, le luci accese che filtravano calde dalle finestre e il chiacchiericcio festoso che animava la casa.

Non poteva essere più diverso da quello di Spinner’s End, il Natale di Lily.

Con le mani affondate nelle tasche del cappotto troppo grande e liso, tanto caldo d’estate quando insufficiente a ripararlo adeguatamente dal freddo d’inverno, Severus aveva passeggiato un po’ lungo il viale davanti alla casa di lei, stropicciandosi i piedi e appoggiandosi a uno dei grandi platani senza foglie lungo il marciapiede.
Aveva desiderato con tutta l’anima di non essere se stesso e poi era scappato via, diretto a casa sua, anche se avrebbe voluto non tornarci mai più.

E lungo la strada, un’audace idea aveva preso forma nella sua mente, così, una volta tornato, si era messo a frugare tra le cose di scuola di sua madre (che di lì a nove mesi sarebbero state sue) e aveva tirato fuori la boccetta di inchiostro solidificato, inutilizzabile.
“MagINK” riportava l’etichetta molto rovinata e ingiallita sul davanti, in eleganti caratteri scuri su un fondo arcobaleno. C’era scritto dell’altro, ma non si leggeva più, la carta era strappata e macchiata. Se solo…

Severus si assicurò che suo padre non fosse in casa, quando si avvicinò a Eileen che stava rammendando dei calzini, rannicchiata su una sedia in cucina.
“Mamma…” iniziò incerto, e la mano si strinse più forte sulla boccettina.

Era tanto tempo che non diceva la parola “mamma”: tra lui e sua madre si era creata negli anni una strana consuetudine di scarsi dialoghi privi di appellativi, scambi di battute ridotti all’osso che spesso si risolvevano in silenziosi cenni del capo o sguardi. Severus era sempre più indipendente e solitario, Eileen taciturna e impegnata a fare la parte della comparsa della sua stessa vita... ma nonostante ciò, madre e figlio si capivano, quando si trovavano assieme.
L’atmosfera, anche se cifrata da una notevole distanza e da un abbondante mutismo, era quella di una pacifica convivenza non priva però di una remota empatia. Non era come con Tobias.

Eileen aveva alzato gli occhi dal proprio lavoro al suono di quella parola e con un riflesso che non riuscì a controllare saettò veloce lo sguardo, spaventata, le orecchie tese, per assicurarsi che non ci fosse il marito in giro.
Aveva poi guardato per lunghi secondi silenziosi il suo bambino così mingherlino e piccolo, ritto nell’apertura della porta della cucina, come per verificare che effettivamente avesse parlato e l’avesse chiamata “mamma”.
“S-sì?” disse infine.
Severus pareva impacciato, nervoso. Sfregava la punta delle scarpe e non riusciva a parlare. Eileen posò i calzini sul tavolo.
“Cosa c’è… Severus?”
L’averlo chiamato per nome accorciò le distanze e per un momento Severus e sua madre si sentirono trasportare indietro nel tempo, quando la distanza tra loro non era né verbale, né fisica.
Si sorpresero a essere imbarazzati entrambi, quando capirono di aver pensato la stessa cosa, ma Eileen parlò ancora, con una sfumatura dolce nella voce ruvida, invece della solita stanchezza:
“Dimmi”, lo invitò, disponibile.
Con le dita serrate sulla boccetta, Severus si avvicinò e guardando sua madre dritto negli occhi la posò sul tavolo dicendo con quello che sembrava tutto il suo coraggio: “Po-potresti farlo tornare liquido?”
Eileen fissò sorpresa la boccettina. Severus vide un’improvvisa folata di ricordi offuscarle velocissimi lo sguardo, che si fece opaco.
La donna rimase interdetta per un tempo indefinito, ma alla fine aprì la bocca per parlare. La gola le si era seccata perché quel che ne uscì all’inizio fu un verso inarticolato.
“Severus io… io non credo di…”
“Ma non devi farlo davanti a me” la interruppe precipitosamente Severus, che da tempo sapeva che sua madre non faceva più incantesimi, né lui si era più azzardato a chiederglielo.
“È per…” si tradì “È che vorrei usarlo”, si corresse subito. “Senza comprarne uno nuovo” aggiunse infine, sperando con l’ultima frase di convincere sua madre.
Eileen fissò la boccettina e allungò la mano pallida per prenderla. Un lieve sorriso le distese le labbra sottili.
“Sai, questo… era un inchiostro speciale” esalò, rigirando la boccettina tra le dita.
Parlò lentamente, come assaporando uno per uno i ricordi perduti che quell’oggetto stava risvegliando in lei.
“Cambiava colore, se volevi.”
“Come?”
“Beh, prima di iniziare a scrivere bastava dire che colore volevi e l’inchiostro obbediva.”
Severus sembrava eccitato. Ecco cosa significavano i colori dell’arcobaleno sull’etichetta!
Eileen continuava: “Non era il caso di usarlo per le cose di scuola, ma… era divertente… per scrivere biglietti o lettere…”
La voce le si affievolì.
Sembrava sorpresa, un po’ per l’aver raccontato i suoi ricordi e molto di più per aver utilizzato la parola “divertente”. Forse aveva dimenticato che esistesse, nel vocabolario.
Anche Severus si sorprese e distolse lo sguardo da sua madre, per non metterla in imbarazzo.
“È tutto secco adesso” azzardò speranzoso dopo qualche secondo di silenzio.
Eileen inclinò davanti agli occhi la boccettina scura e la massa che la riempiva per metà non si mosse.
“Severus, io…” iniziò, con un sospiro, scuotendo leggermente la testa.
“Per favore!” Severus si sporse verso di lei con le mani aperte sul tavolo e la guardò con gli occhi spalancati. “Non ti voglio guardare, davvero! Andrò di sopra e…”
La supplica nella sua voce disse a Eileen che quello non era un capriccio, ma qualcosa di davvero importante se suo figlio era venuto da lei a chiedergliela. Aveva pure specificato che non voleva vederle fare l’incantesimo, da anni ormai non glielo chiedeva, perché ora era così importante che lei facesse la magia anche se lui non voleva assistere?

Guardò Severus negli occhi.
Scuri, profondi, carichi di qualcosa di infinitamente triste per un bambino così piccolo, ma con una luce in fondo, una luce che ardeva prepotente.
Prese fiato per rispondere ma lo trattenne quando si udirono dei passi pesanti sui gradini esterni; mentre Severus si voltava verso la porta, con le mani ancora posate sul tavolo, lei alzò la testa di scatto. Poi si guardarono per un attimo e non ci fu bisogno di dire nulla: il ragazzino corse in camera sua e Eileen riprese in fretta il suo lavoro di rammendo, dopo essersi fatta scivolare il MagINK nella tasca del grembiule.

Il mattino dopo Severus aveva trovato la boccettina sul suo scalcagnato comodino. Un liquido scuro la riempiva tutta e l’etichetta era come nuova, bianca e con il vivace disegno di un arcobaleno sotto la scritta nera.

Eileen si era comportata con indifferenza quando era sceso a colazione, l’aver parlato assieme la sera prima parve cancellato, le parole erano tornate tabù; ma bastò incrociare un attimo il proprio sguardo in quello di lei, per dirsi quello che le parole non avrebbero mai detto.
Il tempo di un battito di ciglia, una gratitudine muta che Tobias non colse tra madre e figlio… poi la distanza era tornata vasta come un oceano tra i due.

***


“Oh oh! Che piacere rivedervi!” continuava allegramente a ripetere Lumacorno, dirigendosi verso l’altro capo del tavolo.
Severus si riscosse, impacciato. Lanciò uno sguardo veloce ad Avery e Mulciber, per controllare che la sua fuga nel passato non fosse stata notata, ma i due mangiavano con grande soddisfazione e bisbigliavano tra loro commenti sui compagni che il professore andava via via salutando.
Malfoy sembrava voler fare gli onori di casa e non abbandonava la sua posizione di fianco al professore, decisamente calato nell’autorità del distintivo che gli luccicava sul petto.
Severus si versò un bicchiere di succo di zucca e prese a sbocconcellare distrattamente una fetta di pane tostato.
“Prova questa!” suggerì Mulciber e spostò verso di lui un barattolo pieno di profumatissima marmellata, ma lo fece con la grazia di un elefante perché urtò sonoramente piatto e bicchiere del compagno.
Alcuni ragazzi si voltarono verso di loro, al rumore: Severus notò molte sopracciglia alzate e fu sicuro di leggere nei loro occhi uno sprezzante “Primo anno”.

Si sedette un po’ più dritto sulla panca e tirò verso di sé il proprio piatto. Mulciber non sembrava essersi accorto di nulla, era troppo impegnato a ingozzarsi con qualunque cosa riuscisse a ficcarsi in bocca e davanti a lui il tavolo era invaso dalle briciole. Avery invece sembrava divertito dell’imbarazzo di Severus, ma non disse nulla.
Lumacorno stava distribuendo alcuni fogli risalendo la tavolata e quando fu un po’ più a portata di orecchio lo sentirono dire che si trattava degli orari del primo trimestre.

“Ehhh, è mio dovere dirlo, per voi del quinto anno si prospettano mesi di durissimo lavoro. Per non parlare di voi del settimo, mio caro Rookwood, se i G.U.F.O. vi sono sembrati impegnativi, ancora più faticosi saranno i M.A.G.O.! Ma sono certo che vi farete onore e grandi cose vi attenderanno dall’anno prossimo, ne sono certo!”
Lumacorno gongolava e passava fogli, seguito da Malfoy come un’ombra.

Severus cominciò a fremere di impazienza, non vedeva l’ora di sapere quali lezioni avrebbe avuto il primo giorno e involontariamente guardò di nuovo verso il tavolo di Grifondoro.
Notò che la professoressa McGranitt aveva anch’essa dei fogli in mano e li distribuiva ai ragazzi della sua casa. Potter e Black avevano smesso di ridere forte a un’occhiata severa della donna sopra gli occhiali; Severus li guardò con disgusto e spostando lo sguardo su Lily vide che in piedi dietro di lei e altre bambine del primo anno c’era una ragazza dal viso paffuto e dall’espressione dolce che sembrava intenta a dare spiegazioni indicando qualcosa sui fogli che stringevano in mano. Doveva essere… Alice, la loro Prefetto, e infatti Severus vide il distintivo sulla sua divisa.
Si voltò e alle sue spalle notò che anche i direttori di Corvonero e Tassorosso erano intenti a distribuire orari. Tuttavia, come la McGranitt, sembravano più professionali di Lumacorno che pareva l’unico docente in tutta la Sala Grande a cercare un contatto decisamente più ravvicinato e cameratesco con gli allievi.

“Mulciber ed Avery…” la voce strascicata di Malfoy risuonò vicinissima.
Severus sobbalzò sulla panca e tornò a guardare davanti a sé, trovandosi di fronte la larga pancia del professore che stringeva calorosamente la mano ai suoi compagni. Avery si era alzato in piedi, tirandosi indietro i capelli con un gesto risoluto del capo, Mulciber invece era rimasto seduto, con la bocca piena di uovo e pane, torcendosi sulla panca e tendendo il braccio all’uomo.
Lumacorno era decisamente eccitato di conoscere quei due, non c’era dubbio. Con gli occhi luccicanti chiedeva loro notizie dei rispettivi padri e, come la sera prima, Severus si sentì sulle spine. Quello era il direttore della sua Casa e l’insegnante di Pozioni, non poteva, non doveva fargli brutta impressione!
Rimase a guardare la scena di Lumacorno che si sbracciava in ampi gesti e si chiese se sarebbe passato oltre o avrebbe rivolto parola pure a lui. Malfoy al suo fianco ostentava un’aria soddisfatta e con il mento sollevato lasciò scivolare lo sguardo sul piccoletto dai capelli troppo lunghi e unticci.
Un angolo delle labbra gli si incurvò verso l’alto e disse, rivolto all’uomo:
“Professore, lui è Severus Piton.”
Severus si sentì improvvisamente piccolissimo e guardò Lumacorno con gli occhi spalancati. Durò solo un momento però, perché decise di darsi un contegno e subito si alzò in piedi, tendendo il braccio attraverso il tavolo mentre Avery riprendeva posto sulla panca, di fronte.
“Oh, il giovanotto così ansioso di fare magie!” ridacchiò Lumacorno stringendogli la mano e Severus sentì gli occhi di Malfoy guardare interrogativi prima lui, poi il professore, che non dava segno di volersi fermare oltre il tempo necessario di essere educato.
Per quanto potesse averlo colpito quando l’aveva visto con la bacchetta in mano, poco prima, Severus si accorse che non aveva registrato il suo nome ed ebbe la certezza che Lumacorno sarebbe passato oltre, dopo aver avuto la gentilezza di stringergli nuovamente la mano.

“No, resti, resti!” pensò febbrilmente, mentre vedeva svanire negli occhi del professore anche il più remoto interesse nei suoi confronti.
Ma Malfoy si intromise dicendo con una punta di dispetto abilmente dissimulata in un tono amichevole: “Oh, vedo che qualcuno gliene ha già parlato, professore.”
Lumacorno lo guardò, la bocca ancora stirata in un sorriso di circostanza e gli occhi vagamente stupiti.
“Parlato di cosa, Malfoy?”
“Dell’incantesimo Spegnifiamma che Piton ha eseguito ieri nei dormitori” rispose il giovane e dall’espressione del professore comprese di essere il primo ad avergli dato la notizia, cosa che lo imbaldanzì e fece tornare sul suo volto affilato una densa maschera di superbia.
“Incantesimo Spegnifiamma??” Lumacorno ora studiava Severus con occhi spalancati e attentissimi.
Il bambino lanciò un’occhiata a Malfoy, come per verificare di aver il permesso di rispondere e anche se il Prefetto moriva chiaramente dalla voglia di poter aggiungere lui altri particolari alla notizia, era altresì cosciente del fatto che non sarebbe stato educato rispondere al posto del diretto interessato.

Severus sentì calare dentro di sé una fredda calma. Stava per far colpo su Lumacorno e non poteva sbagliare.

“Il tappeto in camera aveva preso fuoco…” cominciò, evitando di guardare Avery e Mulciber che da parte loro ora gli tenevano gli occhi puntati addosso, Mulciber aveva perfino smesso di mangiare.
“…e allora l’ho spento” concluse con semplicità, ma la sua modestia era un concentrato di orgoglio.
Lo sentiva ardere dentro di sé, caldo, prepotente. La stessa inebriante sensazione della sera prima e non c’era alcun bisogno di sbandierarla: a dispetto del suo cognome sconosciuto, si era accorto di aver fatto centro e di aver destato tutta l’attenzione del professore che ora lo guardava decisamente impressionato e attento.

“Mio caro ragazzo” esordì con voce piena di ammirata sorpresa “mio caro…”
“Piton” si affrettò a dire lui. “Severus Piton.”
Lumacorno si mordicchiava il labbro, con la fronte aggrottata. Era chiaro che stava cercando di ricordare un allievo con quello stesso nome tra le schiere di giovani che erano passati per Hogwarts e che si erano ritagliati una posizione di spicco nel mondo magico; ma Piton capì che si stava anche sforzando di rammentare quei giovani che la sua mente faticava a memorizzare, se non erano diventati pezzi grossi in qualche campo o non appartenevano a famiglie di lunga tradizione magica.
“Mia madre una volta l’ha fatto…”, soggiunse subito Severus, lieto di poter dare una spiegazione che era anche un modo infallibile di deviare per sempre il discorso da Tobias Piton, il babbano.
“Tua madre, caro ragazzo?” lo interruppe Lumacorno.
“Sì, signore. Eileen Prince, signore.”
Questo nome parve risvegliare qualcosa nel professore, i cui occhi guizzarono per un momento.
“Prince, Prince…” borbottò pensoso sotto i baffi e tamburellando la punta dell’indice sulle labbra.
Osservando Lumacorno che con la testa reclinata all’indietro e gli occhi persi nel soffitto cercava di dare un volto e soprattutto una posizione nella società a Eileen Prince, Severus si chiese se sua madre potesse essere stata in grado di lasciare un’impronta di sé.
Cominciava a dubitarne, quando Lumacorno parve tornare da un lungo viaggio e lentamente disse: “Oh! La signorina Prince…” il suo tono era sorpreso, “…È stata per caso capitano della squadra di gobbiglie?”
Severus ricordava - tanti anni prima, quando non sapeva leggere, quando ancora si rifugiava nelle braccia di lei e nei suoi racconti di Hogwarts - un vago riferimento di Eileen alla squadra di gobbiglie.
“Sì, signore” disse, cercando di mantenere la voce ferma e di non tradire la delusione per il ruolo non certo di punta ricoperto da sua madre ai tempi della scuola.
Evidentemente non era una studentessa così brillante da rimanere impressa, né la sua vita dopo la scuola aveva fatto registrare avvenimenti degni di nota.
I genitori di molti suoi compagni lavoravano al Ministero o erano noti per il solo fatto di esistere; Eileen invece si era confusa in un magma indistinto, lontanissimo dal mondo che poteva contare per Lumacorno; una goccia scura in un mare nero, per di più babbano.

“E lei ti ha insegnato a fare un incantesimo così avanzato?” domandò Lumacorno con curiosità e sorpresa, glissando sui trascorsi di Eileen e soprattutto sul suo presente, indubbiamente privo di qualsiasi attrattiva, dato che non era tra le sue conoscenze mondane.
“No, signore. Io… gliel’ho visto fare una volta e poi l’ho letto in un libro, così…”
“Ha letto tutti i libri, anche del settimo anno!” si intromise Mulciber a voce molto alta e, nel brevissimo lasso di tempo che servì a Lumacorno per spalancare gli occhi e la bocca, Severus notò che al tavolo di Grifondoro qualche testa si girava verso di loro. Vide Black osservarlo e bisbigliare qualcosa a James mentre gli dava una gomitata. I due rimasero a fissarlo beffardi e Severus sostenne imperiosamente quell’esame poco gradito. Sperava che avessero sentito, lo sperava proprio!
Spostò lo sguardo e vide Lily che sorrideva a Mary, mentre mangiava una fetta di pane imburrato e indicava qualcosa su un foglio, tutta presa da una discussione sugli orari.

“Bene, bene, bene!” fece Lumacorno fregandosi le mani e come pregustando un boccone particolarmente succulento. “Quale inaudita brama di conoscenza! Un giovanotto talmente ansioso di imparare ancora non s’era visto a Hogwarts!” Scoccò a Malfoy un’occhiata di intesa e Severus capì che entrambi si rallegravano del fatto che un ragazzino così promettente fosse finito a Serpeverde.
Non li avrebbe delusi.
“I libri del settimo anno, eh? Beh, forse non ci avrai capito molto, mio caro ragazzo, ma di certo l’incantesimo Spegnifiamma è roba da minimo terzo anno! Complimenti vivissimi!”
E Lumacorno strinse di nuovo la mano a Severus, stavolta con lo stesso calore e partecipazione con cui aveva stretto quella di Narcissa, di Nott, della Carrow, di Avery e di Mulciber…
Severus capì di essere entrato nella selezionatissima lista di persone per cui Lumacorno era disposto a spendere attenzione.

La gioia di non sentirsi fuori posto a quel tavolo lo fece perfino sorridere, anche se fu ben attento a evitare di comportarsi come alcuni dei suoi compagni più grandi che qualche minuto prima quasi avevano sgomitato per farsi vedere da Lumacorno.
Voleva essere superiore a manifestazioni così piccine, anche se una segreta parte di sé saltava di contentezza. Con la mano ancora stretta in quella di Lumacorno, vide Potter e Black guardarlo con disprezzo dal tavolo di Grifondoro e restituì loro un’occhiata gonfia di altera freddezza.
Notò anche che i suoi stessi compagni rimanevano colpiti dal suo contegno rigido e come noncurante, come se il suo essere speciale per lui non contasse, ma fosse normale amministrazione.

Prese da Lumacorno gli orari delle sue lezioni e tornò a sedere, studiandoli. Avrebbe avuto una, due, tre lezioni quel giorno, più una mezz’ora prima di cena da dedicare alla propedeutica del volo, se ci fosse stato bel tempo. Incantesimi, Trasfigurazione e… Pozioni! Il suo cuore esultò.

Ma fu quando si accorse che tutta quanta la giornata e anche le successive sarebbero state condivise con i Grifondoro, che non fu più in grado di mantenere inalterato quel contegno distaccato che gli donava un’aria decisamente troppo adulta e lo faceva emergere, pallido e serio, tra i Serpeverde e tra tutti i piccoli della Sala Grande, nonostante fosse piccolo e magro.
Non poté impedirsi di guardare nuovamente il tavolo oltre il suo e incrociò subito gli occhi di Lily che evidentemente stava cercando da un po’ di attirare la sua attenzione perché sventolò verso di lui il foglio degli orari con gli occhi traboccanti di gioia.
Severus non si sbracciò in gesti vistosi, ma annuì con forza e le sorrise di rimando, incurante degli sguardi di Avery e Mulciber, le dita contratte sul foglio.

Sì, la giornata stava decisamente virando verso il meglio.
 
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Camelia.
view post Posted on 26/7/2013, 15:03




Capitolo 11


Fu con una segreta allegria che addentò un’altra fetta di pane tostato dopo averci spalmato sopra una marmellata dal sapore squisito. Chissà con cosa era stata fatta, sapeva di… mela, arancio e pesca. Forse c’era anche una punta di cannella. E appena un’ombra di zenzero. E…
Severus non era consapevole che fare l’analisi delle singole componenti della sua marmellata non poteva che essere il segno del piccolo pozionista che scalpitava in lui. Finì quindi la sua colazione e si distrasse a osservare Lily anche se i sapori che si rincorrevano nella sua bocca chiedevano di essere chiamati per nome.

La professoressa McGranitt stava dando le ultime istruzioni ai due prefetti di Grifondoro e alle sue spalle Potter e Black ridevano facendo un gran baccano. Un ragazzino cicciottello e dall’aria ansiosa li osservava senza perdere una sola battuta di quel che dicevano e cominciò a ridere pure lui, dando così spago ai due che parevano ben felici di avere un pubblico partecipe.
Per l’ennesima volta Severus provò un senso di disgusto verso i due, che in realtà mascherava la rabbia di vederli indossare i colori e lo stemma della stessa Casa di Lily. Pensò con angoscia che il Cappello Parlante doveva essersi sbagliato e che l’errore doveva assolutamente essere riparato. Ma come?
Forse parlando con Silente? Vide se stesso, minuscolo di fronte al Preside, perorare l’inaudita richiesta e la strada non gli parve praticabile.
Magari poteva chiedere a Lumacorno o forse a qualcuno dei suoi compagni più grandi, meglio ancora; poteva informarsi, senza esporsi troppo, chiedere se per caso il Cappello avesse mai sbagliato, se era possibile ripetere lo Smistamento di fronte a evidenti motivi di dubbio, se era anzi già capitato che a uno studente fosse stato fatto ripetere l’esame del Cappello…

Lo sapevano anche i muri che Grifondoro era sinonimo di spacconeria, altro che “culla dei coraggiosi di cuore” come quel poveraccio di Potter aveva proclamato sul treno.
Come se un mago necessitasse di coraggio…
L’intelligenza serviva, lo studio; l’approfondimento, la voglia di penetrare e comprendere i segreti più ignoti, la capacità di dominare la materia e l’essere infine capaci di incanalare le proprie conoscenze in una bacchetta o in un calderone. Tutto questo era essere maghi e non aveva proprio niente a che fare con il coraggio, non a caso il fondatore della sua Casa, Salazar Serpeverde, l’aveva capito e non ricercava una qualità tanto inutile tra i suoi allievi.
E allora Lily?
Lei era intelligente, dolce, spiritosa, aveva entusiasmo, aveva voglia di imparare. Lily non era stupida e arrogante come quei due, come potevano appartenere alla stessa…

“Tutti quelli del primo anno mi seguano” annunciò la voce autoritaria di Malfoy e Severus fu strappato ai suoi pensieri.
Vide che molti dei ragazzi più piccoli della sua tavolata si erano già messi in piedi e si affrettò ad alzarsi mentre Mulciber mugugnava qualcosa sull’avere ancora fame e nessuna voglia di iniziare a fare lezione.
Lui invece, a quella parola, sentì una scossa percorrergli la schiena. Stava per cominciare la sua istruzione di mago, oggi iniziava suo progressivo allontanamento dal quartiere di Spinner’s End; anche se ci sarebbe dovuto tornare, per le vacanze o per Natale, lui sarebbe stato sempre meno babbano a ogni suo ritorno.
A questo pensiero si voltò improvvisamente verso il tavolo di Grifondoro.
Anche Lily si stava mettendo in fila con gli altri compagni del primo anno e la loro Prefetto li stava già guidando fuori, quando la McGranitt le si avvicinò a passo svelto, fermandola e dicendole qualcosa. La ragazza annuì e salutò con un sorriso i bambini, allontanandosi poi fuori dalla Sala Grande.

La professoressa parlò a voce alta e in tono spiccio, rivolta al tavolo di Serpeverde:
“Malfoy, gentilmente potresti accompagnare anche i Grifondoro all’aula di Incantesimi? Per il cambio di lezione invece ci penserà la signorina Fortebraccio, l’ho mandata a sistemare gli orari dei turni dei Prefetti.”
E tornò al tavolo di Grifondoro parlando animatamente con alcuni ragazzi grandi e distribuendo loro alcuni fogli che teneva sottobraccio.
Severus notò che manteneva un’aria autorevole e rigida anche se gesticolava e pareva molto indaffarata a dare istruzioni a tutti; il primo giorno di scuola c’era parecchio lavoro di smistamento per lei, altro che Cappello Parlante!

“Che bello, andiamo insieme!”
Severus fece quasi un salto e vide il volto radioso di Lily, eccitatissima all’idea della prima lezione di Incantesimi. Si sentì felice.
Stava per risponderle quando Malfoy intimò nuovamente ai bambini di mettersi in fila e di seguirlo.
C’era qualcosa di molto indispettito nel suo tono di voce e l’urgenza con cui si mise in marcia stonava nettamente con i gesti misurati che aveva esibito fino a quel momento. Procedette fuori dalla Sala, su per la grande scalinata dell’ingresso e lungo un corridoio del primo piano e lo fece camminando in maniera inutilmente spedita, senza spendere una sola parola, come se avesse fretta di adempiere al compito e andarsene altrove.
Non guardò neppure se i piccoli fossero ben divisi e, anche se Lily e Severus erano gli unici due a stare in fila assieme pur se appartenenti a Case diverse, Malfoy non se ne curò.

I bambini arrancavano nella sua scia, costretti ad aggiungere qualche passo di corsa ogni tanto, per tener dietro al ragazzo.
“Ma siamo in ritardo?” chiese piano Lily.
“Non mi pare, però Malfoy è un Prefetto, se corre un motivo c’è” rispose Severus.
“Ma non abbiamo neppure preso i libri!”
“Forse il primo giorno non servono”, ma mentre lo diceva, Severus si accorse di desiderare di averli con sé.
“Meno male che abbiamo la bacchetta!” fece Lily.
“Sì.”
Severus si sfiorò il petto con la mano magra, sentendo la bacchetta nella tasca interna della divisa, sotto lo stemma verde-argento.
“Pensi che la useremo oggi?” sussurrò felice Lily.
“Non lo so…”
I bambini ora ansimavano un pochino, Malfoy era un passo dal correre. Quasi nessuno osava parlare, alcuni perché impegnati ad osservarsi intorno per memorizzare il percorso verso l’aula, altri perché in soggezione e impediti dalla fretta.

Ovviamente in coda alla fila c’era qualcuno che non si mostrava né in soggezione, né minimamente intimorito dal fatto di essere guidato dal Prefetto di un’altra Casa. Potter e Black commentavano ogni cosa che vedevano, a voce alta, fermandosi e tornando poi in fila con grandi scivolate per l’ammirazione del ragazzino grasso. Sebbene anche altri Grifondoro sembrassero divertiti dal loro comportamento, nessuno fu abbastanza temerario da unirsi a loro se non con qualche risatina subito repressa.
Malfoy, cosa incomprensibile, non li riprese mai, anche se un paio di volte girò appena il capo lasciando intravedere un occhio grigio socchiuso con malevolenza.

“Sai chi è l’insegnante di Incantesimi?”
Severus percepì un che di ansioso nella voce sottile di Lily.
Poi ricordò che Olivander le aveva detto che la sua bacchetta era perfetta “per un lavoro d’incanto” e comprese sia l’ansia di lei, sia la sua voglia di misurarsi fin da subito con gli incantesimi.
“Andrai benissimo!” le disse incoraggiante e in quel momento la voce di Malfoy risuonò nel corridoio.
La fila si fermò accanto a una porta chiusa.
“Questa è l’aula di Incantesimi” annunciò il Prefetto ai piccoli, che ora sembravano combattuti tra la voglia di confondersi con il muro e la curiosità di entrare.
Malfoy parlava velocemente, come impaziente di compiere in fretta i suoi doveri e andarsene.
“Alla fine della vostra ora, uscite in fila e attendete la… Prefetto di Grifondoro che vi mostrerà l’aula di Trasfigurazione.”
Severus si guardò intorno per capire se solo lui aveva colto un certo disprezzo nel modo in cui Malfoy aveva parlato della ragazza dal viso tondo, Alice. Ma parevano tutti concentrati sulla porta chiusa, Lily si mordeva il labbro inferiore e, allungando il collo, fissava avidamente la porta.
Scoppi di risa malamente camuffati provenivano da in fondo la fila e Severus non si voltò neppure, sapeva chi era così stupido da comportarsi in modo tanto indecoroso a due passi da un Prefetto e da un’aula con un professore dentro. Una risata più acuta delle altre indispettì Malfoy che si voltò di scatto a guardare i bambini mentre bussava; percorse velocemente la fila con gli occhi per individuare chi faceva confusione ma un “Avanti!” gli fece morire sulle labbra le parole che stava per dire.

Aprì la porta e, raddrizzatosi sulle spalle, disse con voce calma e sostenuta:
“Professor Vitious, le porto le classi del primo anno: Serpeverde…” e con un gesto secco della testa fece cenno alla sua Casa di entrare, tenendo il braccio teso contro la porta aperta. I bambini gli passarono diligentemente accanto, entrando nell’aula alla spicciolata.
Severus a malincuore prese a muoversi per varcare la soglia da solo, proprio mentre Malfoy diceva “…e Grifondoro” e con gioia si affiancò di nuovo a Lily.
Si era già figurato di dover entrare, cercare un banco libero e tenere il posto anche per lei, perché sbirciando dentro aveva notato che i banchi erano per due persone. Ma così fu più semplice.

“Molte grazie signor Malfoy…” disse il professore con una voce piuttosto acuta “…puoi andare. E voi ragazzi… accomodatevi con ordine. Cominciate dalla prima fila.”
Malfoy, con l’aria di chi è stato appena liberato, piegò leggermente il capo dicendo sussiegoso: “Buona giornata, professore” e uscì di nuovo nel corridoio facendo frusciare la veste contro la testa di Lily che d’istinto si spostò contro Severus e prese a sistemarsi i capelli.

Mentre il ragazzo superava i Grifondoro ancora fuori dalla classe si udì un impercettibile ma chiarissimo “Black… Vedi di mantenere un contegno degno di questa scuola.” La voce di Malfoy trasudava rabbia.
Severus non poté non voltarsi e vide Malfoy viso a viso con Black, che non pareva affatto intimorito e anzi lo guardava con sfida. Sperò che venissero tolti dei punti a Grifondoro, come la sera prima, ma Malfoy si rialzò e i suoi passi si allontanarono veloci e sonori.

Severus e Lily guardarono dentro l’aula, mentre gli ultimi Serpeverde si accomodavano, e videro il piccolo professore che avevano adocchiato di sfuggita in Sala Grande. Anche se questo strappò un lieve sorriso a entrambi, non si sognarono neppure di fare dell’ironia, né di mancargli di rispetto.
Il professor Vitious era alto (o basso?) a malapena come loro e stava in piedi in fondo all’aula ritto su una pila di grossi libri; eppure emanava anche un’aria autorevole, sotto la benevolenza del suo sguardo attento. Avvolto in un mantello scuro color prugna, con la bacchetta in mano e le braccia posate a croce contro il petto, osservava i bambini prendere via via posto.

C’erano tre file di banchi e Lily e Severus sedettero in quella di sinistra, al terzultimo posto.
La classe era piuttosto spoglia, per cui i bambini, esaurita la curiosità nei confronti del professore, cominciarono a guardarsi tra di loro man mano che si sedevano.
Come durante il tragitto verso l’aula, Severus e Lily erano gli unici di due case diverse a sedere vicini, ma se prima nessuno ci aveva badato, ora la cosa suscitò diverse occhiate sia da parte dei Serpeverde che dei Grifondoro già accomodati. Mulciber e Avery, sorrisero divertiti dalla fila centrale, Avery scuotendo appena la testa.
Con immenso fastidio, Lily e Severus sentirono Black e Potter prendere rumorosamente posto dietro di loro.

Lily sollevò gli occhi al cielo soffocando un verso di disappunto e Severus… beh, lì per lì si sentì felice a condividere lo stesso sentimento di Lily, ma di nuovo fu preda della disperazione quando ricordò che lei era Grifondoro.
“Grifondoro, Grifondoro, Grifondoro…” la parola cominciò a martellargli il cervello, indecente, sporca.
Mordendosi forte il labbro girò la testa verso di lei, che stava tirando fuori la bacchetta dalla veste e la posava delicatamente sul banco.
Voleva gridare, voleva urlare che Lily era una Serpeverde, che quel maledetto Cappello si era sbagliato!!

“Buongiorno a tutti voi, ragazzi.”
La vocina del professor Vitious calamitò l’attenzione di tutti in direzione della cattedra.
“Benvenuti alla vostra prima lezione a Hogwarts. È un onore essere il primo a condurvi nel vostro percorso di studi, che durerà ben sette anni. Sette anni in cui imparerete a conoscere, approfondire e controllare la magia che scorre nelle vostre vene.”
Severus inconsciamente di raddrizzò sulla panca, le orecchie tese a non perdere una singola parola del discorso del professore. Lily, al suo fianco, era parimenti concentrata.
“Ognuno di voi è in grado di diventare una grande strega o un grande mago, ma per arrivare a questo…” e i piedi di Vitious si staccarono con grazia dai libri su cui posavano, lasciando il professore sospeso in aria “…servono disciplina, esercizio e impegno costanti.”
I bambini si lasciarono scappare un “Ohhhh” collettivo.
Vitious tornò a posarsi sui libri, con un sorrisetto.
“Io sono Filius Vitious, professore di Incantesimi. Da me imparerete a governare le vostre bacchette e a produrre con esse gli incanti più sopraffini.”
Con la coda dell’occhio Severus vide Lily stringere la mano sulla bacchetta posata sul banco, e sorrise.

“Gli Incantesimi non sono che una parte della Magia che studierete a Hogwarts; una parte importantissima, essenziale ma -ascoltatemi bene- non sufficiente a far di voi maghi completi. A Hogwarts la magia vi verrà insegnata scomposta in diverse branche in modo che possiate penetrare a fondo i segreti di ognuna e, come tutti gli altri insegnanti di questa scuola, io mi aspetto da ciascuno di voi dedizione nei confronti di ogni materia, poiché un vero mago può eccellere in qualcosa di particolare, ma domina tutta la conoscenza magica, giacché conosce le singole peculiarità di ogni materia e sa come legarle tra loro.”

Severus era rapito.
Vitious stava esponendo la sua stessa concezione globale della magia, di cosa voleva dire essere un mago. In quegli istanti dimenticò di avere un corpo; non sentiva più il sedile sotto di sé, né il banco su cui posava le braccia. Il suo essere era pura attenzione nei confronti del professore.
Si vide in grado di compiere magie magnifiche, sentì scorrere dentro di sé la voglia di tuffarsi dentro ogni piega più nascosta della conoscenza magica e di andare anche oltre. Si sentì invadere dalla stessa ondata tumultuosa che la sera prima l’aveva colmato di promesse.

Tutto era possibile e lui l’avrebbe ottenuto.

Tratteneva il respiro e gli occhi scuri erano fissi e spalancati. Percepì un movimento di fianco e guardò Lily, altrettanto piena di voglia di imparare quanto lui; era bello condividere con lei una sensazione così potente.
Qualcuno dava dei piccoli calci contro la sua panca, abbastanza silenziosi perché non li sentisse nessuno, ma fastidiosi per lui e anche per Lily che voltò il capo quel tanto che le bastò per sibilare “PIANTALA!” a Black.
Anche Severus azzardò uno sguardo dietro e vide Potter che, le guance gonfie per non ridere forte, si passava un dito tra gli occhiali e gli occhi per asciugarsi una lacrima.
Guardò poi Lily, si scambiarono uno sguardo di sopportazione e tornarono a fissare la cattedra.

“Questa rimane comunque una scuola,” proseguì Vitious “il che significa che il vostro studio e la vostra applicazione saranno soggetti a una valutazione. Il nostro lavoro si svolgerà in tre trimestri, al termine dei quali, a giugno, vi sottoporrete a un esame conclusivo, il cui risultato sarà importante per partire in modo adeguato con lo studio dell’anno successivo.
Alla fine del quinto anno verrete giudicati da una commissione esterna nominata dal Ministero per gli esami di G.U.F.O., ovvero Giudizio Unico per Fatucchieri Ordinari.”
Una leggera paura percorse i banchi: ora che si parlava di esami e voti, la cosa perdeva un po’ del suo fascino e acquisiva un’aria minacciosa.
Vitious proseguì:
“I G.U.F.O. saranno il vostro primo traguardo davvero importante che trascenderà il mero risultato scolastico. Essi vi consentiranno o meno l’accesso alle materie del biennio finale, al termine del quale potrete sostenere gli esami di M.A.G.O., ovvero Magie Avanzate di Grado Ottimale. I risultati che otterrete alla fine del vostro percorso a Hogwarts, saranno essenziali per il vostro futuro impiego e ruolo nel mondo magico.
Come vedete, la vostra istruzione è concepita come una serie di scale: non potete accedere al gradino successivo se non avete superato quello precedente, né raggiungere il gradino più alto senza aver prima salito tutti quelli che lo precedono.
Noto dall’espressione dei vostri volti che la cosa vi preoccupa, per cui aggiungo che questi gradini sono stati studiati in modo da non chiedervi mai qualcosa al di sopra delle vostre possibilità e da rendervi in grado di proseguire nel vostro percorso con gli strumenti e le conoscenze più adatti al livello in cui di volta in volta vi troverete.”

Quest’ultima frase parve tranquillizzare un po’ la classe che tuttavia era ancora percorsa da un po’ di agitazione. Vitious se ne rese conto perché con un tono più dolce aggiunse:
“Forse non ci crederete, ma anche io ho avuto undici anni… tanto tempo fa” e una risatina riempì l’aula.
Il professore socchiuse gli occhi divertito e continuò:
“Tutti i grandi maghi si sono seduti su questi stessi banchi, da secoli, da quando Hogwarts fu fondata. Tutto ciò che hanno ottenuto è partito da qui.
Ricordate quindi che tutto ciò che voi otterrete… parte oggi, da qui.”

Ora la classe si sentiva più rinfrancata.
Vitious era in gamba, riusciva a mostrare le difficoltà e allo stesso tempo a non spaventare i ragazzi. Infondeva in loro fiducia nelle proprie capacità e questa era una dote speciale in un docente.

“Parlando più specificatamente della materia che studierete qui,” continuò Vitious “è mio dovere informarvi che nelle prime settimane vi sembrerà molto meno affascinante di quanto possiate aver immaginato. Il corretto uso delle bacchette è fondamentale in questa come in tante altre materie e la pratica per impugnarla e usarla correttamente porterà via parecchie lezioni all’apparenza noiose. Ma già a fine ottobre, se riusciremo a imparare, potremo cominciare con incantesimi semplici come quelli di levitazione di piccoli oggetti.”
Un’ombra di delusione calò nella classe.
Era chiaro che i bambini associavano l’idea degli Incantesimi e delle bacchette a qualcosa di intrigante e divertente, che comprendesse molta azione, scintille e fasci di luce; lo scoprire che il solo imparare a manovrare la bacchetta avrebbe richiesto settimane, fu piuttosto male accolto.
Ma Vitious era preparato.

“Forse vi aspettavate un’aula più “magica”…” disse come parlottando tra sé e sé e spostò lo sguardo pensoso sulle pareti vuote, alzandolo infine sul soffitto di pietra attraversato da travature di legno qua e là bucherellate e con evidenti segni di bruciatura, le cicatrici di secoli di incantesimi errati e sfuggiti di mano a schiere di studenti inesperti.
Meccanicamente, anche i bambini seguirono il movimento del suo sguardo e… dal nulla, sopra di loro, apparvero gli oggetti più disparati: boccette d’inchiostro, fogli di pergamena arrotolati, piume, libri, un cappello da strega e uno da mago, una sedia rovesciata… e stavano tutti sospesi, galleggiando nell’aria sopra le loro teste rapite.
Non c’era un allievo che non avesse la bocca spalancata e gli occhi sgranati, non si sentiva il suono di un respiro.
Tutta l’attenzione era puntata sul movimento frenetico ma ordinato che animava gli oggetti di vita propria, fecendoli fluttuare placidi, roteanti, fiammeggianti, o preda di una magia che li ingrandiva e li rimpiccioliva o faceva cambiar loro colore.
Che meraviglia!
I libri si aprivano e si sfogliavano, alcuni recitavano da soli le pagine scritte per poi chiudersi con uno schianto, le piume volavano o si intingevano da sole nelle boccettine d’inchiostro e poi scrivevano sui rotoli di pergamena che si svolgevano e si riarrotolavano… e tutto era percorso da luminose scintille di luce che facevano sembrare la stanza come addobbata per una festa.

Vitious osservava divertito l’effetto della sua magia sugli allievi. Se qualcuno aveva per caso avuto qualche riserva su questa materia, il colpo di teatro inscenato dal professore l’aveva cancellata all’istante.
Si schiarì la voce per richiamare l’attenzione dei bambini:
“Bene ragazzi, questo è solo un assaggio di quello che dovreste saper fare alla fine di quest’anno, meno forse l’Incantesimo di Disillusione…” e con un elegante colpo di bacchetta fece sparire di colpo tutti gli oggetti accompagnato da un “Ohhhh” di delusione.
Assieme agli oggetti, anche le luci e i rumori erano spariti e l’aula parve ancora più spoglia che all’inizio della lezione.
“Su su… prima impareremo le basi, prima potrete compiere da soli tutte le magie che avete visto galleggiare sulle vostre teste” li rassicurò con voce chioccia Vitious.

“Bene, prendete le bacchette e mettetevi in piedi!” annunciò e con un gran rumore i bambini si alzarono immediatamente dalle loro panche brandendo le loro bacchette.
Con un gesto lieve della propria, il professore allontanò i banchi e i sedili lungo le pareti e creò uno spazio al centro dell’aula.
“Chiedo scusa, non ho fatto l’appello. Lo farò dalla prossima lezione, oggi ho parlato parecchio e abbiamo poco più di metà lezione per provare alcuni semplici esercizi.
Tutti voi, quando avete comprato le vostre bacchette avete di certo “sentito” qualcosa quando la vostra vi ha trovato… Oh sì, come sicuramente vi avrà spiegato l’artigiano da cui l’avete comprata, è la bacchetta che sceglie il suo mago o la sua strega, è la bacchetta che trova il modo di farsi riconoscere. Ricordate in che modo la vostra bacchetta si è palesata a voi?”
Silenzio.
Nessuno osava rispondere, tutti si guardavano di sottecchi, come per verificare che anche gli altri non avessero il coraggio di esporsi.
In quegli attimi di imbarazzo però, qualcuno sussurrò qualcosa al compagno più vicino e allora Vitious esclamò, invitante:
“Su, non abbiate paura!”

Lily e Severus si guardarono e annuirono.
Due mani si sollevarono, timorose.
“Sì, signorina…?”
“Evans.”
“…e signor…?”
“Mocciosus” ridacchiò una voce alle spalle di Severus.
“Piton” dichiarò lui, con decisione, stringendo un pugno.
I due bambini si guardarono ancora e Severus fece cenno a Lily di parlare.
“Beh, io…” prese un respiro “…io ho sentito un gran calore alla mano e poi in tutto il braccio.”
Arrossì, ma l’espressione di Vitious la spinse a continuare con più sicurezza.
“E allora il signor Olivander mi ha spiegato che questo significava che ero stata scelta e che questa bacchetta era mia.”
“Molto bene!” squittì Vitious “E lei, signor Piton?”
“Anche io ho sentito calore alla mano. E quando ho agitato la bacchetta è uscita una scia di scintille che si è dissolta in curve, come fumo.”
“Oh oh! Magnifico!” Vitious batteva le mani “Potrebbe farci vedere, signor Piton?”
Severus fu preso alla sprovvista. Non si aspettava di essere “interrogato” a sorpresa, ma quel “Mocciosus” pronunciato poco prima alle sue spalle gli bruciava abbastanza da dargli il coraggio di mettersi in mezzo all’aula e puntare la bachetta… puntarla… Accidenti dove doveva puntarla?
Non contro i compagni (anche se l’idea di sparare scintille in faccia a Potter e Black era estremamente allettante), non contro il professore, non in aria, dove rischiava di colpire gli oggetti invisibili perché dissimulati.

Vitious gli venne in soccorso:
“Molto bene, signor Piton! Avete visto ragazzi? Sulle nostre teste galleggiano ancora degli oggetti, anche se non possiamo vederli; il signor Piton ha dimostrato di aver prestato attenzione alle mie parole, quando ho parlato di incantesimo di Disillusione. Una delle qualità più importanti in un mago è usare il cervello e non agire sconsideratamente.”
Severus avvampò di orgoglio e anche se i lunghi capelli gli nascondevano il viso, si girò quel tanto che bastava per incontrare il volto raggiante di Lily.
Il cervello era una delle qualità più importanti in un mago, ecco! Il cervello, come un vero Serpeverde! Non poteva sentirsi dire una cosa migliore. Represse la voglia di lanciare uno sguardo di sfida a Potter e Black.

“Ovviamente vi sono circostanze in cui sono necessarie prontezza di riflessi, presenza di spirito, velocità d’azione…” continuava Vitious.
Severus incrociò gli sguardi di Avery e Mulciber.
Tutti e tre stavano rivivendo l’Incantesimo Spegnifiamma che Severus aveva usato d’istinto la sera prima. Di nuovo si sentì eccezionale e strinse con più forza la bacchetta; si sentiva un fascio di nervi, capace di qualunque cosa.

“Ma in questo momento siamo in un’aula, stiamo facendo lezione e vi sono degli oggetti sulle nostre teste, anche se invisibili. Il signor Piton ha dimostrato capacità di osservazione e autocontrollo. EVANESCO!” esclamò infine Vitious e Severus seppe che aveva fatto sparire tutti gli oggetti volanti.
Ovviamente era il solo in tutta la classe a saperlo, l’Incantesimo Evanescente non si trovava neppure tra gli argomenti del primo anno.
“Quello che ho appena utilizzato” spiegò Vitious “è l’incantesimo per far sparire gli oggetti. Dal momento che erano dissimulati non ve ne siete accorti, ma ora il signor Piton è libero di puntare la propria bacchetta sul soffitto e…” con un gesto incoraggiante guardò Severus.

Lui strinse la bacchetta in mano, la puntò contro le travi e l’agitò con un movimento semicircolare e secco. Una scia di scintille dorate e scure sprizzò dalla punta, dividendosi poi in tante ramificazioni che si dissolsero nell’aria in volute.
“Bene, benissimo!!” Vitious batteva con entusiasmo le mani.
Severus era al settimo cielo.
“Ora lei, signorina Evans!”
E Lily si affiancò a Severus, intimorita ma determinata. Lui la osservò e riconobbe la linea sottile che le incideva la fronte quando si concentrava.
Dalla bacchetta della bambina scaturì una scia brillante che rimase sospesa in aria un momento prima di incurvarsi graziosamente e assottigliarsi piano piano fino a sparire.
“Un punto alla signorina Evans e al signor Piton che sono stati i primi a rispondere e provare!” proclamò Vitious e Lily e Severus si scambiarono un’occhiata raggiante.

“Ora dividetevi in coppie e cercate di sentire il legame tra voi e le vostre bacchette, incanalandolo contro questi bersagli, a turno.”
E sopra a ogni coppia di bambini apparvero dei dischi rossi grandi come una palla.
I bambini cominciarono a lavorare, qualcuno rimboccò la manica della veste.
Subito l’aula si riempì di esclamazioni e scintille colorate, sbuffi di fumo, getti di luce.
Lily e Severus non mancarono mai di colpire il loro bersaglio, ma alcuni ragazzi non avevano mira o non padroneggiavano ancora bene la bacchetta e così colpivano le travi con schizzi luminosi che rimbalzavano un po’ qua e là, prima di perdere potenza e svanire.
Vitious era sceso tra loro e correggeva i loro errori. Ad alcuni ragazzi mostrava il corretto modo di impugnare la bacchetta o mostrava lentamente il movimento che dovevano far compiere sia al polso che al braccio, ad altri diceva di distribuire il peso del corpo su entrambi i piedi, ad altri ancora abbassava il cerchio rosso per facilitarli prima di riportarlo in alto e farli provare di nuovo.
Nel giro di pochi minuti la classe si fece decisamente rumorosa e il grado di eccitazione salì di molto.

Lily e Severus continuavano a non sbagliare e, anzi, ogni tanto facevano lavorare le bacchette all’unisono, colpendo il bersaglio contemporaneamente e divertendosi un mondo a vedere il disco percosso dalle rispettive scintille. Ridevano ed era come essere di nuovo al parco a giocare, giornate di sole li circondavano e l’aula spariva attorno a loro.
Anche Potter e Black, lì vicino, sembrava non mancassero mai di fare centro, ma invece di limitarsi a gioire composti, si sbizzarrivano a colpire il cerchio facendo partire i loro spruzzi di scintille da dietro la schiena, da sopra la testa, da sotto le ascelle… Saltavano e si alternavano velocissimi uno dopo l’altro arrivando a colpire il disco quando ancora non erano svanite le scintille dell’incantesimo precedente.

“eeee, hop!” fece Potter passando col braccio davanti alla faccia di Severus e colpendo il bersaglio con una mossa agile.
Severus se lo spinse via di dosso, furioso.
“Ma che bravo Mocciosus…” si sentì Black alle loro spalle “Tu e Madamigella “Andate-a-fare-colazione-invece-di-darci-fastidio” avete preso un punto! Ma siete capaci di fare questo?”
E con aria noncurante si passò la bacchetta sulla testa e colpì il bersaglio alle sue spalle.
“U-uh!” rise forte Potter e si sentì anche un sospiro di ammirazione poco lontano.

Il ragazzino grasso pareva completamente ammaliato dalle prodezze del duo e più interessato a osservare i compagni che non a esercitarsi con un bambino pallido e silenzioso che aveva tutta l’aria di sentirsi fuori posto.
“Peter…” lo invitò il bambino debolmente. “Dobbiamo continuare” e prese a lanciare lente scie opache contro il bersaglio.
Peter si riscosse e agitò la bacchetta goffamente ottenendo un breve spruzzo di luce ocra che si spense prima di raggiungere il disco rosso.
“Il professor Vitious ha detto che devi dare un colpetto deciso con il polso, alla fine” gli spiegò paziente l’altro bambino, scostandosi una ciocca di finissimi capelli castani dalla fronte.
Un graffio gli solcava la guancia sinistra, sottile ma molto scuro.
“Così.” E agitò la bacchetta.
Peter riprovò e stavolta il suo getto di luce si spense appena prima di sfiorare il bersaglio.

Poco più in là Avery e Mulciber, dopo un inizio timoroso, stavano prendendoci gusto e Severus notò che Mulciber ogni tanto colpiva qualche compagno di proposito, facendo ben attenzione a non farsi notare, specialmente da Vitious. Avery lo lasciava fare, divertito, soprattutto perché a venir colpiti erano ragazzi di Grifondoro, in particolare l’amica di Lily che, circondata da coppie di studenti che si esercitavano, non capiva da dove venissero le scintille che ogni tanto le piovevano addosso.
Una volta fu colpito anche Vitious, di rimbalzo, ma a parte un “Ahi!”, non vi furono altre reazioni: evidentemente il professore teneva in conto la possibilità di ricevere qualche scintilla da una classe di totali principianti.

Ora che i ragazzi padroneggiavano abbastanza l’esercizio, il chiasso era notevole.
Ma Vitious sapeva come tenere in pugno la lezione e risalito sui libri di fronte alla cattedra invitò gli allievi al silenzio.
“Bene ragazzi! Ora abbassate le bacchette. Quello che avete fatto adesso è stato un misto di istinto (dal momento che avete lasciato che la bacchetta fosse libera di dialogare con il vostro corpo) e leggero controllo.”
I ragazzi si erano radunati in mezzo all’aula.
“Spero vi rendiate conto che questo non è ancora nulla in confronto a quanto vi attende, ma è fondamentale che voi lo impariate per bene. Abbiamo ancora dieci minuti e lavorerete ancora in coppia. Uno di voi lancerà l’incantesimo della propria bacchetta contro il bersaglio e l’altro dovrà intercettarlo prima che il bersaglio venga toccato. In questo modo eserciterete la vostra mira e i vostri riflessi. Cominciate!”

Di nuovo le coppie si allontanarono l’una dall’altra e presero a lavorare.
Questo esercizio era più difficile perché, nonostante la direzione degli incantesimi fosse sempre il disco rosso, intercettare un incantesimo altrui, mobile, richiedeva più concentrazione. Non fu un caso che per un minuto buono gli unici rumori fossero il fruscio delle vesti e lo scoppiettio delle scintille.
Vitious riprese il giro, dando consigli, correggendo, mostrando la corretta postura… fece i complimenti a Severus e Lily perché non sbagliarono una sola volta e anche a Potter e Black.
Ebbe parole di incoraggiamento per il ragazzino grasso che continuava a mancare l’incantesimo del compagno, nonostante fosse lento, e gratificò quest’ultimo di un “Molto bene!” quando intercettò le scintille di Peter, ora verdi, per tre volte di fila. Un sorriso incredulo si dipinse sugli occhi del bambino che riprese a lavorare con più lena.
Anche Avery se la cavava bene, Mulciber invece faceva partire i suoi incantesimi troppo presto o troppo tardi e mancava la scia del compagno.

La campana suonò nel corridoio e tutti i bambini si voltarono verso la porta, abbassando il braccio, delusi. Sarebbero rimasti volentieri a continuare e Vitious certamente lo capì.
“Su ragazzi, avremo un’altra ora assieme alla fine di questa settimana. Avrete tutto il tempo per esercitarvi da soli nei giorni che ci separano dal nostro prossimo incontro e per leggere il capitolo introduttivo del Manuale degli Incantesimi – Volume Primo. Nella prossima lezione voglio vedervi padroneggiare perfettamente questo tipo di esercizio perché a ciascuno di voi chiederò di intercettare un mio incantesimo volante.”
Questo annuncio fece serpeggiare una certa agitazione tra i bambini e Peter si lasciò scappare un flebile lamento.

“Ora preparatevi, la signorina Fortebraccio verrà a prendervi.”
Le bacchette furono riposte nelle vesti e i bambini si misero in fila proprio mentre qualcuno bussava delicatamente alla porta.
“Avanti!” disse il professor Vitious e Alice entrò nell’aula.
Era davvero diversa da Malfoy. Nessun’aria compiaciuta, nessun'ombra di arroganza… Il suo contegno era pacato e sereno e qualcosa di rassicurante emanava dalla sua persona.
“Buongiorno professore!”
“Buongiorno, signorina Fortebraccio. I ragazzi sono pronti.”
“Bene, seguitemi allora.”
E i bambini uscirono in fila dopo aver salutato Vitious che stava riportando banchi e panche al loro posto a colpi di bacchetta.

Alice fece sistemare i bambini in corridoio lungo il muro e si rivolse loro con voce chiara e calma: “La vostra lezione di Trasfigurazione comincerà tra un’ora, per cui ora vi mostrerò dove si trova l’aula. Ci andrete da soli, dopo aver passato quest’ora nelle vostre stanze comuni, com’è consuetudine.”
Un gemito inudibile sfuggì a Severus.
Aveva creduto, anzi aveva dato per scontato che avrebbe passato quest’ora buca con Lily, a parlare della loro prima lezione o a esercitarsi con la bacchetta.
La guardò. Anche Lily era dispiaciuta e forse si stava chiedendo se c’era un modo per restare un po’ con l’amico.
“È importante che siate sempre puntuali alle lezioni, questa è la prima volta che vi recherete da soli in un’aula…”
“E tu dove sarai?” chiese una bambina di Grifondoro, con gli occhi spaventati.
“Anche io ho lezione, Anne” rispose Alice con un sorriso.
“In qualità di Prefetto ho anche altri compiti da svolgere, come ad esempio mostrare a voi del primo anno dove si trovano le aule, ma non verrete accompagnati sempre da un Prefetto a ogni lezione. Hogwarts è molto grande ed è bene che cominciate a conoscerla e a orientarvi da soli, le aule vi verranno mostrate una sola volta.”
Parecchi ragazzini guardarono l’alto soffitto e il lungo corridoio. Di sicuro Hogwarts appariva più labirintica che mai ai loro occhi di novellini.
“Non abbiate paura” li rassicurò Alice. “È molto semplice arrivare all’aula di Trasfigurazione, seguitemi!”

In quel momento sopraggiunse un gruppetto di ragazzi, molto grandi, potevano essere del sesto o forse addirittura del settimo anno. Erano una quindicina e gli stemmi sul loro petto appartenevano a tutte e quattro le Case.
“Ciao Alice!” fece un ragazzo dal viso serio ma aperto, e altri ragazzi alle sue spalle salutarono a loro volta o fecero un cenno.
I bambini notarono che sul petto del giovane, accanto allo stemma di Grifondoro, era appuntato un distintivo argentato. Era un Caposcuola!
“Ciao Frank!” rispose Alice, sorridendo.
I ragazzi grandi entrarono nell’aula di Incantesimi e i piccoli partirono in fila dietro ad Alice.
 
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Camelia.
view post Posted on 27/7/2013, 23:21




Capitolo 12:


Percorsero tutto il corridoio e svoltarono a destra.
Un secondo corridoio, molto lungo, si parò davanti a loro e Alice spiegò che dovevano percorrerlo fino in fondo e poi prendere le scale che li avrebbero portati al secondo piano e all’aula di Trasfigurazione.
La Prefetto camminava svelta, ma non così tanto da rendere difficile seguirla e i bambini ebbero modo di parlottare tra di loro, commentando la loro prima lezione.
L’eccitazione albergava su ogni volto, il loro primo approccio con lo studio era stato non solo interessante, ma anche divertente. Certo, qualcuno era preoccupato per quello che sarebbe successo di lì a pochi giorni, con Vitious e la verifica che aveva in serbo per loro. Ma la lezione era stata grandiosa, ecco!

Lily sprizzava gioia da tutti i pori, erano capitate tante cose di cui essere felice: si era fatta coraggio e aveva dato dimostrazione con la sua bacchetta davanti a tutti, aveva guadagnato un punto per la sua Casa, si era esercitata molto bene e aveva ricevuto i complimenti del professore.
E tutto questo era avvenuto al fianco di Severus, come nelle loro fantasticherie al parco! Anche se tutto era appena accaduto, non poté non ripercorrere con lui quei momenti magici, in tutti i sensi.
Severus, dal canto suo, si trovava nella stessa esaltante condizione emotiva di Lily. Quella lezione era stata un successo e il suo ricordo freschissimo cancellava gli attimi presenti; il bambino camminava come un automa, tutto preso dalle sensazioni elettrizzanti che aveva lasciato nella classe di Incantesimi e dai discorsi che stava facendo con Lily.

“Prima avevo paura, sai?” la bambina parlava con aria sollevata.
Sì, Severus lo sapeva.
Sapeva quanto Lily temesse che l’essere di nascita babbana potesse in qualche modo penalizzare il suo rendimento. L’aveva rassicurata tante volte, ma solo ora che lei si era misurata con la magia pratica (superando brillantemente la prova), si era davvero tranquillizzata.
Lily aveva sempre avuto la segreta angoscia di non essere all’altezza anche per via del fatto che Severus, oltre ad avere la mamma strega e saper tutto di Hogwarts, era anche molto avanti nella sua preparazione, avendo letto tutti i libri scolastici che aveva in casa.
Questo in realtà lo rendeva diverso da qualsiasi altro bambino del primo anno, ma Lily probabilmente pensava che chiunque non fosse babbano, sapesse comunque più cose di lei.

“Te lo dicevo io, che non avresti avuto problemi!” rispose Severus e Lily sorrise grattandosi la tempia, un po’ vergognosa per tutte le paure che si era creata da sola.
Poi, la bambina espresse ad alta voce un pensiero che martellava nella testa dell’amico.
“Dobbiamo proprio tornare in sala comune?” chiese piano, leggermente imbronciata. “Io volevo esercitarmi con te!”
Severus sentì i piedi sollevarsi da terra o forse era la sua mente che aveva preso a galleggiare leggera.
Chinò appena il capo, quel tanto che bastava perché i lisci capelli scuri gli scendessero come pudico sipario sulle guance magre che sentiva scottare. La punta del suo naso spuntava fuori, pallida.
Superati quei pochi secondi di gioia selvaggia e imbarazzo rispose:
“Anche io.”
E si costrinse a guardarla negli occhi.

Lily era contenta, ma anche amareggiata.
Si sentiva un po’ in colpa per essere finita a Grifondoro, dopo tutti gli anni in cui Severus, parlandole di Hogwarts, aveva avuto toni entusiastici per Serpeverde. Ma d’altra parte, il Cappello Parlante aveva fatto la sua scelta e lei non poteva farci niente. E nonostante fosse stata divisa dall’amico, era tuttavia sinceramente contenta per lui, perché era stato smistato proprio dove desiderava.
Certo, questo diminuiva in modo esponenziale il tempo che avrebbero potuto passare assieme.
Lily si trovava bene tra i nuovi compagni, a parte quei due esibizionisti di Potter e Black. Mary era simpatica, Alice -anche se più grande- era disponibile e gentile e la sera prima, nel dormitorio, Lily aveva chiacchierato molto anche con le altre compagne di stanza, trovandosi subito a proprio agio con loro. E che dire di Nick-Quasi-Senza-Testa che era tanto affabile e cordiale?
Decise che però avrebbe cercato di passare tutto il tempo disponibile con Severus, quando non fosse stata costretta a tornare in sala comune.

Al suo fianco, Severus aveva pensieri simili, anche se inframmezzati da punte di odio verso la Casa di Grifondoro.
Come poteva restare un po’ con Lily?
C’erano le lezioni, va bene. Ma le lezioni erano lezioni, non era come stare a giocare al parco, bisognava stare attenti, concentrati. Poi c’era da studiare e i momenti liberi che rimanevano andavano passati con la Casa di appartenenza.
Avrebbe rivisto Lily solo al momento dei pasti e, anche lì, sarebbero stati seduti a due tavoli differenti.
Hogwarts, che nei suoi pensieri e sogni era sempre stata il luogo in cui tutto sarebbe stato meraviglioso e condiviso con Lily, aveva tradito parte delle promesse che Severus si aspettava di veder esaudite.
La scuola avrebbe dovuto essere divisa tra gente a posto e persone antipatiche, ecco cosa, così Lily sarebbe stata assieme a lui e Potter e Black altrove, dove non avrebbero potuto dar loro fastidio.

In quel momento i due esibizionisti erano in fondo alla fila che sparavano scintille contro il soffitto, facendo a gara a chi le spediva più in alto o a chi colpiva gli elmi delle armature disposte lungo il muro.
“Ragazzi…” li ammonì Alice. “Non si deve disturbare nei corridoi, soprattutto mentre c’è lezione.”
Non era arrabbiata, ma qualcosa nella sua voce garbata riuscì comunque a farli calmare un po’. Se non altro smisero di schiamazzare, ma Severus ebbe l’impressione che se ci fosse stato Malfoy come Prefetto al posto di Alice, i due non sarebbero stati così ubbidienti.

Con sgomento ripensò al fatto che Black, agli occhi di tutti i suoi compagni di Casa e perfino di Lumacorno, fosse un Serpeverde mancato. Avrebbero potuto essere compagni e magari condividere la stessa stanza nel dormitorio! Rabbrividì al pensiero, ma si sentì peggio quando guardò Lily e si rese conto che lei era compagna di Black e stava per passare con lui un’intera ora nella stessa sala comune.
Qualcosa di pesante gli cadde nel petto. Non era giusto!

Il dolore della sera prima si ripresentò e mentre Severus sentiva vagamente Alice metterli in guardia a proposito di scale che si spostavano e gradini evanescenti al quarto piano, provò una stretta al cuore. Immagini confuse di un corridoio buio e di una corsa nell’acqua fecero sorgere in lui un’inquietudine terribile perché non definita.
Aveva sognato quella notte? Si stropicciò la fronte, cercando di ricordare.
Come un turbinio di foglie nel vento di novembre, alcune immagini gli vorticarono davanti agli occhi chiusi.
Rapide, inafferrabili.
Tobias, il corridoio dei dormitori, un ragazzo dal viso molto bello, Malfoy e il suo odio per i babbani, Lily in pericolo, la risata di Lily, Lily e i suoi capelli rossi, due guizzi rossi in uno sguardo ignoto, Lily su un’altalena, lo schianto di una bacchetta, un’aria pesante intorno a lui, un buio così denso che si poteva toccare…

“Severus?”
Il buio sparì di colpo e gli occhi di Severus si riaprirono, registrando una gradinata. Avevano percorso tutto il corridoio, stavano per salire al secondo piano e lui non se ne era nemmeno accorto.
“S-sì? Lily?”
Pronunciare il suo nome gli fece scoprire che dalle alte finestre alla loro sinistra filtrava il sole. Respirò a fondo per calmarsi.
“A che stavi pensando?” sorrise lei.
“Oh… alla lezione” mentì.
Ora salivano i gradini di una scala spaziosa (ferma, per fortuna) che conduceva al secondo piano.
“Vitious mi sta molto simpatico!” dichiarò Lily. “E a te?”
“Sì.”
Beh, non era la simpatia che aveva colpito Severus, a dire il vero, ma il fatto che il professore gli era parso competente e capace. E questo era quello che contava in un docente.

“Questo è l’ufficio della professoressa McGranitt...” Alice indicò una porta all’inizio del nuovo corridoio “…mentre l’aula di Trasfigurazione è la terza, laggiù” concluse fermandosi.
“Ora che sapete dove si trova, tornate pure nelle vostre sale comuni e trovatevi qui fuori tra un’ora, d’accordo? Adesso devo lasciarvi e andare a Rune Antiche. Ciao, buona lezione!” concluse, con un sorriso incoraggiante, perché i bambini non sembravano molto convinti di venir lasciati soli e si raggruppavano come per stare più stretti gli uni con gli altri.

Severus si guardò intorno, febbrilmente. Era già arrivato il momento di separarsi da Lily?
Anche lei era estremamente dispiaciuta e non sapeva che dire. Cincischiò un po’ con il piede mentre attorno a loro i bambini si separavano: i Grifondoro in avanti lungo il corridoio per raggiungere i piani superiori e la loro torre, mentre i Serpeverde facevano dietro-front, per scendere fino alla Sala d’Ingresso e da lì poter raggiungere i sotterranei.

“Vieni, Lily?” fece Mary.
Severus la guardò con odio e la bambina si ritrasse lungo il muro.
“Beh…” cominciò Lily, guardando Severus con occhi tristi “…mi dispiace, devo andare”.
La sua voce era un sussurro.
Mary intanto si era incamminata con gli altri e volgeva la testa indietro per capire cosa stava facendo Lily. Severus osservò i Grifondoro camminare in gruppo, guidati da Potter e Black che di nuovo avevano preso a produrre fasci di scintille con le loro bacchette, ma si guardavano bene dal parlare a voce alta. Non erano così sbruffoni a un passo dalla McGranitt, rifletté Severus con una smorfia.
“Ma tra un’ora ci rivediamo!” continuò Lily, cercando di essere più allegra. “E possiamo anche prendere i libri per la lezione di Trasfigurazione!” aggiunse.
Già, i libri…
Ma certo! I libri!! Ecco la soluzione!

***


“E il resto del tempo che si fa?” gli aveva chiesto Lily, un giorno di primavera inoltrata.
Un venticello gentile e tiepido piegava i fili d’erba, il parco era un tripudio di verde, fiori e bambini urlanti, ma loro stavano appartati in un angolino tranquillo.
“Quando non c’è lezione?” domandò lui.
“Sì.”
“Beh, si studia e si fanno i compiti in sala comune.”
“Ma si può andare fuori?”
“Fuori dalla scuola intendi?”
“Sì.”
“Al terzo anno avremo il permesso di andare ad Hogsmeade, qualche volta. E’ l’unico villaggio completamente magico che c’è vicino alla scuola.”
Lily era molto interessata, l’idea di un villaggio abitato solo da persone non babbane era bizzarra e curiosa, ma Severus stava continuando:
“I primi due anni invece si può stare solo all’interno del territorio della scuola. Ma è molto grande, sai? Più di questo parco, molto di più! C’è una foresta e c’è anche un lago immenso. Mia mamma dice che è abitato dalle sirene…”
Lily trattenne rumorosamente il fiato, gli occhi spalancati.
“…e da una piovra gigante.”
Lily si portò le mani alla bocca, ma lo sguardo serio dell’amico la calmò.
“Le sirene…” ripeté lentamente, abbassano le mani in grembo.

(Quella sera, quando Severus fece ritorno a Spinner’s End e guardò il fiumiciattolo grigio e sporco che passava poco lontano da casa sua, pensò amareggiato che lì creature acquatiche affascinanti proprio non ce n’erano. Prese a calci dei sassi, dirigendosi verso l'abitato, e chiuse gli occhi per non vedere i ratti che camminavano sulle sponde, riascoltando mentalmente la voce sognante di Lily che diceva “Le sirene…”)

“E la scuola ha anche una grande biblioteca. Gigantesca!” proseguì Severus allargando le braccia. “Ci sono migliaia e migliaia e migliaia di libri di magia.”
Al pensiero gli brillarono gli occhi scuri, velati di eccitazione.
Lily aveva abbassato il capo.
“Tu sai già così tante cose…” aveva iniziato.
“Anche tu le saprai” ribatté lui con forza e lo sguardo intenso con cui la fissò calò su di lei come una calda coperta rassicurante.

***


Severus alzò di scatto la testa, gli occhi neri spalancati e fissi nello sguardo chiaro di Lily che, spostandosi dalla fronte una ciocca di capelli, guardò l’amico con espressione interrogativa.
Severus cercò Alice con lo sguardo e la individuò quasi in fondo al corridoio.
“Dobbiamo chiederle se…” cominciò, parlando velocemente e allungando una mano sul braccio di Lily.
“Ehi, Piton, che fai? Non vieni?”
La voce di Avery suonava innocente alle loro spalle, ma a Severus bastò uno sguardo rapido per cogliere un leggero sorrisetto sulla bocca del compagno.
“No, noi… Veramente noi…” balbettò, odiandosi per questo.
Si rivolse sottovoce a Lily, quasi mangiandosi le parole per la fretta:
“Chiedi alla vostra Prefetto se possiamo stare in biblioteca e chiedile dov’è!”
Lily si illuminò e annuì con forza; aveva capito e si allontanò in direzione di Alice e dei Grifondoro.
Severus non poté ammirare i suoi capelli rossi che si incendiavano ad ogni passaggio accanto a una finestra, perché rimase ad affrontare i compagni di Serpeverde.
“Noi volevamo studiare un po’ in biblioteca” annunciò, muovendo qualche passo verso di loro.
Il sorrisetto di Avery si fece più marcato, mentre Mulciber sbottò: “Cosa? In biblioteca?”
Ebbe un moto di repulsione.
“Ma è il primo giorno, per la barba di Merlino! Sai già tutti i libri a memoria, quanto vuoi leggere ancora?”
Era incredulo. Quel Severus Piton non era un secchione, era semplicemente fuori di testa. Studiare… bleah.
“Io non ci voglio andare, eh?” chiarì, rivolto ad Avery, come temendo che l’amico volesse unirsi a Severus e a quella lì di Grifondoro.
Oltretutto aveva il sospetto che fosse una babbana, da come Avery ne aveva parlato quando si erano accomodati per la colazione.
Che cosa ci trovava Piton, poi…
“No, no. Nemmeno io voglio andare in biblioteca” lo rassicurò dolcemente Avery, che gli fece cenno di seguirlo dietro i compagni che stavano scendendo le scale.
Voltandosi disse: “Beh, se non potete andarci, ti aspettiamo in sala Comune…”
Severus stirò le labbra con un lieve cenno del capo.

Rimasto solo in mezzo al corridoio, si girò e vide Lily che parlava con Alice; aveva superato i compagni che ora però la stavano raggiungendo e notò che Potter e Black nascondevano le bacchette nella veste, con la Prefetto così vicina.
“Dille di sì, dille di sì…” pregò febbrilmente Severus fissando la ragazza, senza osare avvicinarsi, fermo in mezzo al corridoio.
Temette che Alice potesse fare delle difficoltà e che li avrebbe costretti a tornare nelle rispettive sale comuni. Immaginò di tornare dai Serpeverde, solo e scornato. Immaginò lo sguardo di Avery e il suo sorrisetto mentre, sprofondato in una poltrona, lo accoglieva con un mellifluo:
“Non avete potuto studiare assieme, eh?”

Avery in fondo somigliava a Black.
Severus si sentiva sempre in difficoltà di fronte a loro, o meglio, qualcosa nel loro contegno e nei loro modi di fare faceva sorgere in lui un sentimento di inadeguatezza, anche se sapeva di essere migliore di loro. Per qualche oscura ragione però, era come se dovesse sempre dimostrarlo.
Osservò irritato Black che si fermava poco distante da Lily, subito imitato da Potter. La Prefetto gesticolava, indicando qualcosa... forse stava spiegando a Lily come raggiungere la biblioteca!
Lily guardò nella sua direzione proprio in quel momento, annuendo con un saltello e Severus esultò. Ce l’avevano fatta, potevano passare quell’ora assieme!

Piton si mosse lungo il corridoio e vide Alice fermare la fila e dire qualcosa a tutti i bambini, probabilmente per verificare se qualcun altro volesse seguire Lily; vide poi Potter e Black lanciargli un’occhiata maligna, scorse il ragazzino grasso osservare avido il comportamento dei due e un bambino magro e dall’aria malaticcia che dopo aver debolmente osservato la scena, tornava in fila con gli altri, che in massa ripresero a camminare.
A quanto pareva, anche i Grifondoro la pensavano come Mulciber a proposito dello studiare alla seconda ora del primo giorno.
Alice sparì sotto un arazzo.
A Severus sembrò che Mary indugiasse a chiedere qualcosa a Lily e per un attimo temette che si sarebbe unita a loro; si sentì a disagio, voleva andare in biblioteca con la sua amica da solo! Ma poi vide i ricci scuri di Mary tornare nel gruppo dei Grifondoro in marcia, non senza che la bambina gli lanciasse un’occhiata che lui ricambiò, rigido.

Lily stava correndo verso di lui e Severus, al settimo cielo, stava muovendo qualche passo nella sua direzione quando vide una bacchetta puntata contro di lui e uno spruzzo dorato.
L’attimo dopo si ritrovò ansimante, con la bacchetta in mano, il braccio tremante e la fronte contratta. Aveva intercettato le scintille di Potter alle spalle di Lily e una rabbia feroce gli irrigidiva ogni muscolo.

Il silenzio fu rotto dalla risata forzata di Black, che si avvicinava con un fare disinvolto e beffardo che non riusciva però a mascherare del tutto la sorpresa per una reazione tanto fulminea e precisa. Anche James era rimasto colpito, ma si unì allo scherno di Sirius rivolgendosi sarcastico a Piton:
“Ma che bravo che sei Mocciosus, alla prossima lezione di Incantesimi prenderai un altro bel punto!”

Lily si era fermata di botto quando aveva visto il sorriso dell’amico fermo in mezzo al corridoio tramutarsi in una smorfia: l’aveva visto sfilare la bacchetta dalla veste e puntarla verso di lei. Una frazione di secondo dopo aveva avvertito un piccolo scoppio sordo sopra la sua testa e istintivamente aveva incassato il capo tra le spalle. Quando lo ebbe rialzato, vide sopra di lei le scintille piovere placide e lente verso il basso, dissolvendosi nella caduta, e si accorse di Potter e Black.
Immediatamente comprese.
Furente, voltò il capo verso i compagni, troppo adirata per riuscire a parlare, gli occhi di un verde intenso come non mai.
Ma quei due continuavano a ridacchiare, anche se sottovoce, dato che l’aula di Trasfigurazione era a un passo.

Poi la voce di Severus si levò, sussurrata ma chiara: “Se voi prendeste un punto per ogni scemenza che fate, Grifondoro vincerebbe di certo la Coppa delle Case, a fine anno.”
Non si accorse che Lily si morse il labbro.
Ovviamente approvava che Potter e Black venissero messi in riga, ma Grifondoro era anche la sua Casa e questo le procurava un certo conflitto interiore.
“Senti senti…” ghignò Potter.
Sirius mosse un passo verso Severus e soffiò, ringhioso: “Sarebbe solo un onore battere Serpeverde.”
“Perché non ve ne tornate in sala comune?” si inserì Lily. “Non è permesso stare in giro.”
“E voi allora?”
Potter assunse il tono di chi sta spiegando una cosa ovvia e aggiustandosi gli occhiali sul naso disse:
“Evans, forse non te ne sei accorta, ma ci siete anche voi in giro.”
“Noi adesso andiamo in biblioteca!”
“Sì… che bravi” sbadigliò Sirius.
E, preso James per un braccio, si allontanarono lungo il corridoio in un tripudio di scintille, svoltando poi a destra.

Severus era nervosissimo. Non li sopportava quei due!
“Dai…” cominciò Lily. “Lasciali perdere, sono due stupidi!”
Osservava l’amico, trepidante; Piton aveva ancora lo sguardo puntato sul punto in cui Potter e Black erano spariti.
Ora il corridoio era invaso dal silenzio e due lunghe ombre si allungavano sul pavimento. Poi, una delle due prese per mano l’altra e lentamente i due bambini presero a camminare, due macchie scure appena fruscianti.
La luce delle finestre accendeva i capelli della bambina e faceva risaltare il pallore giallastro del bambino contro il nero delle divise.
“So dov’è la biblioteca!” sussurrò eccitata Lily.

E tutto tornò meravigliosamente bello.
 
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Camelia.
view post Posted on 28/7/2013, 11:39




Capitolo 13:


Camminarono tenendosi per mano, in silenzio.
La calma che regnava tutt’intorno a loro faceva risuonare i loro passi, anche se lievi, ed era un suono piacevole. Severus si perse in quel ritmo di perfetta armonia con Lily e si guardò attorno, vedendo e non vedendo ciò che li circondava, ora colpito da qualche particolare di cui il castello abbondava, ora estraneo a tutto e riassorbito nei suoi ricordi più dolci, quelli dei momenti passati con lei.
Al suo fianco, Lily procedeva con lo stupore sul volto. Hogwarts era magnifica, molto più bella di come se l’era figurata.

“Non me l’immaginavo così” sussurrò.
“Cosa?” domandò Severus, riscuotendosi.
“Hogwarts” rispose lei, guardandolo con un sorriso.
Gli occhi le brillavano di gratitudine, era come se trovarsi lì fosse un regalo, un regalo che Severus le aveva fatto.
Ridacchiò.
“Sai…” e gli occhi le si fecero più grandi “…se penso a quel giorno che sei spuntato fuori dal cespuglio e mi hai detto che ero una strega…”

Severus tornò con la mente a quel giorno, l’ennesimo in cui era rimasto rannicchiato a guardarla, ma il primo in cui aveva osato farsi guardare da lei e parlarle. Non era andata benissimo quella volta, la presenza di Petunia (quella babbana!) aveva rovinato tutto.
Aggrottò le sopracciglia, al ricordo.

“Come sono belle queste armature, non ne avevo mai viste tante tutte assieme! Ce ne sono un sacco anche vicino alla nostra Sala Comune, lo sai?”
“Oh” fu tutto quello che riuscì a rispondere Severus, costringendosi a un breve finto sorriso.

Non voleva che gli venisse ricordato di appartenere a una Casa diversa, era una cosa insopportabile.
Con una sola parola, “Grifondoro!”, un vecchio cappello rappezzato aveva cancellato anni di fantasticherie e pensieri.
Certo, era ad Hogwarts e gli pareva impossibile aver vissuto fino ad allora a Spinner’s End; avrebbe frequentato le lezioni, avrebbe studiato, avrebbe fatto i compiti… ma nella sua mente tutto questo era stato immaginato con Lily accanto e ora sapeva che non sarebbe diventato realtà.
Si accigliò.
Beh, almeno a Incantesimi erano stati assieme.
Il ricordo della lezione gli fece anche pensare che non aveva ancora raccontato nulla del suo perfetto incantesimo della sera prima. Tutta la sua Casa ormai lo sapeva e perfino Lumacorno, il che lo rendeva orgoglioso come non mai, ma farlo sapere a Lily sarebbe stata un’altra cosa, dirlo a lei valeva molto di più che farlo sapere alla scuola intera!
Girò la testa, studiando il suo viso sereno. Non voleva apparirle sbruffone, sarebbe stato come abbassarsi al livello di Potter e Black.

Lily stava col naso per aria, osservando rapita il soffitto di pietra a volte incrociate. C’era eleganza in quell’intrico di linee curve e al contempo un’idea di antica solidità. I raggi del sole erano come fari puntati sul pavimento e non raggiungevano l’altezza delle volte che restavano in penombra e forse per questo sembravano ancora più affascinanti.

***


Un giorno d’estate Severus si era immerso in un ruscello. Non era che un piccolissimo corso d’acqua e nel suo punto più profondo ci si poteva distendere e restare comodamente a galla.
Si era diretto in quel luogo, così diverso dal fiumiciattolo grigio e sporco che si trovava al limitare di Spinner’s End, e si era seduto sulla sponda erbosa, pensando a tutto e a niente.
Quel giorno suo padre era stato particolarmente irascibile, per questo lui era uscito di casa e si era chiuso alle spalle urla e grida. Sapeva che al suo ritorno non avrebbe trovato Tobias e che sul volto di Eileen ci sarebbe stata un’espressione di disperata angoscia, forse condita di qualche livido.

Con i palmi aperti Severus accarezzava distrattamente l’erba e seguiva con gli occhi lo scorrere lento e costante dell’acqua limpida, reso irregolare dalle pietre sul fondo.
Aveva caldo, avvolto nel suo solito cappotto, e l’acqua sembrava chiamarlo col suo sciacquìo invitante. Si era guardato intorno e quando fu sicuro di essere solo, si spogliò, con un sollievo via via sempre maggiore ogni volta che si toglieva un indumento di dosso. Cappotto, pantaloni sdruciti, camiciola logora… aveva lasciato i vestiti uno sopra l’altro in un mucchio e aveva immerso un piede nell’acqua.
Che sensazione magnifica…

Con gli occhi chiusi aveva ruotato la caviglia per sentire meglio la carezza del ruscello tra le dita. Poi aveva infilato anche l’altro piede e si era ritrovato immerso fino alle ginocchia, il fresco che gli scivolava addosso.
Con un sospiro aveva inclinato la testa all’indietro e non aveva dovuto pensare oltre: si era disteso sul fondo, aveva posato la schiena ossuta sulle pietre e l’acqua l’aveva ricoperto come un lungo mantello infinito, scivolandogli sulle spalle, sui fianchi magri e lungo le braccia abbandonate e senza peso. L’acqua scorreva sulla sua testa fino ai piedi, i capelli troppo lunghi restavano sollevati sotto la superficie e solo il suo viso rimaneva fuori.
Sopra di sé vide i rami degli alberi carichi di foglie e il sole che tentava di filtrarci attraverso. Chiuse gli occhi e macchie chiare e scure si rincorsero sotto le sue palpebre abbassate.
Le orecchie immerse gli restituivano attutito il frusciare delle fronde attraverso il rumore dell’acqua.
Respirò sempre più lentamente, perdendo la percezione del proprio corpo.

***


Ora, percorrendo il corridoio con Lily, nella scuola deserta e immersa nel silenzio delle aule chiuse, percepì la stessa meravigliosa sensazione di leggerezza. Non sentiva il suo corpo, che si muoveva da solo.
Continuò a guardare Lily e più la osservava più sentiva il benessere diffondersi impalpabile dentro e fuori di sé. Non c’erano né tempo né spazio.

“Attento!” fece Lily, spostando istintivamente un braccio a reggerlo.
Severus non si era accorto di essere arrivato a una scalinata e aveva inciampato contro il primo gradino.
Si riscosse dal suo torpore beato.
Lily gli stava parlando, snocciolando le istruzioni di Alice:
“Adesso dobbiamo salire questa scala, voltare a destra, prendere il corridoio dietro l’arazzo di un mago seduto lungo un fiume a pescare pesci volanti e…”
“…e sarete arrivati alla biblioteca!” chiocciò una voce lì a fianco.
I due bambini si voltarono e videro un mago molto vecchio con un cornetto acustico che li osservava da un piccolo quadro sulla parete.
“Siete nuovi eh?” fece, con una vocetta stridula.
“Sì!” sorrise Lily.
Severus si limitò ad annuire.
Lily era davvero affascinata dai quadri che parlavano, le mettevano allegria.
“Ohhh, ne ho visti di studenti andare in biblioteca, ma è raro vederne di così giovani alla seconda ora del loro primo giorno di scuola!”
Il vecchietto si sporse dalla sua bella poltrona di velluto verde.
“Beh, noi…” iniziò Lily.
Sembrava leggermente a disagio.
“Oh, non è mica un rimprovero, piccola! È bello vedere dei bambini così interessati a imparare!”
Lei sorrise di nuovo, rilassandosi.
“State solo attenti a non far arrabbiare Madama Pince!”
“Chi è Madama Pince?” Severus finalmente parlò.
“Oh, scusami, non te l’ho detto” rispose in fretta Lily “Alice mi ha spiegato che è la custode della biblioteca, dobbiamo chiedere a lei il permesso di prendere i libri e di studiare lì.”
“Esattamente!” riprese il vecchietto, che spingeva il cornetto acustico al limite della cornice del suo ritratto per sentire meglio.
“E non sopporta che si faccia confusione, che si mangi in biblioteca e soprattutto che si rovinino i libri” continuò, alzando un tremolante dito ammonitore.
Poi abbassò la voce e si avvicinò più che poté al bordo della sua tela:
“È un vero mastino, riesco a sentire le sue urla anche senza questo!” e agitò il cornetto di bronzo, producendosi in una risata a due soli traballanti denti.
Lily e Severus si scambiarono un’occhiata divertita.
“Va bene, signore, grazie!” si accomiatò lei.
“Sì, grazie” le fece eco Severus.
“Di niente, di niente, figlioli” biascicò il vecchietto, riaccoccolandosi sulla poltrona e agitando benevolo una mano grinzosa. “È sempre un piacere conoscere i nuovi allievi di Hogwarts!”

I due fecero per salire i gradini, quando udirono una voce squillante, che li fece sobbalzare.
“Nuovi allievi?”
Lily e Severus si guardarono attorno, spaesati; non avevano sentito avvicinarsi nessuno.
“Cucù!” fece la voce, in falsetto, ed entrambi alzarono la testa.
Un ometto dai vestiti sgargianti galleggiava un paio di metri sopra di loro, a testa in giù. Un berretto verde smeraldo con dei sonagli appesi penzolava floscio dalla sua testa e la creatura stava a braccia e gambe incrociate, fluttuando in aria. Osservava con aria furba i due bambini esterrefatti e gli si leggeva in faccia che stava tramando qualcosa.
Lily era a bocca aperta. Era chiaro che non capiva chi, o meglio che cosa fosse quell’essere dagli occhietti penetranti.

“Tu sei Pix.”
Severus parlò lentamente.
Lily si voltò verso l’amico e solo allora lui realizzò di non avergliene mai parlato. In effetti non ne sapeva molto, Eileen gliene aveva accennato una volta, ma dato che l’argomento non l’aveva particolarmente colpito, non aveva indagato oltre. Si dispiacque di non averne mai fatto parola con Lily.
“È un poltergeist” esordì “mia mamma una volta me ne ha…”
“Che cos’è un poltergeist?” chiese subito Lily.
“Un poltergeist è uno che sa fare questo” fece Pix con voce nasale e con una capriola si tuffò sulla balaustra della scalinata risalendola a balzi e producendosi in sonore pernacchie che si accompagnarono al tintinnare dei suoi sonagli.
Avrebbe anche potuto essere divertente, se non fosse stato così rumoroso…
“Sssstt” implorò Lily, scuotendo le mani.
Si guardò attorno impaurita e Severus capì che temeva la sgridata di qualche professore.
In effetti, anche a lui non andava molto tutto quel chiasso, c’era il rischio che qualcuno li rispedisse nelle rispettive Sale Comuni e questo avrebbe voluto dire separarsi da Lily.
Ma Pix assunse un’espressione estremamente soddisfatta e cominciò a canticchiare, insolente:
“La rossa dice sssst / e Pix si posa qui!”
E con orrore dei due bambini, il poltergeist fischiò fortissimo e si piazzò perpendicolare sulla parete di fianco a loro, appena sopra un lungo quadro che raffigurava uno stormo di fenicotteri fermo sulle sponde di un fiume.

Pix trasse fuori di tasca un oggetto che loro non riuscirono a distinguere.
Ma quando lo scagliò contro il quadro, fu ben chiaro cosa fosse: era una boccetta d’inchiostro che s’infranse contro il quadro e imbrattò tutte le piume rosa dei fenicotteri.
Gli uccelli presero a starnazzare e si alzarono in volo in tutte le direzioni, disperdendosi nei quadri vicini e portando scompiglio in un tinello dove due maghi stavano giocando a scacchi, in una torre dove una strega si stava pettinando i lunghi capelli biondi, in una stanza dove un bambino che dormiva in una culla si svegliò di soprassalto e cominciò a piangere, in un prato dove una donna stendeva i panni, che furono fatti cadere a terra o trasportati in altre tele appesi al becco di qualche uccello, tra le urla della strega…
Un fenicottero entrò con un gran sbatter d’ali anche nel quadro del vecchio con il cornetto acustico e il poverino ebbe il suo daffare a cercare di cacciare il riottoso volatile fuori; quando finalmente ci riuscì, parecchie piume svolazzavano per aria e presero poi a scendere placide sulla poltrona e sul suo cappello, come neve rosa.

In tutto questo, il poltergeist sembrava godersela un mondo.
I personaggi umani dei quadri che non erano impegnati a combattere con qualche fenicottero sovraeccitato, mostravo i pugni a Pix che, da parte sua, li ricambiava con smorfie e linguacce; gli animali fuggivano o cercavano di inseguire gli uccelli e tutta la parete era animata da urla e movimenti concitati.

“Andiamocene!” esclamò Severus e, afferrata Lily per la mano, salì di corsa la scala, voltò a destra e, correndo lungo il corridoio, cercò freneticamente l’arazzo col mago pescatore che l’amica gli aveva descritto poco prima.
Il putiferio alle loro spalle diminuiva di volume man mano che si allontanavano e quando trovarono l’arazzo, lo spostarono senza troppe cerimonie e vi si nascosero dietro, ansanti.

Il mago che stava pescando protestò vivacemente quando il movimento lo fece barcollare e poi cadere nell’acqua. Un nugolo di pesci volanti prese a saltellargli intorno, rituffandosi poi nel fiume.
“Ma insomma! È forse questo il modo?” protestò veemente.
“Ci scusi, signore” disse Lily sottovoce, molto dispiaciuta.
Dalla loro posizione potevano vedere il retro del ricamo.
“È che stavamo scappando da Pix…”
“Oh, Pix!” fece il mago stizzito, agitando la canna da pesca e rimettendosi in piedi grondante acqua. Riguadagnò la sponda e cominciò a togliersi le scarpe.
“Capisco, capisco. Beh, non è colpa vostra, quel poltergeist è insopportabile, non fa altro che creare fastidi e disordine!”
Svuotò le scarpe nell’acqua e un pesciolino minuscolo cadde nel fiume.
“Toh guarda, l’unico che mi era riuscito di prendere oggi!” osservò il mago dell’arazzo, scuotendo la testa con un sospiro.
Continuò: “Se solo potessi avere quella creatura tra le mani, giuro sulla barba di Merlino che gli farei passare la voglia di fare confusione una volta per tutte!”
E così dicendo, strizzò le ampie maniche della veste, ma perse l’equilibrio e scivolò sull’erba bagnata cadendo nuovamente nel fiume, tra imprecazioni e pesci volanti che gli saltellavano beffardi tutt’intorno.
I due bambini soffocarono una risata ma subito tesero le orecchie perché quella che sentivano avvicinarsi era l’inconfondibile voce impertinente di Pix.
“Oh no!” sussurrò Lily.
Ma Severus si posò un dito sulle labbra accostando l’orecchio alla tela ricamata.

“Serpeverde e Grifondoro / dove fuggon mai costoro? / Io vi trovo, ve lo giuro / non credetevi al sicuro!”
Lo spiritello canticchiava proprio nel corridoio dell’arazzo.
Un rumore di ferraglia li fece sobbalzare. Pix doveva essersi messo a giocare con le visiere delle armature o a percuoterle, perché il rimbombo era fortissimo.
“A-n-d-i-a-m-o” articolò Lily con le labbra, senza emettere suono e Severus annuì.
Si erano appena avviati in punta di piedi quando udirono una voce bassa e profonda.
“Pix.”
Immediatamente ogni rumore cessò e ci fu qualche istante di assoluto silenzio.
“Signooore, come sono contento di vederla” cominciò a dire il poltergeist con una voce sottomessa che grondava falsità.
“Pix, non tollero tutti questi schiamazzi” l’altra voce era calma, ma aveva un che di temibile.
Lily e Severus si guardarono, incuriositi. Più silenziosamente che poterono, tornarono all’arazzo e lo spostarono quel poco che bastava per avere una visione del corridoio.
Una figura perlacea con pesanti catene ai polsi e alle caviglie stava a mezz’aria di fronte a Pix.
Lo spiritello ora non faceva mostra della sua arietta compiaciuta e sembrava essersi sgonfiato. Non stava più a testa in giù e galleggiava tenendosi contro le finestre e dando tutta l’impressione di volersi dileguare al più presto.
Con voce untuosa e servile biascicò:
“Sì, dunque… Vossignoria, io adesso… io… devo andare…”
“Bene, Pix” fu la secca risposta del fantasma.
Il suo volto era terribile e severo, due ombre opache si stendevano sotto gli occhi vitrei e la voce fonda era davvero spaventosa.
Pix filò via, senza schiamazzi né pernacchie.
Il fantasma fece per voltarsi e proseguire nella direzione opposta e Lily e Severus si ritrassero di nuovo dietro l’arazzo.
Udirono il mago pescatore dire “Meno male che ci siete Voi, Barone…” e Lily sottovoce chiese:
“Barone?”
“Sì…”
Piton era un po’ in imbarazzo.
“Quello è il Barone Sanguinario” dichiarò infine, tralasciando di dirle che era il fantasma di Serpeverde, forse perché non era sicuro che a lei sarebbe piaciuto. Come aveva pensato poco prima di colazione, il Barone non ispirava certo simpatia come pareva facesse invece quel Nick-Quasi-Senza-Testa di cui Lily gli aveva parlato.
La bambina trattenne il fiato.
“Ma allora… allora quelle macchie argentate sui suoi vestiti erano sangue?”
Era inutile fingere che non fosse così, in fondo “Sanguinario” doveva pur significare qualcosa.
“Io credo.. credo di sì” rispose Severus e, notando lo sgomento negli occhi di Lily, la prese di nuovo per mano e la guardò fisso.
“Ma non è pericoloso. È un fantasma, capisci? Non può farti del male.”
Si morse il labbro, pensando concitato a qualcosa.
“Secondo me era un cavaliere che ha sgominato tutti i suoi nemici sui campi di battaglia!” concluse con foga.
Non che l’idea di eserciti trucidati fosse allegra, ma guardando il viso convinto di Severus, Lily si tranquillizzò un pochino. Si era lasciata prendere dall’emozione; la vista di quel volto trasparente, emaciato e gravato come di un peso, l’aveva turbata più del necessario.
Scosse il capo a occhi chiusi per cacciar via l’immagine del Barone e l’idea dello sterminio dei suoi nemici. I suoi capelli rossi ondeggiarono e quando riaprì le palpebre e lo guardò, Severus si sentì felice.
“Sembra triste” osservò Lily, sostituendo la paura con l’empatia.
“Chi?”
“Il Barone Sanguinario!”
“Boh, non so…” mentì Severus.

Ad essere sinceri, la sera prima in Sala Comune aveva avuto proprio la stessa impressione, ma non gli andava di parlarne. Per tutta la vita era stato circondato da tristezza e infelicità, non aveva nessuna voglia di indagare sulla sofferenza del Barone Sanguinario, che sicuramente era vecchia di secoli.
Forse era triste per essere morto. O forse di essere morto e di essere rimasto fantasma. Magari erano tutte quelle catene che si tirava dietro… Erano pesanti?, si chiese. In fondo un fantasma non aveva peso e…

“Però quei fenicotteri erano buffi!” rise Lily.
Severus riemerse dalla sue considerazioni sui fantasmi e si concentrò su quelle parole.
In effetti… ora che erano lontani da Pix e da ogni possibile sgridata per il baccano da lui provocato, potevano ripensare a quanto appena accaduto vedendone solo il lato divertente.
Rise con lei.
“Hai visto quando quel fenicottero ha cercato di uscire dal camino del quadro grande e ci è rimasto incastrato?”
“E quando altri due hanno schizzato d’inchiostro la strega in camicia da notte?”
Sì, era stato davvero comico vedere la strega che, terrorizzata dai fenicotteri imbizzarriti, si era tuffata sotto un tavolo, non prima che l’uccello le avesse spruzzato addosso abbondante inchiostro nero, il che -dato che lei stava a quattro zampe- l’aveva fatta assomigliare a un cane dalmata che guaiva disperato.
Quando gli uccelli erano scappati nel dipinto vicino la strega si era passata le mani sul viso, senza rendersi conto di spalmarsi tutto l’inchiostro nero sulla faccia.

***


Gli ci era voluto qualche giorno per trovare il coraggio di fare quello che voleva.
Ma una fredda mattina, si alzò dal letto risoluto e, incurante del freddo pungente, non si infilò neppure le pantofole prima di scendere di sotto, alla ricerca di un pezzo di carta e di uno spago.
Evitò la cucina, dalla quale provenivano i grugniti di suo padre, nervoso come al solito, e il fischio del bollitore.
La carta che trovò era semplice imballo da pacchi, purtroppo non aveva di meglio. Se solo avesse avuto una bacchetta e il permesso di fare magie, ci sarebbe voluto un attimo per renderla più bella, ma dovette accontentarsi; non voleva chiedere un altro favore a sua madre, sapeva che sarebbe stato troppo.
Tese le orecchie per assicurarsi che Tobias fosse ancora in cucina e risalì di corsa in camera, chiudendosi piano la porta alle spalle. Inginocchiato per terra, posò con cura sul letto la carta, lo spago e la boccettina di MagInk che Eileen aveva reso nuova qualche giorno prima.
Prese un’altra boccetta, di inchiostro nero, e su un lembo della carta da pacchi scrisse con cura “Lily Evans”, a lettere minute e strette; lo fece proprio così, con inchiostro e una vecchia piuma che faceva scricchiolare la carta. Poi ci incartò il MagInk e legò il tutto con lo spago.
Rimirò la sua opera.

Era un po’ triste come pacchetto natalizio, ma non poteva fare di meglio.
O sì?
In fretta si spogliò, rabbrividendo, e dopo essersi lavato si vestì più in fretta che poté. Udì suo padre uscire di casa sbattendo la porta, mentre sua madre iniziava a riassettare e pulire.
Nascose il pacchetto sotto il cuscino e rifece il letto.
Quando scese di nuovo, coperto dal vecchio cappotto, con una sciarpa marrone al collo e un berretto di lana, Eileen fu sorpresa.
“Non fai colazione?”
“No…” lui la guardò con i grandi occhi profondi e scuri e la donna non fece altre domande.
Forse aveva visto luccicare qualcosa nello sguardo del figlio, ma non indagò oltre.
“Va bene” fu tutto ciò che disse, voltandosi e prendendo una bracciata di rami secchi da una cassa.
Per un istante Severus rimase a fissarla, china sul camino, intenta ad accendere il fuoco con dei fiammiferi babbani… poi uscì, con una stretta al cuore.

L’inverno non rendeva più piacevole Spinner’s End, ma il dover camminare a capo chino per limitare i danni del vento freddo, aiutava a non soffermarsi sul grigio ghiacciato di brina che avvolgeva tutto.
Camminò svelto, senza guardarsi attorno, con il parco come unica meta; qua è là il ghiaccio gli scricchiolava sotto le suole. Incontrò pochissime persone, tutte intabarrate e con le mani in tasca.
Quando raggiunse il parco rallentò, tenendo gli occhi fissi a terra; sarebbe stato difficile trovare una piuma, ma magari qualche rapace poteva averne persa una durante le sue cacce notturne.
Non c’era nessun bambino sulle giostrine e sulle altalene e soltanto un uomo con un grande sacco attraversava frettoloso i sentieri di pietra, probabilmente per tagliare la strada verso casa. Doveva essere pieno di regali quel sacco, e Severus immaginò che il padre di Lily probabilmente ne avrebbe portato a casa uno colmo di regali proprio come quell’uomo.
Rimase a guardarlo fino a che non sparì alla sua vista.

Gli alberi del parco erano in gran parte spogli e tendevano al cielo i loro rami scuri; con una bella nevicata sarebbero stati uno spettacolo splendido. Severus si calò meglio il berretto sulla testa e tirando calci a un sasso riprese a camminare.
Si trascinò di albero in albero, osservando bene per terra, tra le foglie scure mezze marcite che ricoprivano il prato come un tappeto e fu fortunato: entro mezz’ora trovò una bella piuma grigia screziata di macchioline nere.
La infilò nel cappotto, al settimo cielo. Ora aveva voglia di correre e stava già riguadagnando l’uscita quando vide un cespuglio di agrifoglio. Ne staccò un rametto con poche foglie e qualche bacca rossa e corse via, a casa.

Fu un Severus intimorito ma anche orgoglioso quello che, quello stesso pomeriggio sul tardi, si avvicinò alla cassetta delle lettere di casa Evans e ci infilò dentro un pacchettino legato con lo spago che teneva fermi anche il ramettino di agrifoglio e la piuma. Aveva passato tre buoni quarti d'ora a pulirla per bene, a spuntarla e appuntirla a dovere, seduto a gambe incrociate in camera sua, e quando aveva finito l’aveva tesa davanti a sé ammirandola con soddisfatto compiacimento.
Aveva lanciato uno sguardo speranzoso alle finestre della casa di Lily, ma attraverso le tende tirate poté solo vedere la luce calda che vi filtrava.
Quella sera, disteso nel proprio letto con le mani dietro la testa, aveva sorriso al soffitto scrostato fino a che non si era addormentato.

La mattina dopo fu svegliato da alcune grida lontane. Erano bambini ed era ben raro sentire le loro voci allegre tra le vie di quel quartiere, ma gli bastò un’occhiata fuori dai vetri opachi della sua stanza per capire: la neve!
Durante la notte ne era caduta un bel po’ e -cosa incredibile- Spinner’s End sembrava meno brutta del solito. Sapeva che sarebbe durato solo poche ore, presto il grigio avrebbe sporcato tutto quel candore, ma fu comunque una visione inaspettata e gradita.
Pensò a Lily.
Pensò a come sarebbe stato divertente giocare a palle di neve come stavano facendo i bambini là fuori. E un pensiero improvviso lo fece sussultare: forse Lily sarebbe andata al parco!
Si vestì come una furia e si precipitò di sotto, ma si bloccò sugli ultimi gradini vedendo suo padre ritto sulla porta della cucina, come se lo aspettasse.

“Vai a fare un pupazzo di neve?” gli chiese, beffardo.
Non doveva farlo arrabbiare, Tobias era capace di impedirgli di uscire solo per il gusto di fargli un dispetto.
“Sì, io… posso?” gli domandò, col tono più umile che gli riuscì.
Questo sorprese un pochino il padre che era abituato a provocare rabbia il quel figlio gracile e anormale come la moglie.
“Tobias?” la voce di Eileen era flebile, ma chiara.
“Sta… sta finendo la legna” esalò, quando il marito si voltò a guardarla dentro la cucina.
Severus vide il volto del padre contrarsi.

L’avrebbe capito soltanto il suo primo giorno a Hogwarts -quando avrebbe ripensato a quella giornata- che Eileen aveva fatto in modo di attirare su di sé l’ira del marito per consentire a lui di uscire a giocare.
“Che hai da guardare? Sparisci!” gli aveva infatti abbaiato contro Tobias.
E Severus era corso fuori, senza farselo ripetere.

Non aveva ragionato male: il parco era effettivamente pieno di bambini intenti a giocare a palle di neve o a fare pupazzi. Severus si guardò intorno, ansimante. Chissà se c’era anche lei…
“Severus!”
La sua voce!
Si voltò, e vide una figuretta avvolta in un cappottino rosso che agitava un braccio. Aveva guanti, sciarpa e berretto bianchi a disegni rossi di stelle di natale.
Si corsero incontro.
Lily era eccitatissima, con le guance arrossate per il freddo e lo sguardo verde vispo e riconoscente.
“È bellissimo, grazie!”
E gli si tuffò addosso, abbracciandolo.
“Ti piace?” chiese lui, che tratteneva faticosamente l’impulso di abbracciarla a sua volta.
“È magico, sai?” le disse, staccandosi da lei.
“Sì, ho letto l’etichetta! Ma…” Lily era un po’ timorosa “…posso usarlo adesso? Voglio dire, non è come fare magie fuori dalla scuola?”
A Severus fece un’immensa tenerezza questa paura continua di Lily di infrangere la regola che limitava il ricorso alla magia da parte dei minorenni.
“Te l’ho detto”, spiegò paziente, “Noi non andiamo ancora a scuola, non possono farci niente!”
Lily sorrise.
“Questo è per te” gli disse poi, porgendogli un pacchettino che stringeva in mano e che Severus non aveva notato.
“Non sapevo come fare a dartelo, ma quando ho visto la neve oggi ho pensato che magari saresti venuto al parco…”
Severus abbassò gli occhi per nascondere la soddisfazione di aver avuto lo stesso suo pensiero e prese il pacchetto tra le mani.
Il vento freddo gli apriva i capelli scuri che uscivano da sotto il berretto, come due ali di corvo ai lati del viso. Quelli rossi di Lily invece sembravano due fiamme contro il biancore della neve circostante.

Severus, toltosi un guanto, sciolse il nastro colorato che chiudeva il pacchettino informe e ne trasse fuori due minuscoli pupazzetti vestiti da mago e da strega, con tanto di cappello a punta e bacchetta in mano. Erano fatti di pongo, colla e fil di ferro, tutti materiali babbani che Severus aveva visto usare in abbondanza nella scuola elementare che era costretto a frequentare, in attesa di andare in una scuola migliore, di lì a pochi mesi.
Tenne i pupazzetti nella mano, sollevandoli all’altezza degli occhi per ammirarli meglio.
La strega aveva i capelli rossi fatti di lana grossa e il mago capelli neri e lucidi di sottile filo di cotone. Le vesti erano nere, lunghe fino ai piedi e con il cappuccio e Severus riconobbe in ogni particolare i racconti su Hogwarts che aveva condiviso con Lily.
“Sono… bellissimi” disse infine, sentendosi invadere da un gran calore.
Si perse negli occhi verde chiaro di Lily, raggianti di gioia.
“Avevo paura di non riuscire a darteli!” esclamò lei, sollevata. “Per fortuna la mamma mi ha lasciata uscire da sola, Petunia è ammalata, sai...”
Si guardarono.
“Buon natale, Severus!”
“Buon Natale, Lily!”
E davvero fu una mattinata di dicembre ricca di felicità, tra un lancio di palle di neve e l’altro.
Da quel giorno in poi, Severus ogni sera prese l’abitudine di tirare fuori da sotto il cuscino i due pupazzetti, di sistemarli sul comodino uno accanto all’altro e di addormentarsi guardandoli.

***


“Credo che la biblioteca sia quella!” esclamò Lily.
Severus tornò al presente, abbandonando il freddo invernale di quel ricordo e ritrovandosi in un corridoio di Hogwarts.
Lily aveva ragione.
Avanzarono timorosi fino a una grande porta di legno pesante, uguale a tante altre porte che avevano visto fino a quel momento, a parte il fatto che era sovrastata da una finestra a mezzaluna decorata a vetri colorati.
Sullo sfondo di alcuni scaffali che traboccavano libri, vi erano raffigurati, circondati da pile di volumi aperti o chiusi, un mago e una strega intenti a leggere grossi tomi al lume di candela; dalle loro ampie vesti blu notte e bordeaux si dipanava un elegante cartiglio viola pallido che avvolgeva i libri come in un abbraccio e che recitava il motto “VIR SAPIENS FORTIS EST”.
 
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Camelia.
view post Posted on 31/7/2013, 11:06




Capitolo 14


Severus era elettrizzato, preda di un senso vertiginoso di grande aspettativa. La biblioteca! Stava per entrare nella biblioteca di Hogwarts! Sentiva il cuore battergli forte sotto la divisa.
Lily guardava rapita la finestra in alto, dove i due studiosi non sollevavano gli occhi dalle pagine scritte e il cartiglio si muoveva lento ed elegante al ritmo del loro respiro lento.

I bambini posarono le mani sullo spesso legno lucido e antico e spinsero, cauti. Le porte si aprirono senza un cigolio, con un morbido silenzio, offrendo ai due bambini lo spettacolo di una sala incredibile, dopo qualche secondo necessario affinché i loro occhi si abituassero alla penombra.
Grandi tavoli con al centro grosse candele si susseguivano ordinati fino al fondo, lontanissimo. A destra e a sinistra invece, stavano allineati innumerevoli scaffali, alti fino al soffitto e ricolmi di libri. Tanti, tantissimi libri.
Lily e Severus erano bloccati sulla soglia, la bocca spalancata, gli occhi aperti su quella visione, immobilizzati dalla meraviglia. Nessuno dei due aveva mai visto (né immaginato) una sala come quella.
Un buon odore di legno e cera si mescolava a quello umido di carta ingiallita e pergamena polverosa. La stanza era buia, paragonata al corridoio tagliato da lame di luce oblique e forse questo aumentava il timore dei due, che restavano incerti sulla soglia, come pietrificati dalla soggezione.

Si riscossero quando due candele calarono dall’alto e si posizionarono galleggiando all’altezza delle loro teste; erano avvolte in una bolla che sembrava vetro trasparente, ma era morbida, dai contorni liquidi e molli e la luce della fiamma vi riverberava dentro creando un piacevole alone luminoso. I due si scambiarono uno sguardo e come rinfrancati dalla reciproca presenza si presero per mano e mossero un passo nella sala, silenziosi in quel silenzio quasi sacro, le loro ombre nere allungate e sottili nella luce proveniente dalle alte finestre del corridoio alle loro spalle. Le candele si mossero placide al loro fianco.

Avanzarono, guardandosi di lato sia a destra che a sinistra, e videro i lunghi e stretti corridoi laterali delimitati da file e file di scaffali, intuirono a intervalli regolari la presenza di altre zone riservate ai tavoli per lo studio e alzando gli occhi sul soffitto notarono la presenza di molte altre candele, come quelle che illuminavano la Sala Grande, anche se la biblioteca aveva un soffitto di pietra attraversato da solide travi di legno e le candele erano avvolte dallo stesso bozzolo trasparente che racchiudeva le loro.
Le lontane pareti laterali erano anch’esse ricoperte di scaffali che incorniciavano strette e alte finestre; scale a chiocciola di legno si muovevano avanti e indietro davanti ai ripiani, girando silenziose su se stesse.
Sui lati esterni degli scaffali erano appoggiati degli schedari sovrastati da grandi targhe: “TRASFIGURAZIONE” “CREATURE MAGICHE” “INCANTESIMI” “PIANTE ED ERBE” “POZIONI”…

Attirato da quest’ultima, Severus si mosse quasi senza accorgersene verso sinistra, inoltrandosi in uno dei corridoi laterali e notò che sugli scaffali vi erano altre targhe, più piccole. Sul ripiano più basso vide scritto “PROPEDEUTICA: calderoni, fuoco, attrezzatura ecc.”
Alzò gli occhi e la candela al suo fianco si alzò anch’essa a illuminargli una targa più in alto “FONDAMENTA DI POZIONI: infusi, decotti, preparazioni base…”
Sfiorando il legno degli scaffali, quasi dimenticò di avere Lily accanto e sentì un formicolio attraversargli i piedi e lo stomaco; si mosse velocemente lungo quel corridoio, leggendo in fretta le targhe che si susseguivano, “MISCELE ESPLOSIVE” - “BEVANDE CURATIVE” - “POZIONI UMORALI”…, superò un’isola di sei tavoli allineati e si rituffò tra gli scaffali, ansante, scrutando avidamente le nuove targhe, aiutato dalla candela che sembrava esattamente sapere cosa fare e rischiarava qualunque cosa lui volesse leggere.
Ed eccola lì, vecchia, rovinata e… bellissima.

“POZIONI AVANZATE”

Era piuttosto in alto per lui, ma restò a fissarla col naso all’aria, i capelli lisci che ricadevano dritti sulle spalle. Lo scaffale traboccava di tomi molto spessi e rilegati in pelle scura.
Lily si avvicinò, timorosa.
“Li conosci già questi libri?” domandò.
Severus distinse il dispiacere nella voce di lei e si riscosse, riemergendo da una specie di bolla che sembrava averlo inghiottito.
“Oh no” replicò rapido, anche se aveva già letto il libro di scuola di Eileen.
Stirò la bocca in un sorriso per tranquillizzare l’amica.
“Qui ce ne sono centinaia, vedi? Io non ne ho letti così tanti, mia madre ne aveva uno solo, l’hai visto anche tu…”
Lo cercò, saettando lo sguardo sullo scaffale. La candela si spostò alla sua destra, appena poco sopra della sua spalla e illuminò un volume.
“Eccolo!” e Severus allungò una mano per prenderlo.
Sentì la copertina ruvida sulla punta delle dita ma non fece in tempo ad afferrarlo perché un grido stridulo fece sussultare sia lui che Lily.
“Cosa state facendo voi due??”
Una donna era piombata su di loro come un rapace, all’improvviso, e i bambini si fecero piccoli piccoli stringendosi involontariamente l’uno all’altra contro la mensola di legno che sporgeva dallo scaffale per consentire una più comoda consultazione dei volumi.

Due occhietti lucidi e cattivi li fissavano in un volto magro e rinsecchito, rischiarato dalla luce tremula di una candela.
“Vo… Volevamo solo guardare quel libro!”
Superato il primo momento di spavento, Lily aveva parlato con una vocina, ma nel suo viso doveva leggersi la verità perché, nonostante la donna che li sovrastava continuasse a guardarli con sospetto, qualcosa rese la sua espressione meno ostile.
Tuttavia, dopo un’occhiata alla sezione che stava alle loro spalle, ritornò ad accigliarsi.
“Questi sono libri di livello M.A.G.O., cosa ci fate qui? Siete del primo anno, non vi ho mai visti!” aggiunse poi in tono accusatore, afferrando la candela che galleggiava di fianco a lei e abbassandosi al livello delle facce spaventate dei due bambini, scrutandoli cupa.
Severus era sulle spine, la situazione era spiacevole e si sentiva in colpa anche se non stavano facendo nulla di male.

Ma fu Lily ad esternare un dubbio che aveva appena preso forma nella sua mente.
“È proibito leggere i libri degli studenti più grandi?”
Sebbene la paura fosse evidente in ogni parola, c’era anche dell’innocenza nella domanda e perfino la donna la colse.
Si raddrizzò, rigida nella sua veste grigio scuro, e la luce della sua candela fece riverberare il nero fermaglio di osso che le chiudeva il colletto. Strane ombre presero a danzare tremule sulle rughe del suo volto.
Ancora sospettosa osservò la bambina. I grandi occhi verdi di Lily fissavano lo sguardo duro della donna da sotto in su.

“Lei è Madama Pince?” si intromise Severus, con il tono più gentile e umile che riuscì a produrre.
La bibliotecaria parve gonfiarsi un pochino, soddisfatta, e poi disse secca:
“Sì, e in questa biblioteca vi sono regole molto severe...”
“Stavamo solo guardando” la interruppe Severus, guardandola con una leggera punta di sfida.
Ma poi aggiunse, prima che lei potesse ribattere, con più calma:
“Noi… abbiamo un’ora libera e volevamo conoscere la biblioteca.”
Lui e Lily annuirono e si scambiarono uno sguardo.

Madama Pince si raddrizzò gli occhialetti sul naso e scrutò i due bambini. Notò che sul petto portavano gli stemmi di due Case diverse e parve lievemente stupita.
“Non mi era mai successo di vedere studenti in biblioteca il primo giorno di scuola… Dopo una sola ora di lezione!”
E li guardò torva.
C’era un che di accusatore nelle sue parole. Severus si innervosì.
Ma che si credeva quella? Che volessero rovinare i libri? Proprio loro due e lui in particolare, che per i libri aveva una specie di reverenza! I libri di magia, che erano stati l’unica cosa bella della sua esistenza da babbano (a parte Lily, ovvio), la sua fonte di speranza, il rifugio segreto di ogni sua pena e dolore che aveva esorcizzato nella lettura furiosa della descrizione di incantesimi e ricette di magiche pozioni…

Il ricordo della mano di Tobias che sbatacchiava un libro, la sua volgare ignoranza babbana fecero salire il sangue al cervello di Severus. Il suo braccio abbandonato lungo la veste si irrigidì.

Volle mettere in chiaro la questione una volta per tutte.
“Noi… Era tanto che aspettavamo di venire a Hogwarts, per studiare, per imparare!…” le parole gli inciampavano sulle labbra nella foga di dirle “…e volevamo solo vedere la biblioteca. E i libri che mia madre aveva studiato e…”
Pallidissimo nell’atmosfera scura della biblioteca, il volto di Severus era appassionato e teso.
“È vero” annuì Lily, dandogli man forte. “Lo sappiamo che questi libri sono per gli studenti più grandi…”
Esitò un momento, sogguardando l’amico. Anche lui la guardò ed entrambi pensarono la stessa cosa, provando un moto di complicità.
“Il professor Vitious ce l’ha appena spiegato che dobbiamo studiare molto per arrivare ai M.A.G.O…” continuò Lily.
“Ah, avete avuto Incantesimi” l’interruppe Madama Pince.
“Sì” risposero i bambini all’unisono.
“Bene, il reparto dei libri di Incantesimi è di qua” disse spiccia la donna e senza indugiare oltre si avviò rapida, risalendo il corridoio dedicato ai volumi di Pozioni e superando i tavoli.

Arrivata al grande corridoio centrale ancora illuminato dalla luce della porta lasciata aperta, si bloccò di colpo, voltandosi verso i due bambini che arrancavano dietro di lei e si fermarono in un fruscìo di vesti. Le loro candele li avevano seguiti rilasciando una sottile scia di fumo evanescente dalle fiammelle inclinate.

“Lì in fondo c’è la mia scrivania” indicò Madama Pince con tono inutilmente perentorio, dopo aver chiuso le porte con un gesto lieve della bacchetta. La biblioteca parve piombare nel buio per qualche istante.
La donna sembrava convinta che i due giovanissimi studenti volessero giocarle chissà che tiro sotto il naso e li osservava truce, come a volerli cogliere in fallo. Ma parve un po’ indispettita quando dovette ammettere a se stessa che quella bambina dai capelli rossi e il ragazzino sparuto non erano entrati nella sua biblioteca con intenzioni poco gradite.

Lily e Severus intanto avevano seguito la direzione del suo dito puntato e, gli occhi ormai abituati alla penombra, notarono che in fondo alla Sala c’era un tavolo posto di traverso rispetto a quelli destinati agli studenti. Scorsero anche un’inferriata alle spalle della scrivania.

“Quando volete prendere un libro in prestito dovete venire da me per il permesso e la registrazione” continuò la bibliotecaria, recuperando un che di tagliente nella voce, come se desse per scontato che loro due avrebbero tentato di rubarle qualche libro.
“Sì, certo” si affrettarono a dire Severus e Lily.
Ma, come calamitati, tornarono a guardare l’inferriata posta dietro alla scrivania, in fondo. Si intravvedevano a malapena altri scaffali perché, diversamente dal resto della sala, non vi erano candele a illuminare la zona. Immersa com’era nell’oscurità, non l’avevano neppure vista al loro ingresso.

Madama Pince aveva ripreso a camminare diretta agli scaffali di destra e intanto snocciolava una serie di norme e divieti.
“Non si fa rumore, non si parla a voce alta, non si devono sporcare i libri, non ci si deve scrivere assolutamente NULLA sopra, non si mangia in biblioteca, non si strappano le pagine, non si piegano, non si lanciano i libri come fresbee zannnuti, oh!, se doveste mai fare una cosa del genere, giuro che vi proibirei l’ingresso alla biblioteca per sempre…” e nel dire questo Madama Pince si voltò verso i due bambini.
Quando li vide ancora fermi a fissare il fondo della sala, marciò verso di loro.
Lily e Severus si resero conto di aver esitato un attimo di troppo e si affrettarono verso di lei che ostentava un’espressione di trionfo.

“Cosa state facendo?”
Di nuovo quel tono inquisitore.
“Noi…”
Lily stavolta era davvero imbarazzata. Quella donna era tremenda.
Ma fu Severus a porre la domanda. Anche se intimorito, chiese:
“Che cosa c’è là in fondo?”
Madama Pince socchiuse gli occhi, malevola.
Con deliberata lentezza alzò il mento e li osservò dall’alto.
Scandì le parole:
“Lì in fondo c’è il Reparto Proibito. P-r-o-i-b-i-t-o, chiaro? Solo gli studenti più grandi possono accedervi e solo con il permesso scritto di un professore.”

Silenzio.
Ora non sapevano che dire, Lily si era pentita si essersi fermata e Severus, pur condividendo lo stesso sentimento, non poté fare a meno di chiedersi se il quel reparto ci fosse una parte di quelle “cose più interessanti” da sapere cui aveva fatto cenno Mulciber la sera prima, quando aveva parlato del Signore Oscuro e della magia che Silente e il Ministero non volevano venisse imparata e praticata. “Gente senza onore” li aveva definiti il compagno, ripetendo a pappagallo con tracotante arroganza quello che sentiva dire dagli adulti di casa sua.

“Ehm… allora ci può mostrare il reparto di Incantesimi, per favore?” Severus alla fine si riscosse dai suoi pensieri e riuscì a parlare.
Lily sembrò attraversata da un’idea improvvisa e aggiunse:
“Sì, oggi il professor Vitious ci ha spiegato come tenere le bacchette, non avrebbe qualche libro da consigliarci per approfondire?”
Madama Pince gradì la richiesta. Era evidente che le piaceva sentirsi indispensabile nel suo “regno”.
Fece loro cenno di seguirli e raggiunse uno schedario sotto la targa “INCANTESIMI”.

“Qui potete trovare l’elenco dei libri suddivisi per argomento o per titolo o per autore.”
Nel dirlo, sfiorò appena con la bacchetta uno schedario che si aprì rivelando uno stretto cassetto inaspettatamente lungo; sempre con la bacchetta puntata la bibliotecaria ne trasse un foglietto quadrato di spessa pergamena. Sul foglietto che rimase sospeso in aria all’altezza dei loro occhi, Severus e Lily lessero il titolo di un libro e la sua descrizione, scritti a lettere eleganti e chiare.
“Questo è solo per la teoria, sia chiaro!” sbraitò la donna facendoli sobbalzare. “La biblioteca non è un’aula per incantesimi pratici!”

Lily si rabbuiò un pochino ma Severus si affrettò a ringraziare Madama Pince e a chiederle se potevano prendere quel volume. Lei batté un colpetto leggero di bacchetta sul foglietto, che tornò nel suo schedario, e indicò lo stretto corridoio laterale.
Le candele dei due bambini li stavano già precedendo e si fermarono poco più avanti appena un po’ sopra le loro teste. Incerti, si guardarono attorno e una scala a chiocciola arrivò fermandosi di fianco a loro. Capirono e, mentre lanciavano occhiate di sottecchi a Madama Pince che li fissava severa all’imbocco del corridoio, Severus ritenne giusto che fosse Lily ad avere il piacere.
Le fece cenno di salire sulla scala e lei vi posò un piede, trepidante e felice. Con la mano posata sul corrimano si lasciò trasportare in alto: appena un giro e mezzo, ma fu sufficiente a farle mordere il labbro inferiore per la gioia.
La scala si fermò alla giusta altezza e la candela di Lily illuminò un libriccino dalla copertina marrone chiaro: Adalbert Incant - Primi colpi di bacchetta - Teoria, guida con esercizi illustrati e un’appendice sulla storia delle bacchette.

Severus osservava l’amica prendere con delicatezza il libro tra le mani, lieto di vederla felice mentre la scala la riportava a terra. Lily stringeva il libro al petto come una cosa preziosa e disse sottovoce:
“Ci mettiamo lì?”
Indicò uno spazio in fondo al corridoio, con sei tavoli.
Sì, era meglio stare tra gli scaffali che non nel corridoio centrale dove Madama Pince non avrebbe fatto altro che fissarli con quella bieca espressione sospettosa.

Si avvicinarono quasi in punta di piedi e non appena si accomodarono sulle sedie le grosse candele che stavano in fila in mezzo al tavolo si accesero, subito avvolte da una bolla vitrea, a illuminare il libro che stava posato tra loro. Le due candele che li accompagnavano restarono sospese sopra la testa di ciascuno.

“È lo stesso autore del libro che abbiamo preso al Ghirigoro” osservò Lily.
Severus ebbe un pensiero bizzarro: aveva appena pensato che anche quell’Incant doveva essere stato uno studente a Hogwarts, un bambino come loro, come il ragazzo del ritratto nel suo dormitorio… Ci sarebbe stato un giorno un volume, magari di Pozioni, scritto da “Severus Tobias Piton”?

Il nome di suo padre lo colpì come un ceffone.

“A ogni mago la sua bacchetta… Corretta impugnatura… Corretta postura…” Lily stava leggendo l’indice.
“…I movimenti base: polso, gomito e braccio…”
“Vediamo questo!” la interruppe lui.
Sfogliarono il libro fino al capitolo giusto e cominciarono a leggere. Era come risentire le parole del professor Vitious e si divertirono moltissimo a guardare le illustrazioni in bianco e nero animate, che si muovevano al rallentatore, Lily ne rimase affascinata.

La voglia di provare era tanta, in fondo a loro serviva più la pratica che non la teoria; fu difficile non sfilare la bacchetta da sotto la veste e tentare di riprodurre i movimenti delle illustrazioni o provare gli esercizi dati dall’insegnante. Istintivamente si guardarono intorno per essere sicuri che Madama Pince non fosse nelle vicinanze, come se temessero che potesse legger loro nel pensiero e cacciarli via.
“Se oggi pomeriggio abbiamo tempo prima della lezione di volo, possiamo provare insieme” suggerì Severus. “Saremo all’aperto, non penso che sia priobito esercitarsi fuori.”

Anche se la biblioteca era un luogo assolutamente meraviglioso e Severus sarebbe rimasto volentieri lì dentro a leggere tutti, ma proprio tutti i libri che conteneva, adesso si dispiaceva un pochino di non aver pensato di uscire dal castello durante quell’ora. Sarebbe stato come essere ancora nel parco babbano, teatro di tante cose belle.

“Sì, voglio provare ancora l’esercizio degli incantesimi intercettati!” stava intanto dicendo Lily. “Mi aiuterai, vero? Non voglio sbagliare alla prossima lezione quando Vitious ci interrogherà.”
“Ma certo!” replicò Severus. “E non ti devi preoccupare. Sei stata bravissima oggi!”
Lei sorrise.

Con dita distratte aveva raggiunto l’ultima parte del libro, introdotta da una curiosa illustrazione in cui una bacchetta circondata da maghi e streghe ruotava come l’ago di una bussola e poi andava a posarsi nella mano tesa di una delle persone; la didascalia recitava “È la bacchetta che sceglie il mago. - Olivander -”.
Il disegno introduceva l’Appendice I – “Introduzione e storia delle bacchette”.
Testa contro testa, Lily e Severus cominciarono a leggere.


Sebbene all’inizio di questo volume abbiamo asserito che ad ogni mago si adatta la giusta bacchetta, molti fabbricanti di bacchette e non solo ritengono sia più corretto affermare che è lo strumento a scegliere il suo padrone. Pare ormai provato ad esempio che sensazioni particolari quali calore, formicolio, pizzicore o tensione improvvisi nel braccio siano i segnali inequivocabili dell’affinità trovata tra mago e bacchetta.
Da molti riconosciuto come il migliore artigiano vivente d’Inghilterra, il signor Olivander è un acceso sostenitore di questa teoria. La sua bottega in Diagon Alley a Londra è giustamente famosa e non v’è mago o strega tra i suoi clienti che abbia mai avuto problemi con una bacchetta da cui si è sentito “scelto”.

Non esistono due bacchette uguali, così come non esistono due esseri umani uguali. Ogni mago è un pezzo unico nel tempo e così pure il suo strumento.
Le obiezioni più comuni a questa tesi sono che un mago può tranquillamente utilizzare anche la bacchetta di un altro e che, a differenza degli esseri viventi, le bacchette vivono molto più a lungo e possono attraversare le generazioni. Obiezioni innegabili, tuttavia sembra che se una bacchetta - per usare le parole di Olivander stesso - “funziona sempre, è altresì vero che essa darà il meglio di sé con l’essere umano che più le si addice. E viceversa.”

Il fatto che una bacchetta riesca ad esprimere il suo massimo potenziale anche con più di una persona è a tutt’oggi materia di studi, ipotesi e diatribe.
Il signor Olivander, oltre ad essere un esperto dell’arte della fabbricazione delle bacchette - dalla scelta dei legni
(vd.Appendice II) a quella delle sostanze magiche che ne costituiscono il nucleo (vd. Appendice III) - si interessa di indagare oltre la mera arte manuale ed è un profondo studioso della materia nonché di testi antichi che riguardano l’argomento: le leggi che si ritiene governino questi strumenti magici sono leggi tutt'ora non del tutto sviscerate e comprese e il lavoro di paziente ricerca che Olivander e altri suoi colleghi svolgono è sicuramente destinato a scoperte di cui saremo ben lieti di dare conto in maniera più esaustiva di quanto non sia finora possibile (vd. Appendice IV), quando le loro osservazioni troveranno maggior riscontro e si potrà squarciare il velo di mistero attorno a questo affascinante argomento.


“Io non la vorrei la bacchetta di un altro” mormorò Severus.
Gli piaceva l’idea che quella che possedeva fosse sua.
Lily era pensierosa.
“Sì…” disse poi lentamente, sfilando la sua dalla divisa.
La tenne sulla mano, sorridendo.
“Anch’io!”
Guardò di scatto Severus e sussurrò: “Ti ricordi quando al parco usavo i rametti?”
Si portò l’altra mano alle labbra, gli occhi socchiusi in una risatina.

Sì, lui se lo ricordava eccome.
Tutte le meravigliose ore passate con Lily al parco erano state ripercorse più e più volte nella memoria di Severus, quando ritornava allo squallore di Spinner’s End, all’atmosfera pesante di casa sua, nella solitudine della sua camera o nei momenti in cui Tobias litigava con Eileen.
Quei ricordi erano un’isola di pace e li avrebbe conservati per sempre, nessuno mai glieli avrebbe portati via.

Lessero rapidamente una breve storia delle bacchette e di come, dopo accese dispute con altre creature magiche come ad esempio i folletti, solo ai maghi e alle streghe fosse stato concesso di usarle. Tali contese non erano state prive di violenza (Lily si turbò un pochino, ma per fortuna Incant non si dilungava in dettagli); il tutto si era poi risolto con un trattato e delle leggi che regolamentavano l’utilizzo delle bacchette, come ad esempio quella che impediva ai minori di undici anni di possederne una.
L’argomento avrebbe meritato qualche approfondimento, Severus si sentiva molto curioso a riguardo e si domandò in quali libri dello scaffale “STORIA DELLA MAGIA” avrebbe potuto trovare qualche notizia in più. Sui manuali di sua madre aveva già letto qualcosa, ma sentiva che c’era certamente altro da imparare.

Lily iniziò a sfogliare il capitolo dedicato ai legni adatti alla fabbricazione di bacchette e scorse col dito fino alla voce “salice”, leggendo con molta attenzione.
Era uno spettacolo così bello mentre era assorbita nella lettura e le fiamme delle candele creavano bagliori di fuoco sui suoi capelli, che Severus si dimenticò del libro, anche se era interessante.

“Posso girare?” chiese Lily alzando lo sguardo su di lui che subito si riscosse, confuso.
“Sì! Sì, ho letto” mentì.
Quando lei voltò pagina, si costrinse a concentrarsi e lesse le proprietà del legno di sambuco, di sicomoro, di tasso, di tiglio…
A proposito del legno di sambuco si faceva rapido accenno alla leggenda di una bacchetta particolare detta anche “Bacchetta del Destino” o “Stecca della Morte”, ma Adalbert Incant non sembrava propenso a dare credito a voci non confermate e rimandava nuovamente all’Appendice IV che raccoglieva in maniera sommaria tutte quelle ipotesi e dicerie che erano ancora oggetto di studio.

Quando iniziarono a leggere il capitolo sui nuclei la campanella li fece sobbalzare sulla sedia.
Concentrati com’erano nel silenzio ovattato della biblioteca, il suono era giunto alle loro orecchie come amplificato.
Un po’ dispiaciuti di dover andare via, ma d’altra parte contenti di avere la loro prima ora di Trasfigurazione, scesero con un saltello dalle sedie un po’ troppo grandi e, mentre Lily rimetteva a posto la bacchetta nella veste, le candele del tavolo si spensero.
Sottili fili di fumo rimasero perlescenti nel buio, quando le bolle vitree si dissolsero.

“Cosa facciamo con il libro? Speravo di finirlo!” disse Lily sottovoce.
“Puoi prenderlo in prestito, dillo a Madama Pince!”
“Non lo vuoi tu?”
Ecco uno dei difetti di appartenere a Case diverse fare di nuovo capolino: non avrebbero potuto leggere assieme in Sala Comune.

Stavano risalendo lo stretto corridoio tra gli scaffali dedicati ai libri di incantesimi, seguiti dalle due candele sottili che non li avevano mollati da quando erano entrati.
“Lo leggerò quando tu avrai finito” rispose Severus.
Lily accelerò il passo.
“Facciamo presto, non voglio arrivare tardi, abbiamo la McGranitt adesso!”
Era la direttrice della sua Casa, era chiaro che non voleva farle una cattiva impressione, rifletté Severus. Non aveva anche lui fatto lo stesso con Lumacorno?

Un po’ affannati raggiunsero il tavolo della bibliotecaria che era china su un mucchio di pergamene fittamente scritte in colonne ordinate.
“Vorrei prendere questo libro in prestito” dichiarò Lily e gli occhietti di Madama Pince la fissarono.
“Bene. Allora… “Adalbert Incant - Primi colpi di bacchetta”, signorina…?”
“Evans.”
“Evans e di nome?” fece secca la donna.
“Lily. Lily Evans.” si affrettò a rispondere la bambina.

Madama Pince aveva tratto da un calamaio una lunga piuma ricurva e grigia, un po’ spelacchiata, e prese a scrivere su un grosso registro dalle larghe pagine, sotto la colonna “2 settembre 1971”, sillabando a mezza voce.
Lily si spostò sulle spalle una ciocca rossa di capelli, in un gesto caratteristico che Severus amava molto.
“L-i-l-y E-v-a-n-s… p-r-i-m-o a-n-n-o… G-r-i-f-o-n-d-o-r-o.”
Severus aggrottò le sopracciglia. La odiava quella parola.

“Molto bene.” Madama Pince assunse un tono spiccio.
“Hai due settimane di tempo per riportarlo indietro e bada bene di non danneggiarlo in alcun modo, perché altrimenti…”
“Posso darlo a lui appena ho finito?” Lily interruppe la donna e indicò l’amico.
La bibliotecaria boccheggiò e si agitò tanto che per un momento assomigliò a un vecchio gufo che arruffava le piume.
“Nient’affatto signorina Evans! Lei dovrà tornare qui, io registrerò che ha restituito il libro e solo allora il signor…?” si girò verso Severus.
“Piton.”
“…solo allora il signor Piton potrà chiedere in prestito il libro a sua volta. N-e-s-s-u-n-a eccezione.”
E picchettò decisa un dito nervoso sul registro.
“Sì, signora” risposero i due bambini all’unisono.
Non vedevano l’ora di allontanarsi dalle grinfie di quel “mastino” come l’aveva chiamata il vecchietto sul quadro lungo le scale che avevano incrociato prima. Mai definizione era stata più azzeccata!

Quando Lily riprese il libro in mano, Madama Pince la fissò con il suo sguardo da avvoltoio e i due se lo sentirono addosso per tutto il salone fino a quando raggiunsero di nuovo le alte porte d’ingresso.
Tirarono le spesse maniglie quadrate e le due candele che li affiancavano tornano silenziose sul soffitto, a confondersi con le loro gemelle.
 
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Camelia.
view post Posted on 31/7/2013, 17:20




Capitolo 15


Furono investiti da luce e rumore. Sopra e sotto di loro i ragazzi uscivano dalle aule e percorrevano i corridoi chiacchierando in vivace confusione.
Abbacinati dalla luce forte che entrava dalle finestre davanti a loro, Lily e Severus si diressero verso l’arazzo del mago pescatore sbattendo gli occhi e la sagoma delle finestre apparve sotto le loro palpebre attraversata da lampi di luce verde e violetti.

“Possiamo passare?” chiese Severus al mago pescatore, tutto nodi di fili di seta, visto da dietro.
“Oh, siete voi!” li riconobbe il mago. “Ma certamente!”
Dette uno strattone alla sua canna da pesca. Nessun pesce penzolava dall’amo.
“È stato istruttivo andare in biblioteca?”
“Sì!” rispose Lily con entusiasmo, stringendosi al petto il libro appena preso in prestito.
“Bene, bene!” farfugliò il mago impegnato in una manovra complicata per alzarsi e districare la lenza che si era impigliata sull’orlo della sua veste.
Si alzò e corse da un lato all’altro dell’arazzo annunciando poi che Pix non c’era.
Severus scostò delicatamente l’arazzo e lo tenne sollevato per far passare Lily.
“Spero di avere nuovamente il piacere di…” cominicò il mago, ora molto più nitido e ordinato da osservare dal lato dritto del manufatto.
Ma non finì, perché scivolò daccapo sulla sponda finendo a gambe all’aria dentro all’acqua, col cappello di traverso e nugoli di pesci che gli saltavano davanti, irridenti.
Lily e Severus si allontanarono soffocando una risata, quel mago era disperatamente maldestro!

Scesero rapidi le scale dando un’occhiata ai quadri appesi alla parete. I fenicotteri parevano tornati tutti al loro posto ma, nei dipinti accanto, diverse piume rosa svolazzanti rimanevano a testimoniare l’invasione degli uccelli un’ora prima.
Maghi e streghe erano ancora intenti a spazzarle via o a staccarle una per una dalle poltrone di velluto o dalle vesti. Una donna sfregava sconsolata un grande lenzuolo in un mastello colmo di acqua e lisciva, un’altra si osservava allo specchio con espressione furiosa, alle prese sia con le piume che le si erano impigliate tra i capelli, sia con l’inchiostro che le impiastricciava il viso.
Il vecchio con il cornetto acustico era tornato a sedere nella sua poltrona e pareva rassegnato a tenersi qualche piuma addosso. Salutò i bambini quando gli passarono davanti, con un cenno stanco della mano rugosa e un sorriso.

Nel corridoio di Trasfigurazione chiacchieravano concitati gruppi di ragazzi, alcuni preoccupati, altri decisamente allarmati.
“Non riuscirò mai a prendere un G.U.F.O. decente in Trasfigurazione! Quando non ho saputo rispondere alla McGrannitt su cose che dovrei saper fare da due anni…!”
“Ma no, è normale dopo le vacanze non ricordarsi tutto alla perfezione, se vuoi stasera ripassiamo assieme…”
“È meglio che io corra a studiare in sala comune…”
“Credevo di aver trasfigurato quel gatto in un cuscino alla perfezione, ma appena si è avvicinata la McGranitt ha fatto delle fusa paurose…”
“Vieni in biblioteca con me?”
“Sì, mi sa che devo ricominciare dai libri del primo anno…”

I ragazzi del quinto anno si disperdevano velocemente, senza nemmeno accorgesi che alcuni bambini del primo arrivavano da entrambe le imboccature del corridoio, timorosi e stringendosi l’uno all’altro.
Una ragazza dalle guance molto rosse superò di corsa Severus e Lily, quasi travolgendoli.
“Devo studiare Trasfigurazione almeno due ore, stasera!” mormorava agitatissima.
Di sicuro si stava recando in biblioteca e Lily fece in tempo a notare che sul petto portava lo stemma giallo e nero di Tassorosso.
La seguì con lo sguardo, chiedendosi, come Severus, se l’anno dei G.U.F.O. sarebbe stato così duro anche per loro. Già dal primo giorno mandava in crisi gli studenti!
“Bisogna studiare molto” disse Lily sovrappensiero.
“Sì, abbiamo fatto bene ad andare in biblioteca” concordò Severus.
Guardando la ragazza sparire sulle scale si ripromise di non dimenticare mai quanto aveva studiato a scuola durante le estati venture.

***


Non gli era mai successo, a dire il vero.
Nella scuola babbana che aveva dovuto frequentare fino all’anno prima, ai margini di Spinner’s End, non si era mai fatto trovare impreparato, pur non appassionandosi a nulla di ciò che gli veniva insegnato.
Si annoiava in classe e ricordava come un incubo le canzoncine per imparare l’alfabeto che una maestrina dai capelli color topo annodati in una coda asfittica aveva preteso che cantassero per settimane.
Doveva tuttavia ammettere che imparare a leggere aveva segnato una svolta fondamentale nella sua vita, finalmente i libri di sua madre potevano essere penetrati nella loro essenza più vera, le illustrazioni che tanto amava guardare venivano rese complete da capitoli e capitoli di nozioni interessantissime.
Le meraviglie contenute nei libri di testo di Hogwarts non potevano reggere il confronto con le tabelline e i banalissimi dettati pieni di scoiattoli e tartarughe parlanti che Severus doveva sopportare a scuola. Rendersi conto che per i babbani era “magia” un animale che parla, non poteva che accrescere in lui il disprezzo che provava per loro.

Insofferente verso quelle persone troppo incomplete, anche per questo non aveva amici.
Gli altri bambini fuggivano quel compagno dall’espressione scostante e dai vestiti bizzarri troppo grandi e logori; forse percepivano che era diverso da loro.
Qualcuno aveva provato a stuzzicarlo o a farne uno zimbello ma aveva dovuto battere in ritirata.
Non che ci fossero state zuffe o cose del genere, ma Severus, in qualche modo, era sempre riuscito a far desistere ogni tentativo di bullismo nei suoi confronti. I bambini coinvolti non ne volevano parlare, presero ad evitarlo e ben presto l’aggettivo “strano” fu l’unico utilizzato per indicare “il figlio dei Piton”, sempre serio sotto la cortina di capelli lunghi e neri.
Nessuno lo prendeva in giro, Severus veniva isolato e basta e lui non chiedeva di meglio.
Dopo un po’ anche la maestra smise di tentare un avvicinamento tra lui e gli altri bambini e accettò il corso delle cose, dal momento che non si verificavano episodi di prepotenza.
Severus ascoltava le lezioni annoiandosi a morte e avrebbe tanto voluto portarsi dietro uno dei libri di Eileen da leggere in classe, ma era troppo rischioso.
Passava quindi quattro ore al giorno a fantasticare su Hogwarts e sul momento in cui sarebbe finalmente stato lontano da Tobias. Anche se apparentemente svagato, rispondeva sempre correttamente a tutte le domande.
E non aveva quasi bisogno di studiare, i compiti (troppo facili per lui) li svolgeva in fretta come per liberarsi di un impiccio; poi si rituffava avidamente nelle sue letture preferite, imparando cose che avrebbero dovuto essere ben al di là del suo essere un giovanissimo mago.

Che gioia aver poi potuto parlare finalmente di Hogwarts con qualcuno, aver potuto condividere i suoi sogni con Lily! Da allora la scuola babbana era scivolata ancora più in basso nella sua considerazione.

***


Il chiacchiericcio nel corridoio parve aumentare improvvisamente di volume quando una risata molto sonora distolse Severus dai suoi ricordi.
I ragazzi più grandi erano andati tutti via e i piccoli Serpeverde e Grifondoro attendevano fuori dall’aula di Trasfigurazione, accuratamente separati; una rapida occhiata confermò -inutile dirlo- che Potter e Black erano i più rumorosi.
Black rideva senza freni, Potter si produceva in un inchino teatrale e tutti i suoi compagni erano eccitatissimi e battevano le mani. A quanto pareva, nell’ora buca i Grifondoro avevano avuto di che divertirsi con quei due al comando. Il ragazzino grasso era il più entusiasta di tutti e quasi saltellava andando avanti e indietro per meglio godere delle prodezze di Potter e Black.
I Serpeverde se ne stavano poco distanti, senza manifestare alcun desiderio di mescolarsi agli altri e con una certa aria di supponenza.
“Ehi secchione!”
Severus seguì il suono della voce inconfondibile di Mulciber e fece un cenno rapido col capo. Sperava che bastasse, invece vide il compagno muoversi verso di lui subito seguito da Avery.
D’istinto si irrigidì e con la coda dell’occhio guardò Lily, quieta accanto a lui e intenta a guardare i compagni della sua Casa. Sorrideva e forse stava cercando la sua amica Mary con lo sguardo.

Severus vide Avery osservare ostentatamente il libro che lei stringeva tra le mani.
Era talmente concentrato a spiare le mosse dei sui compagni di stanza, che non si rese conto che la voce di Mulciber aveva attirato l’attenzione anche di Potter e Black.
Fece appena in tempo ad accorgersi che ridacchiavano senza staccargli gli occhi di dosso quando Avery, col suo insopportabile sorrisetto, disse:
“Passata una piacevole ora di studio?”
Lily si voltò.
Severus si chiese se anche lei aveva colto il tono velatamente canzonatorio e da come lei strinse rapida le labbra dovette capire che era così.
“Sì, grazie” rispose la bambina, un po’ freddamente.
Mulciber le strappò il libro di mano.
“Ehi!” protestò lei, mentre Severus con un moto involontario aveva cercato di fermare il compagno.
Ma Mulciber stava già leggendo il titolo con la sua voce squillante:
Primi colpi di bacchetta - Teoria, guida con esercizi illustrati e un’appendice su…
“Posso essere utile qui?”

Severus, con immensa rabbia, vide che Black si era avvicinato a loro.

“No Black, ce la caviamo bene anche senza di te” fu la risposta sfrontata di Avery che non fece nulla per nascondere una smorfia di disgusto quando posò gli occhi sullo stemma di Grifondoro.
Black se ne accorse perché parve caricarsi come per cercare la rissa.
“Avete bisogno di fregare un libro ai Grifondoro per imparare meglio le cose?” chiese, aggressivo.
“Scherzi?” Avery prese il libro dalle mani di Mulciber e lo lanciò a Lily “Non siamo certo noi ad aver bisogno di imparare.”

Pronunciò quel “noi” in un modo tale che, anche se la maggior parte dei bambini intorno lo percepirono solo come uno sfottò nei confronti di Grifondoro, Severus realizzò benissimo che l’allusione era alle origini babbane di Lily.
Non capì se anche Black o qualcun altro avesse colto perché si concentrò con un certo spavento sul viso dell’amica, sperando con tutta l'anima che lei non avesse capito.
“Tutti abbiamo bisogno di imparare” replicò pacatamante Lily. “Siamo qui per questo.”
Una profonda convinzione traspariva dal suo volto, mentre con le mani quasi accarezzava il libro.
Potter intanto si era avvicinato. Guardava Lily e gli altri sistemandosi gli occhiali sul naso.
“Non il secchione!” ruggì Mulciber con un’ennesima pacca a Severus che in quel momento si sentì quasi disposto a odiarlo tanto quanto Black.
“Questo qui sa fare magie da terzo anno, altroché!”

Stavolta lo sentirono proprio tutti.

Severus divenne il punto focale dell’attenzione collettiva, una cosa che avrebbe dovuto fargli piacere e inorgoglirlo, ma che invece lo indispettì.
Non era questo il modo e il luogo per far sapere a tutti quanto era brillante, senza contare che a Lily non aveva ancora detto niente e voleva essere lui a raccontarle ciò che era accaduto nel dormitorio di Serpeverde la sera prima.

Si dispiacque di non avergliene fatto ancora parola e ci pensò Potter a peggiorare ulteriormente la situazione:
“Chi, Mocciosus?!”
Rise senza ritegno immediatamente seguito da Black. Irritatissimo, Severus notò che tutti i Grifondoro si accodavano ai loro leader, chi più chi meno.
A dire la verità il bambino pallido dai capelli fini si teneva in disparte e cercava di non farsi coinvolgere, ma per Severus era molto più facile in quel momento fare di tutta un’erba un fascio, anzi, l’atteggiamento di quel bambino dall’aria dimessa gli dette sui nervi.
Non poteva soffrire i Grifondoro, non poteva soffrirli al punto che invece di riconoscere nell’aria quasi sofferente del ragazzino la sua stessa tristezza che si portava dietro da quando era nato, lo bollò subito come un nemico, forse perché era più facile prendersela con uno solo e indifeso, anche se non c’entrava nulla.
Incrociò lo sguardo di Lily e qualcosa prese a dibattersi furiosamente in lui. Ah, perché lei stava in quella Casa?

Anche lei era dispiaciuta e preda dello stesso conflitto. Non le piaceva questo continuo battibeccarsi, non aveva certo creduto che appartenere a Case diverse significasse aperta ostilità. Ne era profondamente amareggiata.

“Attenzione! Attenzione!” andava dicendo Potter gesticolando. Ma prima che potesse dire altro Lily intervenne decisa.
“Perché non la smettete?”
“Cosa fai, Evans, difendi i Serpeverde?” chiese Black aspro.
Noi non abbiamo bisogno di farci difendere da… lei” rispose rapido Avery.
Di nuovo Severus fu certissimo che se solo avesse voluto, Avery l’avrebbe chiamata “sporca babbana”.

Ma la furbizia brillava negli occhi di Avery e Severus comprese che mai il ragazzino avrebbe offeso platealmente Lily, perché mai avrebbe voluto perdere il privilegio di avere un compagno dotato come lui.
Fu tutto chiaro nel tempo che occorse ai due bambini per incrociare i loro sguardi.
Per pura convenienza Avery era disposto a soprassedere sul padre babbano di Severus e sulla sua povertà pur di tenersi buono quel bambino eccezionale; e questo sarebbe tornato utile a Severus nella forma di un’amicizia da parte di un purosangue la cui famiglia era più che ben inserita nella società magica e poteva aprirgli parecchie porte.
Però Severus doveva accettare anche dell'altro in questa amicizia fondata sullo scambio: Avery aveva imparato a rispettare le sue notevoli capacità, ma non poteva sopportare l’idea che un mezzosangue fosse migliore di lui e che per di più fosse amico di una sanguemarcio, nonché Grifondoro.
Severus doveva tollerare tutte le frecciate antibabbane di Avery, doveva rassegnarsi al fatto che non solo quello di Tobias, ma anche il sangue babbano di Lily sarebbero stati presi di mira, sempre.

Era un prezzo da pagare, prendere o lasciare.

E nell’attimo in cui lesse tutto questo negli occhi arroganti di Avery, Severus ricordò nuovamente la sera prima, la sensazione di potenza e il rispetto che si era guadagnato presso i suoi compagni purosangue.
Ancora una volta arse in lui una fiamma e quel calore era così… bello, così desiderabile, che non vi avrebbe rinunciato per nessuna ragione.
Non poteva permettere che si spegnesse, non voleva che si spegnasse.

Non l’avrebbe spento.

“Non difendo nessuno, voglio solo che la smettiate di litigare” stava dicendo Lily, guardandoli tutti torva.
Era seccata, quei bambini erano insopportabili in pari misura, eppure parevano decisi ad essere meno in colpa di chi sul petto aveva uno stemma diverso dal proprio.
“Severus…” proseguì, voltandosi e cercando la sua complicità.
Lui sentì gli occhi di tutti i Serpeverde fissarlo.
“È meglio smetterla, siamo davanti all’aula di Trasfigurazione” disse Severus, in tono indifferente, scegliendo un modo neutro per cavarsi d’impaccio.

L’evocazione di un docente funzionò e la gran parte dei bambini, voltandosi a fissare la porta dell'aula, parve rendersi conto che in effetti forse avevano fatto un po’ troppo chiasso. Perfino Potter e Black batterono in ritirata, le due Case si separarono di nuovo e i bambini ripresero a parlottare a coppie o gruppetti. Quell’ora buca aveva chiaramente fatto stringere diverse amicizie.

Severus si sentì in colpa per non essersi esposto troppo e fu imbarazzato quando Lily lo studiò intensamente per qualche lungo istante, un’occhiata che lui sopportò a fatica. Ma poi lei sembrò soddisfatta del fatto che gli animi si fossero calmati.

Qualcosa prese a ronzare nella testa di Severus e lui cercò di tacitarla. Finse di sistemarsi la bacchetta nella piega della veste e intanto teneva il capo abbassato, lasciando che i capelli gli coprissero il viso.
Senza una parola, Avery gli sfiorò la spalla con la mano allontanandosi da lui e Severus, teso, rimase immobile a fissare il pavimento per qualche secondo.
Si sentì improvvisamente distante da tutto e da tutti e l’unica cosa che gli venne in mente fu il ricordo delle ore felici passate al parco con Lily, un ricordo senza Avery, Mulciber, Potter o Black. Un ricordo senza stemmi sul petto.

“Che libro hai preso?”
La voce di Mary McDonald suonò vicinissima.
“Oh, un libro preparatorio sull’uso delle bacchette!” rispose Lily entusiasta e lo fece vedere all’amica. “Se vuoi dopo proviamo assieme, te lo mostro in Sala Comune.”
Una fitta.
Una fitta al petto.
“…leggerlo, poi però devo portarlo indietro, ho promesso a Severus che glielo avrei lasciato” concluse Lily sorridendo al suo indirizzo.

Ecco, lui non avrebbe letto e non avrebbe provato insieme a Lily nella Sala Comune. Mary avrebbe avuto il piacere, lui sarebbe arrivato dopo, avrebbe ricevuto il libro con uno scambio arido segnato scrupolosamente sul registro di Madama Pince.
Lui avrebbe raccolto le briciole.

“Ti sei perso un’ora di risposo, sgobbone!” Mulciber lo tirò per la manica, come per portarlo in mezzo agli altri Serpeverde.
“Credo di averla impegnata bene invece, la biblioteca è magnifica” replicò Severus asciutto.
Cercò di recuperare quel contegno che la sera prima gli aveva permesso di marcare il proprio valore e la distanza abissale che correva tra loro, parlando di capacità s’intende.

“Sarà…” Mulciber pareva seriamente dubbioso.
“Noi abbiamo parlato delle vacanze di Natale, tu cosa farai?”
“Co…? Io… Le vacanze di Natale?”
Era appena iniziata la scuola e Mulciber pensava già alle vacanze…
Lo spettro dei Natali passati a Spinner’s End passò velocemente davanti a Severus, ma la pena di rispondere gli fu risparmiata da un rumore di sonagli che risuonò proprio sopra le loro teste.

Presi come erano stati dai battibecchi tra di loro, i bambini non si erano accorti che Pix aveva veleggiato fino a lì dall’imboccatura est del corridoio.
“Ohhhhh, quanti ragazzini del primo anno!!!” la voce nasale di Pix tradiva la soddisfazione di chi sta per addentare un boccone succulento.
Tutti alzarono il capo.
“Ehi, guarda lì!”
“Ma chi è?”
“Cos’è?”
Queste domande rimbalzavano di bocca in bocca, era chiaro che la maggior parte dei bambini non sapeva rispondere.

“Sei Pix!” esclamò subito Potter.
Severus provò un certo fastidio nel sentirsi scippare la risposta proprio da lui.
“Mio padre mi ha parlato di te!”
“Ah davvero, ragazzino…”
Pix rotolò in aria e suscitò qualche risata: era ovvio che quasi tutti non erano consapevoli che fosse uno spirito del caos. Beh, era ora di chiarire le cose.

Pix trafficò con le mani sotto il gilet e le ritirò fuori tenendole chiuse a coppa. Girando rapido su se stesso, soffiò forte riempiendo l’aria di polvere bianca.
I bambini si lasciarono scappare urletti di sorpresa e presero a scansarsi lungo le pareti del corridoio, coprendosi la testa con le braccia o i cappucci delle divise, ma ciò non impedì alla polvere di gesso di investirli tutti.
Colpi di tosse presero il posto delle urla mentre Pix cantava stonato e accennava dei passi di danza per aria.

L’aula di Trasfigurazione si aprì di botto.
Sulla soglia si stagliava dritta e rigida la professoressa McGranitt e le bastò un’occhiata per capire cos’era successo.
Agitò la bacchetta e la polvere sparì dall’aria e dalle vesti dei bambini, che si calmarono e rimasero in attesa, osservando le narici frementi dell’insegnante e Pix che, a testa in giù, si toglieva il cappello a sonagli come se volesse omaggiarla.
“Pix! Come ti permetti di disturbare durante le ore di lezione!!”
Una pernacchia.
“PIX!!”
Il folletto ritornò lentamente in posizione dritta, come ruotando su un perno invisibile.
“Non mi ero accorto che ci fosse un’aula qui” disse con tono innocente e occhi maligni.
La McGranitt chiuse gli occhi e tirò un lungo respiro, come per invocare la pazienza.
“Bene, ora lo sai. Esci da questo corridoio, per favore.”
Pix non parve per nulla intenzionato ad andarsene.
“Voi, entrate su!” invitò la McGranitt scostandosi contro uno stipite e i bambini varcarono la soglia alla spicciolata.

Lo sguardo torvo della professoressa non sembrava intimorire affatto Pix che infilò nuovamente la mano nel gilet. D’istinto lei gli puntò contro la bacchetta e Pix fu investito in pieno dall'incantesimo: si ribaltò a testa in giù e rimase per aria immobilizzato e incapace di parlare. Solo gli occhi balenavano a destra e sinistra carichi di dispetto.
I bambini che ancora non erano entrati non poterono non trovare la cosa divertente e in quella suonò la campana d’inizio della terza ora.
“Dentro, forza!” incalzò la McGranitt, entrando a sua volta rapida e dirigendosi veloce alla cattedra.

Mulciber dette uno spintone a chi gli stava davanti e il ragazzino pallido di Grifondoro andò a sbattere in pieno contro le schiene di Lily e Severus.
“Scusatemi… scusatemi!” farfugliò immediatamente, con gli occhi spalancati e la voce flebile.
Severus si era voltato di scatto e lo fissava con odio, anche se la vista dell’espressione soddisfatta di Mulciber, poco dietro, gli disse che il compagno era il vero responsabile.
Ma Lily sorrideva. “Non importa! Non l’hai fatto apposta” e la sua espressione dolce parve stupire il ragazzino.

“Seduti!” ordinò la McGranitt e gli ultimi arrivati si affrettarono.
Potter e Black si accomodarono nell’ultimo banco della fila di sinistra, Lily e Severus al centro, Avery e Mulciber a destra. Il ragazzino pallido si guardò attorno e sgattaiolò verso il bambino grasso, l’unico ad avere un posto libero accanto a sé.
“Di nuovo compagni, Remus!” disse quest’ultimo con una vocetta.
Remus sorrise anche se la sua espressione evocava solo un’immensa pena interiore. Era come se avesse paura di tutto e di tutti, come se volesse mimetizzarsi con l’aria e scomparire, come se si sentisse fuori luogo e temesse di venir scacciato da un momento all’altro.
Si sedette proprio davanti a Lily, e Severus notò che oltre al taglio scuro che gli attraversava la guancia, vi erano degli strani segni anche sul dorso della pallida mano sinistra.

“Benvenuti alla vostra prima lezione di Trasfigurazione!” scandì la professoressa McGranitt con voce chiara e immediatamente il brusio nell’aula si spense.
 
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